domenica 2 febbraio 2014

UNA PROPOSTA PER IL FUTURO DELL'UNIONE EUROPEA

Propongo qui di seguito un articolo di Olivier Dupuis pubblicato sulla rivista online Strade a proposito della questione della permanenza o meno del Regno Unito nell'Unione Europea che il premier David Cameron vorrebbe sottoporre ad un referendum popolare. Ieri la Camera dei Lord ha bocciato il progetto di legge che avrebbe vincolato il governo che uscirà dalle elezioni del prossimo anno a indire la consultazione: il provvedimento rischia ora di non vedere mai la luce per mancanza dei tempi necessari alla sua approvazione. Tuttavia, al di là del fatto che il referendum si tenga o meno, una "questione britanica" esiste ed è abbastanza assurdo che le cancellerie di ventisette Paesi membri dell'UE facciano di tutto per ignorarla. Per Dupuis una possibile risposta potrebbe essere quella di due distinti livelli di integrazione dentro un'unica architettura istituzionale, una soluzione che tra l'altro aiuterebbe ad affrontare in chiave europea anche i dossier di Ucraina e Turchia.

Olivier Dupuis, laureato in scienze politiche e sociali all’Università di Lovanio, è esperto di politica internazionale e europea. E’ stato prima dirigente e poi segretario del Partito Radicale Transnazionale dal 1995 al 2003 e deputato europeo, eletto in Italia, per due legislature (1996-2004). Gestisce il blog leuropeen.eu

Londra, Ankara, Kiev. Tre sfide e una risposta per l'UE.
di Olivier Dupuis - Pubblicato su Strade il 30 gennaio 2014

Tra i numerosi non-detti che ossessionano le cancellerie di ventisette dei ventotto stati membri dell'Unione europea, ce n'è uno particolarmente pesante. La questione britannica. Come è possibile che una questione importante come quella del posto e del ruolo del Regno Unito in Europa sia affrontata secondo un principio di rimozione? Eppure i fatti, enormi, sono davanti agli occhi di tutti. Ventisette stati sono diventati ostaggi di un uomo, David Cameron, an sua volta ostaggio di un altro, Nigel Farage, il leader del Partito per l'Indipendenza del Regno Unito (UKIP).

Il referendum sull'uscita del Regno Unito dall'UE (1) promesso per il 2017 dal leader conservatore, che sia organizzato o meno, non è solo inscritto nell'agenda politica dei britannici, ma in quella di tutti gli europei. E le leadership dell'Unione europea non avrebbero niente da dire? Niente da proporre che consenta di uscire dignitosamente da questa trappola nella quale si è precipitato il leader dei Tories? Con il pretesto banale per cui parlarne significherebbe rafforzare il fenomeno, o con la futile speranza che un ritorno dei laburisti al 10 di Downing Street potrebbe, come per magia, cancellare l'ostilità crescente nei confronti dell'UE, si impone quindi il silenzio-radio.

Non sbagliamoci. Questi sentimenti anti-Ue non sono solo l'espressione del tropismo insulare britannico e nemmeno del rigetto viscerale di quanto oltre Manica viene sistematicamente dipinto come il mostro burocratico bruxellese e neppure la conseguenza del regalo avvelenato che i continentali fecero alla Gran Bretagna, chiedendole di introdurre il sistema proporzionale per le elezioni europee. Si tratta innanzitutto, come in molti altri Paesi d'Europa, della declinazione britannica di un ripiegamento reazionario (2) di fronte agli enormi cambiamenti che accompagnano "l'irreversibile creolizzazione" (3) del mondo.

Il "wait and see" non è un'opzione
Si può certo rimproverare a David Cameron di essersi fatto rinchiudere nella trappola tesa da questi nuovi reazionari, si può dissertare a lungo sulla singolarità britannica; l'essenziale rimane che l'inesorabile meccanica che si è messa in moto oltre Manica riguarda l'intera Europa.
Non passa giorno senza nuove impennate di adrenalina anti-UE. Ai primi di gennaio, non meno di 95 deputati conservatori britannici hanno inviato una missiva al loro primo ministro ingiungendogli di introdurre un sistema di veto su tutta la legislazione europea, esistente o futura. Qualche giorno dopo è la volta di
 George Osborne, il ministro delle Finanze, di lanciare un ultimatum : "O l'UE si riforma, oppure la lasciamo" ... Invece di rifugiarci nel diniego o, off the record, nel facile atteggiamento del "che liberazione!", noi "continentali" dovremmo interrogarci su ciò che rappresenterebbe un'Europa amputata della Gran Bretagna e tentare di capire come impedire l'irreparabile o, meglio ancora, come trasformare questa esigenza unilaterale britannica in un'opportunità per l'intera Europa, Regno Unito compreso.

