La Turchia: cento anni fa era il "grande malato d'Europa", oggi è l'Europa che sembra essere diventata un problema per la Turchia. Per decenni a cavallo del Bosforo si è guardato all'Occidente e l'Unione Europea è stato il traguardo a cui guardavano le classi dirigenti e l'establishment erede del kemalismo che aveva forgiato la nuova Turchia dopo il crollo dell'impero ottomano. Un sogno che per anni ha trovato sostegni anche in Europa, sia nelle classi politiche che tra gli intellettuali e gli osservatori politici. Ora però, questo sogno sembra essere svanito. Questo almeno è quanto sostiene il più grande scrittore turco contemporaneo, il premio Nobel Orhan Pamuk del quale il quotidiano La Repubblica, il 24 dicembre, ha pubblicato un articolo che Marco Ansaldo ha definito il testo forse più politico scritto da Pamuk negli ultimi anni. Un accusa durissima verso l'Europa e la sua politica di integrazione ma anche verso i settori dell'esercito e dei media turchi collusi con i nazionalisti anti-europei.
Il processo di integrazione europea di Ankara è iniziato molti anni fa e molto tempo c'è voluto perché la Turchia ottenesse lo status di Paese candidato. I nogoziati di adesione, apertisi ufficialmente nell'ottobre 2005, cinque anni dopo, svanite le grandi speranze iniziali, sono sostanzialmente al palo. Nel semestre di presidenza belga dell'Ue non si è riusciti ad aprire nemmeno un dossier secondario e uno degli scogli maggiori resta la questione di Cipro. Intanto, lo scorso settembre, la maggioranza dei cittadini turchi ha approvato il referendum che introduce nella Costituzione alcune riforme che vanno nella direzione degli standard richiesti da Bruxelles, mentre il governo islamico-moderato di Recep Tayyip Erdogan continua a indicare l'adesione all'Ue come una delle sue priorità. Nel frattempo, però, la politica estera di Ankara è cambiata: l'arrivo al ministero degli Esteri di Ahmet Davutoglu ha reso concretamente operante la sua dottrina della "profondità strategica".
All'insegna dello slogan "Nessun problema con i nostri vicini", la Turchia degli anni Duemila porta avanti la sua politica estera muovendosi a 360°, decisa a giocare fino in fondo il suo ruolo di potenza regionale proiettata verso l'Asia, verso il Medio Oriente ed il mondo arabo, il Caucaso e la Russia, verso i Balcani e "anche" (non più "solo") verso l'Occidente e l'Unione europea. Contemporaneamente in Europa, tra le classi dirigenti e nell'opinione pubblica, si è allargata la diffidenza verso il grande paese islamico che pretende di trattare alla pari senza piegare il capo di fronte alla "superiorità" occidentale e, con essa, la posizione contraria all'adesione piena all'Ue che ha in Berlino e Parigi la sue capitali. L'analisi che Orhan Pamuk fa degli attuali rapporti tra Turchia e Unione Europea è, dunque, spietata: da una parte c'è un Paese minato dai nazionalisti, la Turchia appunto, dall'altra un continente, l'Europa, che tradisce i suoi valori.
"Né in Europa, né in Turchia - scrive il premio Nobel nell'articolo di Repubblica - c'è una speranza realistica che la Turchia si unisca all'Ue nel prossimo futuro. Ma ammetterlo avrebbe l'effetto devastante di un totale collasso delle relazioni turco-europee; e quindi nessuno trova il coraggio di parlarne in maniera esplicita". Le tensioni tra Turchia e Unione Europea, secondo Pamuk, "vanno ascritte in gran parte all'alleanza di un settore dell'esercito turco e dei maggiori gruppi mediatici con i gruppi politici nazionalisti, e al successo della loro campagna per sabotare i negoziati". Secondo il premio Nobel si tratta degli stessi ambienti all'origine delle persecuzioni contro gli scrittori e gli intellettuali e degli assassinii di sacerdoti e missionari cristiani.
Detto questo, però, Pamuk non risparmia un dura critica anche nei confronti dell'Europa: "Guardando al paesaggio europeo da Istanbul e oltre, si è colpiti innanzi tutto dal modo confuso con cui l'Europa (al pari dell'Unione Europea) affronta i propri problemi interni [...] Man mano che la crisi si estende e di aggrava l'Europa rischia di ripuegarsi su sé stessa [...] ma in questo modo non riuscirà a risolvere il problema [...] L'Europa non può chiudersi indefinitamente ai disoccupati poveri e indifesi, in fuga dai loro Paesi, alla ricerca di un posto dove poter vivere e lavorare [...] E quel che è peggio è che le politiche ostili agli immigrati e i pregiudizi nei loro confronti stanno già distruggendo quei valori fondamentali che hanno fatto dell'Europa quella che era".
