Vittoria elettorale, economia forte, mancanza di un'alternativa
politica: il premier si prepara (forse) alle presidenziali, ma resta l'incognita
del grande nemico Fetullah Gulen.
Non sono bastate le accuse di corruzione, né le proteste contro la svolta autoritaria degli ultimi mesi e nemmeno certe rivelazioni compromettenti diffuse ultimamente: l'Akp del premier Recep Tayyip Erdogan ha vinto nettamente le elezioni amministrative di ieri, ottenendo oltre il 45% dei voti contro il 28% al principale partito di opposizione, il Chp. L'Akp conserva inoltre il controllo delle due principali città del paese, Istanbul e Ankara, mentre Smirne rimane, come da tradizione, al Chp. Da più parti si segnalano denunce di irregolarità, fra l'altro in molte decine di città è mancata la luce durante le operazioni di spoglio delle schede elettorali, ma la vittoria di Erdogan appare incontestabile, con un calo di 4 punti rispetto al trionfale 49,6 delle politiche del 2011, ma con un deciso balzo in avanti rispetto alle precedenti amministrative.
La stampa filo governativa ha accolto
con toni trionfali il "voto di fiducia", come lo ha
definito Sabah, ottenuto ieri dal premier, mentre Takym titola "Vai
avanti, Maestro, il popolo è con te" e Star sottolinea che
l'Akp e Erdogan "sono entrati nella storia con l'ottava vittoria
elettorale consecutiva". Per Yeni Akit, invece, Erdogan ha
"schiacciato gli avversari" e ha fatto collassare la
"sporca alleanza fra Gulen, il Chp e le forze del male".
Sul fronte opposto, l'autorevole analista Murat Yetkin, dalle colonne
di Hurryet, invita a guardare in faccia la "nuda verità della
politica turca": "La maggioranza degli elettori ha chiuso
occhi e orecchie davanti alle accuse di corruzione perche' Erdogan
glielo ha chiesto, ed ha ancora una grande influenza su di loro".
Oltre alla vittoria elettorale, Erdogan
incassa anche le buone notizie sull'economia della Turchia che nel
quarto trimestre 2013 è cresciuta ad un ritmo leggermente più
veloce (+4,4% rispetto al +4,3 del terzo trimestre), mentre la
crescita economica dell'intero anno si è attestata a +4%, rispetto
al +2,1% del 2012. I mercati turchi, da parte loro, hanno reagito
positivamente alla vittoria di Erdogan, evidentemente nella
convinzione che questo garantisca stabilità al Paese: la Borsa di
Istanbul oggi ha aperto con un +1,95%, mentre la lira
turca ha toccato quota 2,163 rispetto al dollaro, il valore più alto
dal 29 gennaio scorso.
Dopo la parentesi elettorale l'Unione
Europea auspica che la Turchia rilanci gli sforzi per le riforme
necessarie per proseguire il già complicato (e incerto) negoziato
per l'adesione. Il che significa, ha detto ai giornalisti a Bruxelles
Maja Kocijancic, portavoce dell'Alto rappresentante per la politica
estera e di sicurezza comune europea, Catherine Ashton, “impegnarsi
di nuovo pienamente sulle riforme in linea con gli standard europei
sullo stato di diritto e sui diritti fondamentali”. La portavoce ha
poi parlato degli "sviluppi preoccupanti" degli ultimi tre
mesi e ha invocato sforzi "per raggiungere tutti i cittadini,
inclusi quelli che non hanno votato per la maggioranza", in modo
da assicurare "il più forte coinvolgimento possibile sulle
riforme".
Le prime dichiarazioni di Erdogan dopo
la vittoria, tuttavia, non promettono niente di buono. Parlando dal
balcone della sede del Akp ad Ankara davanti a migliaia di
sostenitori in festa, il premier ha annunciato, infatti, che ora i
“traditori” della nazione “la pagheranno”. "Non ci sarà
uno stato nello stato, è giunta l'ora di eliminarli", ha
tuonato Erdogan con un chiaro riferimento a Fetullah Gulen, il capo
della potente organizzazione cultural-religiosa Hizmet, che da grande
sostenitore è diventato il più acerrimo nemico del premier che lo
accusa di complottare per far cadere il suo governo. Il messaggio è
chiaro: gli oppositori, da qualunque parte provengano, continueranno
a trovare pane per i loro denti.
"Il popolo della Turchia oggi ha
smontato tutti i piani e le trappole amorali, quelli che hanno
attaccato la Turchia sono stati smentiti", ha affermato ancora
il leader dell'Akp nella manifestazione che ha celebrato la vittoria.
Cumhuriyet scrive che dal premier è venuto un "messaggio di
rivalsa", mentre Radikal ritiene che Erdogan abbia pronunciato
"minacce" e Karsi parla di "democrazia oscurata".
La definizione pare appropriata, viste le misure prese contro
Internet e social media, per non dire delle persecuzioni contro i
giornalisti non allineati. E d'altra parte, con un successo simile,
perché Erdogan dovrebbe tenere in conto gli ammonimenti di Bruxelles
a lavorare sui diritti umani e sui diritti fondamentali “per
vedere dei progressi reali della Turchia sul percorso europeo"?
Siamo sicuri che gli interessi ancora quel percorso?
Ora, secondo molti osservatori, la
vittoria di ieri spingerà Erdogan a presentarsi alle presidenziali
del 10 agosto, le prime che si svolgeranno con elezione diretta, dopo
la modifica della Costituzione voluta e ottenuta grazie alla forza
parlamentare dell'Akp. Con l'appoggio della maggior parte della
popolazione e l'economia che si mantiene forte, i favori del
pronostico sono dalla sua. Di contro l'opposizione non appare in
grado di proporre non solo un candidato, ma soprattutto una proposta
politica e una “vision”, altrettanto forte. Gulen a parte, i
maggiori problemi per Erdogan potrebbero venire dal suo stesso
partito: ma all'Akp conviene azzoppare un cavallo così vincente?
Certo, sul piano internazionale il bilancio non è altrettanto
esaltante, ma da che mondo e mondo non è con la politica estera che
si vincono le elezioni. In ogni modo, si prepara una nuova fase di
forti tensioni: trattandosi della Turchia è quasi una non-notizia,
ma ciò non la rende meno vera.
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