“Lavoreremo sodo, fino alla fine delle nostre forze, grazie all’energia che ci hanno dato i nostri sostenitori [...] energia che c’è sempre stata negli incontri fatti durante la campagna elettorale lunga 16.000 chilometri”, dice Jovanovic nell'intervista, aggiungendo che dopo il voto “ci sarà un Paese nel quale le persone vedranno un futuro migliore per loro e i loro figli” e che la Serbia “sarà uno Stato efficace e orientato al futuro, altruista e responsabile, felice e pacifico”.
Il risultato di Preokret – singolare coalizione nata dall'accordo tra Jovanovic e Vuk Draskovic – è stato alla fine inferiore alle attese. “Solo con un grande appoggio elettorale potremmo essere al governo e realizzare quello che i nostri elettori si aspettano”, dice Jovanovic nell'intervista. Il grande successo non c'è stato, ma alla fine i 20 seggi ottenuti di Preokret potrebbero essere determinanti per il futuro governo dato che i seggi di democratici e socialisti da soli non bastano.
L'intervista, anche se pubblicata prima del voto, è comunque interessante per quanto riguarda le posizioni di Jovanovic e il suo possibili atteggiamento dopo il ballottaggio del 20 maggio per le presidenziali.
Vuk Draskovic e cedomir Jovanovic |
Poco tempo fa avete detto che solo il partito DS di Tadić potrebbe essere un vostro partner al governo. Il weekend scorso invece avete dichiarato che Tadić e Nikolić sono uguali. Potreste chiarire questa contraddizione?
Guardate le loro campagne politiche, come si relazionano uno con l’altro scappando dai problemi reali del Paese, facendo silenzio su questioni alle quali devono rispondere e su problemi che non sono riusciti a risolvere in passato, anche se avrebbero potuto. Sono uguali anche nella ricerca dell’appoggio di “Preokret” e nel non prendersi le responsabilità per le loro scelte.
I DS e Dinkić hanno garantito che dopo le elezioni non ci sarà un governo di coalizione con l’SNS di Nikolić. Perchè voi non l’avete fatto?
Non vedo nel partito SNS di Nikolić né politica, né capacità, né persone che possano lavorare insieme nel governo. Nikolić però ha il diritto, almeno verbalmente, di iniziare a mandare messaggi accettabili e diversi dopo 20 anni di errori terribili e di grandi danni fatti alla Serbia, ai nostri vicini e alle persone che qui hanno sofferto. Questo diritto non glielo posso togliere ma voglio dirgli di cambiare gesti e retorica e seguire politiche concrete, non offrendosi solo come copia di Tadić.
Come spiegate che Tadić costantemente dica che l’SPS di Dacić è un partito vicino e simile a voi di “Preokret”?
Anche il vice presidente deve essere schietto e capisco che a lui Dacić e l’SPS siano simpatici, infatti con loro ha intessuto rapporti con noi impossibili. I DS di Tadić e l’SPS di Dacić hanno coniato il motto: “Don’t ask, don’t tell”. Con noi l’accordo è possibile ma con principi completamente diversi, con chiari e pubblici accordi politici che contengano un piano su cosa vogliamo cambiare nel Paese, la verità sull’economia, la fine della demagogia, una diversa politica estera e regionale.
Potete dire le riforme che il nuovo governo deve portare avanti con l’obiettivo di sanare e sviluppare l’economia e l’impresa?
Subito nei primi 100 giorni di governo faremo nuove leggi sull’agricoltura, sul lavoro, sulla salute e le pensioni, sulle politiche giovanili, sulla cultura e l’insegnamento, perseguendo efficaci politiche di anticorruzione e riduzione delle tasse; adotteremo regole severe ma giuste per imprese statali e private, dando sovvenzioni solo per quelle che adotteranno misure di razionalizzazione, uscendo dal monopolio e sopportando la concorrenza. Basta agli arroganti, non ci saranno più garanzie statali per prestiti ad aziende che buttano via i soldi. Nello specifico il cambiamento della legge sul lavoro avverrà in due modi; difesa efficace dei diritti dei lavoratori in modo concreto e non una lista di desideri che nessuno rispetta e poi flessibilità legislativa, possibilità per i giovani e gli studenti di entrare nel mondo del lavoro così come succede nelle economie a libero mercato.
Dopo il 6 maggio che passi farete in tema di politica estera?
Faremo nuovi accordi con Bruxelles, Washingon e Mosca, nell’interesse reciproco, accanto a una chiara direzione europea; inizio degli accordi per l’ingresso nella UE, attivazione di aiuti reciproci tra le ex repubbliche jugoslave. Daremo soluzioni a vecchie domande e a cause ancora in corso con la Croazia, aiutando la Bosnia a diventare un paese che funzioni e andando insieme verso l’Europa nell’interesse di tutti i cittadini, serbi, bosniaci e croati. Anche sul Kosovo, apriremo un nuovo orizzonte politico per noi, il nostro popolo e quelli che con il nostro popolo là vivono e dai quali dipendono, cioè i kosovari albanesi... Non dobbiamo lasciare questi problemi ai nostri figli.
Cosa succederebbe se dopo le elezioni in Serbia (non) si svoltasse? In quale società vivremo?
Se vinceremo e svolteremo sarà l’inizio di un enorme e brillante lavoro nel quale ci sarà posto per tutti. Vogliamo fare un cambiamento per un Paese nel quale i politici lavorino nelle istiuzioni, ci sia successo nel lavoro e più qualità della vita per le persone ambiziose, laboriose e impegnate. Lo Stato e i partiti non soffocheranno più la vita e il potenziale degli uomini umiliandoli e sottovalutandoli.
Nella vostra campagna elettorale non avete mai parlato di una vita migliore, ma della creazione di una società nella quale tutti possano realizzare le loro potenzialità e “vengano valorizzate le persone che valgono”. Non è una strategia troppo rischiosa? Perchè non avete parlato di aziende e investimenti da attrarre?
Non dirò mai alla gente che “Preokret” può fare un governo che sia il loro tutore per sempre, che viva le loro vite, che cambi le fortune familiari...non desidero offendere le persone e mai mentirò. Non voglio che fra quattro anni qualcuno mi chieda: “Dove sono i miei 1000 euro di risparmio o cosa facciamo con 200.000 nuovi posti di lavoro se nel frattempo ne abbiamo persi altri 400.000?” Starò accanto alle persone per 4 anni e dirò loro cosa abbiamo fatto insieme per costruire un Paese normale.
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