Intervista a Luca Leone per Radio Radicale
Ad una settimana esatta dalla condanna di Radovan Karadzic, il Tribunale internazionale per l'ex Jugoslavia ha assolto l'ultranazionalista serbo Vojslav Seselj, fondatore e presidente del Partito radicale serbo, da tutti i capi d'accusa per crimini di guerra e crimini contro l'umanità per fatti accaduti durante la guerra in Croazia e in Bosnia. Una sentenza che ha sorpreso il procuratore capo del Tribunale, Serge Brammertz, che ha già preannunciato un ricorso contro la decisione dei giudici che ha rigettato completamente l'ipoptesi accusatoria. L'intervista propone un'interessante analisi sulle ragioni dettate dalla realpolitik che spiegano queste due decisioni così di diverse da parte del Tribunale internazionale.
Luca Leone, giornalista, scrittore ed editore (Infinito edizioni) ha scritto doversi saggi sull'ex Jugoslavia e in particolare sulla Bosnia, un paese che ama e conosce molto bene. I suoi interventi si possono leggere sul suo blog Occhio Critico.
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giovedì 31 marzo 2016
ASSOLTO VOJSLAV SESELJ
Benkovac, 1991: Seselj (sin.) all'inzio della guerra in Croazia |
Ad una settimana esatta dalla condanna
a 40 anni di Radovan Karadzic, il Tribunale internazionale per l'exJugoslavia (Icty) ha assolto il leader ultranazionalista serbo Vosjislav
Seselj dai nove capi di imputazione per crimini di guerra e contro
l'umanità commessi contro croati e musulmani durante i conflitti del
1991-95. Secondo i giudici dell'Aia la procura, che aveva chiesto una
condanna a 28 anni per l'imputato, non è riuscita a provare
l'esistenza di un'impresa criminale congiunta". Seselj, dunque,
è un uomo libero, come ha detto il presidente della giuria
Jean-Claude Antonetti.
Seseslj, che nel 2003 si era
volontariamente costituito ed era poi stato scarcerato per motivi di
salute nel 2014, non ha voluto essere presente alla lettura della
sentenza come aveva fatto sapere da Belgrado e ha elogiato i giudici
del tribunale - definiti "degni di onore e giusti" - dopo
tutti i processi “che hanno accusato serbi innocenti che hanno
ricevuto sentenze draconiane”. Per Seselj i giudici "hanno
dimostrato che la loro professionalità e il loro onore è al di
sopra di qualsiasi pressione politica" e hanno emesso "l'unico
verdetto possibile".
Opposto il giudizio della procura che
in un comunicato dichiara di prendere atto della decisione in attesa
di esaminare le motivazioni dei giudici e giudica comprensibile “che
molte vittime e le comunità resteranno deluse dalla sentenza".
Il procuratore capo, Serge Brammertz, da parte sua ha già annunciato
di voler fare appello e ha parlato di una sentenza "a sorpresa"
sottolineando di condividere la frustrazione di molte delle vittime.
"Non posso essere soddisfatto dell'esito", ha dichiarato
parlando ai giornalisti. "Le motivazioni non sono assolutamente
in linea con la realtà fattuale", ha aggiunto Brammertz.
Seselj doveva risponder di nove capi di
imputazione per crimini commessi nell'ambito del suo
progetto di unificazione di "tutte
le terre serbe". Secondo l'accusa Seselj era dietro agli
assassini di molti croati, musulmani e civili non di
etnia serba, come della deportazione forzata di "decine di
migliaia" di persone da vaste aree della Bosnia Erzegovina,
della Croazia e della Serbia. Inoltre, secondo l'accusa, avrebbe
comandato unità paramilitari chiamate "Gli uomini di Seselj". Per la corte, tuttavia, il caso è
stato presentato in maniera confusa e ambigua e l'accusa non è
riuscita a chiarire il contesto generale in cui si sono svolti gli
eventi. La procura ha dato "al massimo un'interpretazione che
nasconde il modo in cui si sono svolti i fatti e nel caso peggiore li
distorce in relazione alle prove presentate alla camera", ha
dichiarato il presidente della corte Antonetti.
La notizia dell'assoluzione del leader dell'ultranazionalista Partito radicale serbo ha fatto subito il giro delle capitali dei Paesi che furono coinvolti nelle guerre degli anni '90 che segnarono la dissoluzione della Jugoslavia. La Croazia l'ha già definita "vergognosa". Il primo ministro Tihomir Oreskovic, in visita a Vukovar, la città che all'inizio della guerra, nell'autunno del 1991, fu assediata e rasa al suolo dalle forze serbe e fu teatro di un efferato eccidio di civili croati, ha parlato di una “sconfitta della corte dell'Aia e dei procuratori” descrivendo Seselj come “un uomo che ha fatto cose malvagie e non ha mostrato rimorso né allora né oggi".
mercoledì 30 marzo 2016
JOVAN DIVJAK: "I BOSGNACCHI NON DIMENTICHERANNO KARADZIC E MLADIC"
A proposito della condanna a 40 anni di Radovan Karadzic, emessa dal Tribunale internazionale per l'ex Jugoslavia per i crimini commessi durante la guerra di Bosnia, Luca Leone, giornalista, scrittore ed editore (Infinito edizioni), sul suo blog "Occhio critico" riporta un passo del libro di Jovan Divjak, il generale serbo che decise di restare a Sarajevo per difendere la sua città dall'aggressione dell'esercito e delle milizie paramilitari serbo-bosniache.
“I giovani orfani di cui mi occupo sono consapevoli del fatto che, se non hanno più i genitori e vivono in povertà, la colpa è di due criminali che si chiamano Karadžić e Mladić.erto, tutti sanno che Milošević è il responsabile maggiore di quanto è successo nella ex Jugoslavia e, dalla fine della guerra, i nostri media hanno diffuso molti reportage e pubblicato analisi su di lui, che però resta un personaggio lontano. Invece i bosgnacchi non dimenticheranno così facilmente Karadžić e Mladić. Non passava giorno senza che apparissero in televisione o fossero sui giornali. I due erano a 15 chilometri da Sarajevo, a Pale. È a loro due che rivà la memoria – tenuta desta dalla stampa che li menziona continuamente – quando si pensa al bambino o al vecchio ammazzati da uno sniper”.
lunedì 28 marzo 2016
COMMENTI ALLA SENTENZA DI CONDANNA DI RADOVAN KARADZIC
La sede del Tribunale internazionale all'Aja |
di Marina Szikora (*)
Giovedi' la tanto attesa sentenza del
Tribunale dell'Aja che giudica i crimini commessi in ex Jugoslavia a
Radovan Karadzic. Dopo che nel 2006 nel carcere di Scheveningen e'
morto l'ex presidente serbo, Slobodan Milosevic, Radovan Karadzic e'
il piu' alto rappresentante politico degli anni novanta ad essere
sentenziato per i crimini e per le atrocita' commesse durante la
guerra in Bosnia Erzegovina dal 1992 al 1995. Come detto, con il
verdetto, il leader dei serbi bosniaci, Radovan Karadzic viene
condannato a 40 anni di carcere, ritenuto responsabile di crimini di
guerra in Bosnia. Subito dopo il pronunciamento della sentenza,
divise sono state le reazioni in Bosnia ma in sostanza, sono stati
pochi ad essere pienamente soddisfatti con la decisione del Tribunale
dell'Aja. I rappresentanti di diverse associazioni bosgnacche che si
aspettavano una condanna all'ergastolo nonche' la conferma della
corte che oltre a Srebrenica il genocidio e' stato commesso anche in
altri sei comuni che si trovano inclusi nell'imputazione, sono
rimasti un'altra volta delusi. Dall'altra parte, i commentatori della
Republika Srpska [l'entità a maggioranza serba della Bosnia
Erzegovina] affermano in sostanza che la sentenza e' “politica”
ma che nulla cambiera' per quanto riguarda lo status dell'entita'
serba.
“Siamo consapevoli che non esiste una
pena che possa far tornare in vita le vittime innocenti, ma la
condanna ad uno dei principali statisti della politica di aggressione
della politica di una Grande Serbia in Bosnia Erzegovina, i cui
risultati sono stati il genocidio e crimini terribili, rappresenta il
minimo di cui le vittime e le loro famiglie hanno atteso troppo a
lungo”, questa la posizione e la reazione del Governo croato alla
sentenza dell'Aja. Secondo il capo della diplomazia croata, Miro
Kovac, la sentenza offre una soddisfazione morale insufficiente agli
eredi delle vittime della politica di sistematiche uccisioni e
violenze. Radovan Karadzic e' stato condannato ma non e' stato
sconfitto ancora il suo spirito, come nemmeno l'eredita' della sua
politica di crimini e di genocidio. Soltanto quando questo sara'
raggiunto, allora si potra' arrivare ad una riconciliazione tra la
gente della Bosnia ed oltre, ha rilevato il ministro Kovac.
