venerdì 8 aprile 2011

NEI BALCANI IL CENSIMENTO NON E' SOLO UN'OPERAZIONE STATISTICA

Il 1° aprile è partito ufficialmente il censimento nei Balcani occidentali, ovvero nei paesi che un tempo costituivano la Jugoslavia (Bosnia, Croazia, Macedonia, Montenegro, Serbia e Kosovo) e in Albania. L'operazione al suo esordio è già segnata da ritardi, rinvii e problemi, e ciò che nel resto d'Europa rappresenta una mera operazione statistica, per quanto articolata e complessa, nei Balcani diventa l'ennesima occasione per riaccendere attriti etnici e religiosi.

La Serbia – il paese più popoloso dei Balcani, con circa 7,5 milioni di abitanti - ha posticipato per ragioni di bilancio il censimento al primo ottobre prossimo. Il vero problema però è un altro. Belgrado ha invitato infatti i serbi del Kosovo a boicottare il censimento per evitare che le autorità di Pristina diminuiscano strumentalmente il loro numero rispetto alla maggioranza albanese. Il ministro serbo per il Kosovo, Goran Bogdanovic, nel ribadire il rifiuto di riconoscere l'indipendenza di Pristina, ha chiamato i serbo kosovari al boicottaggio dichiarando accettabili solo eventuali operazioni condotte dall'Onu. In questo contesto spicca l'appello del presidente serbo Boris Tadic, affinché “le persone nei paesi della regione in cui è corso il censimento esprimano liberamente la propria appartenenza etnica, religiosa, linguistica”.

In Montenegro, indipendente dalla Serbia dal 2006, il 32% dei 620.000 abitanti si era dichiarato serbo nel censimento del 2003. Una percentuale che le autorità di Podogorica sperano di vedere ridotta dopo questa nuova rilevazione e per questo hanno avviato una vera e propria campagna mediatica affinché la popolazione riscopra la propria identità “montenegrina” a scapito di quella serba. “Il potere montenegrino punta a una campagna aggressiva di assimilazione forzata di alcune comunità, in particolare di quella serba”, ha dichiarato Andrija Mandic, leader di un partito filo serbo dopo che la Tv nazionale ha mandato in onda un documentario sulla “identità montengrina”.

In Macedonia sono invece albanesi e turchi a opporsi alla maggioranza slava facendo rimandare il conteggio a ottobre.

Posticipo a novembre, invece, per l'Albania, dove dichiararsi membri della minoranza greca – quindi cristiano ortodossi, piuttosto che cattolici o musulmani – può valere un permesso di soggiorno in Grecia, Paese membro dell'Ue. Secondo Kreshnik Spahiu, vice presidente dell'Alto consiglio di Giustizia albanese, “un gran numero di albanesi hanno cambiato negli ultimi anni la loro identità etnica e religiosa al fine di ottenere un permesso di soggiorno e di lavoro in Grecia”.

La Bosnia, infine, rischia di essere addirittura l'unico paese a fallire il censimento quest'anno a causa dei forti attriti tra i tre “popoli costituenti” del Paese, secondo la definizione degli accordi di pace di Dayton che nel 1995 misero fine alla guerra. Croati, bosgnacchi serbi non riescono a mettersi d'accordo nemmeno su come condurre il censimento. Gli attriti interetnici, che stanno impedendo la formazione del governo centrale e quello della Federazione di Bosnia Erzegovina (una delle due entità che compongono il paese) oltre a paralizzare la situazione politica e a bloccare il processo di riforme necessario per l'integrazione europea, sta provocando anche effetti collaterali forse minori, ma non secondari come la sospensione della federazione nazionale dai due massimi organismi del calcio mondiale, Fifa e Uefa.

I Balcani, insomma, ancora una volta si dimostrano un mondo particolare, dove il senso delle cose e la loro misura non funziona necessariamente come nel resto del continente. Sono però anche i Balcani che cercano anche di riacquistare il loro posto in Europa. E l'Europa difficilmente può comprendere come una questione essenzialmente statistica quale un censimento possa trasformarsi nell'ennesimo pretesto di conflitto.

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