Come promesso, con la fine delle
vacanze, torniamo online. Per iniziare l'anno nuovo vi propongo un
pezzo di Massimo Nava uscito sul Corriere della Sera lo scorso 20
dicembre. A maggio del prossimo anno si voterà per il rinnovo del
Parlamento europeo. In questi ultimi anni, in molti Paesi, anche
all'interno dell'Unione Europea, sono sorti e si sono diffusi
movimenti antieuropei, populisti e xenofobi. Anche in un
Paese tradizionalmente europeista come l'Italia ormai nell'opinione
pubblica crescono sentimenti di rifiuto per l'integrazione e per una
prospettiva federalista. “Tutti a casa” è la nuova parola d'ordine: classi dirigenti,
istituzioni, parlamenti, governi, banche, euro, Europa. La retorica tutto accomuna, appiattisce e confonde senza indicare alternative, ma solo slogan.
E' brutta una prospettiva, ma è quella che abbiamo davanti e
occorre tenerlo ben presente. Auguri Europa e auguri a tutti noi.
L'alleanza dei profeti del tanto peggio
e il pericolo delle nuove barriere
di Massimo Nava – Corriere della
Sera, 20 dicembre 2013
Nelle Operette morali di Leopardi, il
venditore di almanacchi promette un anno più felice dei precedenti.
Ma il poeta ci dice che sperare è inutile, la condizione umana non
prevede la felicità. Eppure, l'almanacco 2014 offrirebbe qualche
motivo di ottimismo, sia in Italia, sia in Europa: la fine della
recessione, la ripresa americana, un po' di crescita, un po' più di
stabilità politica, qualche segnale di ricambio generazionale, un
importante passo avanti del sistema bancario continentale e quindi
verso l'integrazione. Quello di giovedì è stato un buon giorno per
l'Europa, che rassicura i mercati e dovrebbe rassicurare i
risparmiatori.
Ma sono motivi di ottimismo poco
seducenti, male impacchettati, portati da un Babbo Natale europeo
antipatico anche ai bambini. Motivi non sufficienti a ridare serenità
a famiglie e imprese e a quanti – giovani e anziani – vedono il
futuro come una minaccia e non hanno nemmeno i soldi per comperare
l'almanacco. Motivi non sufficienti nemmeno per rendere più
seducenti gli ideali europei: si parla di passi avanti, di buona
direzione, di equilibri complicati fra esigenze ed egoismi. E di
scadenze che avranno concretezza fra qualche anno.
Movimenti e partiti antieuropei,
populisti e xenofobi – nelle piazze e nei media – non hanno
bisogno di promettere la felicità. A loro non interessa l'andamento
dello spread. A loro basta ricordare gli anni bui che stiamo vivendo
e indicarne cause e colpevoli: le classi dirigenti, la politica, le
banche, l'Europa, la moneta unica. Il linguaggio è diretto,
semplice, immediatamente comprensibile. “via tutti”, come urla il
popolo dei forconi. L'”euro è un crimine”, come sbraitano i
leghisti. “Prima di tutto la nazione”, come vanno propagandando
le tante marine Le Pen in ascesa in tutta Europa. “Sarà sempre
peggio”, dicono tutti.
A volte - come si dice – ci
azzeccano. E nessuno può permettersi di disprezzare le ragioni della
pancia. Alla protesta e al malessere di larghi strati della
popolazione, non si può contrapporre soltanto una sorta di dogmatica
religiosità europea, per cui nella è discutibile di ciò che si fa
o non si fa a Bruxelles. Né si può liquidare ogni istanza come
populismo e demagogia. I populismi si nutrono dei fenomeni economici
e sociali che hanno più marcato il nostro tempo: impoverimento dei
cittadini e declassamento degli Stati nazionali.
Con facili slogan è anche facile fare
confusione e sostenere che le due cose siano legate. Ma
l'impoverimento non è una fatalità, né la conseguenza della
costruzione europea. Mentre l'indebolimento degli Stati è un
processo irreversibile. Si stenta a comprendere e a far comprendere
che nessun Paese – nemmeno la Germania – può farcela da solo. E
che l'Europa (6 per cento della popolazione mondiale, 20 per cento un
secolo fa!) è la sola forma possibile di protezione e sviluppo.
“Sarà sempre peggio” non è una
speculazione filosofica. E' un autoconvincimento collettivo che
inonda sondaggi e talk show per cui sembra non ci siano antidoti. I
tempi del “fare” sono troppo lunghi rispetto alla scadenza delle
rate e delle bollette. I motivi di ottimismo, troppo invisibili. La
pedagogia è un'arma spuntata nel corto circuito di un'informazione
rapida, spettacolarizzata, che racconta un presente perpetuo, una
realtà percepita, spezzo banalizzata, raramente rapportata alla
storia, alla memoria, al confronto di realtà differenti, magari
lontane dalla nostra.
Il linguaggio della politica si
specchia in questo presente perpetuo, a volte lo insegue, raramente
lo indirizza. L'Europa, anziché coordinarli, deresponsabilizza Stati
e governi, nel senso che l'Europa è spesso il comodo alibi o il
capro espiatorio delle insufficienze delle politiche nazionali. Basta
riflettere sulle politiche dell'immigrazione: insufficienti risposte
comuni, egiustiche sovranità nazionali in materia.
Oggi l'”europhobia” ha una carta in
più: il tentativo di coordinamento programmatico e culturale dei
movimenti, per entrare a piedi uniti nel prossimo parlamento europeo.
Via vecchi armamentari ideologici (“non siamo né di destra, né di
sinistra”, si sente dire sempre più spesso) per costruire nuove
barriere e condizionare l'Europa di domani. Non è contraddittorio
entrarci in forze per bloccarla. E' pericoloso.
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