Dare del tempo al tempo

Oggi, stando ai sondaggi, solo il 26 % degli elettori britannici considera l'UE globalmente come ''una buona cosa" e il 42 % come ''una cattiva cosa" (4). Invece, il 41 % dei giovani britannici tra 18 e 24 anni non desiderano lasciare l'Unione europea e sono a favore di "un'adesione ferma del Regno Unito" (5). Se le coordinate del problema sono queste e se si considera essenziale la permanenza del Regno Unito nell'Unione europea, si tratta di salvaguardare l'avvenire, di guadagnare tempo. Una ventina di anni probabilmente. Il tempo che le nuove generazioni siano in grado di ribaltare i rapporti di forza a proprio vantaggio.

Se, peraltro, si pensa che l'attuale atteggiamento del governo britannico impedisca qualsiasi passo in avanti in settori cruciali per l'avvenire dell'Europa, come la politica estera e la politica di sicurezza e di difesa, e rappresenti per altri stati membri un alibi molto comodo per giustificare il proprio immobilismo, sarebbe opportuno concepire un'architettura istituzionale che consenta di soddisfare i britannici, permettendo allo stesso tempo a quelli che vogliono andare avanti di poterlo fare senza essere intralciati, in primo luogo da quegli stati la cui vocazione europea è solo declamatoria.

Un'Europa delle quattro libertà
Partiamo da quello che auspica la maggioranza dei britannici oggi: un'Europa della libera circolazione e del libero scambio. Formalizziamo un'Europa delle quattro libertà: libertà di circolazione delle persone, delle merci, dei capitali e dei servizi (6).
Su questa base, la Politica Agricola Comune, per esempio, andrebbe suddivisa in una parte regolamentare (norme sanitarie, fito-sanitarie, veterinarie, ambientali ...) comuni a tutti i paesi membri, e una parte che riguarderebbe l'insieme delle misure di sostegno all'agricoltura, attuato solo dai paesi della "piccola Europa".
Limitiamo la partecipazione alla politica regionale e all'embrione di politica estera e di sicurezza ai soli membri della "piccola Europa". E, sulla base di questi criteri, il bilancio dell'Unione sarebbe diviso in due parti: una prima parte riguarderebbe tutti i paesi, una seconda quelli che avrebbero optato per una maggiore integrazione. Ciliegia sulla torta, questa riorganizzazione del bilancio consentirebbe di risolvere, finalmente, la questione spinosa dello "sconto britannico".

Solo il mercato unico, tutto il mercato unico
Va da sé che questo doppio livello di integrazione non potrebbe condurre a distorsioni nel trattamento dei cittadini e delle imprese. Norme economico-sociali consistenti sarebbero applicate in tutti i paesi. Un domani, tanto quanto oggi, non potrebbero esistere, come auspicano alcuni politici britannici, regimi diversi per i dipendenti britannici e per quelli che provengono da altri paesi dell'Unione (7).

Due velocità, un'unica architettura istituzionale
Se, come affermano Sylvie Goulard e Mario Monti, "l'unità dell'Europa a ventisette (oggi ventotto), in particolare quella del mercato unico, è essenziale per preservare la prosperità di tutti " e "qualsiasi rifondazione dovrà tenere presente l'imperativo di coerenza dell'insieme" (8), è indispensabile concepire un'architettura istituzionale che consenta una coabitazione armoniosa di tutti i paesi membri, tanto quelli che opterebbero per un livello di integrazione limitato, come i britannici, quanto quelli che sceglierebbero una unione più stretta, intorno alla moneta unica oggi o intorno ad una politica di sicurezza e di difesa comune (e non unica) domani.

