Articolo di Davide Denti pubblicato
su Eastjournal.net
La Slovenia rischia la faccia a
Bruxelles: l’ultima mossa del governo Janša è vista in sede
europea come un vero ricatto. Lubiana non ratificherà il trattato di
adesione della Croazia (mossa già compiuta da 14 stati UE su 27) se
Zagabria non cederà sulla questione dei debiti della Ljubljanska
Banka di jugoslava memoria.
A seguito del fallimento della
Ljubljanska Banka negli anni ’90, 172 milioni di euro di risparmi
di 130.000 cittadini croati finirono direttamente nel debito pubblico
sloveno. L’istituzione-figlia, la Nova Ljubljanska Banka (NLB), è
stata citata in giudizio da due banche croate per riottenere il
denaro. Ma secondo la Slovenia l’intera vicenda va giudicata nel
contesto degli accordi di successione alla Jugoslavia, direttamente
in sede della Bank of International Settlements (BIS) di Basilea in
Svizzera. Il governo HDZ di Kosor nel 2010 aveva accettato il
principio dei negoziati in sede BIS, ma a fronte di pochi progressi
sulla questione l’attuale governo socialdemocratico sembra essere
tornato all’idea della risoluzione bilaterale. Nel frattempo, lo
scorso mese di giugno la Slovenia ha versato altri 382 milioni di
euro nelle casse della NLB per impedirne una nuova bancarotta.
Il ministro degli esteri sloveno Karl
Erjavec aveva già sottolineato la questione in giugno e vi è
tornato in settembre: “Personalmente mi auguro che la Croazia
acceda all’Unione Europea il prima possibile e che l’accordo sia
ratificato… ma la precodizione a ciò è che venga risolta la
questione della Ljubljanska Banka“.
La comunità diplomatica europea di
Bruxelles tuttavia non è affatto felice della mossa slovena: la
Commissione e i funzionari degli stati membri vedono come fumo negli
occhi questa intromissione di una questione bilaterale in una
complessa procedura pluriannuale di rilevanza continentale. La
Slovenia sembra sempre più fare la figura del rompiscatole che cerca
di far pesare il proprio status di paese membro per risolvere i suoi
problemi bilaterali, a scapito dell’interesse generale. Un po’
come Cipro, la cui questione avvelena le fondamentali relazioni tra
l’Unione e la Turchia. Per questo la pressione su Lubiana aumenterà
a partire dal 10 ottobre, con la pubblicazione dell’ultimo rapporto
della Commissione sull’allargamento alla Croazia. Se, come
plausibile, questo sarà positivo, la Slovenia non avrà più alibi
per tenere in sospeso la ratifica del trattato d’adesione.
Secondo l’analista politico croato
Davor Gjenero, inoltre, la questione potrebbe essere gonfiata da
entrambe le parti per fini elettoralistici. La Slovenia va alle urne
in ottobre per eleggere un nuovo capo di stato, la società è molto
divisa e il paese è sull’orlo della bancarotta: riattizzare un
“nemico esterno” è una strategia populista che potrebbe servire
gli interessi elettorali dell’attuale governo a Lubiana. Se così
fosse, il contenzioso dovrebbe rientrare una volta passata la
stagione elettorale (pur senza una soluzione in vista per i
risparmiatori della LB), e Zagabria non dovrebbe subire eventuali
ritardi nel suo accesso all’Unione, previsto per luglio 2013.
Le relazioni bilaterali avevano già
messo i bastoni tra le ruote all’adesione della Croazia all’UE
nel 2008, quando Lubiana minacciò di bloccare i negoziati per via
del contenzioso sui confini marittimi nel golfo di Pirano –
questione che la Croazia si impegnò a risolvere tramite arbitrato
internazionale, ma che resta ancora aperta. Ancora, l’anno scorso
la Slovenia si era messa in cattiva luce quando gli interessi
economici di una azienda slovena di costruzioni avevano spinto il
governo di Lubiana a mettere il veto ad ulteriori sanzioni contro la
Bielorussia, attirandosi l’ira della Polonia e venendo infine
costretta a fare un passo indietro.
C’è da augurarsi che la Croazia
abbia appreso la lezione e che non si comporti allo stesso modo una
volta fatto il suo ingresso nell’UE. I propositi sembrano buoni:
dopo la questione del golfo di Pirano, Zagabria dichiarò
solennemente che non avrebbe mescolato questioni bilaterali e
multilaterali impedendo l’integrazione degli altri stati balcanici.
E ultimamente sembra essere vicina alla soluzione anche la questione
croato-bosniaca del corridoio di Neum / ponte di Peseljac, grazie
alla mediazione UE.
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