lunedì 22 agosto 2011

CRIMINI DI GUERRA IN KOSOVO: HARADINAJ DI NUOVO A PROCESSO

Ramush Haradinaj
L'ex premier kosovaro ed ex comandante dell'Uck (Esercito di liberazione del Kosovo), Ramush Haradinaj, e due suoi “compagni d'arme” sono tornati nuovamente davanti al Tribunale internazionale per l'ex Jugoslavia che li deve giudicare una seconda volta per i crimini di guerra che avrebbero commesso nel corso della guerra del 1998-1999. Ramush Haradinaj (43 anni) e Idris Balaj (39 anni), ex comandante del corpo speciale delle "Aquile nere" dell'Uck, devono rispondere di sei capi d'accusa che comprendono omicidio, crudeltà e tortura commessi principalmente al centro di detenzione dell'Uck di Jablanica. I due sono accusati di aver ucciso, torturato e percosso civili serbi, oppositori politici oltre a presunti collaborazionisti dei serbi. Il terzo accusato, Lahi Brahimaj (41 anni), altro ex comandante dell'Uck, deve invece essere giudicato per quattro capi d'accusa. I tre uomini compaiono nuovamente di fronte ai giudici perché la corte d'appello, nel luglio del 2010, aveva disposto un nuovo giudizio su alcuni capi d'accusa perché i testimoni erano stati gravemente intimiditi “compromettendo l'equità del processo” di primo grado, svoltosi tra il 2007 e il 2008. La ripetizione, seppure parziale, di un processo è una novità nella storia del tribunale internazionale. Nerma Jelacic, portavoce della corte, ha spiegato che “l'obiettivo è di dare l'occasione all'accusa di leggere gli elementi di prova che non ha potuto presentare in modo adeguato”.

Haradinaj è il più alto dirigente kosovaro sotto processo davanti al Tribunale internazionale ed è considerato un eroe dagli albanesi del Kosovo. In primo grado era stato chiamato a rispondere di 37 capi d'accusa riguardanti crimini contro l'umanità e crimini di guerra, tra cui torture, omicidi e stupri commessi durante la guerra. La richiesta dell'accusa era stata di 25 anni di prigione per tutti e tre gli imputati, ma nell'aprile 2008, Haradinaj e Balaj erano stati assolti, mentre Brahimaj, giudicato colpevole di torture, era stato condannato a sei anni. I giudici di secondo grado hanno però dato ragione al procuratore, che aveva affermato di “non aver avuto abbastanza tempo per ottenere la deposizione di due testimoni chiave”. Una ventina di testimoni si erano rifiutati di testimoniare in aula perché, secondo la corte d'appello, i giudici di primo grado non avevano preso “misure sufficienti per impedire l'intimidazione dei testimoni” e non hanno consentito all'accusa tempi supplementari per convincere due testimoni che, secondo la procura, “possedevano le prove dirette della colpevolezza degli accusati”, a deporre in aula. Secondo i giudici dell'appello, rifiutandosi di concedere più tempo, il tribunale di prima istanza ha commesso “un errore” che ha “compromesso l'equità del processo” e “comportato un errore giudiziario”, obbligando a ripetere in parte il processo.

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