Propongo qui di seguito un articolo di Olivier Dupuis pubblicato sulla rivista online Strade a proposito della questione della permanenza o meno del Regno Unito nell'Unione Europea che il premier David Cameron vorrebbe sottoporre ad un referendum popolare. Ieri la Camera dei Lord ha bocciato il progetto di legge che avrebbe vincolato il governo che uscirà dalle elezioni del prossimo anno a indire la consultazione: il provvedimento rischia ora di non vedere mai la luce per mancanza dei tempi necessari alla sua approvazione. Tuttavia, al di là del fatto che il referendum si tenga o meno, una "questione britanica" esiste ed è abbastanza assurdo che le cancellerie di ventisette Paesi membri dell'UE facciano di tutto per ignorarla. Per Dupuis una possibile risposta potrebbe essere quella di due
distinti livelli di integrazione dentro un'unica architettura
istituzionale, una soluzione che tra l'altro aiuterebbe ad affrontare in chiave
europea anche i dossier di Ucraina e Turchia.
Olivier Dupuis, laureato in scienze politiche e sociali all’Università di Lovanio, è
esperto di politica internazionale e europea. E’ stato prima dirigente e
poi segretario del Partito Radicale Transnazionale dal 1995 al 2003 e
deputato europeo, eletto in Italia, per due legislature (1996-2004).
Gestisce il blog leuropeen.eu
Londra, Ankara, Kiev. Tre sfide e una risposta per l'UE.
di Olivier Dupuis - Pubblicato su Strade il 30 gennaio 2014
Tra i numerosi non-detti che ossessionano le cancellerie di
ventisette dei ventotto stati membri dell'Unione europea, ce n'è uno
particolarmente pesante. La questione britannica. Come è possibile che
una questione importante come quella del posto e del ruolo del Regno
Unito in Europa sia affrontata secondo un principio di rimozione? Eppure i fatti, enormi, sono davanti agli occhi di tutti. Ventisette stati sono diventati ostaggi di un uomo, David Cameron, an sua volta ostaggio di un altro, Nigel Farage, il leader del Partito per l'Indipendenza del Regno Unito (UKIP).
Il referendum sull'uscita del Regno Unito dall'UE
(1) promesso per il 2017 dal leader conservatore, che sia organizzato o
meno, non è solo inscritto nell'agenda politica dei britannici, ma in
quella di tutti gli europei. E le leadership dell'Unione europea non
avrebbero niente da dire? Niente da proporre che consenta di uscire
dignitosamente da questa trappola nella quale si è precipitato il leader
dei Tories? Con il pretesto banale per cui parlarne significherebbe
rafforzare il fenomeno, o con la futile speranza che un ritorno dei
laburisti al 10 di Downing Street potrebbe, come per magia, cancellare
l'ostilità crescente nei confronti dell'UE, si impone quindi il
silenzio-radio.
Non sbagliamoci. Questi sentimenti anti-Ue non sono solo l'espressione del tropismo insulare britannico
e nemmeno del rigetto viscerale di quanto oltre Manica viene
sistematicamente dipinto come il mostro burocratico bruxellese e neppure
la conseguenza del regalo avvelenato che i continentali fecero alla
Gran Bretagna, chiedendole di introdurre il sistema proporzionale per le
elezioni europee. Si tratta innanzitutto, come in molti altri Paesi d'Europa, della declinazione britannica di un ripiegamento reazionario (2) di fronte agli enormi cambiamenti che accompagnano "l'irreversibile creolizzazione" (3) del mondo.
Il "wait and see" non è un'opzione
Si può certo rimproverare a David Cameron di essersi fatto
rinchiudere nella trappola tesa da questi nuovi reazionari, si può
dissertare a lungo sulla singolarità britannica; l'essenziale rimane che
l'inesorabile meccanica che si è messa in moto oltre Manica riguarda l'intera Europa.
Non passa giorno senza nuove impennate di adrenalina anti-UE. Ai
primi di gennaio, non meno di 95 deputati conservatori britannici hanno
inviato una missiva al loro primo ministro ingiungendogli di introdurre
un sistema di veto su tutta la legislazione europea, esistente o futura.