Conclude, quindi, Orhan Pamuk: "Si può comprendere l'ansia o addirittura il panico di un'Europa tesa a preservare le sue grandi tradizioni culturali, ad appropriarsi delle ricchezze del mondo non occidentale e a salvaguardare i vantaggi conquistati in tanti secoli di conflitti di classe, di colonialismo e di guerre intestine. Ma se vuole proteggersi, l'Europa non farebbe meglio a rammentarsi quei valori fondamentali che hanno fatto del Vecchio Continente il centro di gravità degli intellettuali del mondo intero?".
E' il caso della domanda che contiene già in sé già la sua risposta, ma una volta tanto non si tratta di un discutibile espediente retorico, quanto dell'amara constatazione della realtà della situazione. Una situazione che, fatte le debite e neccessarie differenze, può valere anche per i Balcani occidentali e per il loro travagliato processo di intergrazione europeo dopo il baratro apertosi negli anni Novanta con la cruenta dissoluzione della Jugoslavia.
Buon 2011 a tutte le persone di buona volontà.
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venerdì 31 dicembre 2010
SREBRENICA, 15 ANNI DOPO
Nel 2010 che si sta per chiudere cadevano due ricorrenze importanti per la storia recente dei Balcani: il decennale della caduta di Milosevic e il quidicesimo anniversario della firma degli accordi di pace di Dayton che posero fine della guerra in Bosnia Erzegovina. Pochi mesi fa, ricorreva anche il quindicesimo anniversario del genocidio di Srebrenica che reappresenta insieme uno degli ultimi atti della guerra e il più efferato crimine commesso nel corso del conflitto bosniaco.
L'11 luglio scorso, in occasione del quindicesimo anniversario del massacro di Srebrenica che, come si ricorda sempre, costituisce il più grave crimine contro l'umanità commesso in Europa dalla fine della seconda guerra mondiale, Radio Radicale ha mandato in onda un mio servizio con voci, memorie, testimonianze e riflessioni sul presente di Srebrenica e della Bosnia per guardare ad un futuro possibile e non dimenticare quello che accadde nel 1995.
Il servizio potete riascoltarlo sul sito di Radio Radicale oppure direttamente qui
Il servizio comprende anche tre interviste
a Andrea Rossini di Osservatorio Balcani e Caucaso, autore del documentario "Dopo Srebrenica"
a Edi Rabini, animatore del progetto "Adopt Srebrenica" della Fondazione Alexander Langer
e al grande intellettuale e scrittore Predrag Matvejevic.
L'UNGHERIA ALLA PROVA DEI BALCANI
di Marina Szikora [*]
Dal prossimo primo gennaio, l'Ungheria condurra' per sei mesi la politica dell'Ue e secondo gli annunci, tra le priorita' della presidenza ungherese ci sara' anche la questione dell'allargamento dell'Ue nonche' la stabilita' dei Balcani Occidentali e in questo contesto inevitabile sara' l'atteso dialogo tra Belgrado e Priština, vale a dire un tentativo di risolvere le numerose questioni aperte tra la Serbia e il Kosovo. Il ministro degli esteri ungherese Janos Martonyi ha dichiarato che Budapest appoggia fortemente l'inizio del dialogo tra Belgrado e Priština e si e' detto deluso a causa del ritardo dovuto soprattutto all'esplosione del caso clamoroso di Hashim Thaci. Il capo della diploamzia ungherese ha sottolineato che in ogni caso Budapest vuole che i colloqui inizino, a partire dagli elementi piu' neutrali, quindi tecnici per procedere poi verso le questioni piu' delicate che riguardano lo status. Martonyi ha ribadito che e' cruciale che le due parti dialoghino e che a tal proposito l'Ue ha offerto i suoi servizi.