La presidente croata, Kolinda
Grabar-Kitarovic ritiene che la sentenza all'ex leader dei serbi
bosniaci sia una consolazione debole alle vittime ma e' un messaggio
ai criminali e terroristi odierni che non passeranno impuniti. “Anche
se si tratta di una sentenza di primo grado, con essa la comunita'
internazionale ha riconosciuto che a Srebrenica e' stato commesso un
genocidio e che nei sette comuni della RS e nella citta' di Sarajevo
sono stati commessi i piu' gravi crimini con l'obbiettivo di creare
uno spazio serbo omogeneo” ha detto la presidente croata. “Questa sentenza non pou' e non deve
influenzare il destino della RS e per questo mi appello a tutti i
rappresentanti politici del popolo serbo in Bosnia Erzegovina, in
particolare della Republika Srpska, di lottare con una posizione
congiunta per la loro Republika e per il loro popolo il cui destino,
con questa sentenza puo' essere messo in questione” sono invece le
parole di reazione del presidente della Serbia, Tomislav Nikolic.
Il testo è la trascrizione di parte
della corrispondenza per la puntata di Passaggio a Sud Est andata in
onda il 27 marzo a Radio Radicale
domenica 27 marzo 2016
PASSAGGIO IN ONDA
E' on-line la puntata di Passaggio a Sud Est del 27 marzo 2016.
La trasmissione e' ascoltabile direttamente qui di seguito oppure sul sito di Radio Radicale.
Sommario della puntata
La prima parte della trasmissione è dedicata alla condanna di Radovan Karadzic in primo grado a 40 anni decisa dal Tribunale internazionale per l'ex Jugoslavia per i crimini commessi nel corso della guerra in Bosnia Erzegovina, l'assedio di Sarajevo e il genocidio di Srebrenica. I commenti della comunità internazionale e nei paesi della regione e le opinioni di Emma Bonino e di Andrea Rossini di Osservatorio Balcani e Caucaso.
Nella seconda parte del programma le reazioni ed i commenti sugli attentati di Bruxelles e sul rischio di diffusione del fondamentalismo islamico e di infiltrazioni jihadiste nei Balcani legate ai flussi di profughi e migranti.
Infine, nell'ultima parte, un'interessante analisi pubblicata sul quotidiano serbo Politika che mette a confronto il negoziato di adesione all'Unione Europea della Turchia e della Serbia.
In apertura l'iniziativa del comitato per la candidatura del grande scrittore Predrag Matvejevic al premio Nobel per la letteratura.
La trasmissione, realizzata con la collaborazione di Marina Sikora e Artur Nura, è ascoltabile direttamente qui
La trasmissione e' ascoltabile direttamente qui di seguito oppure sul sito di Radio Radicale.
Sommario della puntata
La prima parte della trasmissione è dedicata alla condanna di Radovan Karadzic in primo grado a 40 anni decisa dal Tribunale internazionale per l'ex Jugoslavia per i crimini commessi nel corso della guerra in Bosnia Erzegovina, l'assedio di Sarajevo e il genocidio di Srebrenica. I commenti della comunità internazionale e nei paesi della regione e le opinioni di Emma Bonino e di Andrea Rossini di Osservatorio Balcani e Caucaso.
Nella seconda parte del programma le reazioni ed i commenti sugli attentati di Bruxelles e sul rischio di diffusione del fondamentalismo islamico e di infiltrazioni jihadiste nei Balcani legate ai flussi di profughi e migranti.
Infine, nell'ultima parte, un'interessante analisi pubblicata sul quotidiano serbo Politika che mette a confronto il negoziato di adesione all'Unione Europea della Turchia e della Serbia.
In apertura l'iniziativa del comitato per la candidatura del grande scrittore Predrag Matvejevic al premio Nobel per la letteratura.
La trasmissione, realizzata con la collaborazione di Marina Sikora e Artur Nura, è ascoltabile direttamente qui
venerdì 25 marzo 2016
LA CONDANNA DI RADOVAN KARADZIC A 40 ANNI PER CRIMINI DI GUERRA E GENOCIDIO
Intervista a Andrea Rossini di Osservatorio Balcani e Caucaso
Radovan Karadzic, l'ex capo politico dei serbi di Bosnia durante la guerra degli anni '90, è stato condannato in primo grado a 40 anni dal Tribunale internazionale per l'ex Jugoslavia per il genocidio di Srebrenica, l'assedio di Sarajevo e altri crimini di guerra compiuti durante il conflitto del 1992-95 in Bosnia. Anche se i giudici non hanno ritenuto sufficienti gli elementi per provare l'esistenza di un piano genocidiario già dal 1992, la sentenza è comunque importante e potrebbe essere modificata in appello. Giunge però a più di vent'anni dai fatti, dopo un processo durato quasi sei anni e dopo una latitanza dell'imputato protrattasi per quasi 13 anni. Soprattutto giunge in una Bosnia Erzegovina in cui sembrano aver prevalso le divisioni e la pulizia etnica che furono teorizzate e perseguite da Karadzic durante gli anni del suo potere.
Radovan Karadzic, l'ex capo politico dei serbi di Bosnia durante la guerra degli anni '90, è stato condannato in primo grado a 40 anni dal Tribunale internazionale per l'ex Jugoslavia per il genocidio di Srebrenica, l'assedio di Sarajevo e altri crimini di guerra compiuti durante il conflitto del 1992-95 in Bosnia. Anche se i giudici non hanno ritenuto sufficienti gli elementi per provare l'esistenza di un piano genocidiario già dal 1992, la sentenza è comunque importante e potrebbe essere modificata in appello. Giunge però a più di vent'anni dai fatti, dopo un processo durato quasi sei anni e dopo una latitanza dell'imputato protrattasi per quasi 13 anni. Soprattutto giunge in una Bosnia Erzegovina in cui sembrano aver prevalso le divisioni e la pulizia etnica che furono teorizzate e perseguite da Karadzic durante gli anni del suo potere.
giovedì 24 marzo 2016
EMMA BONINO SULLA CONDANNA DI RADOVAN KARADZIC A 40 ANNI PER GENOCIDIO E CRIMINI DI GUERRA
Intervista di Lorenzo Rendi per Radio Radicale
Emma Bonino commenta la condanna dell'ex leader politico dei serbi di Bosnia, Radovan Karadzic, a 40 anni per crimini contro l'umanità, crimini di guerra, sterminio e deportazione e per il genocidio di Srebrenica e l'assedio di Sarajevo.
Emma Bonino, che nel luglio del 1995 era Commissario europeo agli aiuti umanitari, dopo una missione in Bosnia fu tra i primissimi ad accorgersi e a denunciare pubblicamente quanto era accaduto a Srebrenica.
Nell'intervista si ricorda anche l'iniziativa dei radicali per l'incriminazione di Slobodan Milosevic e l'istituzione di un tribunale ad hoc per giudicare i crimini commessi durante i conflitti nell'ex Jugoslavia.
Emma Bonino commenta la condanna dell'ex leader politico dei serbi di Bosnia, Radovan Karadzic, a 40 anni per crimini contro l'umanità, crimini di guerra, sterminio e deportazione e per il genocidio di Srebrenica e l'assedio di Sarajevo.
Emma Bonino, che nel luglio del 1995 era Commissario europeo agli aiuti umanitari, dopo una missione in Bosnia fu tra i primissimi ad accorgersi e a denunciare pubblicamente quanto era accaduto a Srebrenica.
Nell'intervista si ricorda anche l'iniziativa dei radicali per l'incriminazione di Slobodan Milosevic e l'istituzione di un tribunale ad hoc per giudicare i crimini commessi durante i conflitti nell'ex Jugoslavia.
KARADZIC CONDANNATO A 40 ANNI PER CRIMINI DI GUERRA E GENOCIDIO
Il Tribunale internazionale per l'ex Jugoslavia ha giudicato l'ex capo politico dei serbi di Bosnia colpevole per il genocidio di Srebrenica, l'assedio di Sarajevo e altri crimini commessi durante la guerra del 1992-95. La corte ha invece giudicato non sufficienti le prove per l'accusa di genocidio relativa ai fatti avvenuti in una serie di villaggi.
