La nascita del nuovo governo in Italia è stata riportata un po' da tutti i media nei Balcani e diversi articoli hanno segnalato la nomina di Emma Bonino come ministro degli Esteri. Il suo è un nome piuttosto noto nell'area, fin dall'inizio delle guerre jugoslave: per la posizione presa dai Radicali sull'indipendenza di Slovenia, Croazia e Bosnia, per l'iniziativa a favore dell'incriminazione di Slobodan Milosevic e dell'istituzione del tribunale internazionale, ma anche per la sua azione da Commissaria europea agli aiuti umanitari nei giorni di Srebrenica e per le ripetute denunce del disinteresse e dell'inazione dell'Europa e delle Nazioni Unite di fronte all'aggravarsi del conflitto e all'estendersi delle "pulizie etniche".
Va da sé, com'è naturale, che non tutti apprezzino Emma Bonino. Tra questi c'è Marco Travaglio, che qualche settimana fa, quando tutti i sondaggi la indicavano come la preferita dagli italiani per la carica di capo dello Stato, ha scritto sul Fatto Quotidiano un poco lusinghiero articolo nel quale si elencavano tutte le "malefatte" della carriera politica della leader radicale. Non ultima l'essere stata nominata Commissaria europea dal primo governo Berlusconi, cosa che agli occhi di Travaglio appare evidentemente come una colpa inemendabile e incancellabile. Tra le altre, numerose, nequizie elencate si segnala il "via libera alle
guerre camuffate da “missioni di pace” in ex Jugoslavia,
Afghanistan e Irak" (Quirinale,si fa presto a dire Bonino, 6 aprile 2013). Qualche giorno dopo in un altro articolo (Quirinale2013. Madonna Bonino, 10 aprile 2013), Travaglio tornava a ricordare "la guerra in Afghanistan da lei appoggiata come
quelle nell’ex Jugoslavia e in Iraq".
Travaglio però non scrive che nel gennaio 1995, subito dopo essere entrata in carica, Emma Bonino si recava a Sarajevo e a Mostar, primo Commissario europeo ad andare in Bosnia dall'inizio della guerra. Né che nel luglio successivo, dopo la caduta di Srebrenica, andava a Tuzla, dove si stavano ammassando migliaia di donne e bambini e davanti alla stampa internazionale denunciava che, secondo i calcoli del suo ufficio e delle organizzazioni umanitarie, oltre a 4000 persone che mancavano all’appello, ce n'erano altre 8000 di cui non si avevano notizie e lanciava l’allarme sul rischio che gli uomini di Srebrenica fossero stati massacrati dalle truppe serbo-bosniache o dalle bande paramilitari agli ordini del generale Ratko Mladic: “Siamo di fronte a un vero e proprio genocidio”, disse la Commissaria europea. Un timore che di lì a pochi giorni sarebbe diventato una tragica realtà, come purtroppo sappiamo.
Che Emma Bonino abbia appoggiato alcune operazioni militari internazionali degli ultimi venti anni non è un mistero: proprio il suo schierarsi a favore dell'intervento militare in Croazia, in Bosnia o in Kosovo la mise in polemica con parte del mondo pacifista. Non è obbligatorio essere d'accordo, naturalmente, ma prima di liquidarla come un'inveterata guerrafondaia andrebbero almeno riportate le motivazioni con cui Emma Bonino si disse favorevole ad alcuni interventi armati internazionali in aree di crisi. In molte occasioni ha spiegato la sua posizione. Citiamo, tra le tante, un articolo per il Corriere della Sera in cui tra l'altro scrisse:
«Può sembrare paradossale, certamente amaro se “da convinta nonviolenta quale sono da sempre” mi ritrovo a condividere, se non addirittura a invocare, l'uso della forza da parte della comunità internazionale per mettere fine ai crimini contro l'umanità che vengono impunemente perpetrati in un angolo d'Europa chiamato Bosnia. Sia chiaro: non sono pacifista, non sono per la pace ad ogni costo, soprattutto quando il costo è qualcun altro a pagarlo e a questo prezzo. Sono, invece, per la supremazia del diritto ad ogni costo, ed è amaro doversi arrendere all'evidenza che esistono circostanze storiche in cui la difesa della legalità non può essere affidata, ancorché temporaneamente, che all'uso delle armi».
"Di fronte agli ultimi eventi in Bosnia non è più possibile tentennare: bisogna che l'ONU invii un cospicuo contingente supplementare (chiedendo, se del caso, l'aiuto della NATO e della UEO) ed assegni un nuovo e chiaro mandato ai caschi blu. Quello di ristabilire - con l'uso dei mezzi necessari - quel minimo di rispetto dell'ordine internazionale che consenta di cercare una soluzione politica al dramma della distruzione della convivenza e della democrazia.E il giorno seguente, in un articolo per L'Alto Adige, intitolato "Di fronte ai giovani massacrati a Tuzla" aggiungeva:
[...]
Ogni ulteriore sforzo di riallacciare il dialogo, promuovere il rientro dei profughi, sostenere le forze democratiche, i mezzi di informazione indipendenti, le amministrazioni (come la martoriata città di Tuzla) che garantiscono condizioni di convivenza a tutti, e riprendere il negoziato politico dipendono da questa pre-condizione: scoraggiare decisamente l'aggressione, dimostrare che le Nazioni Unite non possono essere dileggiate, provare che esiste un'alternativa alla disperata richiesta dei bosniaci di avere armi sufficienti per difendersi da sè".