Tutti gli stati dovrebbero avere il diritto di partecipare all'insieme dei dibattiti e di difendere le proprie posizioni, anche sotto forma di emendamenti. Solo il voto sarebbe di esclusiva competenza dei rappresentanti dei paesi partecipanti alla politica oggetto della decisione. L'agenda dei lavori del Parlamento europeo e del Consiglio, così come i sistemi di votazione (9), dovrebbero essere stabiliti tenendo conto di queste due grandi piattaforme di integrazione.

I capi di stato e di governo potrebbero affidare al prossimo presidente della Commissione l'incarico di sottoporre agli stati membri e al PE, in tempi compatibili con la scadenza britannica del 2017, una proposta di riorganizzazione dei trattati contenente questa architettura istituzionale sdoppiata.

Si tratta di un'opzione in più rispetto a quelle indicate da Vivien Pertusot (10) nella sua analisi molto bella In Europe, not ruled by Europe: "rimanere un membro di pieno diritto, diventare un membro associato, oppure lasciare l'Unione". Un matrimonio tra il "membro di pieno diritto" ed il "membro associato". I fautori del giardino istituzionale alla francese sarebbero probabilmente un po' delusi. Ma se il prezzo da pagare per consentire ai britannici di rimanere a bordo significa un giardino all'inglese, pazienza!

Un'opportunità per l'allargamento all'Ucraina, la Turchia, la Georgia e la Moldavia
Con una nuova architettura istituzionale di questo tipo (11), sarebbe d'altronde possibile affrontare in modo molto più sereno e responsabile la questione dell'adesione della Turchia all'Unione europea. Per degli intellettuali turchi come Cengiz Aktar o Ahmet Insel, la prospettiva di un'adesione della Turchia a questa "grande Europa" (e non al "nucleo duro" dell'UE) sarebbe tutt'altro che negativa. Al contrario, sarebbe l'occasione per riavviare rapidamente il processo virtuoso delle riforme che la prospettiva, allora seria, di un'adesione all'Ue aveva fatto suscitato in Turchia durante gli anni '90 ed all'inizio degli anni 2000.
Più ancora, questa nuova realtà istituzionale consentirebbe di affrontare situazioni ben più problematiche. L'Ucraina in particolare, indebolita all'interno da una classe politica predatrice e, all'esterno, dal progetto neo-imperiale e autoritario di Vladimir Putin. Ma anche la Georgia e la Moldavia (12). Per questi paesi, più ancora che per i paesi dell'Europa centrale e orientale che hanno aderito all'Unione europea nel corso degli anni 2000, una prospettiva chiara di adesione a questa Unione allargata costituirebbe un formidabile incitamento, in virtù dell'obbligo di rispettare i criteri detti di Copenaghen (13), per creare le condizioni di un radicamento durevole dello stato di diritto e della democrazia.

"Non esiste proprio! Un'Unione europea a 38 membri, se non di più, è proprio impossibile. Significa l'implosione garantita, la fine assicurata del sogno europeo, il crollo di 60 anni di sforzi, di compromessi laboriosi ..." E se questa "verità" non fosse che una favola? E se i principali responsabili dei blocchi che costellano la storia della costruzione europea non fossero da ricercare tra i "nuovi" membri, l'Austria, la Finlandia e la Svezia, arrivati nel 1996, oppure ancora, tra i paesi d'Europa centrale ed orientale, entrati tra il 2004 e il 2007, ma al contrario tra i veterani della costruzione europea? La Gran Bretagna, senz'altro, apertamente ostile, esempio fra tanti altri, a qualsiasi progresso serio in materia di politica estera e di sicurezza; la Germania, refrattaria dall'inizio della crisi a qualsiasi idea di mutualizzazione del debito pubblico mentre era possibile (e lo è tuttora) condizionare una mutualizzazione almeno parziale a riforme precise; il Lussemburgo, che accettò riforme del settore bancario solo perché costretto dagli ... Stati-Uniti; il Belgio che ha resistito fino a quando ha potuto all'armonizzazione della fiscalità sui prodotti del risparmio; la Grecia che ostacola, ancora oggi, il pieno riconoscimento internazionale della Macedonia per ragioni ... toponomastiche ; la Francia che si oppose alla proposta Schaüble-Lammers a favore della creazione di un nucleo duro nel 1991 e che si oppone tuttora, al riparo dell'intransigenza britannica, a qualsiasi progresso serio in materia di integrazione della politica estera e di difesa ...