Quarant'anni di carcere: questa la condanna decisa dalla 3a sezione del Tribunale internazionale per l'ex Jugoslavia al termine del processo di primo grado contro Radovan Karadzic, l'ex leader dei serbi di Bosnia durante il conflitto degli anni '90, giudicato colpevole di genocidio, uccisioni, deportazioni e altri crimini di guerra. Una sentenza che sulle prime ha scontentato molti: la difesa, ovviamente, ma anche i parenti delle vittime e i sopravvissuti che speravano nella condanna all'ergastolo chiesta dal procuratore Tieger. Inoltre la corte non ha ritenuto sufficienti le prove che volevano dimostrare l'esistenza di un piano genocidiario premeditato e organizzato dalla dirigenza serbo-bosniaca fin dall'inizio del conflitto. Altro elemento di delusione è che la sentenza è giunta a più di vent'anni dai fatti, a quasi un anno e mezzo dalla chiusura di un processo durato 5 anni che si è celebrato dopo ben 13 anni di latitanza dell'imputato che nel frattempo aveva potuto vivere pressoché indisturbato nonostante sul suo capo pendesse una taglia di 5 milioni di dollari. Una latitanza durata fino al luglio del 2008 quando Karadzic, grazie ai cambiamenti politici che nel frattempo erano avvenuti in Serbia, fu finalmente arrestato a Belgrado dove esercitava la professione di medico specializzato in medicina alternativa e psicologia sotto il falso nome di Dragan David Dabic.
Oltre che per il massacro di Srebrenica, il più grave crimine di guerra compiuto in Europa dalla fine della seconda guerra mondiale, costato la vita a oltre 8000 bosgnacchi maschi e giudicato come genocidio dalla giustizia internazionale, la Corte ha giudicato Karadzic responsabile anche di omicidio e persecuzione di civili per le atrocità commesse durante i 44 mesi dell'assedio di Sarajevo nel quale morirono circa 10mila persone. A questi reati si aggiunge la "presa di ostaggi" compiuta con il sequestro di 284 caschi blu dell'Onu usati come scudi umani contro i bombardamenti della Nato. Il tribunale dell'Aja ha ritenuto invece insufficienti gli elementi forniti dall'accusa per estendere l'accusa di genocidio anche agli eccidi compiuti a Bratunac, Prijedor, Foca, Kljuc, Sanski Most, Vlasenica e Zvornik. Per questi episodi Karadzic è stato comunque ritenuto colpevole di crimini contro l'umanità, omicidio e persecuzione.
Il video delle lettura della sentenza di condanna per Radovan Karadzic
Alla lettura delle sentenza, nell'aula del tribunale internazionale all'Aja, hanno assistito rappresentanti delle associazioni delle Donne e Madri di Srebrenica, degli ex detenuti dei campi di concentramento, delle Donne vittime di guerra, dei Genitori dei bambini uccisi e rappresentanti di altre organizzazioni giunti appositamente dalla Bosnia, assieme a decine e decine di giornalisti, diplomatici e insegnanti, ricercatori e rappresentanti della società civile.
Val al sito del Tribunale Internazionale per l'ex Jugoslavia
Radovan Karadzic mentre ascolta la sentenza |
Oltre che per il massacro di Srebrenica, il più grave crimine di guerra compiuto in Europa dalla fine della seconda guerra mondiale, costato la vita a oltre 8000 bosgnacchi maschi e giudicato come genocidio dalla giustizia internazionale, la Corte ha giudicato Karadzic responsabile anche di omicidio e persecuzione di civili per le atrocità commesse durante i 44 mesi dell'assedio di Sarajevo nel quale morirono circa 10mila persone. A questi reati si aggiunge la "presa di ostaggi" compiuta con il sequestro di 284 caschi blu dell'Onu usati come scudi umani contro i bombardamenti della Nato. Il tribunale dell'Aja ha ritenuto invece insufficienti gli elementi forniti dall'accusa per estendere l'accusa di genocidio anche agli eccidi compiuti a Bratunac, Prijedor, Foca, Kljuc, Sanski Most, Vlasenica e Zvornik. Per questi episodi Karadzic è stato comunque ritenuto colpevole di crimini contro l'umanità, omicidio e persecuzione.
Il video delle lettura della sentenza di condanna per Radovan Karadzic
Alla lettura delle sentenza, nell'aula del tribunale internazionale all'Aja, hanno assistito rappresentanti delle associazioni delle Donne e Madri di Srebrenica, degli ex detenuti dei campi di concentramento, delle Donne vittime di guerra, dei Genitori dei bambini uccisi e rappresentanti di altre organizzazioni giunti appositamente dalla Bosnia, assieme a decine e decine di giornalisti, diplomatici e insegnanti, ricercatori e rappresentanti della società civile.
Val al sito del Tribunale Internazionale per l'ex Jugoslavia
mercoledì 23 marzo 2016
IL PREMIO NOBEL PER PREDRAG MATVEJEVIC
"Predrag Matvejević è la sintesi dell'Europa, anche dell'Est, che si riconosce nel Mediterraneo e nella sua storia: nella sua vita, nella sua famiglia, nella sua opera letteraria e politico-letteraria, ai tempi della cortina di ferro, si ritrovano quasi tutte le etnie, le religioni, le nazionalità e le culture che oggi come ieri, qualcuno vuole trasformare in ragione di conflitto. Tutta l'opera di Matvejević, ma in particolare il suo impareggiabile Breviario Mediterraneo, ripercorre quelle differenze presunte, mostrandone, come forse nessuno ha fatto, oltre lui e Braudel, quanto siano nostre, di tutti; mutandole, così, in ragioni di convivenza, arricchimento, scambio. Ma, soprattutto, a Matvejević si deve una concezione poetica altissima, che fonde la sua capacità di sentire con quella di capire i luoghi e le genti della sua Europa". E' quanto si legge, tra l'altro, nella lettera diffusa dal comitato che sostiene la candidatura al premio Nobel per la letteratura del grande scrittore nato a Mostar "e cresciuto sulle rive del Mediterraneo che ha magistralmente narrato, guardando con grande attenzione e sensibilità genti e culture dei tre continenti che lo bagnano".
"I fatti di questi giorni, e più in generale di questi anni - si legge ancora nella lettera - rendono tragicamente attuale l'ammonimento di Predrag Matvejević: “Sono immense le incongruenze che hanno contrassegnato le diverse civiltà e culture del Mediterraneo, vecchie e nuove” e continua aggiungendo che “lo tradiamo accostandoci ad esso da punti di vista eurocentrici”. Perciò rimane di grande attualità, diremmo obbligatoria per tutti coloro che hanno a cuore una pacifica e fruttuosa convivenza mediterranea, la rilettura di “Mediteranski Brevijar”, pubblicato nel 1987 in serbo-croato e tradotto poi in francese, italiano e in tante altre lingue. In quei lontani anni Ottanta, gli occhi europei erano tutti rivolti a est, dimentichi del sud, che per l'Europa corrisponde con il Mediterraneo, “il mare della vicinanza”. Una vicinanza che per non rivelarsi conflittuale, deve praticare l'ascolto e accettare la convivenza nella diversità, storica, politica e religiosa. [...] Può essere sufficiente un libro per candidare al Nobel l'autore? Noi crediamo di sì. Ma se ciò non bastasse, allora aggiungiamo il valore letterario e culturale, antropologico e storico, di tutti gli altri suoi libri, tra cui ci limitiamo a ricordare: “Epistolario dell’altra Europa”, “Mondo Ex: confessioni”, “Tra asilo ed esilio”. I titoli sono già sufficienti per riassume la tensione morale di Matvejević, volta alla comprensione dell'alterità culturale. In ultimo, “Pane nostro”, può essere letto anche come un manifesto della condivisione del più necessario e sacro degli alimenti dell'uomo".
Passaggio a Sud Est sostiene l'iniziativa del comitato per la candidatura di Predrag Matvejevic al Premio Nobel per la letteratura.
Chi vuole sottoscrivere la lettera può scrivere una mail a nobelpermatvejevic@gmail.com indicando nome cognome e qualifica e, se si vuole, aggiungendo un pensiero che si farà recapitare allo scrittore che da oltre un anno è ricoverato in ospedale a Zagabria
"I fatti di questi giorni, e più in generale di questi anni - si legge ancora nella lettera - rendono tragicamente attuale l'ammonimento di Predrag Matvejević: “Sono immense le incongruenze che hanno contrassegnato le diverse civiltà e culture del Mediterraneo, vecchie e nuove” e continua aggiungendo che “lo tradiamo accostandoci ad esso da punti di vista eurocentrici”. Perciò rimane di grande attualità, diremmo obbligatoria per tutti coloro che hanno a cuore una pacifica e fruttuosa convivenza mediterranea, la rilettura di “Mediteranski Brevijar”, pubblicato nel 1987 in serbo-croato e tradotto poi in francese, italiano e in tante altre lingue. In quei lontani anni Ottanta, gli occhi europei erano tutti rivolti a est, dimentichi del sud, che per l'Europa corrisponde con il Mediterraneo, “il mare della vicinanza”. Una vicinanza che per non rivelarsi conflittuale, deve praticare l'ascolto e accettare la convivenza nella diversità, storica, politica e religiosa. [...] Può essere sufficiente un libro per candidare al Nobel l'autore? Noi crediamo di sì. Ma se ciò non bastasse, allora aggiungiamo il valore letterario e culturale, antropologico e storico, di tutti gli altri suoi libri, tra cui ci limitiamo a ricordare: “Epistolario dell’altra Europa”, “Mondo Ex: confessioni”, “Tra asilo ed esilio”. I titoli sono già sufficienti per riassume la tensione morale di Matvejević, volta alla comprensione dell'alterità culturale. In ultimo, “Pane nostro”, può essere letto anche come un manifesto della condivisione del più necessario e sacro degli alimenti dell'uomo".
