
I pubblici ministeri, Giuseppe De Falco e Maria Francesca Loy, avevano chiesto per Marini la pena di 12 anni. Nella requisitoria, lo scorso febbraio, avevano spiegato che i politici indicati da Marini e dagli altri, “furono travolti da dichiarazioni devastanti, di una gravità inaudita e prive di qualsiasi concreto fondamento”. Inoltre, “di quello scandalo fu fatto un grande uso politico perché quello che Marini andava sostenendo al pari di alcuni soggetti che trafficavano in titoli falsi da monetizzare è stato cavalcato per motivi mai chiariti dalla commissione parlamentare d'inchiesta”.
“Le indagini da quanto emerso in dibattimento hanno sancito l'insussistenza di tangenti e, al contrario, l'esistenza di calunnie verbali e documentali", hanno detto i giudici, secondo i quali, “non esiste alcun riscontro positivo alle tantissime dichiarazioni fatte da Igor Marini ai magistrati al punto che il caso Telekom Serbia può considerarsi la madre di tutti i tentativi di denigrazione dell'avversario politico”.
Che le accuse di Marini fossero prive di fondamento e frutto di una macchinazione era chiaro ormai da anni e la sentenza di oggi non può stupire nessuno. Ciò che però né la sentenza né l’inchiesta hanno chiarito sono le responsabilità politiche (quelle sì riconducibili a Fassino, Dini e all’allora ministro Ciampi) di una spregiudicata operazione finanziaria, fatta coi soldi dei contribuenti italiani, che nel pieno dell’embargo contro la Serbia permise al regime di Milosevic di incassare denaro fresco per puntellare il suo regime che aveva trascinato tutti i popoli ex jugoslavi in una serie di guerre tragiche, inutili e devastanti. Ed è su questo che andrebbe fatta luce, mentre invece su tutto l’affaire è calato un velo di silenzio che solo i Radicali italiani hanno cercato in questi anni di sollevare. [RS]Per saperne di più sull’affaire Telekom Serbia va al sito dell’Associazione radicale “Adelaide Aglietta” di Torino
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