Foto AFP/Genya Savilov |
Sono gli interrogativi che dovrebbe porsi chiunque assista ad avvenimenti come quelli in corso in Ucraina, tanto più se fa il mestiere di giornalista. Ed è quello che fa Matteo Zola nell'articolo pubblicato il 24 gennaio sul portale Eastjournal.net. La sua analisi non è necessariamente condivisibile in toto, ma ha certamente il grande pregio di porre dei dubbi e delle domande, piuttosto che fornire delle certezze. Che è poi quello che ogni giornalista serio dovrebbe fare.
Ucraina: europeismo e democrazia non c'entrano niente.
Basta con l'informazione a metà.
di Matteo Zola - da Eastjournal.net
Necessaria introduzione
Quanto accade in Ucraina è molto più
complicato di come ce lo descrivono. Quelle che leggiamo sui giornali,
compreso questo, o ascoltiamo nelle televisioni, sono spesso mezze verità. L’altra metà del vero è taciuta talvolta per interesse, tornaconto politico, presa di posizione ideologica oppure semplice buonafede.
Non affermo che ci sia un ‘disegno’, una volontà di disinformare, ma
affermo che l’informazione è incompleta per colpa o per dolo. Provo a
dire l’altra parte della protesta ucraina mettendo però in chiaro un
paio di punti: anzitutto non sono un sostenitore di Yanukovich, come non lo sono della Timoshenko, di Klitschko, o di chi per loro.
Non sono un partigiano di questa o quella idea, non ho bandierine da
sventolare. Non sono anti-niente né pro-qualcosa. Cerco di guardare alla complessità delle cose perché questo è fare il giornalista, secondo me.
L’europeismo non c’entra niente
Anzitutto: non è mai stata una protesta “europeista”.
Le bandiere europee ci sono state solo i primi giorni, e hanno
sventolato insieme a quelle dei partiti di opposizione e quelle
rossobrune dei nazionalisti. L’europeismo era una componente, ma non maggioritaria.
Le proteste non sono esplose dopo la mancata firma dell’accordo, erano
cominciate in sordina già prima. La mancata firma dell’accordo di
associazione ha fatto da detonatore e ha portato le telecamere senza le quali ogni protesta è vana. L’europeismo è funzionale agli interessi dei partiti di opposizione che cercano di legittimarsi agli occhi dell’occidente.
Un’opposizione incapace
Ma i partiti di opposizione non valgono una cicca. La Timoshenko, l’abbiamo detto più volte, non è poi così diversa da quelli che governano adesso: è un’oligarca che si è fatta i soldi ai tempi di Kuchma,
quando i suoi appoggi politici sono venuti meno ha trovato conveniente
diventare lei un politico. Certo, il suo arresto è un chiaro atto
persecutorio, su questo non ci piove. Ma non facciamone un santino. Klitschko è un ex-pugile
che piace alla gente, è fuori dalle logiche oligarchiche che regolano
il paese ma non vale granché: è un ex-pugile, appunto. E poi ci sono i nazionalisti di Svoboda. Ora sono loro “la piazza”.
L’estrema destra è la piazza
C’è stato un evento simbolico, che ha fatto da spartiacque: l’abbattimento della statua di Lenin a Kiev. Ha alzato il livello della protesta, ha rimarcato la divisione fra “pacifici” e “organizzati”. Questi ultimi hanno progressivamente preso il sopravvento emarginando la gente comune. Quella che abbiamo chiamato “la protesta del nazionalismo civico” è morta. Alzare il livello di scontro è servito a dare a Yanukovich il pretesto per la repressione. Se Yanukovich non avesse nemici così, dovrebbe inventarli. Non è la violenza il problema, quale diritto si conquista con la pace? Ma è chi esercita la violenza e il fine per cui lo fa.
Ora la “Euromaidan” è un campo di battaglia. Nessuno dei partiti di opposizione ci va più. Ci sono quelli di Pravy Sektor (“Settore di destra”) a coordinare le violenze. Le bandiere rossobrune dell’ultranzionalismo ucraino tuttavia non mancano. Il quotidiano britannico The Guardian ha intervistato Andriy Tarasenko, uno dei leader del movimento, che ha dichiarato: “L’ingresso nell’Unione Europea, per l’Ucraina, sarebbe la morte.
E significherebbe la morte della cristianità. Noi non lo vogliamo. Noi
vogliamo un’Ucraina guidata da ucraini e non serva degli interessi
altrui” Quello che Pravy Sector persegue è una “rivoluzione nazionale”. Sì, ma di quale nazione?
Una protesta di alcuni, non di tutti
Altro mito da sfatare è infatti che in piazza ci sia “tutto il paese”.
C’era, prima che tutto degenerasse nel caos, solo quella parte di
Ucraina che guarda a ovest, erede della cultura mittleuropea che in
città come Leopoli ha uno dei suoi migliori esempi, e che parla ucraino.
L’altra metà, quella russofona e ortodossa, guarda a Mosca come è ovvio
che faccia e, per quanto possa non apprezzare la politica di Yanukovich
(che obiettivamente non piace più nemmeno a chi lo ha votato) la
preferisce di gran lunga a quella dei nazionalisti da cui si sentono minacciati.
L’ipocrisia dell’Europa
Certo, molta Ucraina è rappresentata da queste proteste, ma non si tratta di una “rivolta popolare” contro un dittatore. Yanukovich è stato votato.
E se mette in campo leggi restrittive è perché il centro di Kiev è
stato dato alle fiamme. Non mi sembra che i metodi, nel civile
occidente, siano stati migliori (qualcuno ricorda la caserma Diaz?). Il motivo per cui va combattuto è che è espressione di un gruppo di potere politico-criminale (il clan di Donetsk) che sta occupando tutti i settori chiave del potere economico con metodi intimidatori e mafiosi. Ma se il mafioso Yanukovich avesse firmato l’accordo nessuno, in Europa, lo avrebbe criticato per i suoi metodi. Non possiamo essere ipocriti su questo.
L’Ucraina è un campo di battaglia, e la Russia di Putin non la mollerà mai.
Nè il gruppo di Donetsk lascerà facilmente il potere: Yanukovich è per
loro un fantoccio, nel caso si può sostituire. L’Unione Europea è un
club economico-finanziario in crisi che tuttavia vede nel paese la
possibilità di ottenere una posizione di vantaggio nella “guerra del gas” con la Russia. Per i leader europei l’Ucraina è una pedina tanto quanto lo è per Mosca. La democrazia non c’entra niente.
C’entra la realpolitik. E alla luce della realpolitik dovremmo guardare
le vicende ucraine. Lontano dalla polvere dell’agone in cui si sfidano
le parti. La protesta, fino alla sua fatale deriva, godeva della
simpatia di chi scrive. E’ gente che non ne può più e che sarebbe ben
contenta di farsi uno statarello tutto suo, in Galizia e dintorni. Ma la simpatia per la causa non deve renderci complici di una truffa.
Conclusione (autocritica)
La giusta distanza dai fatti ucraini richiede la critica di tutte le parti in causa:
l’ipocrita Europa, la feroce Russia, l’autoritario potere di Kiev, la
barbarie dei nazionalisti, l’opportunismo delle opposizioni. Questo
significa informare, questo significa essere onesti con i lettori. Chi
informa può sbagliare, può anche innamorarsi di un’idea (siamo persone)
ma non deve lasciare che ciò in cui crede lo accechi. Ciò in cui crediamo deve essere la prima vittima del nostro bisturi.
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