Passaggio a Sud Est sostiene l'iniziativa del comitato per la candidatura di Predrag Matvejevic al Premio Nobel per la letteratura.
Chi vuole sottoscrivere la lettera può scrivere una mail a nobelpermatvejevic@gmail.com indicando nome cognome e qualifica e, se si vuole, aggiungendo un pensiero che si farà recapitare allo scrittore che da oltre un anno è ricoverato in ospedale a Zagabria
Sul sito di Osservatorio Balcani e Caucaso i componenti del Comitato promotore e l'elenco dei primi firmatari.
lunedì 14 marzo 2016
MIGRANTI: LE PROPOSTE DI ANKARA A BRUXELLES
La puntata del 12 marzo di Spazio Transnazionale, trasmissione di Radio Radicale sull'attualità internazionale in collaborazione con OltreRadio
Focus sulle proposte della Turchia all’Unione Europea in tema di immigrazione.
Intervengono Mariano Giustino (Direttore della rivista “Diritto e Libertà”), Marco Guadagnino (Responsabile dei contenuti e della comunicazione della Divisione Programmi Internazionali di “Save the Children”), Giampiero Gramaglia (Analista dell’Istituto Affari Internazionali), Roberto Spagnoli (Vice Capo redattore di RadioRadicale), Danilo Taino (Corrispondente dalla Germania per il Corriere della Sera) in collegamento da Berlino.
Ascolta qui la trasmissione
Focus sulle proposte della Turchia all’Unione Europea in tema di immigrazione.
Intervengono Mariano Giustino (Direttore della rivista “Diritto e Libertà”), Marco Guadagnino (Responsabile dei contenuti e della comunicazione della Divisione Programmi Internazionali di “Save the Children”), Giampiero Gramaglia (Analista dell’Istituto Affari Internazionali), Roberto Spagnoli (Vice Capo redattore di RadioRadicale), Danilo Taino (Corrispondente dalla Germania per il Corriere della Sera) in collegamento da Berlino.
Ascolta qui la trasmissione
domenica 13 marzo 2016
PASSAGGIO IN ONDA
E' on-line la puntata di Passaggio a Sud Est del 13 marzo 2016.
La trasmissione e' ascoltabile direttamente qui di seguito oppure sul sito di Radio Radicale.
Sommario della puntata
Anche questa puntata è quasi interamente dedicata alla crisi dei profughi e alla situazione sulla "rotta balcanica" dopo il vertice Unione europea/Turchia di lunedì 7 marzo: la bozza di accordo in vista del Consiglio europeo del 17/18 marzo; le dichiarazioni del presidente del Consiglio Matteo Renzi; il giudizio di Emma Bonino; le reazioni e i commenti in Croazia e Slovenia; le preoccupazioni dell'Albania per il possibile spostamento del flusso dei profughi; la situazione in Macedonia.
Si parla anche della Turchia e della repressione della libertà di stampa negata però dal governo di Ankara.
Nella seconda parte si parla di Kosovo e delle relazioni con l'Unione Europea e della situazione in Albania del Partito socialista del premier Edi Rama che si prepara al congresso.
La trasmissione, realizzata con la collaborazione di Marina Sikora e Artur Nura, è ascoltabile direttamente qui
La trasmissione e' ascoltabile direttamente qui di seguito oppure sul sito di Radio Radicale.
Sommario della puntata
Anche questa puntata è quasi interamente dedicata alla crisi dei profughi e alla situazione sulla "rotta balcanica" dopo il vertice Unione europea/Turchia di lunedì 7 marzo: la bozza di accordo in vista del Consiglio europeo del 17/18 marzo; le dichiarazioni del presidente del Consiglio Matteo Renzi; il giudizio di Emma Bonino; le reazioni e i commenti in Croazia e Slovenia; le preoccupazioni dell'Albania per il possibile spostamento del flusso dei profughi; la situazione in Macedonia.
Si parla anche della Turchia e della repressione della libertà di stampa negata però dal governo di Ankara.
Nella seconda parte si parla di Kosovo e delle relazioni con l'Unione Europea e della situazione in Albania del Partito socialista del premier Edi Rama che si prepara al congresso.
La trasmissione, realizzata con la collaborazione di Marina Sikora e Artur Nura, è ascoltabile direttamente qui
sabato 12 marzo 2016
UE-TURCHIA: LA MANCANZA DI UNA VISIONE STRATEGICA
La vicenda del compromesso tra Unione Europea e Turchia sulla crisi dei profughi porta al pettine tutti i nodi del controverso processo di integrazione della Mezzaluna e la mancanza di un pensiero strategico, di una visione e medio-lungo termine che ha caratterizzato le leadership di entrambe le parti in causa e che sarebbero invece stati necessari in una trattativa così importante quanto delicata.
L'UE, dopo aver deciso di dare via libera formalmente al negoziato con la Turchia per l'adesione nel 2005, lo ha di fatto bloccato. Protagoniste di questo evidente voltafaccia sono state la Francia del presidente Sarkozy e la Germania della cancelliera Merkel. La stessa che, dopo aver proposto un “partenariato rafforzato” con Ankara, ora, pressata dalle circostanze, sembra sostenere una “partnership privilegiata” che fa della Turchia una sorta di 29° stato membro dell'Unione.
In tempi di Brexit e di messa in discussione degli accordi di Schengen, se non della stessa Unione, è chiaro che è meglio avere una Germania che chiede maggiore integrazione anziché accodarsi ai governi euroscettici. Però in questa situazione di crisi e di divisione tra i 28, l'UE, se non proprio sotto ricatto, si trova comunque in una situazione di debolezza di fronte al presidente Erdogan proprio nel momento in cui il governo di Ankara appare più lontano dagli standard comunitari.
Senza almanaccare sull'esistenza o meno di una “agenda segreta”, c'è da domandarsi se l'uomo forte di Ankara sia mai stato davvero interessato all'adesione all'UE o se non abbia solo usato opportunisticamente questa prospettiva. C'è da chiedersi, anche, se in tutti questi anni ci siamo un po' illusi sulla Turchia di Erdogan, vedendo solo ciò che ci piaceva credere di vedere (quasi l'Akp fosse una sorte di “Democrazia islamica” simile ai partiti democristiani europei), invece dei segnali preoccupanti che pure arrivavano dal Bosforo.
La svolta autoritaria che abbiamo visto concretizzarsi con la brutale repressione delle proteste di Gezi Park e la furiosa reazione allo scandalo del 2013 era stata preceduta da segnali preoccupanti. C'erano state però, insieme, aperture impensate come quella sulla “questione curda”, diventata appunto questione politica dopo decenni di conflitto e decine di migliaia di morti. Anche l'uso opportunistico dell'Islam (perché di questo si tratta) che Erdogan ha fatto fin dal suo arrivo al potere avrebbe dovuto suonare un altro campanello d'allarme.
Se l'UE avesse aperto da subito i capitoli negoziali su diritti umani e libertà fondamentali, forse oggi la situazione ad Ankara sarebbe diversa, ma del senno di poi, come si sa, son pieni i fossi (e gli editoriali). Ma questa è la Turchia e questo il governo con cui dobbiamo trattare oggi (facendo finta di non vedere la guerra in corso nel sud-est curdo, la repressione della libertà di stampa e le relazioni pericolose con l'Isis). Anche perché Erdogan prima o poi passerà, mentre la Turchia sarà sempre lì, in posizione strategica in uno degli scenari geopolitici più complicati e instabili del globo.
Avremmo bisogno di classi politiche lungimiranti e invece ci dobbiamo affidare a politici di piccolo cabotaggio il cui orizzonte non va al di là delle prime elezioni utili. Per cui una leader di medio livello come Angela Merkel emerge come una statista. E per fortuna c'è almeno la cancelliera a chiedere più Europa per rispondere alla crisi dell'Unione. Perché se non si rilancia la costruzione di una “patria europea”, federalista e democratica, il destino sarà quello del ritorno all'Europa delle patrie. Sempre più piccole, sempre più divise, sempre più ininfluenti.
