Come previsto dai sondaggi della
vigilia, i conservatori filo europeisti del Partito del progresso
serbo (Sns), guidato dal vicepremier uscente Aleksandar Vucic, ha
largamente prevalso nelle elezioni anticipate che si sono tenute ieri
in Serbia. Stando ai dati preliminari, con quasi il 50% delle
preferenze, l'Sns dovrebbe avere 160 dei 250 seggi in Parlamento: si
tratta del miglior risultato mai ottenuto da una forza politica in 25
anni di multipartitismo in Serbia. Il partito di Vucic (e del
presidente della repubblica Tomislav Nikolic) non avrà bisogno di
formare una coalizione per governare: neanche Slobodan Milosevic,
nemmeno nel periodo di maggiore consenso popolare, era mai riuscito a
raggiungere un tale risultato.
Secondo gli ultimi dati diffusi dal
Centro per le elezioni libere e la democrazia (Cesid), l'Sns ha
ottenuto il 48,8% delle preferenze, surclassando nettamente il
Partito socialista (Sps) del premier uscente Ivica Dacic che si è
attestato al 14%. Solo altri due partiti avrebbero superato, e di un
soffio, lo sbarramento del 5%: il Partito democratico (Ds), che
avrebbe il 5,9%, e il Nuovo partito democratico, dell'ex presidente e
già leader del Ds, Boris Tadic, al 5,7%. Fuori dal Parlamento, e
anche questa è una notizia, restano i nazionalisti di Vojislav
Kostunica, i liberaldemocratici di Cedomir Jovanovic, e i liberali di
Dinkic. Bassa l'affluenza alle urne, che alla fine è risultata del
53,2%, con un calo rispetto al 57,7% del 2012.
L'obiettivo di Vucic, che per questo ha
voluto il voto anticipato di ieri, era quello di capitalizzare i
successi raggiunti dal governo di coalizione con i socialisti
nell'ultimo anno e mezzo. Prima di tutto il negoziato di adesione
della Serbia alla Unione Europea, partito ufficialmente il 21
gennaio, e poi i progressi sul Kosovo grazie al dialogo con le
autorità di Pristina mediato da Bruxelles. L'apertura del negoziato
per l'adesione all'UE è stata favorita anche dai risultati concreti
nella lotta alla corruzione, una delle questioni centrali poste da
Bruxelles. Ringraziando i suoi sostenitori per la vittoria, Vucic ha
promesso di continuare sulla strada delle riforme e ha anche citato
Alcide De Gasperi quando ha affermato di voler lavorare “per le
future generazioni e non solo per le prossime elezioni”.
L'ormai prossimo nuovo premier serbo è
atteso ora da un compito per niente facile. La situazione economica
del paese non è certo incoraggiante: la disoccupazione viaggia oltre
il 20%, il debito pubblico è superiore al 60% del pil e il deficit
di bilancio si mantiene da alcuni anni al di sopra del 7%. Poi ci
sono le riforme che andranno adottate per poter rientrare nei
parametri richiesti dall'UE per l'adesione. Le misure da adottare non
saranno né poche, né indolori. Infine c'è il Kosovo: le attuali
buone relazioni con Pristina, la disponibilità a trattare sulle
questioni bilaterali, lasciano ancora però irrisolta la questione
del riconoscimento dell'indipendenza della (ex) provincia che
Belgrado continua a non voler concedere.
Il giovane futuro premier, dopo aver
lasciato, insieme al presidente Nikolic, il Partito radicale serbo,
estremista e ultranazionalista, è approdato negli ultimi anni a
posizioni conservatrici e moderate, rispettose dell'identità serba,
ma apertamente favorevoli all'integrazione europea e a discutere
sulla questione del Kosovo. In questo modo ieri è riuscito a
capitalizzare i favori degli elettori, raccogliendo le speranze dei
cittadini sulle fine della crisi economica, e a battere sia
l'opposizione liberale ed europeista di Tadic, Dinkic e Jovanovic,
sia il nazionalismo polveroso e inconcludente di Kostunica, dopo che
già i radicali turboserbi erano stati ridotti al lumicino nel 2012.
Vucic può così godersi la vittoria e offrire al mondo un'immagine
della Serbia sempre più lontana da quella legata al regime di
Milosevic e ai conflitti degli anni '90. Vucic, per quanto giovane,
non è certo di primo pelo. Forse con lui sta nascendo una nuova Serbia. Lo capiremo nei prossimi mesi. Certo da domani inizia il lavoro più
difficile.
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