lunedì 12 settembre 2011

LA TURCHIA VUOLE COGLIERE I FRUTTI DELLE PRIMAVERE ARABE

Il premier turco Recep Tayyip Erdogan
Il premier turco recep Tayyip Erdogan arriva oggi al Cairo, prima tappa del suo tour di quattro giorni in Egitto, Libia e Tunisia, per fare in modo che le “primavere arabe” portino frutti appetitosi per la Turchia. Il momento è sicuramente propizio: con le lunghe e solide relazioni con Israele precipitate ai minimi storici, il premier turco, sfruttando l'evidente difficoltà e il crescente isolamento in cui si trova Tel Aviv, punta ad accreditarsi come importante leader musulmano e a fare della Turchia il nuovo Paese chiave della regione, con un ruolo sempre più autonomo da Europa e Stati Uniti, pur senza mettere in discussione (almeno per ora) l'alleanza strategica con l'Occidente. E' inutile farsi illusioni: dopo gli attacchi contro lo Stato ebraico delle scorse settimane, culminati con la riduzione ai minimi termini delle relazioni diplomatiche, commerciali e militari, nei suoi discorsi sulla politica estera regionale turca Erdogan non mancherà di criticare duramente il governo israeliano.

Mezzo milione di persone "sta maledicendo Israele con le sue azioni", ha detto sabato scorso Erdogan che nell'assalto all'ambasciata del Cairo vede uno spirito di risveglio: "La gente delle regione marcia verso la democrazia e la libertà dai sistemi autocratici". Non c'è dunque ragione di credere che nei suoi discorsi davanti ai ministri degli Esteri della Lega Araba, all'università dove il presidente Barack Obama offrì una mano tesa al mondo musulmano o in piazza Tahir, Erdogan cambi registro. Il premier turco, lo ha confermato il ministro degli Esteri, Ahmet Davutoglu, non visiterà Gaza, ma non ce n'è bisogno: nella Striscia, dopo la vicenda della Mavi Marmara, Erdogan è considerato un eroe (molti bambini nati nel frattempo si chiamano Tayyip) e comunque, durante il soggiorno egiziano, dovrebbe incontrare anche il leader palestinese Mahmoud Abbas per discutere la richiesta di riconoscimento dello Stato palestinese da parte delle Nazioni Unite, in agenda alla ormai imminente Assemblea Generale: un'iniziativa dietro alla quale, secondo alcuni, ci sarebbe proprio una regia turca.

Dopo l'Egitto Erdogan si recherà in Tunisia e poi ancora in Libia, dove si tratterrà due giorni, primo capo di governo ad arrivare a Tripoli dopo la caduta di Muammar Gheddafi. Insieme a Erdogan ci saranno il ministro degli Esteri Davutoglu, quello dell'Economia, Zafer Caglayan, e decine di imprenditori. Come nel recente viaggio in Somalia, a dimostrazione che la politica estera turca magari non è molto coerente al principio “nessun problema con i nostri vicini”, tante volte ripetuto, ma applica saldamente la dottrina della “profondità strategica” elaborata proprio da Davutoglu. In nome sì della comune fede islamica, ma soprattutto degli affari: una crescita economica tuttora piuttosto solida (nonostante il rallentamento negli ultimi mesi), la grande stabilità politica interna e un consenso elettorale che nelle elezioni del giugno scorso ha sfiorato il 50%, consentono ad Ankara di proporsi come interlocutore forte e credibile. E di giocare un ruolo di primo piano nella corsa allo sfruttamento delle risorse energetiche nascoste (pare) nei fondali del mediterraneo orientale. Una partita che si annuncia come una delle più importanti dei prossimi tempi, ma che, viste le premesse, promette di essere tutt'altro che indolore.

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