RIFUGIATI: FARE RETE PER AGIRE E ACCOGLIERE
Una iniziativa di Osservatorio Balcani e Caucaso
Abbiamo lasciato per anni i paesi confinanti con la Siria ad affrontare da soli una crisi umanitaria spaventosa e ci siamo ricordati della guerra in Medioriente solo quando i profughi hanno preso la rotta balcanica. Adesso da struzzi ci stiamo trasformando in bestie feroci, disposti a tutto per arginare l'afflusso di richiedenti asilo. Arriveranno lo stesso. Adottare retoriche paranoiche e scelte securitarie, per far crescere le paure, per guadagnare facili punti politici, per non dover assumersi responsabilità nel trovare soluzioni ad una crisi complessa non è umano e rischia di distruggere l'Europa e farci pagare un prezzo enorme.
Ma è possibile resistere: rilanciamo con l’accoglienza che è necessaria, oltre che dovuta. Sono tante le iniziative già in corso, un arcipelago di resistenze che deve mettersi in rete e salvarci dal baratro in cui rischiamo di cadere. Osservatorio Balcani e Caucaso ha aperto una apposita sezione del portale a disposizione delle notizie e delle segnalazioni dei lettori su chi ha deciso di reagire all'attuale deriva prendendosi delle responsabilità, agendo, provando a capirne di più.
E' possibile compilare il form presente nella pagina o scrivere direttamente a
responsabilita@balcanicaucaso.org
Abbiamo lasciato per anni i paesi confinanti con la Siria ad affrontare da soli una crisi umanitaria spaventosa e ci siamo ricordati della guerra in Medioriente solo quando i profughi hanno preso la rotta balcanica. Adesso da struzzi ci stiamo trasformando in bestie feroci, disposti a tutto per arginare l'afflusso di richiedenti asilo. Arriveranno lo stesso. Adottare retoriche paranoiche e scelte securitarie, per far crescere le paure, per guadagnare facili punti politici, per non dover assumersi responsabilità nel trovare soluzioni ad una crisi complessa non è umano e rischia di distruggere l'Europa e farci pagare un prezzo enorme.
Ma è possibile resistere: rilanciamo con l’accoglienza che è necessaria, oltre che dovuta. Sono tante le iniziative già in corso, un arcipelago di resistenze che deve mettersi in rete e salvarci dal baratro in cui rischiamo di cadere. Osservatorio Balcani e Caucaso ha aperto una apposita sezione del portale a disposizione delle notizie e delle segnalazioni dei lettori su chi ha deciso di reagire all'attuale deriva prendendosi delle responsabilità, agendo, provando a capirne di più.
E' possibile compilare il form presente nella pagina o scrivere direttamente a
responsabilita@balcanicaucaso.org
giovedì 10 marzo 2016
PASSAGGIO IN ONDA - supplemento
Il
"supplemento del giovedì" di Passaggio a Sud Est del 10 marzo 2016 su
Radio Radicale propone una rassegna di articoli sulla Turchia
pubblicati in questi giorni su giornali e siti Internet: il compromesso
con l'Unione Europea sulla crisi dei profughi e la situazione della
libertà di espressione dopo il commissariamento del
quotidiano di opposizione Zaman.
Gli articoli citati:
Rifugiati: cinque cose da sapere dell'accordo UE-Turchia
Andrea Sorbello, Rivista Europae, 9 marzo 2016
L'Europa spaccata al gran ballo del sultano
Adriana Cerretelli, Il Sole 24 Ore, 8 marzo 2016
Il rinvio una sconfitta per l'Unione
Stefano Stefanini, La Stampa, 8 marzo 2016
Europa a corto di statisti
Ugo Tramballi, Il Sole 24 Ore, 9 marzo 2016
Turchia: il sultano riceve altri 3 mld per i migranti, come buttare i soldi nel cesso
Matteo Zola, Eastjournal.net, 9 marzo 2016
Erdogan ha capito che può fare tutto quello che vuole con questa Europa
Marta Ottaviani, EastWest, 8 marzo 2016
Emergenza migranti: intervista a Emma Bonino sull'esito del vertice Ue-Turchia
Andrea Billau, Radio Radicale, marzo 2016
La Turchia dopo Zaman
Dimitri Bettoni, Osservatorio Balcani e Caucaso, 8 marzo 2016
Turchia, la stretta di Erdogan sui media di opposizione
s.a., Askanews Nuova Europa, 9 marzo 2016
Turchia: il difficile rapporto fra Erdogan e la democrazia
Marta Ottaviani, EastWest, 7 marzo 2016
"Fare il reporter è diventato pericoloso" Intervista a Elif Shafak
Marco Ansaldo, La Repubblica, 7 marzo 2013
Gli articoli citati:
Rifugiati: cinque cose da sapere dell'accordo UE-Turchia
Andrea Sorbello, Rivista Europae, 9 marzo 2016
L'Europa spaccata al gran ballo del sultano
Adriana Cerretelli, Il Sole 24 Ore, 8 marzo 2016
Il rinvio una sconfitta per l'Unione
Stefano Stefanini, La Stampa, 8 marzo 2016
Europa a corto di statisti
Ugo Tramballi, Il Sole 24 Ore, 9 marzo 2016
Turchia: il sultano riceve altri 3 mld per i migranti, come buttare i soldi nel cesso
Matteo Zola, Eastjournal.net, 9 marzo 2016
Erdogan ha capito che può fare tutto quello che vuole con questa Europa
Marta Ottaviani, EastWest, 8 marzo 2016
Emergenza migranti: intervista a Emma Bonino sull'esito del vertice Ue-Turchia
Andrea Billau, Radio Radicale, marzo 2016
La Turchia dopo Zaman
Dimitri Bettoni, Osservatorio Balcani e Caucaso, 8 marzo 2016
Turchia, la stretta di Erdogan sui media di opposizione
s.a., Askanews Nuova Europa, 9 marzo 2016
Turchia: il difficile rapporto fra Erdogan e la democrazia
Marta Ottaviani, EastWest, 7 marzo 2016
"Fare il reporter è diventato pericoloso" Intervista a Elif Shafak
Marco Ansaldo, La Repubblica, 7 marzo 2013
martedì 8 marzo 2016
8 MARZO: PER NON DIMENTICARE PIPPA BACCA E TUTTE LE DONNE VITTIME DI VIOLENZA
L'8 marzo del 2008 Pippa Bacca iniziava da Milano la performance itinerante Brides on Tour (Spose in Viaggio) con cui si proponeva di attraversare in autostop undici paesi teatro di conflitti armati vestendo un abito da sposa per promuovere la pace e la fiducia tra le persone.
Il viaggio, compiuto insieme a un'altra artista, Silvia Moro, anch'essa vestita da sposa, aveva come meta finale Gerusalemme.
Dopo aver attraversato Slovenia, Croazia, Bosnia e Bulgaria, Pippa e la sua compagna arrivarono in Turchia il 20 marzo da dove avrebbero poi dovuto continuare attraverso Siria, Libano, Giordania, Israele e Palestina, con arrivo a destinazione prevista per la metà di aprile. Dopo essersi separata a Istanbul dalla compagna, con cui prevedeva di rincontrarsi a Beirut il 31 marzo, Pippa Bacca fu violentata e uccisa a Gebze, da un uomo che le aveva dato un passaggio.
Ricordiamo Pippa Bacca e il suo messaggio di pace e convivenza per non dimenticare tutte le donne che ogni giorno, in tutto il mondo, sono vittime di violenze.
"Velo di sposa" la canzone dei Radiodervish ispirata alla storia di Pippa Bacca. Concerto del 17 agosto 2014 presso la collina di San Mauro a Sannicola (LE).
Il viaggio, compiuto insieme a un'altra artista, Silvia Moro, anch'essa vestita da sposa, aveva come meta finale Gerusalemme.
Dopo aver attraversato Slovenia, Croazia, Bosnia e Bulgaria, Pippa e la sua compagna arrivarono in Turchia il 20 marzo da dove avrebbero poi dovuto continuare attraverso Siria, Libano, Giordania, Israele e Palestina, con arrivo a destinazione prevista per la metà di aprile. Dopo essersi separata a Istanbul dalla compagna, con cui prevedeva di rincontrarsi a Beirut il 31 marzo, Pippa Bacca fu violentata e uccisa a Gebze, da un uomo che le aveva dato un passaggio.
Ricordiamo Pippa Bacca e il suo messaggio di pace e convivenza per non dimenticare tutte le donne che ogni giorno, in tutto il mondo, sono vittime di violenze.
"Velo di sposa" la canzone dei Radiodervish ispirata alla storia di Pippa Bacca. Concerto del 17 agosto 2014 presso la collina di San Mauro a Sannicola (LE).
domenica 6 marzo 2016
PASSAGGIO IN ONDA
E' on-line la puntata di Passaggio a Sud Est del 6 marzo 2016.