Qualche giorno dopo è la volta di
George Osborne, il ministro delle
Finanze, di lanciare un ultimatum : "O l'UE si riforma, oppure la
lasciamo" ... Invece di rifugiarci nel diniego o, off the record, nel facile atteggiamento del "che liberazione!", noi "continentali" dovremmo interrogarci su ciò che rappresenterebbe un'Europa amputata della Gran Bretagna
e tentare di capire come impedire l'irreparabile o, meglio ancora, come
trasformare questa esigenza unilaterale britannica in un'opportunità
per l'intera Europa, Regno Unito compreso.
Dare del tempo al tempo
Oggi, stando ai sondaggi, solo il 26 % degli elettori britannici considera l'UE globalmente come ''una buona cosa" e il 42 % come ''una cattiva cosa" (4). Invece, il 41 % dei giovani britannici tra 18 e 24 anni non desiderano lasciare l'Unione europea e sono a favore di "un'adesione ferma del Regno Unito"
(5). Se le coordinate del problema sono queste e se si considera
essenziale la permanenza del Regno Unito nell'Unione europea, si tratta
di salvaguardare l'avvenire, di guadagnare tempo. Una ventina di anni
probabilmente. Il tempo che le nuove generazioni siano in grado di
ribaltare i rapporti di forza a proprio vantaggio.
Se, peraltro, si pensa che l'attuale atteggiamento del governo
britannico impedisca qualsiasi passo in avanti in settori cruciali per
l'avvenire dell'Europa, come la politica estera e la politica di
sicurezza e di difesa, e rappresenti per altri stati membri un alibi
molto comodo per giustificare il proprio immobilismo, sarebbe opportuno concepire un'architettura istituzionale che consenta di soddisfare i britannici,
permettendo allo stesso tempo a quelli che vogliono andare avanti di
poterlo fare senza essere intralciati, in primo luogo da quegli stati la
cui vocazione europea è solo declamatoria.
Un'Europa delle quattro libertà
Partiamo da quello che auspica la maggioranza dei britannici oggi: un'Europa della libera circolazione e del libero scambio. Formalizziamo un'Europa delle quattro libertà: libertà di circolazione delle persone, delle merci, dei capitali e dei servizi (6).
Su questa base, la Politica Agricola Comune, per esempio, andrebbe
suddivisa in una parte regolamentare (norme sanitarie, fito-sanitarie,
veterinarie, ambientali ...) comuni a tutti i paesi membri, e una parte
che riguarderebbe l'insieme delle misure di sostegno all'agricoltura,
attuato solo dai paesi della "piccola Europa".
Limitiamo la partecipazione alla politica regionale e all'embrione di
politica estera e di sicurezza ai soli membri della "piccola Europa".
E, sulla base di questi criteri, il bilancio dell'Unione sarebbe diviso
in due parti: una prima parte riguarderebbe tutti i paesi, una seconda
quelli che avrebbero optato per una maggiore integrazione. Ciliegia
sulla torta, questa riorganizzazione del bilancio consentirebbe di
risolvere, finalmente, la questione spinosa dello "sconto britannico".
Solo il mercato unico, tutto il mercato unico
Va da sé che questo doppio livello di integrazione non
potrebbe condurre a distorsioni nel trattamento dei cittadini e delle
imprese. Norme economico-sociali consistenti sarebbero
applicate in tutti i paesi. Un domani, tanto quanto oggi, non potrebbero
esistere, come auspicano alcuni politici britannici, regimi diversi per
i dipendenti britannici e per quelli che provengono da altri paesi dell'Unione (7).
Due velocità, un'unica architettura istituzionale
Se, come affermano Sylvie Goulard e Mario Monti, "l'unità dell'Europa
a ventisette (oggi ventotto), in particolare quella del mercato unico, è
essenziale per preservare la prosperità di tutti " e "qualsiasi
rifondazione dovrà tenere presente l'imperativo di coerenza
dell'insieme" (8), è indispensabile concepire un'architettura istituzionale che consenta una coabitazione armoniosa di tutti i paesi membri,
tanto quelli che opterebbero per un livello di integrazione limitato,
come i britannici, quanto quelli che sceglierebbero una unione più
stretta, intorno alla moneta unica oggi o intorno ad una politica di
sicurezza e di difesa comune (e non unica) domani.
