martedì 7 gennaio 2014

AUGURI EUROPA

Come promesso, con la fine delle vacanze, torniamo online. Per iniziare l'anno nuovo vi propongo un pezzo di Massimo Nava uscito sul Corriere della Sera lo scorso 20 dicembre. A maggio del prossimo anno si voterà per il rinnovo del Parlamento europeo. In questi ultimi anni, in molti Paesi, anche all'interno dell'Unione Europea, sono sorti e si sono diffusi movimenti antieuropei, populisti e xenofobi. Anche in un Paese tradizionalmente europeista come l'Italia ormai nell'opinione pubblica crescono sentimenti di rifiuto per l'integrazione e per una prospettiva federalista. “Tutti a casa” è la nuova parola d'ordine: classi dirigenti, istituzioni, parlamenti, governi, banche, euro, Europa. La retorica tutto accomuna, appiattisce e confonde senza indicare alternative, ma solo slogan. E' brutta una prospettiva, ma è quella che abbiamo davanti e occorre tenerlo ben presente. Auguri Europa e auguri a tutti noi.

L'alleanza dei profeti del tanto peggio e il pericolo delle nuove barriere
di Massimo Nava – Corriere della Sera, 20 dicembre 2013

Nelle Operette morali di Leopardi, il venditore di almanacchi promette un anno più felice dei precedenti. Ma il poeta ci dice che sperare è inutile, la condizione umana non prevede la felicità. Eppure, l'almanacco 2014 offrirebbe qualche motivo di ottimismo, sia in Italia, sia in Europa: la fine della recessione, la ripresa americana, un po' di crescita, un po' più di stabilità politica, qualche segnale di ricambio generazionale, un importante passo avanti del sistema bancario continentale e quindi verso l'integrazione. Quello di giovedì è stato un buon giorno per l'Europa, che rassicura i mercati e dovrebbe rassicurare i risparmiatori.

Ma sono motivi di ottimismo poco seducenti, male impacchettati, portati da un Babbo Natale europeo antipatico anche ai bambini. Motivi non sufficienti a ridare serenità a famiglie e imprese e a quanti – giovani e anziani – vedono il futuro come una minaccia e non hanno nemmeno i soldi per comperare l'almanacco. Motivi non sufficienti nemmeno per rendere più seducenti gli ideali europei: si parla di passi avanti, di buona direzione, di equilibri complicati fra esigenze ed egoismi. E di scadenze che avranno concretezza fra qualche anno.

Movimenti e partiti antieuropei, populisti e xenofobi – nelle piazze e nei media – non hanno bisogno di promettere la felicità. A loro non interessa l'andamento dello spread. A loro basta ricordare gli anni bui che stiamo vivendo e indicarne cause e colpevoli: le classi dirigenti, la politica, le banche, l'Europa, la moneta unica. Il linguaggio è diretto, semplice, immediatamente comprensibile. “via tutti”, come urla il popolo dei forconi. L'”euro è un crimine”, come sbraitano i leghisti. “Prima di tutto la nazione”, come vanno propagandando le tante marine Le Pen in ascesa in tutta Europa. “Sarà sempre peggio”, dicono tutti.

A volte - come si dice – ci azzeccano. E nessuno può permettersi di disprezzare le ragioni della pancia. Alla protesta e al malessere di larghi strati della popolazione, non si può contrapporre soltanto una sorta di dogmatica religiosità europea, per cui nella è discutibile di ciò che si fa o non si fa a Bruxelles. Né si può liquidare ogni istanza come populismo e demagogia. I populismi si nutrono dei fenomeni economici e sociali che hanno più marcato il nostro tempo: impoverimento dei cittadini e declassamento degli Stati nazionali.

Con facili slogan è anche facile fare confusione e sostenere che le due cose siano legate. Ma l'impoverimento non è una fatalità, né la conseguenza della costruzione europea. Mentre l'indebolimento degli Stati è un processo irreversibile. Si stenta a comprendere e a far comprendere che nessun Paese – nemmeno la Germania – può farcela da solo. E che l'Europa (6 per cento della popolazione mondiale, 20 per cento un secolo fa!) è la sola forma possibile di protezione e sviluppo.

“Sarà sempre peggio” non è una speculazione filosofica. E' un autoconvincimento collettivo che inonda sondaggi e talk show per cui sembra non ci siano antidoti. I tempi del “fare” sono troppo lunghi rispetto alla scadenza delle rate e delle bollette. I motivi di ottimismo, troppo invisibili. La pedagogia è un'arma spuntata nel corto circuito di un'informazione rapida, spettacolarizzata, che racconta un presente perpetuo, una realtà percepita, spezzo banalizzata, raramente rapportata alla storia, alla memoria, al confronto di realtà differenti, magari lontane dalla nostra.

Il linguaggio della politica si specchia in questo presente perpetuo, a volte lo insegue, raramente lo indirizza. L'Europa, anziché coordinarli, deresponsabilizza Stati e governi, nel senso che l'Europa è spesso il comodo alibi o il capro espiatorio delle insufficienze delle politiche nazionali. Basta riflettere sulle politiche dell'immigrazione: insufficienti risposte comuni, egiustiche sovranità nazionali in materia.

Oggi l'”europhobia” ha una carta in più: il tentativo di coordinamento programmatico e culturale dei movimenti, per entrare a piedi uniti nel prossimo parlamento europeo. Via vecchi armamentari ideologici (“non siamo né di destra, né di sinistra”, si sente dire sempre più spesso) per costruire nuove barriere e condizionare l'Europa di domani. Non è contraddittorio entrarci in forze per bloccarla. E' pericoloso.

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