La trasmissione e' ascoltabile direttamente qui di seguito oppure sul sito di Radio Radicale.
Sommario della puntata
La puntata è quasi interamente dedicata alla crisi dei rifugiati sulla "rotta balcanica": Stefano Lusa di Radio Capodistria e collaboratore di Osservatorio Balcani e Caucaso, racconta la situazione a Idomeni, al confine greco-macedone; Elisabetta Casalotti, da Atene, spiega la difficile situazione politica e il rischio di crisi di governo in Grecia di fronte alla crisi dei migranti; i colloqui del neoministro degli Esteri della Croazia con la cancelliera Merkel e con il presidente del Consiglio europeo Tusk; la situazione in Macedonia e in Albania e la possibilità che i profughi respinti dalla Macedonia si spostino verso Albania, Bosnia e Montenegro; le considerazioni di Emma Bonino sulla attuale crisi, le sue prospettive e il futuro dell'Unione Europea.
In apertura la Turchia, il commissariamento del quotidiano d'opposizione Zaman, le proteste e le reazioni interne e internazionali.
In chiusura la Serbia e le elezioni anticipate della prossima primavera.
La trasmissione, realizzata con la collaborazione di Marina Sikora e Artur Nura, è ascoltabile direttamente qui
La trasmissione e' ascoltabile direttamente qui di seguito oppure sul sito di Radio Radicale.
Sommario della puntata
La puntata è quasi interamente dedicata alla crisi dei rifugiati sulla "rotta balcanica": Stefano Lusa di Radio Capodistria e collaboratore di Osservatorio Balcani e Caucaso, racconta la situazione a Idomeni, al confine greco-macedone; Elisabetta Casalotti, da Atene, spiega la difficile situazione politica e il rischio di crisi di governo in Grecia di fronte alla crisi dei migranti; i colloqui del neoministro degli Esteri della Croazia con la cancelliera Merkel e con il presidente del Consiglio europeo Tusk; la situazione in Macedonia e in Albania e la possibilità che i profughi respinti dalla Macedonia si spostino verso Albania, Bosnia e Montenegro; le considerazioni di Emma Bonino sulla attuale crisi, le sue prospettive e il futuro dell'Unione Europea.
In apertura la Turchia, il commissariamento del quotidiano d'opposizione Zaman, le proteste e le reazioni interne e internazionali.
In chiusura la Serbia e le elezioni anticipate della prossima primavera.
La trasmissione, realizzata con la collaborazione di Marina Sikora e Artur Nura, è ascoltabile direttamente qui
GRECIA: LA CRISI DEI PROFUGHI E LA SITUAZIONE POLITICA INTERNA
Intervista a Elisabetta Casalotti
In vista del consiglio europeo straordinario di lunedì sulla crisi dei profughi, e dell'incontro con il capo del governo turco Ahmet Davutoglu, il premier greco Alexis Tsipras ha convocato venerdì 4 marzo un vertice di tutti i partiti presenti in parlamento (esclusa Alba Dorata) presieduto dal capo dello stato Pavlopuolos.
Otto ore di confronto e tre ore di trattativa per riuscire a stendere un comunicato congiunto danno la misura delle difficoltà dell'esecutivo che sulla crisi dei profughi rischia la sua stessa tenuta, mentre la popolazione greca cerca come può di affrontare la situazione e di dare una mano alle migliaia di profughi accampati non solo a Idomeni e in altre località di confine, ma anche nella stessa capitale Atene.
In vista del consiglio europeo straordinario di lunedì sulla crisi dei profughi, e dell'incontro con il capo del governo turco Ahmet Davutoglu, il premier greco Alexis Tsipras ha convocato venerdì 4 marzo un vertice di tutti i partiti presenti in parlamento (esclusa Alba Dorata) presieduto dal capo dello stato Pavlopuolos.
Otto ore di confronto e tre ore di trattativa per riuscire a stendere un comunicato congiunto danno la misura delle difficoltà dell'esecutivo che sulla crisi dei profughi rischia la sua stessa tenuta, mentre la popolazione greca cerca come può di affrontare la situazione e di dare una mano alle migliaia di profughi accampati non solo a Idomeni e in altre località di confine, ma anche nella stessa capitale Atene.
sabato 5 marzo 2016
TURCHIA: LA REPRESSIONE DI ERDOGAN CONTRO ZAMAN
Ennesimo duro attacco in Turchia alla libertà di stampa e alla libertà di informazione. Nella notte tra venerdì e sabato la polizia turca ha fatto irruzione nella sede del quotidiano di opposizione Zaman, il più diffuso del paese. Questo dopo la sentenza di un tribunale di Istanbul che ha ordinato il commissariamento del giornale e l'allontanamento degli amministratori e dei giornalisti sgraditi.
Centinaia di persone hanno protestato davanti alla sede del giornale e hanno cercato di impedire l'irruzione della polizia. Per disperderli sono intervenuti i reparti antisommossa che, stando alle testimonianze, hanno fatto uso di gas lacrimogeni e idranti per disperdere i manifestanti.
Per mettere sotto controllo il gruppo editoriale Feza, al quale oltre a Zaman fanno capo anche la sua edizione in inglese Zaman Today. l'agenzia di stampa Cihan, il settimanale Acsyon e l'emittente televisiva Samanyolu, l'accusa è quella ormai consueta usata dal regime – ormai possiamo definirlo così – del presidente RecepTayyip Erdogan per mettere a tacere le voci critiche: “propaganda terroristica”.
Questa volta non a favore dei guerriglieri curdi, ma del presunto stato parallelo che sarebbe stato creato dal magnate e predicatore sunnita Fetullah Gulen, ex alleato e sostenitore di Erdogan, poi diventato suo acerrimo nemico.
Dopo aver disperso i manifestanti che si erano riuniti davanti alla sede del quotidiano, la polizia ha fatto irruzione nella redazione e ha letteralmente buttato fuori i giornalisti e gli amministratori. I giornalisti sono riusciti a mettere online sul sito del quotidiano la cronaca e le immagini delle cariche della polizia al di fuori della sede del giornale e poi l'irruzione nella redazione. In precedenza il direttore del quotidiano nel corso di un'assemblea aveva parlato ai giornalisti dicendo: “Questo è un giorno nero per la democrazia”
Il leader del Chp, il principale partito di opposizione, Kemal Kilicdaroglu, ha denunciato l'azione della magistratura definendola un colpo alla libertà di espressione. Condanne sono arrivate anche dall'estero: il commissario europeo all'Allargamento Johannes Hahn ha detto di essere estremamente preoccupato per quanto accaduto. Il Dipartimento di Stato americano ha definito inquietanti le azioni giudiziarie per mettere a tacere gli organi di informazione sgraditi al al potere ricordando che la Turchia è candidata all'adesione all'Unione europea e deve rispettare la libertà di stampa. "I diritti fondamentali non sono negoziabili”.
A Zaman è successo quello che era già accaduto per il gruppo editoriale Ipker che era stato commissariato alla vigilia delle elezioni dello scorso novembre sempre per il suo legame con l'organizzazione che fa capo alla al predicatore e magnate Fetullah Gulen. “Oggi è un giorno di vergogna per la libertà dei media in Turchia. La Costituzione è stata sospesa”, ha detto tra l'altro la direttrice della versione online di Zaman, Sevgi Akarcesme, che ha parlato ai giornalisti della stampa internazionale davanti alla sede del giornale. Ricordiamo che la Costituzione turca vieta il sequestro di tipografie e delle attrezzature necessarie alla stampa dei giornali.
Una petizione su internet è stata lanciata da Index on Censorship che chiede al tribunale di Istanbul di rivedere la decisione e al presidente Erdogan di mettere fine alla repressione degli organi di informazione. “Le autorità turche - si legge tra l'altro nella petizione - hanno confermato di non rispettare più la libertà dei media che è la base di ogni società democratica. Noi sottoscritti chiediamo al tribunale di rivedere la sua decisione di porre sotto sequestro Zaman e chiediamo alla comunità internazionale di prendere posizione contro i ripetuti tentativi della Turchia di soffocare i media liberi e indipendenti “. La petizione è stata lanciata sulla piattaforma Change.org.
