Finisce il viaggio di Riccardo De Mutiis nella storia recente
di Belgrado, dall’epoca della Jugoslavia del Maresciallo Tito ai giorni
nostri: un viaggio alla scoperta della “città bianca” nelle cui strade
vibra il “srpsko srce”, il cuore serbo. In questa quinta puntata il
racconto termina nella capitale serba di oggi con il cambiamento subito da alcuni caratteri tipici della città dovuto alle conseguenze e alle trasformazioni lasciate delle guerre degli anni '90 e dal regime di Milosevic. Soprattutto la scomparsa, forse definitiva, di quell’atmosfera particolare, tipicamente
serba, che si viveva nelle strade e che affascinava tanto i visitatori stranieri.
Secondo Le Corbusier “di tutte le capitali situate in una posizione
splendida, Belgrado è la più brutta”. L’affermazione dell’architetto
svizzero è troppo drastica, ma ha un fondo di verità. In effetti la
posizione geografica della capitale serba è invidiabile: il nucleo
originario della città venne realizzato su una collina ai cui piedi la
Sava affluisce nel Danubio e da cui, in particolare dalla fortezza di
Kalemegdan, si gode il panorama di una pianura che si estende a perdita
d’occhio. Non sono altrettanto apprezzabili, purtroppo, né l impianto
urbanistico, né lo stile architettonico della città. Infatti alla
impostazione urbanistica degli Ottomani si sovrappose quella dei
Karadjordjevic ed a questa quella di stampo comunista del periodo
titino: alla disorganicità derivante dalla sovrapposizione di tali idee
urbanistiche profondamente diverse l’una dall'altra si aggiunsero, nel
momento in cui la città si estese oltre la Sava ed il Danubio, i
problemi di una rete viaria che si intasava spesso e volentieri in
prossimità dei pochi ponti che collegavano il centro con Zemun, Novi
Beograd e le altre nuove zone costruite oltre i fiumi. Ma se la
struttura urbanistica di Belgrado non è entusiasmante, è altrettanto
vero che il viaggiatore che arriva nella capitale balcanica è colpito
dall’atmosfera tutta particolare che vi si vive: nelle strade di
Belgrado vibra l’anima del popolo serbo, batte il “srpsko srce”, il
cuore serbo. La città ha sempre vissuto con grande partecipazione le
vicende nazionali, senza mai appiattirsi sui mantra dettati dal potere
costituito, ma tenendo invece spesso un atteggiamento critico e
disincantato nei confronti dei vari regimi che dal dopoguerra ad oggi si
sono avvicendati alla guida del paese. In questo scritto il rapporto
tra la città di Belgrado e la politica prima jugoslava e poi serba viene
analizzato con riferimento diversi periodi storici, dal dopoguerra fino
alla morte del Maresciallo Tito, dal periodo del regime di Slobodan
Milosevic alla sua caduta, fino ai nostri giorni.
Riccardo De Mutiis [*]
La bandiera della città di Belgrado (Foto Xevi V/Flickr) |
Riccardo De Mutiis [*]
La Belgrado di oggi / 2
Nella Belgrado di oggi anche la
toponomastica, e questa è una abitudine tutta serba, è cambiata.
Una delle strade più importanti di Belgrado, quella che dall’Hotel
Slavija conduce alla pedonale Knez Mihajlova, ha cambiato per tre volte
nome nell’arco di trent'anni, passando dalla ovvia intitolazione a
Tito a quella, nel periodo di Milosevic, di Ulica Srpski Vladara
(“Corso Prìncipi Serbi”, in linea con l’esaltazione dell'etnia
nazionale che ha caratterizzato quel periodo), per passare a quella
attuale di Ulica Kralja Milana, che ricorda Milan Obrenovic, principe
e re della Serbia nella seconda metà dell’Ottocento. Ma l’esempio
più eclatante della facilità con cui a Belgrado la toponomastica
viene modificata è rappresentato dall'importante arteria Decanska,
che sbocca in Trg Republike, che ha cambiato ben cinque volte la sua
denominazione.
