Come ha raccontato Marina Szikora nella
corrispondenza per la puntata di Passaggio a Sud Est andata in onda
il 28 giugno a Radio Radicale (vedi anche il relativo post su questo blog), i colloqui tra Belgrado e Pristina
potrebbero proseguire “ad un livello più alto”. Il neo presidente serbo, Tomislav Nikolic, ha infatti annunciato
"nuovo capitolo" nel dialogo con le autorità kosovare
intrapreso a marzo 2011 con la mediazione dell'Unione europea, per
volontà dell'allora capo dello Stato filo-europeista Boris Tadic,
dopo oltre tre anni di gelo seguiti alla proclamazione unilaterale
dell'indipendenza da parte degli albanesi kosovari.
Dopo la pausa dovuta alle elezioni tenutesi
in Serbia lo scorso maggio e ora che il suo Partito serbo del
progresso (Sns) si appresta a far parte di un governo nazionalista
moderato guidato del leader del Partito socialista serbo (Sps), Ivica
Dacic, il dialogo "dovrebbe essere elevato ad un livello più
alto" ha detto, Nikolic all'emittente belgradese B92, precisando che dei
colloqui con Pristina dovrebbe occuparsi il primo ministro, ma che è
pronto lui stesso ad assumerne la guida, qualora "il governo mi
desse mandato".
Per fissare la data ufficiale di
apertura dei negoziati di adesione con l'Unione europea, dopo aver
concesso lo status di Paese candidato, Bruxelles chiede a Belgrado
prima di tutto di applicare le intese già raggiunte con Pristina e
poi di conseguire concreti passi avanti nel processo di
normalizzazione delle relazioni. Nikolic ha riferito di una
conversazione avuta con l'alto rappresentante Ue, Miroslav Lajcak,
secondo il quale "la Serbia non può essere troppo ottimista
sull'apertura dei negoziati poiché loro (in Ue) sanno bene che ci
chiedono condizioni che non possiamo accettare", ha detto il
presidente serbo.
Il quale presidente, non può ovviamente deludere
il suo elettorato e contraddire le sue stesse ripetute posizioni, accettando il riconoscimento dell'indipendenza
della (ex) provincia. Però, proseguire i colloqui con la controparte
a livello di primi ministri o addirittura di presidenti può voler
dire proprio una sorta di riconoscimento, come hanno fatto notare
alcuni osservatori citati da Marina Szikora nella sua corrispondenza.
D'altra parte Nikolic non può nemmeno giocarsi i rapporti con Bruxelles
fallendo l'apertura dei negoziati di adesione e tradendo la svolta
moderata dopo i suoi trascorsi come “numero due”
dell'ultranazionalista radicale Vojislav Seselj e dopo le promesse
fatte prima e dopo l'elezione.
La cosa singolare di tutto ciò, in parte prevedibile, è che Nikolic potrebbe troversi, suo malgrado, a proseguire la politica del suo predecessore Tadic: quella
che per il Kosovo proponeva “più dell'autonomia e meno
dell'indipendenza” (senza mai spiegare bene cosa ciò volesse dire)
e che tentava di tenere insieme sovranità sul Kosovo e adesione
all'Ue. Dunque, a meno di scelte coraggiose e controcorrente, per ora non in vista, Nikolic rischia
di rinchiudersi in una strada senza uscita nella quale, anche a causa
della crisi europea, potrebe restare per molto tempo. Con quale
vantaggio, per i serbi (della Serbia e del Kosovo), ma anche per gli
stessi kosovari albanesi e per il resto della regione, è tutto da
capire. [RS]
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