Non sfugge una coincidenza tra la decisione di commissariare Zaman e l'allontanamento forzato dei dei giornalisti e degli amministratori e il vertice di lunedì 7 marzo a Bruxelles tra il Governo turco. L'Unione Europea da molto tempo chiude gli occhi di fronte alle violazioni alla libertà di stampa e di espressione in Turchia vista la potente arma di ricatto che Erdogan ha in mano. Bruxelles ha stanziato tre miliardi per a sostenere la Turchia nell'accoglienza dei profughi che arrivano dalla Siria e delle altre zone di conflitto del Medio Oriente ed evitare che arrivino sulle coste europee. Ormai sono centinaia di migliaia in territorio turco e, purtroppo, nulla fa pensare che l'atteggiamento europeo possa cambiare molto presto vista la debolezza e le divisioni tra i 28 su come affrontare e gestire la crisi dei profughi.
Post aggiornato il 11/03/2016
Centinaia di persone hanno protestato davanti alla sede del giornale e hanno cercato di impedire l'irruzione della polizia. Per disperderli sono intervenuti i reparti antisommossa che, stando alle testimonianze, hanno fatto uso di gas lacrimogeni e idranti per disperdere i manifestanti.
Per mettere sotto controllo il gruppo editoriale Feza, al quale oltre a Zaman fanno capo anche la sua edizione in inglese Zaman Today. l'agenzia di stampa Cihan, il settimanale Acsyon e l'emittente televisiva Samanyolu, l'accusa è quella ormai consueta usata dal regime – ormai possiamo definirlo così – del presidente RecepTayyip Erdogan per mettere a tacere le voci critiche: “propaganda terroristica”.
Questa volta non a favore dei guerriglieri curdi, ma del presunto stato parallelo che sarebbe stato creato dal magnate e predicatore sunnita Fetullah Gulen, ex alleato e sostenitore di Erdogan, poi diventato suo acerrimo nemico.
Il leader del Chp, il principale partito di opposizione, Kemal Kilicdaroglu, ha denunciato l'azione della magistratura definendola un colpo alla libertà di espressione. Condanne sono arrivate anche dall'estero: il commissario europeo all'Allargamento Johannes Hahn ha detto di essere estremamente preoccupato per quanto accaduto. Il Dipartimento di Stato americano ha definito inquietanti le azioni giudiziarie per mettere a tacere gli organi di informazione sgraditi al al potere ricordando che la Turchia è candidata all'adesione all'Unione europea e deve rispettare la libertà di stampa. "I diritti fondamentali non sono negoziabili”.
A Zaman è successo quello che era già accaduto per il gruppo editoriale Ipker che era stato commissariato alla vigilia delle elezioni dello scorso novembre sempre per il suo legame con l'organizzazione che fa capo alla al predicatore e magnate Fetullah Gulen. “Oggi è un giorno di vergogna per la libertà dei media in Turchia. La Costituzione è stata sospesa”, ha detto tra l'altro la direttrice della versione online di Zaman, Sevgi Akarcesme, che ha parlato ai giornalisti della stampa internazionale davanti alla sede del giornale. Ricordiamo che la Costituzione turca vieta il sequestro di tipografie e delle attrezzature necessarie alla stampa dei giornali.
Una petizione su internet è stata lanciata da Index on Censorship che chiede al tribunale di Istanbul di rivedere la decisione e al presidente Erdogan di mettere fine alla repressione degli organi di informazione. “Le autorità turche - si legge tra l'altro nella petizione - hanno confermato di non rispettare più la libertà dei media che è la base di ogni società democratica. Noi sottoscritti chiediamo al tribunale di rivedere la sua decisione di porre sotto sequestro Zaman e chiediamo alla comunità internazionale di prendere posizione contro i ripetuti tentativi della Turchia di soffocare i media liberi e indipendenti “. La petizione è stata lanciata sulla piattaforma Change.org.
Non sfugge una coincidenza tra la decisione di commissariare Zaman e l'allontanamento forzato dei dei giornalisti e degli amministratori e il vertice di lunedì 7 marzo a Bruxelles tra il Governo turco. L'Unione Europea da molto tempo chiude gli occhi di fronte alle violazioni alla libertà di stampa e di espressione in Turchia vista la potente arma di ricatto che Erdogan ha in mano. Bruxelles ha stanziato tre miliardi per a sostenere la Turchia nell'accoglienza dei profughi che arrivano dalla Siria e delle altre zone di conflitto del Medio Oriente ed evitare che arrivino sulle coste europee. Ormai sono centinaia di migliaia in territorio turco e, purtroppo, nulla fa pensare che l'atteggiamento europeo possa cambiare molto presto vista la debolezza e le divisioni tra i 28 su come affrontare e gestire la crisi dei profughi.
Post aggiornato il 11/03/2016
venerdì 4 marzo 2016
PROFUGHI: CRISI UMANITARIA A IDOMENI
Intervista a Stefano Lusa
Stefano Lusa, giornalista di Radio Capodistria e collaboratore di Osservatorio Balcani e Caucaso racconta la situazione a Idomeni, località greca al confine con la Macedonia, dove migliaia di persone sono ammassate, in condizioni sempre più precarie, sotto ripari di fortuna, in attesa di riuscire a proseguire verso il nord Europa. Solo la saggezza e l'umanità con cui le autorità e la polizia greca stanno gestendo la situazione ha impedito che si ripetessero i tentativi di sfondamento dei confini dei giorni scorsi.
Stefano Lusa, giornalista di Radio Capodistria e collaboratore di Osservatorio Balcani e Caucaso racconta la situazione a Idomeni, località greca al confine con la Macedonia, dove migliaia di persone sono ammassate, in condizioni sempre più precarie, sotto ripari di fortuna, in attesa di riuscire a proseguire verso il nord Europa. Solo la saggezza e l'umanità con cui le autorità e la polizia greca stanno gestendo la situazione ha impedito che si ripetessero i tentativi di sfondamento dei confini dei giorni scorsi.
LA NEWSLETTER DI OSSERVATORIO BALCANI E CAUCASO
PRIMO PIANO
Ecologia
Coltivazioni orientate all'autosufficienza famigliare, bioedilizia, permacultura. Seppur ancora timidamente, in Moldavia si stanno sviluppando preziose iniziative per vivere l'ambiente e la terra in modo sostenibile. Il reportage di Francesco Brusa.
Così come per l'ambiente, dove è l'agire quotidiano che conta e fa la differenza, così nei processi di riconciliazione. Vent'anni dopo la fine della guerra, in Bosnia Erzegovina gruppi di veterani di opposti schieramenti si confrontano con il passato grazie al lavoro del Centro per l'Azione Nonviolenta: un approfondimento di Andrea Rossini.
In settimana poi abbiamo creato una sezione del nostro portale dedicata a chi non ci sta, a chi vede nel rilancio del progetto europeo l'unica possibile risposta all'attuale crisi dei rifugiati. Poi – tra i vari materiali – un reportage da Idomeni, Grecia; un'intervista sulla situazione dei media indipendenti in Croazia; un viaggio tra i friulani della Dobrugia rumena; un approfondimento sulla situazione delle minoranze in Georgia.
Bloc-notes: I rifugiati ed il marsupio porta bimbi; "I'm Human Organization"; Tre cucine mobili (e indipendenti) a Idomeni;Minacce azere
Pubblicazioni! OBC e CeSPI hanno realizzato un'analisi sulla Macroregione adriatico-ionica. E' ora disponibile integralmente sul nostro portale
MULTIMEDIA
Idomeni
Il viaggio dei profughi verso Idomeni, dove nei giorni scorsi si sono chiuse le porte della rotta balcanica (Foto e testi di Andrea Rossini e Simone Ginzburg)
NOTIZIE
Rifugiati: il muro macedone
Andrea Oskari Rossini
La solitudine in cui viene abbandonata la Grecia è solo il più recente segnale dello smarrimento dell'Europa nella gestione della crisi dei rifugiati
Musica: l'epopea dei Siddharta
Gianluca Grossi
Con il loro alternative rock hanno caratterizzato vent'anni del panorama rock sloveno. Una rassegna
L'Europa, l'est, i muri
Omer Karabeg
Per gli storici Dubravka Stojanović e Tvrtko Jakovina l'unica possibile risposta all'attuale crisi dei rifugiati resta quella di rilanciare il progetto europeo. Un'intervista
La Moldavia degli ecovillaggi
Francesco Brusa
Coltivazioni orientate all'autosufficienza famigliare, bioedilizia, permacultura. Seppur ancora timidamente, in Moldavia si stanno sviluppando numerose idee per vivere l'ambiente e la terra in modo sostenibile
BFM al via, nel segno dei Balcani
Nicola Falcinella
Si apre sabato 5 marzo il Bergamo Film Meeting, con una personale della regista Jasmila Žbanić ed il sudest Europa ancora protagonista
Croazia, media indipendenti nel mirino del governo
Marzia Bona
L'abolizione del sostegno pubblico ai media no profit è il primo provvedimento del neo ministro della Cultura croato Zlatko Hasanbegović. Ne parliamo con Toni Gabrić, caporedattore di H-Alter, fra i media beneficiari del sostegno pubblico negli ultimi tre anni
Voto in Georgia: quanto valgono le minoranze
Marilisa Lorusso
In vista delle elezioni parlamentari georgiane che si terranno nell'autunno prossimo, abbiamo incontrato Giorgi Bobghiashvili dell’European Centre for Minority Issues per parlare di minoranze e politiche inclusive in Georgia
I friulani di Greci
Eugenio Berra
Un villaggio della Dobrugia romena dove tutt'oggi vivono i discendenti di famiglie friulane e venete emigrate alla fine dell'Ottocento. Lì ci si soffermerà nella seconda tappa di "Navigando lungo i sapori del delta del Danubio", viaggio promosso a giugno da Viaggiare i Balcani. Un reportage
Kosovo, l'elezione di Thaçi non è valida
Andrea Lorenzo Capussela
La recente elezione di Hashim Thaçi alla presidenza del Kosovo non è valida per almeno due motivi, che rimandano entrambi alla violazione delle regole stabilite dalla Corte Costituzionale
Sarajevo, la strada della nonviolenza
Andrea Oskari Rossini
Venti anni dopo la fine della guerra, gruppi di veterani di opposti schieramenti si confrontano con il passato grazie al lavoro del Centro per l'Azione Nonviolenta
Il deserto del post-socialismo
Vittorio Filippi
Un nuovo saggio analizza dove sia finita la cosiddetta "sinistra" in questi 25 anni che ci separano dal crollo dell'ex Jugoslavia. Riceviamo e volentieri pubblichiamo
Istanbul, nella rete dei trafficanti
Dimitri Bettoni, Filippo Cicciù
La "rotta balcanica" per centinaia di rifugiati e migranti parte da Istanbul. Per moltissimi, usare la rete dei trafficanti è una scelta obbligata. Un reportage esclusivo firmato OBC
Maidan 3.0
Danilo Elia
Nelle settimane scorse l'anniversario della fine di Euromaidan. Quale l'eredità lasciata da quegli avvenimenti? E' probabile una nuova Maidan?