Se la città è profondamente mutata
per tanti aspetti, ve ne sono degli altri che sono rimasti intatti e
che continuano a caratterizzarla, nonostante il passare del tempo. Il
più evidente, forse, è il disordine urbanistico. Il traffico,
nonostante l’apertura del nuovo ponte Gazela sulla Sava, continua
ad essere caotico. Ma quello che stupisce, in senso negativo, è il
permanere di quelle baraccopoli sorte negli anni delle guerre in cui
si insediarono i profughi provenienti dalla Bosnia , dalla Croazia e
dal Kosovo: poco o nulla è stato fatto per offrire una sistemazione
adeguata a questa gente. Il più grave problema urbanistico della
città è rappresentato dal fatto che gran parte delle abitazioni
(qualcuno parla addirittura del 50 %) sono state costruite in assenza
di concessioni edilizie e quindi sono del tutto avulse da un
qualsiasi piano di sviluppo urbanistico.
Insomma, Belgrado da una parte
abbandona abitudini tipicamente serbe e si apre culturalmente ed
economicamente all’esterno, e dall’altra non riesce a risolvere
problemi che la affliggono da lungo tempo, come quello urbanistico e
quello del fumo. La città bianca sta vivendo una fase di passaggio,
cerca di aprirsi all’esterno ma non riesce a staccarsi
completamente dai retaggi dal passato ed in questo senso replica le
medesime incertezze del governo nazionale, sospeso fra il desiderio
d’Europa ed il richiamo al nazionalismo insito nella questione
kosovara. Ed alla crisi d’ identità della capitale non è
estranea una modificazione del suo tessuto sociale.
La borghesia belgradese che aveva
spesso avversato la politica di Milosevic è quasi evaporata:
imprenditori ed intellettuali abbandonarono in gran parte Belgrado al
tempo della guerra per il Kosovo e da allora non sono più rientrati,
gli studenti che si sono laureati all’inizio del millennio sono
emigrati all’estero, a causa della scarsità di impieghi adatti
alle loro competenze e della insufficienza delle retribuzioni. Il
posto di questa borghesia colta è stato preso dai serbi provenienti
dalle zone rurali e dai profughi delle guerre: un campionario umano
sicuramente meno acculturato di quello precedente. Il fenomeno è
approfondito da Paolo Rumiz nel suo “Maschere per un massacro”,
che parla di sostituzione della borghesia con il sottoproletariato e
di conseguente imbarbarimento della città.
La chiusura di quei punti di ritrovo
tipicamente belgradesi si spiega anche e soprattutto con l’abbandono
della città da parte di coloro, la classe media, che erano soliti
frequentare quei ritrovi, si trattasse del Ruski car o di un'altra
kafana sulla Knez Mihajlova. Il professore che ha abbandonato
Belgrado un decennio fa e vi torna solo per festeggiare il Srpska
nova godina, il capodanno serbo che cade il 13 gennaio, non riconosce
la città in cui aveva vissuto; lo studente che si è laureato
all’università cittadina e poi ha trovato lavoro all’estero
quando torna per le vacanze estive si sente estraneo al nuovo
contesto sociale belgradese. Manca, attualmente, una classe media, e
ci vorrà circa una generazione per riformarla. Ed alla fine di
questo viaggio nella città bianca l’impressione è che
quell’atmosfera particolare che si viveva nelle strade, tipicamente
serba, che affascinava i visitatori, è scomparsa perché è
scomparsa quella compagine sociale, la borghesia belgradese, che
animava quei luoghi in cui quella atmosfera, il Srpsko srce, era
palpabile e viva.
[5 - Fine]
[*] Riccardo De Mutiis, esperto di relazioni internazionali, conoscitore della realtà balcanica anche per aver partecipato a diverse missioni patrocinate da istituzioni internazionali. Passaggio a Sud Est ha già pubblicato diversi suoi pezzi: per ritrovarli clicca qui.
complimenti vivissimi..
RispondiEliminaspero di trovare il tempo (sempre tiranno) di leggere tutto
faccio anche una nota su balkan crew
vi voglio bene.. anche se mi faccio viva poco...
poljubci
lina
Grazie Lina.
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