“In ciascun paese si ha il dovere di coltivare le proprie memorie, di non cancellare le tracce delle sofferenze subite dal proprio popolo. L'essenziale e' pero' non restare ostaggi degli eventi del passato”. Lo ha detto ieri il presidente della repubblica Giorgio Napolitano celebrando al Quirinale il Giorno del Ricordo in memoria delle vittime delle foibe e del drammatico esodo degli italiani dall’Istria, dalla Dalmazia e da Fiume dopo la fine della seconda guerra mondiale. E' una pagina della storia del Novecento che spesso ha suscitato polemiche in Italia e tra l'Italia e gli altri Paesi che hanno condiviso le vicende di quello che noi chiamiamo "confine orientale", ovvero Slovenia e Croazia. Quest’anno, per fortuna, la ricorrenza e’ stata segnata da un clima piu’ disteso.
Napolitano ha evitato (come gia’ lo scorso anno) dichiarazioni come quelle che nel 2007 suscitarono la dura reazione dell'allora presidente croato Stjepan Mesic, ma non per questo ci si puo’ esimere da alcune considerazioni su quanto detto dal nostro presidente. Perche’ se si afferma che ogni paese ha il dovere di coltivare le proprie memorie, anche se senza restare ostaggio del passato, proprio per il rispetto dovuto all’unicità e alla diversità di ogni esperienza personale, si deve avere anche il coraggio di raccontare la storia fino in fondo. Senza nascondersi la realtà del Fascismo che al "confine orientale" mostro’ la sua faccia più feroce, prima con l'italianizzazione forzata di intere popolazioni, poi con l'occupazione militare condotta insieme alla Germania nazista e ai regimi collaborazionisti locali. Non per negare o giustificare la terribile realtà delle foibe e il dramma dell'esodo, ma per comprendere la complessità storica in cui quegli avvenimenti si svilupparono, avendo il coraggio di ammettere anche le proprie responsabilita’.
Melita Richter, sociologa, saggista, mediatrice culturale, studiosa della realtà balcanica e della questione del confine tra Italia e Balcani, nell'intervista che realizzai proprio un anno fa per Radio Radicale, invitava a riflettere sulle memorie individuali e sulla necessità di ascoltare e condividere anche le storie "degli altri". Non per cercare una inesistente memoria collettiva e nemmeno per girare a vuoto attorno ad una non meglio definita memoria condivisa (espressione ambigua che assomiglia molto ad un ossimoro) impossibile da costruire, ma piuttosto per comporre una "memoria plurima" che faccia dei confini (fisici e mentali) non delle barriere, ma delle soglie attraverso cui stabilire canali di comunicazione. Ecco: questo vorrei sentir dire prima o poi dai nostri politici. Questo vorrei sentir dire dal presidente Napolitano in occasione del giorno del ricordo. Spero l’anno prossimo.
Napolitano ha evitato (come gia’ lo scorso anno) dichiarazioni come quelle che nel 2007 suscitarono la dura reazione dell'allora presidente croato Stjepan Mesic, ma non per questo ci si puo’ esimere da alcune considerazioni su quanto detto dal nostro presidente. Perche’ se si afferma che ogni paese ha il dovere di coltivare le proprie memorie, anche se senza restare ostaggio del passato, proprio per il rispetto dovuto all’unicità e alla diversità di ogni esperienza personale, si deve avere anche il coraggio di raccontare la storia fino in fondo. Senza nascondersi la realtà del Fascismo che al "confine orientale" mostro’ la sua faccia più feroce, prima con l'italianizzazione forzata di intere popolazioni, poi con l'occupazione militare condotta insieme alla Germania nazista e ai regimi collaborazionisti locali. Non per negare o giustificare la terribile realtà delle foibe e il dramma dell'esodo, ma per comprendere la complessità storica in cui quegli avvenimenti si svilupparono, avendo il coraggio di ammettere anche le proprie responsabilita’.
Melita Richter, sociologa, saggista, mediatrice culturale, studiosa della realtà balcanica e della questione del confine tra Italia e Balcani, nell'intervista che realizzai proprio un anno fa per Radio Radicale, invitava a riflettere sulle memorie individuali e sulla necessità di ascoltare e condividere anche le storie "degli altri". Non per cercare una inesistente memoria collettiva e nemmeno per girare a vuoto attorno ad una non meglio definita memoria condivisa (espressione ambigua che assomiglia molto ad un ossimoro) impossibile da costruire, ma piuttosto per comporre una "memoria plurima" che faccia dei confini (fisici e mentali) non delle barriere, ma delle soglie attraverso cui stabilire canali di comunicazione. Ecco: questo vorrei sentir dire prima o poi dai nostri politici. Questo vorrei sentir dire dal presidente Napolitano in occasione del giorno del ricordo. Spero l’anno prossimo.
io ti amo sempre piu' all'infinito !
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