Per un'appropriazione democratica dell'Europa
La realtà è che finché esistono sistemi di decisione efficaci e democratici, la costruzione europea regge. Due sistemi di integrazione non implicano due livelli di democrazia. Nella "grande" Europa come nella "piccola" la co-decisione tra il Parlamento europeo ed il Consiglio sarebbe generalizzata. Il diritto di veto non avrebbe corso. Tutt'al più si potrebbe concepire un possibile ricorso da parte di uno stato membro davanti alla Corte di Giustizia di Lussemburgo per iniziativa legislativa abusiva, cioè non necessaria al buon funzionamento del mercato unico.

Certo, questo sdoppiamento funzionale non risolve tutto. In primo luogo non risolve il deficit di appropriazione democratica dell'Unione europea da parte dei cittadini europei. Ma anche lì possibili soluzioni esistono. L'elezione con scrutinio maggioritario di almeno la metà dei deputati europei favorirebbe l'identificazione da parte dei cittadini con colui o colei che li rappresenta a Strasburgo e Bruxelles. Ancora di più, l'elezione diretta del/della Presidente della Commissione europea consentirebbe di affermare senza equivoci l'unità istituzionale dell'Unione e, allo stesso tempo, di dare all'insieme dei cittadini europei la possibilità di appropriarsi della scelta democratica di colui o colei, che presiederebbe al nostro comune destino.

Note
1) La domanda referendaria dovrebbe essere: "Lei pensa che il Regno Unito debba rimanere un membro dell'Unione europea?"
2) Bisogna intendere il termine "reazionario" non nella sua accezione dispregiativa, ma nel senso di un programma politico che promuove l'impossibile ritorno a una situazione antecedente, reale o fantasticata.
3) "Pour l'écrivain Edouard Glissant, la créolisation du monde est "irréversible", intervista di Edouard Glissant, a cura di Frédéric Joignot, Le Monde, 3 febbraio 2011
4) "In or out ? Britain's future in Europe". Opinium Research for Lansons Public Affairs and Cambre Associates in association with City of London Corporation, 3 dicembre 2013
5) "Young people want UK to stay in Europe", Nigel Morris, The Independent, 15 dicembre 2013
6) "La libera circolazione è vista positivamente dai Britannici, così come il libero scambio", Opinium Research for Lansons Public Affairs and Cambre Associates in association with City of London Corporation, 3 dicembre 2013
7) "Royaume-Uni: David Cameron bousculé par les eurosceptiques", Le Monde.fr, 12 gennaio 2014, dove si apprende tra l'altro che Iain Ducan Smith, il ministro del lavoro ritiene che gli immigrati dell'UE dovrebbero "dimostrare che si impegnano nei confronti del Paese (il Regno Unito) "
8) De la démocratie en Europe, Sylvie Goulard, Mario Monti, Ed. Flammarion, 2012, p. 195
9) Tutte le decisioni del Consiglio si prendono alla doppia maggioranza (maggioranza degli stati e maggioranza dei cittadini)
10) In Europe, Not Ruled by Europe. Tough Love between Britain and the EU, Vivien Pertusot, Ifri, Marzo 2013
11) Architettura che potrebbe convenire anche all'Islanda, la Norvegia o la Svizzera.
12) In ragione delle caratteristiche apertamente autoritarie dei regimi vigenti in Azerbaigian e in Bielorussia e in ragione delle scelte strategiche operate dall'Armenia, un tale scenario non è possibile per questi Paesi.
13) 1. "Criterio politico": presenza di istituzioni stabili che garantiscano la democrazia, lo stato di diritto, i diritti dell'uomo, il rispetto delle minoranze e la loro tutela. 2. "Criterio economico": esistenza di un'economia di mercato affidabile e capacità di far fronte alle forze del mercato e alla pressione concorrenziale all'interno dell'Unione Europea; 3. Adesione all'"acquis comunitario": accettare gli obblighi derivanti dall'adesione e, in particolare, gli obiettivi dell'unione politica, economica e monetaria.

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