venerdì 5 agosto 2011

TURCHIA, ACCORDO ERDOGAN/MILITARI: COMINCIA LA SECONDA REPUBBLICA?

L'accordo tra il premier turco Erdogan e i militari sui nuovi vertici delle forze armate segna una svolta storica per la Turchia: per la prima volta l'etablishment militare deve arretrare di fronte al potere politico. E' forse l'inizio della "seconda repubblica", ma il governo islamico-moderato deve dimostrare di voler utilizzare la nuova situazione per estendere diritti e libertà


Non è ancora un armistizio, ma un “cessate il fuoco” sì. Una tregua con cui il premier turco Recep Tayyip Erdogan e i militari hanno deciso, almeno per ora, di sospendere le ostilità che si trascinano ormai da anni tra governo islamico-moderato e establishment militare. Il Supremo Consiglio Militare turco ha infatti concluso ieri la sua riunione, dopo quattro giorni di lavori, trovando un compromesso sui nuovi vertici delle forze armate. Si tratta di un risultato importante e per nulla scontato, viste le premesse, ovvero le clamorose dimissioni in blocco del capo di stato maggiore generale Isik Kosaner e dei vertici delle tre armi annunciate il 29 luglio scorso. Alla base di quella decisione senza precedenti, c’erano gli arresti avvenuti nei mesi scorsi di alti ufficiali dell'esercito accusati di fare parte dell'organizzazione segreta Ergenekon, che in passato avrebbe cercato di rovesciare l'attuale esecutivo islamico-moderato con il cosiddetto piano “Balyoz” (colpo di martello), risalente al 2003. A dare fuoco alle polveri è stato però il rifiuto di Erdogan di promuovere i militari che sono attualmente in carcere in attesa di giudizio per quell’inchiesta.

L’accordo sulle nuove nomine è stato raggiunto grazie alla lunga e delicata mediazione portata avanti dallo stesso Erdogan e dal capo di stato maggiore ad interim, Necdet Ozel, che ha dovuto trattare con un esecutivo che non ha mai fatto mistero di voler sottomettere le forze armate alla politica, restringendo il ruolo e il potere che per oltre tre quarti di secolo esse hanno avuto nella repubblica turca fondata da Kemal Ataturk. Proprio le dimissioni in blocco dei vertici militari potrebbero, però, avere indotto Erdogan a cercare un accordo con maggiore convinzione. In effetti, il compromesso, frutto di un "ampio consenso" secondo la stampa turca, è stato trovato dopo riunioni fiume e, a giudicare dall’esito del negoziato, Ozel per il momento sembra essersi dimostrato all'altezza del ruolo che si è trovato a ricoprire. Erdogan, da parte sua, ha ottenuto un risultato che alla lunga potrebbe dimostrarsi di enorme portata, ovvero sottomettere le nomine dei vertici militari al potere politico, nello stesso tempo, però, dovrà ora dimostrare abilità e diplomazia nei rapporti con le forze armate, che mantengono pur sempre un ruolo rilevante nella società turca.


Ozel, un pragmatico, non pregiudizialmente ostile al governo in carica e disponibile ad una trattativa sulla questione curda, è stato così confermato capo di stato maggiore generale. Il comando dell’esercito è stato assegnato al generale Hairy Kivrioglu, la figura meno sgradita al governo tra i candidati possibili, per quanto non certo fra i favoriti di Erdogan. Nel 2015, Kivrioglu, secondo la prassi, dovrebbe poi prendere il posto di Ozel. L'aeronautica passa invece sotto il comando del generale Mehmet Erten, mentre al vertice della marina arriva l’ammiraglio Murat Bilgel. Ozel è riuscito, inoltre, a mettere in stand-by per un anno i 14 militari in carcere per i quali il governo voleva il pensionamento. Su questo punto delicatissimo, Erdogan ha rinunciato per ora a calcare la mano rinviando la questione all'anno prossimo. Per quanto riguarda, infine, i due “duri” Saldiray Berk e Aslan Guner (famoso per aver negato due volte il saluto alla moglie del presidente Gul perché indossa il velo islamico), il primo andrà in pensione, mentre l’altro, un po’ a sorpresa ma non troppo, andrà a dirigere l'accademia militare.

L’esito della trattativa può essere interpretato anche come frutto di un atteggiamento diplomatico di Erdogan, interessato forse più a consolidare i nuovi rapporti di forza del governo nei confronti delle forze armate, piuttosto che a imporre a tutti i costi il suo potere. Anche perché, i nuovi comandanti militari sono tutti ufficiali formatisi in una Turchia in cui le forze armate erano autorizzate a intervenire nella vita civile se la situazione lo richiedeva. E non hanno esitato a farlo ogni volta che lo hanno ritenuto opportuno: con veri e propri colpi di stato (come nel 1960, nel ’70 e nell’80), con “pronunciamenti”, come quello con cui nel 1997 costrinsero alle dimissioni l’allora premier Erbakan (padre politico di Erdogan), o come l’”avvertimento” lanciato via Internet nel 2007 proprio a Erdogan, con cui tentarono di impedire l’elezione di Gul alla presidenza della repubblica. Un’iniziativa che però non ebbe successo e che costituì il primo successo di Erdogan nel suo braccio di ferro con i militari. Ora, quale che sia l’andamento del confronto Akp/militari nel futuro più o meno immediato, è un fatto che, per la prima volta, i militari hanno ceduto di fronte al governo e in Turchia, da più parti, gli analisti cominciano a parlare di "seconda repubblica", prodotto delle trasformazioni cominciate quando l’AKP salì al governo nel 2002 e che hanno portato ad un graduale ridimensionamento dell’influenza delle Forze armate, parallelo alla perdita di potere delle élites kemaliste.

Tuttavia, l’irrompere sulla scena politica di strati sociali tradizionalmente esclusi dai meccanismi di governo, grazie all’ascesa dell’Akp, e l’esclusione dell’esercito dalla politica, ha scritto per esempio Aslı Aydıntaşbaş su Milliyet, “non sta a significare che la lotta per la democrazia sia finita. Abbiamo ancora problemi di democrazia e di diritti umani. Non avremo più ‘il regime di sicurezza nazionale’, ma non c’è dubbio che concetti come ‘autoritarismo civile’, ‘autoritarismo soft’ e ‘democrazia illiberale’ siano ancora molto attuali”. Con il ridimensionamento del potere dei militari l’Akp dovrà dunque dimostrare di saper utilizzare la nuova situazione per estendere e rafforzare i diritti di cittadinanza e le libertà fondamentali. Da questo punto di vista la questione curda rappresenta un vero e proprio banco di prova per il governo. “Tutte le giustificazioni avanzate finora sugli impedimenti creati dalle autorità militari non avranno più senso”, ha affermato Filiz Koçali, co-leader del Bdp (il Partito della pace e democrazia che rappresenta i curdi in parlamento), e “il segnale più palpabile del passaggio da un autoritarismo militare ad un governo realmente democratico – o ad uno stato di polizia-militarista – si vedrà dai passi compiuti nella questione curda”. [RS]

Nessun commento:

Posta un commento