La Fiat di Kragujevac (Reuters) |
Sono molte le imprese italiane che negli ultimi anni hanno investito nel mercato serbo. Basso costo del lavoro, condizioni fiscali favorevoli, disponibilità degli amministratori politici locali creano un terreno molto favorevole. C'e la Fiat, che di recente ha aperto lo stabilimento di Kragujevac per produrre la “500” dove una volta c'era la Zastava, creando un indotto che ha portato in quell'area altre aziende italiane legate al ciclo produttivo dell'auto. Ci sono Unicredit e Intesa San Paolo che da sole detengono il 25% del settore del credito in Serbia e sono le due principali banche commerciali del Paese (agevolando di conseguenza le imprese italiane). Ma c'è prima di tutto una realtà di centinaia di imprese attive soprattutto nel tessile oltre che nei settori dell'energia e delle infrastrutture.
La massiccia disoccupazione induce il governo centrale e le amministrazioni locali a favorire gli investitori stranieri. Grazie anche ad un sistema fiscale tra i più competitivi sia in termini di tassazione che di esenzioni. Senza contare che la Serbia, al centro di un'area di libero scambio che riguarda diverse decine di milioni di persone, si trova ad essere una vera e propria piattaforma di lancio verso altri mercati, mentre le merci serbe, grazie agli accordi con l'Ue, possono arrivare più facilmente anche negli Usa.
Certo non è tutto oro quello che luccica, I problemi sono tanti. Gli imprenditori non fanno beneficenza, tanto meno quando si tratta di colosso industriali o finanziari. L'arrivo di capitali esteri non risolve di colpo i problemi, a volte ne creano di nuovi, come dimostra proprio l'esempio dell'arrivo della Fiat a Kragujevac. Ma anche questo dovrebbe essere un motivo in più per guardare con attenzione alla Serbia, così come più in generale a tutta l'area balcanica. [RS]
La corrispondenza del 18 maggio per il notiziario del pomeriggio di Radio Radicale
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