di Stefano Lusa, Capodistria 20 novembre 2014
Pubblicato da Osservatorio Balcani e Caucaso
Dal solito gruppo di ubriaconi, che occupa la panchina sotto la cattedrale di Lubiana, qualcuno si alza e va a chiedere ai passanti qualche moneta “per comprare un panino”, ma a tutti è chiaro che l’elemosina servirà per un’altra bottiglia di vino; di fianco una banda d’ottoni suona musiche balcaniche. Una folta comitiva di turisti italiani, attratta dai musicisti, fotografa divertita i “trubači” che sembrano appena usciti da un film di Kusturica. Qualcuno si gira e dedica uno scatto anche alla statua di France Prešeren. Il sommo poeta, simbolo dell’identità nazionale slovena, guarda quanto accade nella sua piazza e probabilmente pensa che quella scena è un po’ una metafora di quanto sta succedendo nel paese.
Retromarcia
L’infatuazione per il centroeuropa e per l’occidente, che aveva caratterizzato la Slovenia, dagli anni ottanta sino all’ingresso nell’Unione europea, sembra finita. Nell’aria aleggia uno strano desiderio di una nuova sintesi balcanica. Dalle radio sono tornati a risuonare vecchi e nuovi successi della scena musicale del resto dell’ex Jugoslavia. Severina, la “ragazza di campagna”, nota in regione per le sue canzoni ed anche per un video hard amatoriale, spopola in Slovenia con i suoi concerti pop folk, lo stesso accade anche a Ceca, l’esponente più becera - considerati anche i suoi legami familiari - del turbo folk serbo. Giovanotti e vistose ragazze, girano su belle macchine con i finestrini abbassati. Dalle loro autoradio, più che i grandi successi del panorama internazionale, risuonano ritmi balcanici, le tediose melodie delle klape dalmate o polchette slovene in versione pop, piene di doppi sensi.
Quella che a lungo era stata la Svizzera dei Balcani è in crisi. Il paese, una volta acciuffata l’Europa, è sembrato voler volgerle le spalle per riguardare a oriente, verso quelle spiagge dell’ex federazione che gli sloveni continuano ad affollare fedelmente ogni estate. I condizionamenti ed i pregiudizi sui Balcani, per i giovani nati dopo l’indipendenza, paiono non avere più senso, anzi. L’idea stereotipata dell’irruenza e della spontaneità balcanica sembra essere la risposta da contrapporre ai canoni di riservatezza e compostezza con cui i loro genitori hanno cercato di educare i figli.
Nel paese regna da tempo un clima di depressione profonda. Dopo anni di sviluppo, gli sloveni sono convinti che il loro tenore di vita sia calato e che le prospettive per il futuro siano anche peggiori. Nessun conforto sembra offrire la constatazione che tecnicamente non si è più in recessione. Nella realtà dei fatti le aziende continuano a fallire, mentre governo e sindacati proseguono una oramai costante discussione sui tagli nel settore pubblico. La classe politica, intanto, brancola nel buio e, sin dall’ingresso nell’Unione europea, sta dimostrando di avere poche idee, ma alquanto confuse sul da farsi.
Ex conquistatori
Tra le certezze slovene sgretolata soprattutto la convinzione di essere, almeno in quest’area, i primi della classe. Le aziende di Lubiana erano state leader incontrastate nella federazione jugoslava. I loro prodotti erano apprezzati e rappresentavano un sinonimo di qualità. Negli anni che seguirono l’indipendenza molte imprese si mossero su questi mercati, dove probabilmente la loro azione sarebbe stata anche più efficace se su di essa non avesse pesato l’annosa polemica legata ai depositi in valuta nelle filiali di Zagabria e Sarajevo della Ljubljanska banka.
Il simbolo della penetrazione ad oriente della Slovenia indipendente è stata sicuramente la Mercator. La grande catena di supermercati aveva aperto avveniristici centri commerciali nelle grandi città dell’ex federazione socialista ed aveva tentato di spingersi anche più in là. I suoi negozi, riforniti di ogni ben di Dio, sembravano essere delle vere e proprie ambasciate che propagandavano ad est la storia del successo sloveno. Era il progetto di Zoran Janković, l'attuale sindaco di Lubiana, che prima di darsi alla politica, era stato un lungimirante manager; frettolosamente defenestrato al tempo del primo governo Janša, quando la Mercator era in piena crescita.
Oggi l'azienda non è più quella di una volta. I grandi sogni di nuovi mercati sono finiti e con essi anche le prospettive per le aziende agroalimetari del paese di avere una capillare rete attraverso cui diffondere i propri prodotti ed il trade mark sloveno all'estero. Del resto l'azienda è stata venduta. Ad acquisirla non un una grande catena commerciale occidentale, ma una azienda croata, che era sempre stata una sua diretta concorrente. La difficile scalata era stata osteggiata per un po', ma alla fine Zagabria ha vinto, pagando anche meno di quello che avrebbero accettato di sborsare inizialmente. Non è il primo colpo dei croati in Slovenia. Alcuni anni fa era stato venduto un altro simbolo dell'industria alimentare, il colosso Droga Kolinska; mentre è di pochi giorni fa la notizia che un'altra azienda croata ha acquisito una serie di alberghi a Portorose, un tempo considerata la Montecarlo dei Balcani, tra cui il Metropol, lo storico albergo in cui era ubicato uno dei Casinò più rinomati di questo pezzo d'Europa.
Addio Figovec
Finiti i sogni di mirabolanti progetti per continuare a giocare un ruolo importante nei Balcani ora sembrano i Balcani giocare un ruolo sempre più importante in Slovenia. Del resto il paese sta mutando. A Lubiana sta per sparire, o per meglio dire cambiare radicalmente, una delle più antiche trattorie, il Figovec, considerata alla stregua di una vera e propria istituzione nazionale. Tra i suoi clienti fissi, ad onor del vero più per bere che per mangiare, anche il poeta France Prešeren frequentatore assiduo del locale come una fitta schiera di personaggi di primo piano del mondo culturale nazionale. La sua offerta con cibi tradizionali, rimasta praticamente immutata per secoli, sembra non tirare più. La nuova proprietà ci farà un ristorante indiano. Si chiamerà Curry Life Figovec (sic!).
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