Il presidente serbo Boris Tadic |
In un articolo molto interessante, pubblicato su EaST Journal, Stefanovic punta il dito su un sistema partitico marcio e corrotto, sulla lottizzazione ed il parassitismo, sulla tacita e massiccia censura dei media, su una politica, estera e interna, cinica e ipocrita, sul testardo mantenimento e sovenzionamento di strutture parallele in territorio straniero (Kosovo) e sulla ripetizione di slogan degni dell'epoca di Milošević, che hanno portato in questi ultimi giorni ad un grave crescendo di tensioni interetniche. Secondo Stefanovic, le due coalizioni partitiche che si appoggiano al governo, sono totalmente incapaci di occuparsi e stanno favorendo la prossima vittoria elettorale di Nikolić, che per quanto possa rappresentare l’ala moderata e costituzionalista della destra serba, condivide pur sempre nel proprio Dna le origini storiche degli ultranazionalisti. In questo quadro l’unica alternativa possibile è il Partito liberaldemocratico di Čedomir Jovanović, più vicino alle posizioni originarie dell’ex premier Zoran Đinđić e più sinceramente europeista, oltre che unico partito favorevole all’indipendenza del Kosovo: ma esso rappresenta solo il 5% circa dell’elettorato e alle prossime elezioni potrebbe allearsi coi Democratici di Tadic per garantirne la maggioranza, venendo così neutralizzato.
Io non mi considero certo un grande esperto di cose balcaniche, però ammetto di condividere abbastanza quell'immagine della Serbia attuale che Stefanovic accusa di essere troppo superficiale e troppo ottimista. Ma, nonostante la sua analisi, in qualche passaggio, mi sembri eccessivamente pessimista, trovo il suo articolo molto interessante, anche perché condivido le conclusioni, là dove Stefanovic scrive che se ad oggi le uniche speranze per mettere in moto la Serbia stanno in spinte esterne da parte dell’Europa, "sarebbe ancora più opportuno che l’occidente avesse una visione quanto più obiettiva e disincantata della politica serba, lasciando da parte certi affreschi ormai banali e quasi stucchevoli di una democrazia in costruzione, e chiedendosi finalmente perché, a dodici anni dalla rivoluzione che ha detronizzato Milošević, più di quanti sia durato il suo stesso regime, la “transizione” sia un processo ormai eternalizzato, quasi mitico, piuttosto che felicemente riuscito e storicamente concluso". [RS]
Leggi: "Serbia: Boris Tadić, la faccia (poco) filoeuropea di un paese in affanno" di Filip Stefanović
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