mercoledì 7 gennaio 2015

NOUS SOMMES TOUS CHARLIE...

... e siamo tutti Ahmed, siamo tutti Mustapha, siamo tutti Frederick, Elsa, George, Stephane, Bernard, e tutti i colleghi di Charlie Hebdo e le vittime innocenti della Porte de Vincennes e tutte le vittime innocenti del fanatismo

Lucille Clerc, "Ieri, oggi, domani"

Non è facile parlare e scrivere dopo quello che accaduto in questi giorni, dalla strage alla redazione di Charlie Hebdo all'epilogo sanguinoso di venerdì con la morte dei terroristi e di ostaggi innocenti. Non è facile evitare di dire cose già dette e ripetute, evitare di aggiungere altra retorica alle emozioni pur naturali e spontanee che si provano di fronte a fatti come questi.

Certo, di fronte a certi titoli di giornali, a certi editoriali che abbiamo letto in queste ore, di fronte a dichiarazioni populiste, xenofobe e razziste che pensano di rispondere all'odio e alla paura, seminando altro odio e altre paure, verrebbe da stare in silenzio, da invocare silenzio.

Eppure non si può e non si deve restare in silenzio. Perché il silenzio della paura è ciò a cui ci vorrebbero ridurre i fanatici fondamentalisti di ogni risma. Il silenzio della paura è quello a cui finirebbero per ridurci anche certi politici senza scrupoli con le loro dichiarazioni irresponsabili.

Per questo non ci si deve ridurre al silenzio e bisogna invece scrivere e parlare, perché il diritto e la libertà di parola e di pensiero l’Europa se li è conquistati a caro prezzo in secoli di lotte, spesso anche a costo di tante vite umane.

Se quello che viviamo è uno scontro di civiltà, esso non è, come qualcuno ci racconta, uno scontro tra civiltà, ma uno scontro della civiltà contro la barbarie. E soprattutto non è una guerra di religione.

Noi che da tanti anni seguiamo e raccontiamo la realtà dell'Europa sud orientale sappiamo quanto sia stato sbagliato guardare a ciò che è accaduto venti anni fa nella ex Jugoslavia come una guerra di religione. La componente religiosa c'era, ma fu usata, insieme a quella nazionalista, per aizzare un popolo contro l'altro, un'etnia contro un'altra, una persona contro l'altra, e nascondere così le vere ragioni dei conflitti che travolsero i Balcani.

Sono gli stessi mostri che tornano oggi ad agitare quei politici che di nuovo parlano di muri, di ghetti, di espulsioni, di civiltà superiori e inferiori; che giudicano le persone a prescindere, per il colore della pelle o per il loro credo religioso e non per quello che dicono o che fanno o per i reati che eventualmente commettono.

La democrazia è fragile, può perdere molte battaglie, e va difesa ogni momento perché non deve mai essere data per scontata. Oggi, quindi, anche noi, la nostra piccola redazione di Passaggio a Sud Est, siamo Charlie, ognuno con le sue idee, le sue opinioni, i suoi giudizi sulle cose del mondo e anche sul lavoro che facevano i colleghi di Charlie Hebdo.

La democrazia ha però in sé anche una grande forza che è proprio la sua libertà che è anche libertà di discutere di sé stessa senza avere paura delle idee differenti, anche quelle che appaiono scandalose o offensive. Libertà che è anche ammettere la libertà di dissentire dalla libertà stessa.

Per questo oggi e tutti i giorni dell'anno “siamo Charlie” e siamo Ahmed, siamo Mustapha, siamo Frederick, Elsa, George, Stephane, Bernard, e tutti i colleghi di Charlie Hebdo e le vittime innocenti del supermercato kasher della Porte de Vincennes e tutte le vittime del fanatismo.


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