Tutti gli stati dovrebbero avere il diritto di partecipare
all'insieme dei dibattiti e di difendere le proprie posizioni, anche
sotto forma di emendamenti. Solo il voto sarebbe di esclusiva competenza
dei rappresentanti dei paesi partecipanti alla politica oggetto della
decisione. L'agenda dei lavori del Parlamento europeo e del Consiglio,
così come i sistemi di votazione (9), dovrebbero essere stabiliti
tenendo conto di queste due grandi piattaforme di integrazione.
I capi di stato e di governo potrebbero affidare al prossimo
presidente della Commissione l'incarico di sottoporre agli stati membri e
al PE, in tempi compatibili con la scadenza britannica del 2017, una proposta di riorganizzazione dei trattati contenente questa architettura istituzionale sdoppiata.
Si tratta di un'opzione in più rispetto a quelle indicate da Vivien Pertusot (10) nella sua analisi molto bella In Europe, not ruled by Europe:
"rimanere un membro di pieno diritto, diventare un membro associato,
oppure lasciare l'Unione". Un matrimonio tra il "membro di pieno
diritto" ed il "membro associato". I fautori del giardino istituzionale
alla francese sarebbero probabilmente un po' delusi. Ma se il prezzo da
pagare per consentire ai britannici di rimanere a bordo significa un
giardino all'inglese, pazienza!
Un'opportunità per l'allargamento all'Ucraina, la Turchia, la Georgia e la Moldavia
Con una nuova architettura istituzionale di questo tipo (11), sarebbe d'altronde possibile affrontare in modo molto più sereno e responsabile la questione dell'adesione della Turchia all'Unione europea.
Per degli intellettuali turchi come Cengiz Aktar o Ahmet Insel, la
prospettiva di un'adesione della Turchia a questa "grande Europa" (e non
al "nucleo duro" dell'UE) sarebbe tutt'altro che negativa. Al
contrario, sarebbe l'occasione per riavviare rapidamente il processo
virtuoso delle riforme che la prospettiva, allora seria, di un'adesione
all'Ue aveva fatto suscitato in Turchia durante gli anni '90 ed
all'inizio degli anni 2000.
Più ancora, questa nuova realtà istituzionale consentirebbe
di affrontare situazioni ben più problematiche. L'Ucraina in particolare,
indebolita all'interno da una classe politica predatrice e,
all'esterno, dal progetto neo-imperiale e autoritario di Vladimir Putin.
Ma anche la Georgia e la Moldavia (12). Per questi paesi, più ancora
che per i paesi dell'Europa centrale e orientale che hanno aderito
all'Unione europea nel corso degli anni 2000, una prospettiva chiara di
adesione a questa Unione allargata costituirebbe un formidabile
incitamento, in virtù dell'obbligo di rispettare i criteri detti di Copenaghen (13), per creare le condizioni di un radicamento durevole dello stato di diritto e della democrazia.
"Non esiste proprio! Un'Unione europea a 38 membri, se non di più, è proprio impossibile.
Significa l'implosione garantita, la fine assicurata del sogno europeo,
il crollo di 60 anni di sforzi, di compromessi laboriosi ..." E se questa "verità" non fosse che una favola?
E se i principali responsabili dei blocchi che costellano la storia
della costruzione europea non fossero da ricercare tra i "nuovi" membri,
l'Austria, la Finlandia e la Svezia, arrivati nel 1996, oppure ancora,
tra i paesi d'Europa centrale ed orientale, entrati tra il 2004 e il
2007, ma al contrario tra i veterani della costruzione europea? La Gran Bretagna,
senz'altro, apertamente ostile, esempio fra tanti altri, a qualsiasi
progresso serio in materia di politica estera e di sicurezza; la Germania,
refrattaria dall'inizio della crisi a qualsiasi idea di mutualizzazione
del debito pubblico mentre era possibile (e lo è tuttora) condizionare
una mutualizzazione almeno parziale a riforme precise; il Lussemburgo, che accettò riforme del settore bancario solo perché costretto dagli ... Stati-Uniti; il Belgio
che ha resistito fino a quando ha potuto all'armonizzazione della
fiscalità sui prodotti del risparmio; la Grecia che ostacola, ancora
oggi, il pieno riconoscimento internazionale della Macedonia per ragioni
... toponomastiche ; la Francia che si oppose alla
proposta Schaüble-Lammers a favore della creazione di un nucleo duro nel
1991 e che si oppone tuttora, al riparo dell'intransigenza britannica, a
qualsiasi progresso serio in materia di integrazione della politica
estera e di difesa ...