Dal canto suo, il premier ungherese Viktor Orban, incontrando a Budapest settimana scorsa il presidente del Consiglio europeo, Hermann van Rompuy, ha detto che l'Ungheria durante la presidenza insistera' particolarmente sulla questione dell'ulteriore allargamento dell'Ue poiche' e' utile, sia per i membri attuali che quelli futuri. "Vorrei restituire lo slancio dell'allargamento perche' questo processo aiutera' anche a risolvere i problemi all'interno dell'Ue. Collui che si allarga al tempo stesso costruisce e crede nel proprio futuro. Il piu' necessario per l'Ue oggi e' credere nelle sue possibilita'" ha detto Orban alla conferenza stampa congiunta con il presidente del Consiglio europeo. Il premier ungherese non ha nascosto che il suo Paese attendono sei mesi difficili perche' deve prendere delle decisioni che sono state rimandate per diversi anni ma questo, come ha detto, non spaventa gli ungheresi.
Tra gli eventi piu' importanti durante la presidenza ungherese, Orban ha annunciato il summit energetico a febbraio a Bruxelles ed il vertice sullo stesso argomento a maggio a Budapest, al quale parteciperanno anche i leader dell'Europa orientale. "Siamo pronti a delle modifiche limitate dell'Accordo di Lisbona, stiamo preparando un pachetto di misure economiche e molto altro" ha detto Orban.
La Croazia, ricordiamolo, ancora l'anno scorso sperava di poter concludere il processo di negoziati di adesione entro il 2010, ma le aspettative si sono dovute trascinate verso l'anno prossimo. A fine 2010, Zagabria conclude altri tre capitoli del processo di negoziati e si compie cosi' un ulteriore passo verso l'adempimento di quello che attualmente vuole essere l'obiettivo principale: concludere i negoziati entro la fine della presidenza ungherese, vale a dire entro il prossimo giugno. I tre capitoli chiusi temporaneamente sono Liberta' e sicurezza, Ambiente e Politica estera e di sicurezza. Alla conferenza stampa, il commissario europeo all'allargamento, Štefan Feule ha affermato che la Croazia ha compiuto un grande progresso, il 2010 e' stato un anno impressionante in cui ha chiuso 11 capitoli e con questo ha raggiunto un totale di 28 capitoli conclusi. Zagabria ha compiuto un progresso rilevante anche per quanto riguarda altri sei capitoli il che rappresenta una buona base per la loro chiusura nei prossimi mesi. Cio' dimostra la fermezza delle autorita' croate a continuare le riforme, ha concluso l'eurocommissario Feule.
Il momento chiave per la conclusione dei negoziati croati con Bruxelles sara' il prossimo marzo quando la Commissione europea presentera' il rapporto sull'adempimento delle misure per chiudere il delicatissimo capitolo Giustizia e diritti fondamentali, il capitolo piu' difficile e piu' impegnativo che detta la conclusione dell'intero processo di negoziati. La Commissione europea ha annunciato che presentera' questo rapporto il prossimo 11 marzo 2011 quando verra' definitivamente noto se i negoziati potranno concludersi entro il 21 giugno che sarebbe la massima data per convocare la conferenza di adesione sotto la presidenza ungherese. A scopo di raggiungere poi lo status di membro a pieno titolo dell'Ue restera' la ratifica del trattato di adesione in tutti i paesi membri. Questo potrebbe avvenire entro il primo gennaio 2013. Gia' dopo la firma del trattato, la Croazia potra' partecipare in veste di osservatore nel lavoro delle isituzioni europee.
Giovedi' scorso, il vicepresidente del governo ungherese, Tibor Navracsics, anche ministro della giustizia, ha dichiarato a Zagabria che uno degli obiettivi della prossima presidenza ungherese sara' la conclusione dei negoziati di adesione croati. "La Croazia non e' soltanto un vicino e amico con cui condividiamo un passato di mille anni" ha detto Navracsics e ha aggiunto che Budapest non riterra' la presidenza all'Ue un sucesso se la Croazia non riuscira' a concludere i negoziati di adesione. Il vicepresidente del governo ungherese ha qualificato la larghezza e l'intensita' delle relazioni tra i due stati come un esempio per gli altri paesi centroeuropei rilevando in particoalare l'esempio dell'appena aperto gasdotto tra Croazia e Ungheria la cui importanza, ha detto Navracsics, e' nell'interesse non soltanto dell'Ungheria e della Croazia ma un interesse di tutta l'Europa centrale. Ha aggiunto che Budapest si impegna a realizzare accordi energetici anche con la Slovacchia e Polonia e questo, ha precisato il vicepremier ungherese, aiuterebbe l'indipendenza energetica dell'Ue.
