"Per avere le nostre armi, dovrete cambiare posizione su Iran e Israele". Lo avrebbe detto personalmente il presidente statunitense Barack Obama al primo ministro turco, Recep Tayyip Erdogan secondo quanto scrive oggi il Financial Times. L'ammonimento è "particolarmente significativo" dato che la Turchia vorrebbe acquistare velivoli americani senza pilota per attaccare le basi dei guerriglieri curdi del Pkk situate tra le montagne nel Kusdistan iracheno al confine con la Turchia, dopo il ritiro statunitense dall'Iraq previsto per la fine del prossimo anno.
Secondo una fonte dell'Amministrazione Usa riportata dal giornale, Obama avrebbe detto a Erdogan "che alcune delle azioni della Turchia hanno suscitato interrogativi che saranno sollevati in Congresso". Ovvero, dice sempre la fonte, la questione principale è "se possiamo avere o meno fiducia nella Turchia come alleato": "Questo significa che sarà più difficile far approvare dal Congresso alcune delle richieste che la Turchia ci ha fatto, per esempio a proposito di alcuni armamenti che vorrebbe avere per combattere il Pkk".
La legge americana prescrive che l'Amministrazione notifichi al Congresso la vendita di armamenti a Paesi della Nato con 15 giorni di anticipo. Per impedire una vendita del genere occorrerebbe una legge ad hoc. La cosa al momento non è alle viste (sarebbe un passo di estrema gravità), ma eventuali resistenze da parte del Congresso potrebbero indurre Obama a rinunciare alla transazione: insomma, a Washington cominciano a serpeggiare dubbi sulla lealtà dell'alleato turco. Ricordo che stiamo parlando del Paese che ha il secondo maggiore esercito della Nato dopo quello degli Usa.
Nel corso dell'incontro al G20 di Toronto alla fine di giugno, Obama rimproverò a Erdogan di non aver agito come un alleato per il voto contrario della Turchia all'Onu sulle nuove sanzioni all'Iran. Obama inoltre invitò il premier turco a moderare i toni nei confronti di Israele dopo il raid contro la cosiddetta "Freedom Flotilla" diretta verso Gaza che costò la vita di nove attivisti turchi. Gli ammonimenti sulla vendita di armi e gli inviti alla moderazione nei confronti di Israele non sembra però abbiano fatto grande impressione ad Ankara. Anzi.
L'Akp, il Partito per la Giustizia e lo Svilippo del primo ministro Erdogan ha deciso di escludere l'ambasciatore israeliano dalla tradizionale cena per la fine del Ramadan. Il presidente del comitato relazioni estere del partito, Omer Celik, ha spiegato in una conferenza stampa che il mancato invito non è una questione personale contro l'ambasciatore israeliano Gabi Levi, ma "un atto simbolico contro le politiche israeliane": nessuno che sia "ingiusto o iniquo può oltrepassare la soglia del Partito", ha aggiunto il dirigente dell'Akp.
La notizia è riportata dal sito del quotidiano israeliano Haaretz che ricorda come da quando è al governo, l'Akp ha sempre invitato alla cena tutti gli ambasciatori accreditati ad Ankara. La decisione di escludere quest'anno il rappresentante israeliano sarà pure "simbolica", ma è altrettanto, se non di più, pesantemente politica. A Tel Aviv non l'hanno sicuramente presa bene, ma, com'è lecito immaginare, nemmeno a Washington avranno gradito, visto il peso e l'influenza della cosiddetta "lobby ebraica" sulla politica statunitense.
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