Di Marina Szikora [*]
Con una sfilata delle forze di
sicurezza, davanti ad alcune migliaia di cittadini in piazza Madre
Teresa a Priština, il Kosovo ha celebrato i cinque anni della
proclamazione dell'indipendenza. I piu' importanti messaggi dei
leader kosovari sono stati l'adesione del Kosovo all'Ue e alla Nato.
Alla cerimonia, la presidente del Kosovo, Atifete Jahjaga ha rilevato
che il Kosovo ha iniziato un nuovo capitolo, un capitolo di pace e
che il Kosovo sta costruendo una nuova visione: "Il Kosovo
rispetta la politica di buon vicinato, rispettiamo l'integrita' e la
sovranita' di tutti gli altri Stati", ha detto la presidente
kosovara. "Liberta' ed indipendenza del Kosovo sono stati i
sogni dei nostri padri e di tutte le precedenti generazioni, un sogno
che insieme abbiamo trasformato in realta'. E' un sogno per il quale
si e' sacrificato per secoli e oggi questa e' la realta'. Oggi, nella
giornata dell'indipendenza, esprimiamo il massimo rispetto alla lotta
dell'Uck e a tutti i combattenti caduti", ha detto alla
cerimonia il premier Hashim Thaqi. Ma mentre in Kosovo si e'
festeggiato alla grande, tutt'altro e' stato l'umore in Serbia.
Dall'Ufficio del governo serbo per il
Kosovo, lo stesso giorno e' stato rilasciato un comunicato in cui si
dice che la Serbia non riconoscera' mai l'indipendenza e si invita la
comunita' internazionale ad accettare la realta': senza l'accordo
della Serbia e dei serbi in Kosovo, non ci puo' essere una soluzione
giusta e permanente. Senza la condanna di tutti i crimini e dei loro
autori non ci puo' essere riconciliazione e progresso. Il comunicato
del governo serbo aggiunge che dal 17 febbraio 2008, quando
contrariamente alla volonta' del Consiglio di sicurezza delle Nazioni
Unite e nonostante il pieno rifiuto dei serbi in Kosovo, e' stata
proclamata la “cosiddetta indipendenza”, fino ad oggi ci sono
stati 1015 attacchi contro i serbi: in 51 casi sono state usate armi
di fuoco, in 11 esplosivi, in 15 bombe a mano; ci sono stati 25
attacchi contro edifici religiosi serbi, 10 contro edifici culturali
e storici; sono state lanciate pietre contro 135 case abitate da
serbi e 48 sono stati gli incendi di proprieta' serbe. Si indica
inoltre che e' stato attaccato il monastero di Visoki Dečani, che fa
parte del patrimonio dell'umanità dell'Unesco, e che nessuno sa il
numero esatto dei capi di bestiame, delle automobili e delle macchine
agricole sottratti ai loro legittimi proprietari serbi. Nel
“cosiddetto Kosovo indipendente”, si legge ancora nel comunicato
del governo serbo, per i serbi non ci sono standard europei, la
privatizzazione e' stata attuata o viene attuata esclusivamente per
gli albanesi, mentre 40.000 richieste serbe per la restituzione dei
beni e per il recupero dei danni aspettano invano una risposta. In
conclusione, Belgrado afferma che in Kosovo non e' stato istituito
uno Stato, bensi' un regime di apartheid in cui per le 1004 vittime
serbe sono stati condannati soltanto due responsabili.
Tuttavia, e' la posizione serba, il
dialogo con Priština deve continuare e il premier Ivica Dačić ha
dichiarato che adesso davanti alla Serbia vi e' la parte piu'
difficile del dialogo poiche' deve essere risolta la questione delle
istituzioni parallele create dai serbi nel nord del Kosovo. Questo
problema puo' essere risolto soltanto con un accordo relativo al modo
del funzionamento dei comuni serbi in Kosovo. "Senza questo
accordo la Serbia non avra' l'obbligo morale, ne' quello politico di
abolire nessuna delle sue istituzioni in Kosovo che comunque sono
molto poche", ha detto Dačić ai giornalisti. Qui non si tratta
del riconoscimento del Kosovo, come emerge chiaramente dalla
“piattaforma” e dalla risoluzione adottate dal Parlamento serbo.
L'interesse della Serbia è che il territorio definito dalla
Risoluzione 1244 del Consiglio di sicurezza come unitario funzioni in
maniera sostenibile, vale a dire che i serbi possano realizzare tutti
i loro diritti e questo non e' possibile senza le istituzioni e i
propri autogoverni, ha detto Dačić.
Il prossimo round di dialogo tra
Belgrado e Priština e' prevvisto per domani (venerdi' 22 febbraio) e
questo sara' il quinto incontro tra Dačić e Thaqi. Il premier serbo
e capo negoziatore a tal proposito ha dichiarato alla televisione
serba che Belgrado non abolira' le sue istituzioni in Kosovo senza un
accordo garantito internazionalmente su quello che sostituira' queste
istituzioni. Dačić ha precisato che nei colloqui si cerca di
definire l'autonomia dei serbi in Kosovo che per Belgrado significa
una autonomia nell'autonomia. Si chiede la formazione di un insieme
di comuni serbi con competenze chiare: educazione, giustizia di primo
e secondo grado, polizia locale che avra' relazioni con le autorita'
di Priština ma anche con Belgrado. Dačić ha ammesso che c'e' da
chiedersi se Priština accettera' tali richieste.
Lunedi' la presidente della Commissione
per gli affari europei del Parlamento francese, Daniel Oroa ha
valutato che la Serbia alla fine del suo cammino europeo dovra'
comunque riconoscere il Kosovo e che senza questo riconoscimento non
potra', nella fase finale, contare con l'adesione all'Ue. In una
intervista al quotidiano di Belgrado 'Večernje novosti" la
deputata francese ha sottolineato che la Francia in quanto amico
tradizionale cerca di aiutare la Serbia nel processo di
eurointegrazioni ma per Parigi il riconoscimento reciproco da parte
di Belgrado e Priština e' una condizione "sine qua non".
"Quello che posso dire e' che appoggiamo molto l'ingresso della
Serbia nell'Ue ma per noi francesi, se non ci sara' il
riconoscimento, la risposta sara' – no". La parlamentare
francese ha rilevato che non ci sara' l'ingresso della Serbia come
nemmeno quello del Kosovo finche' non ci sara' una piena
riconciliazione e finche' i due paesi non si riconosceranno
reciprocamente. Secondo lei, la Serbia in questo momento a tal
proposito sta compiendo diversi passi positivi.
[*] Il testo è tratto dalla
trascrizione della corrispondenza per la puntata di Passaggio a Sudest andata in onda oggi a Radio Radicale.
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