[...]
Bisogna oggi che si prenda una decisione molto grave, figlia delle indecisioni precedenti e come tale senz'altro molto più costosa di ogni provvedimento che sarebbe stato possibile ieri, l'altro ieri, un anno fa, tre anni fa.
Si può decidere che il diritto internazionale deve semplicemente abdicare - in quel caso si potranno ancora fornire le armi ai più deboli, ai bosniaci, perché si difendano come meglio possono, da sè, e si darà corso al ritiro - organizzato e protetto - dei contingenti ONU, diventati non solo inutili, ma addirittura controproducenti, visto che la loro trasformazione in "scudi umani" sembra paralizzare ogni azione.
[...]
Oppure si può decidere che nel mondo un diritto deve esistere, che un ordine vincolante per tutti deve farsi rispettare. Allora si dovrà aumentare consistentemente il numero e il mandato delle forze internazionali in Bosnia e confidare loro il compito non più di osservare e testimoniare soltanto, ma di liberare effettivamente gli accessi alle "zone protette" e proteggere realmente le città e le regioni della convivenza; fermare effettivamente - con i mezzi necessari - le aggressioni, soprattutto quelle con armi pesanti, e rendere inoffensivi tali armamenti (confiscare non basta: lo si è visto).
[...]
Certo, un'azione di forza per ristabilire un minimo di legalità internazionale può essere solo un primo passo, pre-condizione di ogni ulteriore soluzione politica. Ecco perchè insieme ad una efficace azione di polizia internazionale, occorre fin d'ora stabilire un secondo obiettivo: premiare (con aiuti, contributi alla ricostruzione, riconoscimenti...) chi favorisce il ritorno dei profughi ed il ristabilimento della convivenza, punire (con l'isolamento e la messa al bando) chi persiste nell'epurazione etnica. Solo con tale obiettivo politico, l'azione armata ha la necessaria chiarezza: vòlta, cioè, non a punire qualcuno "perchè serbo" (o croato, o musulmano), ma ad impedire che la conquista etnica con la forza delle armi torni ad essere legge in Europa.
La questione dell'uso di contingenti militari in operazioni di peacekeeping, di peacebuilding o peaceenforcement, è da sempre terreno di controversie sia sul piano politico che su quello del diritto internazionale. Travaglio ne sa poco o nulla, eppure liquida la questione in un paio di righe. Oppure ne sa, ma semplicemente fa finta di niente. Eppure sono problemi complessi, che, proprio nel periodo delle guerre jugoslave, non a caso diedero luogo ad aspre polemiche e contrapposizioni all'interno del mondo nonviolento e pacifista. A questo proposito segnalo quello che disse Adriano Sofri (anche lui un guerrafonadio atlantista?) in una mia intervista per Radio Radicale, che risale al maggio del 2011, all'epoca dell'arresto di Ratko Mladic, che potete ascoltare qui.
Non è mia intenzione autonominarmi difensore di Emma Bonino, che sa benissimo difendersi da sola (ammesso che si debba difendere). E nemmeno voglio ripetere lo stesso giochetto del "copia e incolla" che usa Travaglio ricorrendo a semplificazioni e citazioni fuori contesto utilizzate in modo tale da confermare le sue tesi. Lungi da me, infine, l'intenzione di coinvolgere i nomi di Langer o Sofri in una polemica che non li riguarda. Mi limito semplicemente a segnalare alcune osservazioni che possono essere utili per conoscere meglio la questione. Anche a Travaglio, così almeno potrebbe fondare le sue argomentazioni su basi un po' più solide.
Indro Montanelli, nella prefazione al libro dell'attuale vicedirettore del Fatto Quotidiano "Il pollaio delle libertà. Detti, disdetti e contraddetti" (Vallecchi Editore, 1995), a proposito del periodo in cui collaborò al Giornale e alla Voce, ha scritto:
Non è mia intenzione autonominarmi difensore di Emma Bonino, che sa benissimo difendersi da sola (ammesso che si debba difendere). E nemmeno voglio ripetere lo stesso giochetto del "copia e incolla" che usa Travaglio ricorrendo a semplificazioni e citazioni fuori contesto utilizzate in modo tale da confermare le sue tesi. Lungi da me, infine, l'intenzione di coinvolgere i nomi di Langer o Sofri in una polemica che non li riguarda. Mi limito semplicemente a segnalare alcune osservazioni che possono essere utili per conoscere meglio la questione. Anche a Travaglio, così almeno potrebbe fondare le sue argomentazioni su basi un po' più solide.
Indro Montanelli, nella prefazione al libro dell'attuale vicedirettore del Fatto Quotidiano "Il pollaio delle libertà. Detti, disdetti e contraddetti" (Vallecchi Editore, 1995), a proposito del periodo in cui collaborò al Giornale e alla Voce, ha scritto:
« È un Grande Inquisitore, da far impallidire Vyšinskij, il bieco strumento delle purghe di Stalin. Non uccide nessuno. Col coltello. Usa un'arma molto più raffinata e non perseguibile penalmente: l'archivio».Da quell'archivio Travaglio trae e usa le carte che gli fanno comodo: come gli inquisitori, appunto, e come quei signori che imbrogliano i creduloni agli angoli delle strade o negli atrii delle stazioni ferroviarie.
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