Sei anni fa, il 19 gennaio del 2007,
davanti alla sede del suo giornale Agos, nel quartiere di Osmanbey a
Istanbul, veniva assassinato Hrant Dink, il giornalista e scrittore
turco di origine armena. Era nato il 15 settembre del 1954 e si era
sempre battuto per la ricerca del dialogo tra turchi ed armeni.
Questo suo impegno lo fece finire nel mirino dei nazionalisti e per
la sua attività pubblicistica nell'ottobre del 2004 fu condannato a
sei mesi di prigione sulla base del famigerato articolo 301 del
codice penale turco che puniva chi fosse ritenuto colpevole di aver
diffamato pubblicamente l'identità turca (nel 2008 l'articolo fu poi
attenuato, anche in conformità alle richieste dell'Unione Europea,
circoscrivendolo alle offese allo Stato e agli organi costituzionali
e riducendo le pene previste).
Il processo, le intimidazioni e le
minacce non fecero mai venire meno l'impegno di Hrant Dink e la sua
fiducia nel dialogo e nella giustizia: ci vollero tre colpi di
pistola, sparati a bruciapelo alla schiena in una delle più
affollate vie di Istanbul. Il suo assassinio provocò un enorme
emozione in tutta la Turchia e il suo funerale si trasformò in una
enorme manifestazione. All'insegna dello slogan “Siamo tutti Dink,
siamo tutti armeni”, oltre centomila persone scesero in piazza per
chiedere pace e riconciliazione. Sei anni dopo la sua morte, resta
intatto il messaggio di un giornalista, di un intellettuale, ma
soprattutto di un grande uomo che con la sua morte ha dato coraggio a
tante persone di far sentire la propria voce contro un'ideologia
nazionalista e reazionaria che vorrebbe impedire ai turchi di pensare
con la loro testa.
Al contrario di quanto volevano coloro
che hanno armato la mano del giovane fanatico assassino, Hrant Dink è
diventato il simbolo della Turchia che vuole maggiore democrazia,
libertà di parola e pluralismo. Il processo per la sua uccisione
resta un test cruciale non solo per il governo di Recep Tayyp Erdogan
e per la nuova classe dirigente emersa nell'ultimo decennio, ma per
il futuro stesso della democrazia turca. Stabilire la verità e fare
giustizia è importante per la famiglia di Hrant Dink, ovviamente, e
per la comunità armena, ma è importante anche per la Turchia intera
e per l'intera Europa. Un'Europa sempre più impaurita e diffidente,
dove nazionalisti e xenofobi di ogni risma sembrano pericolosamente
prendere piede, quasi che gli anticorpi prodotti dal cataclisma dei
genocidi del XX secolo abbiano ormai perso la loro capacità di
fermare la malattia, come ammoniva Primo Levi. Per questo è
importante, oggi come sei anni fa, continuare a dire “Siamo tutti
Hrant Dink”.
Nessun commento:
Posta un commento