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lunedì 15 agosto 2011
"IO SONO EUROPEO", CONTRO TUTTI I MURI, CINQUANT'ANNI DOPO BERLINO
Cinquant'anni fa, nella notte tra il 12 ed il 13 agosto 1961, la Ddr - la Repubblica Democratica Tedesca – iniziava la costruzione del “muro di Berlino”. La mattina di quel 13 agosto migliaia di berlinesi si ritrovarono a guardare, impotenti e attoniti, quello che stava accadendo davanti ai loro occhi. Molti tentarono di sottrarsi a quella gabbia che gli si stava chiudendo attorno e si buttarono all'ovest prima che la barriera si chiudesse definitivamente. Intere famiglie vennero sfrattate dalle case che si trovavano lungo il confine, altre furono restarono separate: affetti, legami, rapporti di lavoro, furono tagliati in due come le strade e le case. A niente valsero le proteste e le richieste di intervento. Le potenze occidentali che occupavano la Germania dopo la fine della guerra mondiale non avevano nessuna intenzione di aggravare le tensioni con l'Urss: se la Germania comunista voleva impedire la fuga dei suoi cittadini (fino a quel momento erano già stati 2 milioni e mezzo, il 20% della popolazione) che lo facesse e amen. Così, prima con i reticolati di filo spinato, poi con i mattoni, poi ancora con il cemento armato, i reticolati e i fossati, i cavalli di frisia, le torrette di sorveglianza, il Muro per quasi trent'anni ha diviso in due la Germania e l'Europa. E di fronte al muro, il 23 giugno 1963, John Kennedy pronunciò il discorso con la celebre frase: “Io sono berlinese”.
La costruzione del “muro di Berlino” è un momento cruciale nella storia della Germania e dell'Europa del '900. Lungo 43 chilometri, con 14 mila guardie armate, 302 torrette di guardia, 20 bunker e 259 corridoi per cani, il “muro” segnò e cambiò la vita di migliaia di persone. Fino al '61, ogni giorno 12 mila berlinesi dell'ovest si erano recati all'est a lavorare, mentre 53 mila erano gli abitanti orientali facevano il contrario. Con il tempo la divisione divenne anche economica: 100 marchi della Ddr valevano 9 di quelli della Germania federale. Nei quasi tre decenni della divisione, la popolazione di Berlino Ovest (più o meno due milioni di persone) fu un po' meno del doppio di quella dell'Est. Le persone che riuscirono a fuggire all'ovest furono 5043 (tra i quali 574 militari). Tanti i mezzi utilizzati, più o meno fantasiosi o disperati, dalle auto col doppio fondo, alle mongolfiere, ai tunnel nel sottosuolo: di questi ne furono scavati 70, uno dei quali, lungo 130 metri, sbucava in un panificio e permise la fuga di 57 persone. Non tutti ebbero però la stessa fortuna: la Stasi, la polizia segreta del regime comunista che aveva un suo agente ogni 150 abitanti, riuscì a bloccare oltre 3200 persone che tentavano di scappare. I morti accertati furono 136, ma secondo altre stime sarebbero circa 240 (un po' di più i feriti). La prima vittima fu Ida Siekmann che cadde dalla finestra di un palazzo sulla linea di confine, a Bernauerstrasse, il 22 agosto '61. Due giorni dopo, il primo ucciso: Guenter Liftin, un sarto 24enne, raggiunto da un proiettile alla nuca mentre tentava di fuggire a nuoto all'altezza del porto di Humboldt. Il caso più tragicamente famoso è quello di Peter Fechter, un muratore che venne colpito dai “Grepo”, i poliziotti di frontiera, il 17 agosto del 1962 a poca distanza dal “Check-point Charlie”, e che fu lasciato morire dissanguato sotto gli occhi dei berlinesi e dei media, mentre alle guardie americane veniva ordinato di non intervenire.
Il corpo senza vita di Peter Fechter, a ridosso del Muro
Il Muro cessò di esistere una notte di autunno del 1989. Meno di tre mesi prima, il 23 agosto, l'Ungheria aveva aperto il confine con l'Austria e in poche ore 13 mila tedeschi dell'est che erano in vacanza scapparono. Il crollo dei regimi dell'est Europa, partito proprio da Budapest nel gennaio di quell'anno, aveva raggiunto anche la Ddr e il 9 novembre, il semplice annuncio che i cittadini tedesco-orientali avrebbero potuto recarsi all'ovest si trasformò in uno tsunami umano che travolse pacificamente quasi mezzo secolo di dittatura comunista. E se oggi la data di inizio della costruzione del muro sembra essere quasi dimenticata dentro i libri di storia, altrettanto lontana appare anche quella della sua caduta, in quella notte in cui crollò il simbolo più aspro e più tragico della “cortina di ferro” che aveva diviso l'Europa dalla fine della seconda guerra mondiale. Una notte di festa incontenibile, in cui sembrò che la storia finisse e che tutto fosse diventato possibile. Tuttavia, come ha scritto lo scrittore Peter Schneider (autore de "Il saltatore del muro", ed. Sugarco) sulla Domenica di Repubblica del 7 agosto, "il Muro era la costruzione più assurda del mondo cui nessuno riusciva a sottrarre lo sguardo, l'antagonista tedesco della Statua della libertà, ma al tempo stesso niente si sapeva su quello che la costruzione aveva fatto alle persone che vivevano nella sua ombra". Forse è per questo che, nota sempre Schneider, nonostante oggi non esista più, la sua ombra non è stata cancellata del tutto.
Una placca commemorativa ricorda dove passava il Muro
(Foto Thomas Peter / Reuters)
Dunque, il "Muro di Berlino" non c'è più, abbattuto quasi ventidue anni fa dalla forza del cambiamento che ha cambiando la metà orientale dell'Europa. Purtroppo, però, di muri in Europa ce ne sono ancora. Concreti, come quello che a Cipro corre lungo la "linea verde", che non esistono fisicamente, ma sono comunque molto reali come in Kosovo, a Mitrovica e lungo il fiume Ibar, o immateriali, costruiti nella mente di tante persone, come in Bosnia. Questi ultimi sono i più pericolosi e i più difficili da abbattere. Di fronte a tutte queste barriere, a questi confini – sia quelli fisici, sia quelli mentali – oggi dovrebbero andare tutti coloro che, nonostante tutto, ancora credono nell'unità dell'Europa, nel progetto di unione europea che fu concepito a Ventotene prima della fine della seconda guerra mondiale. Dovremmo andarci tutti davanti a questi muri e, parafrasando John Kennedy, gridare: “Io sono europeo”. [RS]
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