lunedì 3 giugno 2013

TURCHIA: COSA VUOLE DAVVERO ERDOGAN?

Un centro commercialea (e una moschea) al posto del parco Gezi di Istanbul, una legge restrittiva sulla vendita di alcolici (in un Paese in cui il loro consumo riguarda comunque una piccola minoranza della popolazione), il celebre pianista Fazil Say che finisce in guai giudiziari per un tweet un po' infelice, lo scrittore di origine armena Sevan Nisanyan condannato per una frase ritenuta offensiva per il Profeta. E ancora: il non riconoscimento degli Aleviti, i troppi giornalisti in carcere, l'articolo 101 del codice penale che, nonostante le modifiche, resta una spada di Damocle sulla libertà di espressione, la rivalutazione del passato ottomano, la riprovazione per la pubblicità "lasciva", il sindaco di Ankara che invita ad evitare affettuosità in pubblico, la riforma in senso presidenzialista (non ancora approvata) della costituzione.


Qual è il vero progetto politico di Erdogan? Che ne è dell'Akp da molti paragonato alla Dc italiana o alla Cdu tedesca? E che fine ha fatto il pragmatismo del premier che in un decennio ha dato visibilità alla Turchia religiosa e conservatrice (ma non estremista), ha portato al potere una nuova classe dirigente scalzando il vecchio establishment kemalista e ha saputo innescare una crescita economica senza precedenti? Il premier, forte di tre vittorie elettorali consecutive a furor di popolo, negli ultimi tempi sembra sempre più preda di pulsioni autoritarie: si dice convinto che "la religione non impone nulla di male"; definisce "manciata di saccheggiatori" le persone scese in piazza in questi giorni e violentemente aggredite e picchiate dalla polizia; definisce i social media (Twitter in testa) "la peggiore minaccia alla società"; liquida tutti coloro che consumano alcolici come "alcolizzati"; dichiara pubblicamente che la legge precedente sull'alcol era stata scritta da un ubriacone, dimenticando che l'autore era nientepopodimenoche Ataturk in persona.

Negli ultimi mesi, a proposito delle iniziative e degli atteggiamenti venuti dal premier Erdogan mi sono trovato d'accordo con gli osservatori e gli esperti che vedevano in esse più la solita disposizione turca all'autoritarismo piuttosto che la prova del disegno islamista dell'Akp. E però, gli avvenimenti delle ultime settimane fanno sorgere il timore che le due pulsioni possano saldarsi, materializzando le fosche previsioni dei più accesi critici di Erdogan. Scrive oggi il professor Renzo Guolo su Repubblica: "Più un partito islamista come l'Akp [...] diventa 'affidabile' sul piano sistemico, interno e internazionale, tanto più dovrà irrigidirsi sul piano de valori e dei costumi. In Turchia come altrove. Se attenua troppo il suo profilo religioso, intacca il consenso dell'elettorato islamista. Ne va della stessa matrice originaria di una formazione che [...] ha radici nell'islam politico".

Erdogan, in effetti, è stato una figura di spicco del disciolto Refah Partisi e finì in carcere nel 1998 con l'accusa di incitamento all'odio religioso per aver declamato pubblicamente i versi del poeta Ziya Gökalp: "Le moschee sono le nostre caserme, le cupole i nostri elmetti, i minareti le nostre baionette ed i fedeli i nostri soldati". Uscito dal carcere, fondò il Partito per la Giustizia e lo Sviluppo (Akp), su posizioni più moderate rispetto a precedenti formazioni islamche turche. Considerati i trascorsi e visti gli avvenimenti degli ultimi mesi non bisogna necessariamente essere accecati dal pregiudizio per nutrire qualche timore sui rischi di involuzione in Turchia. Piuttosto, proprio chi, come il sottoscritto, ha sempre guardato con interesse alla politica di Erdogan, sia sul piano interno che su quello internazionale, e resta convinto dell'adesione della Turchia all'Unione Europea, non può non essere oggi molto preoccupato, senza per questo rimpiangere i tempi degli interventi dei militari a difesa della laicità della repubblica kemalista. [RS]

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