Il 5 aprile è considerata la data di inizio dell'assedio di Sarajevo, il più lungo della storia bellica moderna, durato circa più di millequattrocento giorni e costato oltre 11mila morti (1600 bambini) e 50mila feriti. Massimo Nava sul Corriere della Sera ricorda i quasi quattro lunghissimi anni dell'assedio di Sarajevo, le distruzioni e le sofferenze e i morti di quella tragedia avvenuta nel cuore e sotto gli occhi dell'Europa. "Alla contabilità del massacro - scrive tra l'altro Nava - si sommò la distruzione fisica e morale di una «polis» autenticamente multiculturale e multireligiosa, la Sarajevo delle quattro religioni, la Gerusalemme dei Balcani". Scrive ancora Massimo Nava che "l'assedio di Sarajevo significò la messa in pratica della «pulizia etnica» teorizzata dal fanatismo nazionalista fino al grande eccidio di Srebrenica. Per questo crimine morale e culturale, oltre che per le vittime, occorre conservare la memoria di Sarajevo. La tragedia della «polis» bosniaca portò a compimento il progetto di spartizione territoriale del Paese". Venti anni dopo, continua Nava, "Sarajevo e la Bosnia sono ricostruite, molte ferite sono medicate, ma l'identità della «polis» è stata cancellata nonostante il ricambio generazionale. Si spera non per sempre, ma questa amara constatazione accompagna la memoria dei morti e il futuro dei sopravvissuti".
Eppure, nonostante tutto, nonostante i tanti problemi dell'oggi, nonostante quell'assedio e quella guerra abbiano cambiato il volto di Sarajevo e della Bosnia Erzegovina, quattro anni di guerra non possono cancellare completamente la storia secolare della "Gerusalemme dei Balcani", di quello che è stato per secoli un punto di incontro, di convivenza e di mescolanza di popoli, etnie, religioni e culture. Ne è convinto Andrea Rossini di Osservatorio Balcani e Caucaso che Sarajevo e la Bosnia le conosce bene per averci anche vissuto come spiega nell'intervista che gli ho fatto per Radio Radicale e che potete ascoltare qui di seguito.
Venti anni fa cominciava l'assedio di Sarajevo. Intervista a Andrea Rossini di Osservatorio Balcani e Caucaso.
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