Oggi si celebra il Giorno della Memoria. La data è quella in cui, nel 1945, l'Armata Rossa entrò nel campo di sterminio nazista di Auschwitz. Sono passati esattamente settant'anni. Oggi si ricorda lo sterminio e si onora la memoria dei milioni di ebrei e, insieme a loro, degli slavi, dei rom e sinti, dei prigionieri, dei dissidenti politici, dei disabili, degli omosessuali, di tutti coloro che furono messi a morte in maniera pianificata e sistematica e implacabile perché "subumani", "inferiori", “indesiderabili” non meritevoli di vivere. La Shoah è la pagina più abominevole e indicibile della storia dell'umanità. Non è l'unica, purtroppo, ma è unica nel modo con cui l'annientamento fu teorizzato, organizzato e realizzato dal Nazismo e dai suoi alleati: il culmine di una storia secolare di persecuzioni, pregiudizi e discriminazioni.
Lo scorso anno, il rabbino capo della Comunità ebraica di Roma Riccardo Di Segni, in un articolo sul quotidiano Il Tempo, ammoniva che l’ostilità antiebraica non si è esaurita con la Shoà, ma "continua in questo Paese oggi e si esprime in tante forme". Per questo, continuava Di Segni, "è necessario che la società vigili e ricordi, che denunci, che non ceda, che non minimizzi, che non assolva e che non si autoassolva", perché "non c'è bisogno di essere ebreo per essere oggetto di ostilità e di odio, basta essere in qualche modo solo un po’ diverso". E' per questo che l’insegnamento che deriva da quella tragedia non riguarda solo gli ebrei e fatti di 70 anni fa, ma "è un discorso attuale in una società che cambia e che si fa fatica e seguire nelle sue evoluzioni tumultuose e nei germi anche micidiali che può covare al suo interno".
Primo Levi, in un'intervista della Rai degli anni '70, ad un certo punto diceva: "Pochissimi oggi riescono a ricostruire, a ricollegare quel filo conduttore che lega le squadre di azione fasciste degli anni Venti in Italia [...] con i campi di concentramento in Germania - e in Italia, perché non sono mancati nemmeno in Italia, questo non molti lo sanno - e il fascismo di oggi, altrettanto violento, a cui manca soltanto il potere per ridiventare quello che era, cioè, la consacrazione del privilegio e della disuguaglianza [...] Il lager, Auschwitz, era la realizzazione del fascismo, era il fascismo integrato, completato, aveva quello che in Italia mancava, cioè il suo coronamento [...] Io, purtroppo, devo dirlo, lo so questo, non è che lo pensi, lo so: so che si possono fare dappertutto [...] Dove un fascismo - non è detto che sia identico a quello - cioè un nuovo verbo, come quello che amano i nuovi fascisti in Italia, cioè non siamo tutti uguali, non tutti abbiamo gli stessi diritti, alcuni hanno diritti e altri no. Dove questo verbo attecchisce alla fine c'è il lager: questo io lo so con precisione".
Claudio Magris, nel discorso pronunciato al Quirinale in occasione della celebrazione del 27 gennaio 2009, spiegò come memoria significhi rapporto con la propria identità e consapevolezza non fanatica di quest'ultima: "La memoria è anche una garanzia di libertà; non a caso le dittature cercano di cancellare la memoria storica, di alterarla o distruggerla del tutto. Le tirannidi la deformano, i nazionalismi la falsificano e la violentano, il totalitarismo soft di tanti mezzi di comunicazione la cancella, con una insidiosa violenza che scava paurosi abissi fra le generazioni. La memoria ebraica può parlare a nome di tutte le vittime del mondo e della storia. La memoria guarda avanti; si porta con sé il passato, ma per salvarlo, come si raccolgono i feriti e i caduti rimasti indietro".
Memoria, dunque, non semplice ricordo e rituale celebrazione; memoria come coscienza di sé, della propria storia e del proprio futuro; memoria viva come strumento di conoscenza perché, come disse Primo Levi, "se comprendere è impossibile, conoscere è necessario".
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