di Marina Szikora [*]
"Possiamo essere molto soddisfatti con la raccomandazione della Commissione europea" sono state le prime parole del vicepresidente del governo serbo incaricato per le integrazioni europee, Božidar Đelić dopo la presentazion del rapporto sulla Serbia. Đelić ha aggiunto che questo e' il miglior possibile esito considerando la crisi in Europa e le tensioni al nord del Kosovo. In una intervista al quotidiano 'Blic' il vicepresidente del governo serbo ha sottolineato che la Serbia ha l'opportunita' storica di diventare paese candidato entro la fine dell'anno e di iniziare i negoziati per l'ingresso nell'Ue prima della fine dell'anno prossimo, tutto in base alla costituzione serba e la politica statale relativa al Kosovo poiche' le condizioni menzionate nel rapporto della Commissione esistono di gia' e dal punto di vista dello status sono neutrali. Đelić ha rilevato che gli evidenti tentativi di Priština e di una parte della comunita' internazionale di collocare la Serbia in un bivio cieco ponendo condizioni impossibili non hanno avuto successo. Se ci sono sorprese, spiega Đelić, lo e' il fatto che la Commissione ha confermato di tener fede all'integrita' perche' non e' nessun segreto che vi sono state pressioni mai viste prima. La Commissione europea, e' dell'opinione il vicepresidente del governo serbo, e' riuscita a mantenere l'oggettivita' e l'integrita' anche sull'esempio della Serbia. Questa, secondo Đelić, e forse la piu' grande sorpresa.
Contrariamente alle dichiarazioni governative, i rappresentanti delle organizzazioni nongovernative serbe sono dell'opinione che l'elite politica in Serbia sta rinunciando alla via europea e invitano ad una specie di 'rivolta' contro il rinnovamento del passato. Avvertono che l'ottenimento dello status di candidato, senza la data dell'inizio di negoziati significa molto poco per la costruzione della Serbia democratica. Secono i rappresentanti delle organizzazioni nongovernative, soltanto con l'ottenimento della data dell'inizio dei negoziati sarebbe assicurato un rapporto responsabile dello stato verso gli obblighi relativi allo stato di diritto, integrazioni europee ma anche verso i propri cittadini. La direttrice del Fondo per il diritto umanitario, Nataša Kandić, afferma che con l'apertura dei negoziati si apre la questione dei capitoli e tra questi il piu' importante e' quello relativo alla giustizia e al rispetto dei diritti umani. L'ex premier della Serbia Zoran Živković concorda che sulla via verso l'Ue una delle questioni chiave e' quella della data dell'inizio dei negoziati di adesione poiche' solo allora il potere locale sara' messo sotto controllo. La professoressa di diritto Vesna Rakić-Vodinelić ritiene che in Serbia e' all'opera il rinnovamento del passato e non l'impegno per il futuro europeo. Il regista serbo Lazar Stojanović, noto per il suo oprimersi all'ex regime di Slobodan Milošević valuta che la politica estera serba in effetti ha fatto diventare la Serbia un fattore di instabilita' nella regione. Secondo i rappresentanti della Serbia civica, con l'apertura dei negoziati di adesione si aprirebbero le questioni relative ai politici corrotti, alla giustizia dipendente dalla politica, ai media corrotti, alla pace e stablilita' nella regione, libero mercato, rispetto dei confini , riconoscimento delle vittime e condanna dei crimini di guerra. Verrebbe vietata la difusione dell'odio etnico, religioso, raziale e di sesso. Secondo questi rappresentanti, sono questi i veri problemi dei cittadini e dello stato serbo e non lo status del Kosovo.
Nel frattempo e' scaduto l'ultimatum ai serbi kosovari di togliere le barricate alle frontiere al nord del Kosovo. Va sottolineato, per quanto rigurada il problema Kosovo, che l'Ue non ha nessun rapporto contrattuale con il Kosovo. Per far cio', la decisione dell'Ue deve essere unanime. Per questa ragione non esiste nemmeno l'Accordo di stabilizzazione e associazione dell'Ue con il Kosovo. Si prospetta adesso, come unica ipotesi possibile – l'eventuale prossima liberalizzazione dei visti. La domanda cruciale e' quella se l'Ue ha la conoscenza precisa su quello che succede veramente in Kosovo? Come problema fondamentale, per quanto riguarda l'approcio dell'Ue verso il Kosovo, vi e' la mancanza di una politica estera comune per quanto riguarda questo paese o regione, visto che nemmeno tutti gli stati membri dell'Ue hanno riconosciuto l'indipendenza di Priština. In questo contesto e' anche chiaro che la separazione del Kosovo e' un processo irreversibile ma che la Serbia si appresta anche alle elezioni politiche il che fa si' che la questione del Kosovo, soprattutto il suo status, faranno inevitabilmente parte della retorica elettorale.
In Kosovo, va altrettanto sottolineato, non esiste un piano di ripresa economica. Un paese che conta 2 milioni di abitanti, oggi e' dotato perfino di 19 ministeri. Corruzione e burocrazia sono soltanto due dei problemi cruciali contro i quali si combatte una lotta del tutto innefficace. Il paese che maggiormente spinge sulla soluzione del problema Kosovo e' la Germania. Ma sono sempre maggiori le critiche in questo paese che Berlino non ha una strategia ne' per il Kosovo ne' per l'intera Europa sudorientale e non si capisce il perche' dell'interesse tedesco verso la soluzione del Kosovo. Il giornale tedesco 'Tageszeitung' scrive che "Il Kosovo e' un paese strano, senza una sua valuta e senza un numero di prefisso, senza domena Internet e sin dall'intervento della Nato nel 1999 non e' riuscito a raggiungere un equilibrio per cui prevale l'impressione che sia precipitato nelle mani dei cartelli criminali". Il quotidiano aggiunge che il mondo non e' unanime sulla questione se questo e' uno stato o meno: 81 pease dice di si', 112 dicono di no e afferma che il mondo e' diviso sulla questione se questo paese e' condotto da uno o due governi o perfino se si tratta di governi oppure di un cartello criminale. Al centro della soluzione e del futuro dialogo tra Belgrado e Priština, resta indubbiamente l'eliminazione delle istituzioni parallele serbe in Kosovo. L'ultimatum per togliere le barricate e' scaduto martedi' ma e' gia' evidente che questa scadenza non potra' essere rispettata in tempo determinato. I rappresentanti serbi in Kosovo sono convinti che la Nato non avra' la forza di attaccare il popolo senza armi e sottolineano addirittura che continueranno ad opporsi in modo nonviolento, gandhiano, protestando contro la polizia ed i doganieri kosovari ai confini con la Serbia.
[*] Corrispondente di Radio Radicale. Il testo è tratto dalla corrispondenza per la puntata di Passaggio a Sud Est andata in onda oggi e ascoltabile qui.
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