... e siamo
tutti Ahmed, siamo tutti Mustapha, siamo tutti Frederick, Elsa,
George, Stephane, Bernard, e tutti i colleghi di Charlie Hebdo e le
vittime innocenti della Porte de Vincennes e
tutte le vittime innocenti del fanatismo
Lucille Clerc, "Ieri, oggi, domani" |
Non
è facile parlare e scrivere dopo quello che accaduto in questi
giorni, dalla strage alla redazione di Charlie Hebdo all'epilogo
sanguinoso di venerdì con la morte dei terroristi e di ostaggi
innocenti. Non è facile evitare di dire cose già dette e ripetute,
evitare di aggiungere altra retorica alle emozioni pur naturali e
spontanee che si provano di fronte a fatti come questi.
Certo,
di fronte a certi titoli di giornali, a certi editoriali che abbiamo
letto in queste ore, di fronte a dichiarazioni populiste,
xenofobe e razziste che pensano di rispondere all'odio e alla paura,
seminando altro odio e altre paure, verrebbe da stare in silenzio, da
invocare silenzio.
Eppure
non si può e non si deve restare in silenzio. Perché il silenzio
della paura è ciò a cui ci vorrebbero ridurre i fanatici
fondamentalisti di ogni risma. Il silenzio della paura è quello a
cui finirebbero per ridurci anche certi politici senza scrupoli con le
loro dichiarazioni irresponsabili.
Per
questo non ci si deve ridurre al silenzio e bisogna invece
scrivere e parlare, perché il diritto e la libertà di parola e di
pensiero l’Europa se li è conquistati a caro prezzo in secoli di
lotte, spesso anche a costo di tante vite umane.
Se
quello che viviamo è uno scontro di civiltà, esso non è, come
qualcuno ci racconta, uno scontro tra civiltà, ma uno scontro della
civiltà contro la barbarie. E soprattutto non è una guerra di
religione.
Noi
che da tanti anni seguiamo e raccontiamo la realtà dell'Europa sud
orientale sappiamo quanto sia stato sbagliato guardare a ciò che è
accaduto venti anni fa nella ex Jugoslavia come una guerra di
religione. La componente religiosa c'era, ma fu usata, insieme a
quella nazionalista, per aizzare un popolo contro l'altro, un'etnia
contro un'altra, una persona contro l'altra, e nascondere così le vere
ragioni dei conflitti che travolsero i Balcani.
Sono
gli stessi mostri che tornano oggi ad agitare quei politici che di nuovo
parlano di muri, di ghetti, di espulsioni, di civiltà superiori e
inferiori; che giudicano le persone a prescindere, per il colore
della pelle o per il loro credo religioso e non per quello che dicono
o che fanno o per i reati che eventualmente commettono.
La
democrazia è fragile, può perdere molte battaglie, e va difesa ogni
momento perché non deve mai essere data per scontata. Oggi,
quindi, anche noi, la nostra piccola redazione di Passaggio a Sud Est, siamo
Charlie, ognuno con le sue idee, le
sue opinioni, i suoi giudizi sulle cose del mondo e anche sul lavoro che facevano i
colleghi di Charlie Hebdo.
La
democrazia ha però in sé anche una grande forza che è proprio la sua libertà
che è anche libertà di discutere di sé stessa senza avere paura
delle idee differenti, anche quelle che appaiono scandalose o
offensive. Libertà che è anche ammettere la libertà di dissentire dalla libertà stessa.
Per
questo oggi e tutti i giorni dell'anno “siamo Charlie” e siamo Ahmed, siamo Mustapha, siamo Frederick, Elsa, George, Stephane, Bernard, e tutti i colleghi di
Charlie Hebdo e le vittime innocenti del supermercato kasher della
Porte de Vincennes e tutte le vittime del fanatismo.
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