Per un'appropriazione democratica dell'Europa
La realtà è che finché esistono sistemi di decisione efficaci e democratici, la costruzione europea regge. Due sistemi di integrazione non implicano due livelli di democrazia.
Nella "grande" Europa come nella "piccola" la co-decisione tra il
Parlamento europeo ed il Consiglio sarebbe generalizzata. Il diritto di
veto non avrebbe corso. Tutt'al più si potrebbe concepire un possibile
ricorso da parte di uno stato membro davanti alla Corte di Giustizia di
Lussemburgo per iniziativa legislativa abusiva, cioè non necessaria al
buon funzionamento del mercato unico.
Certo, questo sdoppiamento funzionale non risolve tutto. In
primo luogo non risolve il deficit di appropriazione democratica
dell'Unione europea da parte dei cittadini europei. Ma anche lì
possibili soluzioni esistono. L'elezione con scrutinio maggioritario di
almeno la metà dei deputati europei favorirebbe l'identificazione da
parte dei cittadini con colui o colei che li rappresenta a Strasburgo e
Bruxelles. Ancora di più, l'elezione diretta del/della Presidente della Commissione europea
consentirebbe di affermare senza equivoci l'unità istituzionale
dell'Unione e, allo stesso tempo, di dare all'insieme dei cittadini
europei la possibilità di appropriarsi della scelta democratica di colui
o colei, che presiederebbe al nostro comune destino.
Note
1) La domanda referendaria dovrebbe essere: "Lei pensa che il Regno Unito debba rimanere un membro dell'Unione europea?"
2) Bisogna intendere il termine "reazionario" non nella sua accezione
dispregiativa, ma nel senso di un programma politico che promuove
l'impossibile ritorno a una situazione antecedente, reale o
fantasticata.
3) "Pour l'écrivain Edouard Glissant, la créolisation du monde est "irréversible", intervista di Edouard Glissant, a cura di Frédéric Joignot, Le Monde, 3 febbraio 2011
4) "In or out ? Britain's future in Europe". Opinium
Research for Lansons Public Affairs and Cambre Associates in association
with City of London Corporation, 3 dicembre 2013
5) "Young people want UK to stay in Europe", Nigel Morris, The Independent, 15 dicembre 2013
6) "La libera circolazione è vista positivamente dai Britannici, così come il libero scambio",
Opinium Research for Lansons Public Affairs and Cambre Associates in
association with City of London Corporation, 3 dicembre 2013
7) "Royaume-Uni: David Cameron bousculé par les eurosceptiques",
Le Monde.fr, 12 gennaio 2014, dove si apprende tra l'altro che Iain
Ducan Smith, il ministro del lavoro ritiene che gli immigrati dell'UE
dovrebbero "dimostrare che si impegnano nei confronti del Paese (il
Regno Unito) "
8) De la démocratie en Europe, Sylvie Goulard, Mario Monti, Ed. Flammarion, 2012, p. 195
9) Tutte le decisioni del Consiglio si prendono alla doppia maggioranza (maggioranza degli stati e maggioranza dei cittadini)
10) In Europe, Not Ruled by Europe. Tough Love between Britain and the EU, Vivien Pertusot, Ifri, Marzo 2013
11) Architettura che potrebbe convenire anche all'Islanda, la Norvegia o la Svizzera.
12) In ragione delle caratteristiche apertamente autoritarie dei
regimi vigenti in Azerbaigian e in Bielorussia e in ragione delle scelte
strategiche operate dall'Armenia, un tale scenario non è possibile per
questi Paesi.
13) 1. "Criterio politico": presenza di istituzioni stabili che
garantiscano la democrazia, lo stato di diritto, i diritti dell'uomo, il
rispetto delle minoranze e la loro tutela. 2. "Criterio economico":
esistenza di un'economia di mercato affidabile e capacità di far fronte
alle forze del mercato e alla pressione concorrenziale all'interno
dell'Unione Europea; 3. Adesione all'"acquis comunitario": accettare gli
obblighi derivanti dall'adesione e, in particolare, gli obiettivi
dell'unione politica, economica e monetaria.
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