APPUNTAMENTI
I Romeni e la Grande Guerra
Esposizione foto-documentaria in occasione del Centenario della Grande Guerra; inaugurazione sabato 5 marzo alle 12:00
Dal 5 al 19 marzo 2016
RIGNANO FLAMINIO (RM)
Dal 5 al 19 marzo 2016
RIGNANO FLAMINIO (RM)
Un'Europa di corridoi o barriere
Incontro-dibattito sulle complesse alternative rappresentate dai corridoi umanitari rispetto ai percorsi di fuga che i rifugiati oggi devono intraprendere. Nell'ambito della due giorni di eventi volti a sensibilizzare la cittadinanza e contrapporre alla mentalità delle barriere la possibilità dei corridoi umanitari per i rifugiati
5 marzo 2016
TRENTO
5 marzo 2016
TRENTO
Giornalismo - Quello che resta. Quello che cambia. Quello che sparisce
Secondo appuntamento del ciclo di incontri destinati a studenti, docenti, giornalisti e lettori; interviene il direttore de Il Post, Luca Sofri
9 marzo 2016
TRENTO
9 marzo 2016
TRENTO
Architettura civile armena
Primo appuntamento organizzato nell'ambito del ciclo di seminari sull’arte armena; interviene Paolo Arà Zarian
10 marzo 2016
VENEZIA
10 marzo 2016
VENEZIA
OPPORTUNITÁ
Workshop che si pone come obiettivo quello di incentivare e promuovere la formazione di giovani drammaturghi in grado di rispondere in maniera competente alle richieste della scena contemporanea, capaci altresì di individuare nuove possibili forme di scrittura drammaturgica al fine di una sempre più vasta circolazione di testi e forme che siano in grado di raccontare la realtà che ci circonda; diretto da Jeton Neziraj, già direttore del Teatro Nazionale del Kosovo e coraggiosa voce politica nel teatro del nuovo Kosovo, impegnato sul fronte dell'attivismo intellettuale e sul ruolo dell'artista, sulla sua responsabilità e sul margine di libertà dei processi socio-politici in atto.
giovedì 3 marzo 2016
IL GRANDE EST - 2/2016
Rassegnaest.com, il portale che racconta e documenta le relazioni tra l'Italia e i paesi della nuova Europa, rinnovato nella veste grafica e nei contenuti, da questo mese propone Il Grande Est, un'antologia mesile di cose interessanti successe negli ultimi trenta giorni e di cose che succederanno nei successivi.
In questo primo numero la prima parte riguarda temi, ricerche o aspetti che riguardano tutta la "nuova" Europa. Le parti successive sono suddivise secondo aree geografiche: Europa centrale, Russia e paesi ex Urss, Balcani e Turchia.
In questo numero
Crisi dei rifugiati, elezioni alle porte in Serbia e Slovacchia, riforme ferme al palo in Ucraina, startup a Est, previsioni economiche della Commissione Ue, questione petrolifera nell’ex Urss, caso Walesa in Polonia. Questi gli eventi principali accaduti a febbraio nella “nuova” Europa. I nostri articoli, le analisi della stampa (estera e italiana) e come sempre qualche spunto di economia.
Leggi qui Il Grande Est, il notiziario mensile di RassegnaEst.com
In questo primo numero la prima parte riguarda temi, ricerche o aspetti che riguardano tutta la "nuova" Europa. Le parti successive sono suddivise secondo aree geografiche: Europa centrale, Russia e paesi ex Urss, Balcani e Turchia.
In questo numero
Crisi dei rifugiati, elezioni alle porte in Serbia e Slovacchia, riforme ferme al palo in Ucraina, startup a Est, previsioni economiche della Commissione Ue, questione petrolifera nell’ex Urss, caso Walesa in Polonia. Questi gli eventi principali accaduti a febbraio nella “nuova” Europa. I nostri articoli, le analisi della stampa (estera e italiana) e come sempre qualche spunto di economia.
Leggi qui Il Grande Est, il notiziario mensile di RassegnaEst.com
martedì 1 marzo 2016
VIETATO PARLARE DI AZERBAIJAN
di Luca Zanoni, direttore di www.balcanicaucaso.org
Venerdì scorso si è tenuto a Roma un incontro organizzato da Amnesty Italia e FNSI per parlare delle violazioni dei diritti umani e delle libertà di espressione in Azerbaijan. L'incontro è stato ostacolato con lettere dell'ambasciata dell'Azerbaijan e tentativi di boicottaggio si sono ripetuti in sala. Richiesto l'intervento delle forze dell'ordine.
Si è trattato di un’importante occasione per parlare in Italia di un regime repressivo come quello dell’Azerbaijan, della violazione dei diritti umani, delle gravi limitazioni alle libertà di espressione di stampa in atto nel paese caucasico. I lettori di OBC sanno che da anni cerchiamo di portare l’attenzione su questi temi, sia in Italia che a livello internazionale. Ben venga quindi che insieme ad Amnesty e FNSI si sia riusciti ad organizzare un incontro a Roma dove poter parlare pubblicamente e apertamente di questioni poco conosciute e poco presenti sui media italiani.
Perché scrivere di questo? Per il semplice fatto che l’ambasciata dell’Azerbaijan ha provato con tentavi di “intimidazione”, come li ha definiti Riccardo Noury, con avvertimenti e numerose lettere recapitate alla FNSI e ad Amnesty Italia di impedire che un evento come questo si svolgesse.
Continua a leggere sul sito di Osservatorio Balcani e Caucaso
Venerdì scorso si è tenuto a Roma un incontro organizzato da Amnesty Italia e FNSI per parlare delle violazioni dei diritti umani e delle libertà di espressione in Azerbaijan. L'incontro è stato ostacolato con lettere dell'ambasciata dell'Azerbaijan e tentativi di boicottaggio si sono ripetuti in sala. Richiesto l'intervento delle forze dell'ordine.
Si è trattato di un’importante occasione per parlare in Italia di un regime repressivo come quello dell’Azerbaijan, della violazione dei diritti umani, delle gravi limitazioni alle libertà di espressione di stampa in atto nel paese caucasico. I lettori di OBC sanno che da anni cerchiamo di portare l’attenzione su questi temi, sia in Italia che a livello internazionale. Ben venga quindi che insieme ad Amnesty e FNSI si sia riusciti ad organizzare un incontro a Roma dove poter parlare pubblicamente e apertamente di questioni poco conosciute e poco presenti sui media italiani.
Perché scrivere di questo? Per il semplice fatto che l’ambasciata dell’Azerbaijan ha provato con tentavi di “intimidazione”, come li ha definiti Riccardo Noury, con avvertimenti e numerose lettere recapitate alla FNSI e ad Amnesty Italia di impedire che un evento come questo si svolgesse.
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