Frontiera Turchia-Siria nel 2009 (pillandia.blogspot.it) |
La Turchia si sente lasciata sola dalla
comunità internazionale nella gestione del problema dei profughi
siriani, senza che si profilino soluzioni concrete ad una situazione
che si aggrava di giorno in giorno. Al momento i rifugiati siriani
arrivati nei campi allestiti dalle autorità turche sono 90mila, a
fronte di una capienza che secondo i media locali può arrivare a
120mila unità, ben superiore, quindi, a quella soglia psicologica di
100mila indicata dal ministro degli Esteri, Ahmet Davutoglu. Lo
scriveva ieri Marta Ottaviani, corrispondente dell'agenzia TMNews,
in una serie di lanci in cui spiegava che, anche se la situazione
dovesse rimanere invariata, la Turchia si trova già ora a
fare i conti con tre problemi: la gestione dell'emergenza lasciata
tutta sulle sue spalle, questo almeno è quanto denuncia Ankara, il
fallimento di una politica estera regionale che aveva fatto della
Siria il Paese di riferimento e l'eccessiva e prematura opposizione
al regime di Assad che per il momento ha prodotto solo la
recrudescenza della guerriglia separatista curda.
Ankara, dopo aver chiesto un contributo
economico per la gestione dell'emergenza da condividere con l'Alto
commissariato per i rifugiati dell'Onu (Unhcr), sostiene che quei
soldi vengono ora bloccati dai Paesi occidentali. "C'è una crescente
sensazione in Turchia che, avendo fatto sacrifici e gestito
autonomamente questa situazione, il risultato sia di portare la
Comunità internazionale alla noncuranza e alla mancanza di azione",
ha detto Davutoglu. Il quotidiano Hurriyet, tuttavia, sostiene che fu
la Turchia un anno fa a rifiutare l'assistenza internazionale, mentre
adesso si ritrova nella situazione di dover fare pressioni per
ottenere un intervento esterno: “Ma le cose non funzionano così.
Preferiamo dare assistenza tramite le Nazioni Unite”, ha detto un
dirigente europeo al quotidiano. Il problema è che però le autorità
di Ankara non sono intenzionate a cedere il controllo dei campi
profughi all'Unhcr. Intanto i profughi aumentano e i costi lievitano.
Il governo islamico-moderato di Recep
Tayyip Erdogan, nota ancora Marta Ottaviani, deve fare i conti anche
con la propria immagine di attore protagonista regionale e con il
rischio che la crisi siriana finisca per compromettere seriamente
l'ambizione di diventare un grande attore in Medio oriente. C'è poi
la recrudescenza degli attacchi dei separatisti curdi, che sono
aumentati in parallelo all'escalation del conflitto
siriano, tanto che Ankara accusa apertamente Damasco di fomentare e
finanziare la guerriglia curda nel sud est della Turchia. Il governo
Erdogan, che da anni nutre l'ambizione di diventare il Paese chiave
della geopolitica regionale, secondo le teorie dell'attuale ministro
degli Esteri, messa alla prova dalla crisi siriana si sia ritrovata
scoperta e troppo esposta a conseguenze non previste anche
all'interno dei suoi confini. E in questa situazione non aiuta il
difficile rapporto con gli alleati occidentali e con gli Usa che non
appoggiano concretamente la richiesta di creare una zona di
protezione che metta la Turchia al riparo dal rischio terrorismo.
Per il momento, concludeva Marta
Ottaviani, la Turchia si trova dunque ad essere il Paese più esposto
avendo puntato sulla caduta di Assad, ma che nella attuale situazione
ha più da perdere. Oltre all'emergenza profughi, infatti, il governo
deve fare i conti con un'opinione pubblica che, soprattutto nel sud
est, è sempre più critica riguardo alla politica nei confronti
della Siria, visti anche i rapporti economici privilegiati con
Damasco che ormai sono un lontano ricordo.
Nessun commento:
Posta un commento