La Serbia ha respinto un'ipotesi
d'accordo con il Kosovo, ma intende continuare a negoziare con
Pristina (anche perché questa è una condizione chiave per ottenere
la data di avvio dei negoziati di adesione all'Unione europea). "Il
governo della Serbia non può accettare i principi presentati
verbalmente al suo team negoziale a Bruxelles, dal momento che non
garantiscono una piena sicurezza e protezione dei diritti umani per i
serbi che vivono in Kosovo", ha affermato ieri il primo ministro Ivica Dacic che ha comunque
lanciato un appello per una "ripresa urgente del dialogo con la
mediazione dell'Unione europea" (ricordiamo che al termine
dell'incontro a Bruxelles la scorsa settimana con il premier kosovaro
Hashim Thaci, l'Altro rappresentante per la politica estera europea,
Catherine Ashton, aveva annunciato che si trattava dell'ultimo
incontro ufficiale in quella sede). Le parti restano, quindi,
sostanzialmente sulle loro posizioni, per cui il no ad un accordo era
ampiamente preannunciato: il dissidio riguarda lo status della
comunità serba che vive nel nord del Kosovo.
Dopo il fallimento dell'incontro di
martedì scorso, Belgrado attendeva un documento scritto con
"l'offerta finale" dell'Ue, anche se il governo serbo aveva
lasciato subito intendere di non aspettarsi molto. La questione del
documento da Bruxelles aveva poi assunto contorni confusi: secondo la
stampa belgradese, al premier Ivica Dacic e al primo vicepremier
Aleksandar Vucic sarebbe stato chiesto di accettare una proposta
"orale", o "solo parzialmente letta" addirittura
"in parte scritta a macchina, in parte a mano" come ha
scritto Politika. Ad un esame più attento, la delegazione serba si
sarebbe ritrovata con un'offerta di soluzione "addirittura
peggiore, che prevede meno poteri per la comunità delle municipalità serbe
rispetto alla soluzione in otto punti prospettata precedentemente”,
determinando un quadro definito "inaccettabile" dai
negoziatori serbi. "Non possiamo firmare la nostra
capitolazione”, ha detto Dacic al primo ministro francese Jean-Marc
Ayrault: "Prima ci hanno detto che i serbi avrebbero avuto
un'ampia autonomia in Kosovo, poi non se ne è fatto niente, anzi,ai serbi stanno offrendo meno autonomia
di quanta ne abbia una qualsiasi città francese".
Il nodo è quello del futuro della
minoranza serba che vive in Kosovo, in particolare nel Nord, dopo l'indipendenza proclamata
unilateralmente dai kosovari albanesi nel 2008. Belgrado continua a
respingere la secessione di quella che considerare una propria
provincia serba, seppure sottratta alla propria amministrazione sulla
base della risoluzione 1244 del Consiglio di sicurezza. Pristina ha
accettato la proposta di creare una associazione dei comuni a
maggioranza serba dotata di una certa autonomia amministrativa, ma è
decisamente contraria a concedere loro poteri esecutivi e giudiziari
chiesti da Belgrado. Le autorità kosovare temono che un'autonomia
troppo ampia per il nord rappresenti un rischio di futura secessione
della regione con la creazione di una entità serba sul modello di
quella creata in Bosnia dagli accordi di pace del 1995. Il 16 aprile
la Commissione Europea pubblicherà il nuovo rapporto sul negoziato,
che il 23 sarà poi esaminato dai ministri degli Esteri dei
Ventisette, per poi essere trasmesso ai leader Ue in vista del
Consiglio europeo di fine giugno che dovrà decidere se fissare la
data di apertura dei negoziati di adesione della Serbia o se rinviare
ancora.
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