Alle 10.15 della mattina del 9 novembre
1993, dopo due giorni di bombardamenti, l'artiglieria
croato-bosniaca, distruggeva lo Stari Most, il “Ponte Vecchio”
costruito con 456 blocchi di pietra bianca dall’architetto ottomano
Hajrudin Mimar, che dal 1557 scavalcava la Neretva, unendo le due
metà di Mostar, una delle città più importanti dell’Erzegovina.
Mostar, era già stata assediata e bombardata dai serbi nel 1992, ma
croati e bosgnacchi avevano combattuto insieme riuscendo ad
allontanare l’esercito serbo.
La situazione però cambiò nel corso
del 1993 e in novembre la città si trovò di fronte ad una diversa
divisione tra le forze dell'Herceg-Bosna, uno stato autoproclamatosi
indipendente nel 1991, che occupavano la parte occidentale, e
l’esercito della Bosnia-Erzegovina, attestato sul versante
orientale. Dopo settimane di combattimenti sei ponti su sette
nell’area di Mostar erano stati distrutti: solo lo Stari Most era
rimasto in piedi. Fino alla mattina del 9 novembre.
L’artiglieria croato-bosniaca che
distrusse il ponte era comandata da Slobodan Praljak. Nell’aprile
del 2004 Praljak e altri cinque comandanti croati saranno estradati e
poi condannati per crimini di guerra dal Tribunale internazionale per
l’ex Jugoslavia dell’Aja. La distruzione dello Stari Most non
aveva utilità dal punto di vista strategico e militare, ma l’effetto
psicologico sulla popolazione bosgnacca fu enorme.
La distruzione del ponte venne filmata
da Zaim Kajtaz e le immagini sono ancora oggi tra le più conosciute
del conflitto.
Quella mattina, Dario Terzic,
giornalista, era lì, poco distante e nonostante le bombe corse a
vedere, incredulo, quando arrivò la notizia che il "Vecchio"
non c'era più. Qui di seguito la sua testimonianza in un estratto
del documentario "Il cerchio del ricordo" di Andrea Rossini
di Osservatorio Balcani e Caucaso.
Azra Nuhefendić ha raccontato sul sitodi Osservatorio Balcani e Caucaso che cosa significava il ponte di Mostar, quali furono le reazioni alla sua distruzione e che cosa rappresenta oggi il nuovo ponte, ricostruito con la stessa pietra e secondo lo stesso disegno dell’originale, dichiarato patrimonio dell’umanità dell’UNESCO che dal 2004 è tornato ad unire le due sponde di una città che resta invece ancora profondamente divisa.
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