Sarà il 21 gennaio 2014: in quel
giorno la Serbia inizierà ufficialmente il suo cammino verso il
traguardo dell'ingresso nell'Unione Europea. E' questa la notizia
venuta ieri da Bruxelles, alla vigilia del Consiglio europeo. Forse
non casualmente, sono stati gli “ex jugoslavi” ministri degli
Esteri sloveno, Karl Erjavec, e croata, Vesna Pusic, a informare per
primi che Belgrado ce l'ha fatta e che, dopo aver incassato dal
Consiglio europeo dello scorso giugno l”ok” all'apertura del
negoziato di adesione all'UE, ora ha ottenuto anche la tanto agognata
data per l'apertura ufficiale delle trattative.
Dopo una lunga riunione, nella quale è
stato illustrato ai ministri degli Esteri dell’Unione il rapporto
sul dialogo tra Belgrado e Pristina, e in base anche al giudizio
positivo dell'Alto rappresentante per la politica estera europea,
Catherine Ashton, che di quel dialogo è stata ed è la mediatrice,
alla fine è arrivato il via libera dei Ventotto. La data sarà
ufficialmente confermata dalla presidenza di turno greca che inizia
il 1° gennaio, ma ormai è certo che in un martedì del gennaio 2014
la Serbia volterà una pagina fondamentale della sua storia recente:
quello che seguirà non sarà un negoziato né breve, né facile, ci
saranno battute d'arresto e slanci in avanti, ma una fase nuova
inizia, anche formalmente.
Ieri, via Twitter, il commissario
europeo all’Allargamento Stefan Fuele ha confermato che Bruxelles e
i governi europei hanno voluto riconoscere la bontà del processo di
riforme avviato in Serbia, i passi avanti fatti e soprattutto la
disponibilità ad arrivare ad una normalizzazione delle relazioni con
il Kosovo. Un processo di normalizzazione che però per Belgrado al
momento non comprende il riconoscimento dell'indipendenza del Kosovo
e questo scoglio riemergerà molto presto nei negoziati con
Bruxelles. Tanto più che per Fuele il negoziato dovrebbe essere
“comprensivo”.
La Germania, da parte sua, auspica una
“piena normalizzazione” delle relazioni tra Serbia e Kosovo,
un'espressione che assomiglia così tanto al riconoscimento
dell’indipendenza di Pristina che, secondo l'agenzia di stampa
serba Tanjug, dovrebbe alla fine essere esclusa dal documento
ufficiale sull’inizio dei negoziati. Anche perché sulla questione
non c'è unanimità nemmeno tra i Paesi membri dell'UE, cinque dei
quali, lo ricordiamo, non hanno ancora riconosciuto l'indipendenza
del Kosovo e non intendono farlo, per il momento.
Forse anche per questo, per ora si
preferisce guardare alla metà (o forse un quarto) del bicchiere già
piena e lasciare al futuro negoziato trovare il modo di riempire il
resto. In conferenza stampa Fuele ha voluto dare ampio riscontro a
quelli che ha definito “gli enormi sforzi” compiuti dai vertici
di Belgrado e di Pristina per cercare di trovare un compromesso sui
tanti punti di contrasto. Sforzi che sono valsi a Pristina l'auspicio
che entro la primavera siano concluse le trattative in corso per
l’Accordo di Stabilizzazione e Associazione con l'UE. Il problema,
semmai, per il Kosovo, per la Serbia, ma non solo per loro, è capire
quale Europa ci sarà fra qualche anno.
Comunque, per il momento è indubbio
che la Serbia abbia raggiunto un “obiettivo storico”, come ha
detto alla tv di Stato il premier Ivica Dacic. Un risultato “atteso
da generazioni e da molti governi” prima dell'attuale e che ora
“non è più solo un sogno ma una realtà”, per gli attuali
vertici serbi, ma anche per una buona parte dei cittadini. Finisce un
processo, quello che ha portato alla decisione unanime dei Ventotto
sull'apertura dei negoziati con Belgrado, e nello stesso tempo ne
inizia un altro “molto più difficile”. Che questo sia riuscito
all'attuale leadership conservatrice e nazionalista moderata del
presidente Nikolic, del premier Dacic e del vicepremier Vucic, invece
che a quella precedente, guidata dall'ex presidente filo-europeo
Tadic è, forse, solo uno scherzo della Storia.
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