L'Unione Europea e l'integrazione del sud est europeo
La crisi economica globale e i suoi effetti sulla Grecia con il conseguente indebolimento dell’euro e hanno praticamente monopolizzato la politica dell’Ue nei mesi scorsi, frenando bruscamente i processi di integrazione dei paesi in lista d'attesa e mettendo in crisi anche l'attuazione del Trattato di Lisbona. Da mesi si discute se l'Ue è arrivata al capolinea e cosa resta del progetto politico dei "padri fondatori". E naturalmente la discussione si sposta sull'allargamento e sul fino a dove si possono spingere i confini dell'Unione.
I prossimi mesi, dopo la pausa estiva, si presentano carichi di attese per il futuro dell'Unione: ci sono le questioni monetarie ed economiche, quella della ricerca di una politica estera comune (anche attraverso l'avvio del Servizio europeo d’azione esterna, il "ministero degli esteri" dell'Ue) sulla quale per ora pesa la difesa delle prerogative nazionali dei singoli paesi membri. Poi c'è, appunto, la questione del proseguimento del processo di allargamento: qui i teatri delle operazioni sono almeno due, i Balcani occidentali e la Turchia.
A questo tema è stato dedicato lo Speciale di Passaggio a Sud Est andato in onda ieri sera a Radio Radicale e realizzato come sempre con la collaborazione di Marina Szikora e Artur Nura.
Qui di seguito il testo dell'introduzione della puntata di ieri.
Dopo l’ampliamento dell’Ue da 15 a 27 Paesi, reso quasi obbligato dal crollo del blocco sovietico, l'allargamento vive ora una fase di stanchezza complicata da una generale crisi del sentimento europeista. Ma l'integrazione nell’Unione dei Balcani è necessaria per non lasciare in una sorta di limbo una regione storicamente instabile.
Alla conferenza svoltasi in giugno a Sarajevo l'Ue ha ribadito il proprio impegno e la promessa dell'integrazione della regione chiedendo però ai Paesi interessati altrettanto impegno per raggiungere gli standard richiesti e una sufficiente stabilità politico-economica interna. Il grado di avanzamento del processo di adesione cambia però da paese a paese.
La Croazia è ben avanzata nella trattativa e potrebbe entrare nel 2012, magari insieme all’Islanda, salvo soprese. Per Bosnia, Montenegro, Serbia, Macedonia, Albania e Kosovo le prospettive sono più complicate, trattandosi di Paesi che devono ancora fare molto in materia di stato di diritto, riforma del sistema giudiziario, rispetto delle libertà dei cittadini, lotta alla corruzione e alla criminalità organizzata. Tuttavia, passi avanti ci sono stati: Serbia, Montenegro e Macedonia sono da gennaio nell’area Schengen per quanto riguarda i visti e Albania e Bosnia potrebbero presto entrarci. A novembre la Commissione europea darà il parere sulla candidatura del Montenegro, la Serbia ha presentato qualche tempo fa la richiesta di ottenere lo status di candidato, e il dossier albanese è all'esame delle autorità di Bruxelles anche se la crisi politica interna conseguente allo scontro in atto da un anno tra maggioranza e opposizione crea molte preoccupazioni a Bruxelles che sembra intenzionata a intervenire direttamente per risolvere i problemi.
La Macedonia infine potrebbe finalmente veder sbloccato l'inizio del negoziato che attende dal 2005 a causa della disputa con la Grecia sul nome dell'ex repubblica jugoslava che sta impedendo a Skopje anche l'adesione alla Nato. E proprio all'Aleanza più che all'Ue sembra affidato il compito di favorire il compromesso. Ultimamente da Atene sono venuti alcuni segnali positivi: l'arrivo ad Atene del governo socialista ha allentato le rigidità elleniche come provano i diversi incontri già avvenuti tra i premier dei due Paesi. Nonostante ciò non sembra che una soluzione sia vicina.
Infine c'è la questione del Kosovo. La Corte di giustizia internazionale dell’Onu il 22 luglio ha giudicato legittima la dichiarazione d’indipendenza. Il parere della Corte dell’Aja probablmente inciderà sul processo di integrazione di tutti i Balcani nell’Unione europea. Prima però i 27 dovranno concordare una linea d’azione comune nei confronti del Kosovo: cinque paesi infatti - Spagna, Slovacchia, Romania, Grecia e Cipro – ancora non lo riconoscono.
Nella trasmissione si fa in particolare il punto della situazione per quanto riguarda Croazia, Serbia, Albania e Macedonia.
L'ultima parte è dedicata alla Turchia. Nella sua recente visita ufficiale ad Ankara, il premier britannico David Cameron ha annunciato che la Gran Bretagna intende essere la principale paladina della piena integrazione della Turchia all'Ue criticando apertamente le posizioni di Francia e Germania contrarie all'adesione in favore di un partenariato privilegiato. A parte la singolarità che una tale posizione venga da un Paese tradizionalmente euro-scettico come il Regno Unito e da un politico di non certo specchiata fede europeista come il leader conservatore, diversi osservatori hanno letto la polemica del premier inglese verso le posizioni di Sarkozy e Merkel come il confronto tra due diverse visioni dell'Ue: quella tradizionale, che privilegia il "soft power" e tutela le prerogative nazionali incarnata da Berlino e Parigi, e una visione più moderna che punta a fare dell'Ue un attore di primo piano sulla scena mondiale. Da questo punto di vista l'integrazione della Turchia, molto più di quella dei Balcani occidentali, sarà il banco di prova nei prossimi anni per misurare il futuro dell'Ue come progetto politico.
La Turchia nelle prossime settimane ha di fronte alcuni passaggi significativi. C'è un nuovo capo di stato maggiore generale: il generale Isik Kosaner è definito come un duro e come un difensore del secolarismo kemalista. Ma proprio la sua nomina e l'avvicendamento ai vertici delle froze armate che hanno portato a questa nomina, mostrerebbero che per la prima volta i generali sono stati sconfitti dal potere politico. Il 27 agosto il nuovo capo delle forze armate terrà il suo primo discorso pubblico e tutti gli occhi saranno puntati su di lui per capire quale potrà essere nei prossimi mesi il rapporto tra il governo islamico-moderato dell'Akp e l'establishment militare dopo i numerosi scontri di questi anni. Anche perché due settimane dopo i turchi voteranno per il referendum sulla riforma della Costituzione del 1982 (figlia del golpe militare dell'80), voluta dal premier Erdogan e che tra le altre cose mette dei paletti ad alcuni poteri dei militari e della magistratura.
Intanto Ankara ribadisce che l'integrazione nell'Unione è una delle priorità della sua politica internazionale, ma i fatti dimostrano che non è l'unica. L'iniziativa politico-diplomatica portata avanti all'insegna della dottrina della "profondità strategica" elaborata dall'attuale ministro degli Esteri, Ahmet Davutoglu, dimostra che la Turchia intende giocare un ruolo da potenza regionale nell'area che va dai Balcani al Medio Oriente al Caucaso, senza dimenticare il ruolo centrale nella definizione delle nuove rotte energetiche che riguardano estremamente da vicino l'Europa. La Turchia ha fatto capire chiaramente che l'Europa gli interessa ma non a qualunque prezzo. Sta a quest'ultima, nel senso di Unione Europea, decidere se vuole fare proprio questo straordinario capitale geopolitico.
Lo Speciale di ieri è riascoltabile direttamente qui
oppure sul sito di Radio Radicale nella sezione delle Rubriche
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