Un certo numero di esperti politici croati ritiene che il ritiro dalla politica dell'ex premier croato Ivo Sander, attualmente tenuto in arresto a Salisburgo per forti sospetti di corruzione, il quale aveva motivato il suo abbandono della politica "per dare spazio ad altri di prendere la guida del Paese", oppure le recentissime dimissioni del premier del Montenegro Milo Đukanović "a causa di esaurimento politico", oppure ancora le feroci critiche nei confronti del premier kosovaro Hashim Thaci per presunto coinvolgimento nel traffico illecito di armi, droga e organi umani, cosi' come risulta dal rapporto del Consiglio d'Europa, tutto questo e' un segnale chiaro che l'Unione europea ha deciso di mettere un po' d'ordine nella regione. L'esperto politico croato Žarko Puhovski per la Deutsche Welle ha spiegato che, secondo la sua opinione, ci sarebbero supposizioni che e' stata proprio l'Ue a chiedere le dimissioni del premier montenegrino Milo Đukanović in cambio dello status di candidato all'adesione del Montenegro. Stessa opinione e' stata espressa dal giornale britannico "Economist".
A differenza di queste opinioni, la presidente della Commissione nazionale che segue i negoziati di adesione croati, Vesna Pusić ritiene che il ritiro e le critiche nei confronti di ben tre premier della regione non sono stati cosi' diretti e poco diplomatici. Secondo Pusić l'Ue puo' essere riservata ma in ogni caso non puo' esercitare tali pressioni. D'altra parte, lo puo' fare il politico nazionale, in questo caso Milo Đukanović, afferma Vesna Pusić, valutando la situazione per ritirarsi poi dall'incarico di premier. La parlametare liberale croata ritiene che e' stato lo stesso Đukanović a considerare oportune le sue dimissioni per facilitare cosi' la via del Montenegro verso le integrazioni europee. Gli editorialisti e giornalisti del settimanale di Zagabria "Nacional" affermano che il loro ex proprietario ed editore, Ivo Pukanić e' stato ucciso perche' aveva aperto il tema del contrabbando di sigarette montenegrino e sono propensi ad interpretare le dimissioni di Đukanović come conseguenza di questo atto.
Secondo l'analista serbo Dejan Vuk Stanković, l'evento politico dell'anno, per la regione, e' stato sicuramente l'accordo raggiunto tra il presidente della Serbia Boris Tadić e il capo della diplomazia europea Kathrin Ashton, ovvero l'accordo tra la Serbia e l'Ue sulla risoluzione Kosovo delle Nazioni Unite. Questo evento e' stato preceduto dal parere della Corte internazionale di giustizia che era un segnale chiaro alla Serbia di dover ridefinire la sua politica verso il Kosovo, afferma Stanković. L'analista serbo sottolinea che questo ha fatto si' che "e' stato avviato un nuovo approcio nella politica serba e il problema Kosovo e' stato inserito in un contesto piu' vasto relativo alle integrazioni europee della Serbia in cui Bruxelles e' diventata una specie di istanza politica che partecipera' attivamente per stabilire la cornice del dialogo tra serbi e albanesi". Secondo un altro esperto serbo, Cvijetin Milivojević, sul piano delle integrazioni europee della Serbia l'unico risultato palpabile e' l'abolizione del regime di visti che pero' e' in vigore sin dalla fine del 2009.
[*] Corrispondente di Radio Radicale. Il testo è la trascrizione della corrispondenza per lo Speciale di Passaggio a Sud Est andato in onda mercoledì 29 dicembre a Radio Radicale.
Dal prossimo primo gennaio, l'Ungheria condurra' per sei mesi la politica dell'Ue e secondo gli annunci, tra le priorita' della presidenza ungherese ci sara' anche la questione dell'allargamento dell'Ue nonche' la stabilita' dei Balcani Occidentali e in questo contesto inevitabile sara' l'atteso dialogo tra Belgrado e Priština, vale a dire un tentativo di risolvere le numerose questioni aperte tra la Serbia e il Kosovo. Il ministro degli esteri ungherese Janos Martonyi ha dichiarato che Budapest appoggia fortemente l'inizio del dialogo tra Belgrado e Priština e si e' detto deluso a causa del ritardo dovuto soprattutto all'esplosione del caso clamoroso di Hashim Thaci. Il capo della diploamzia ungherese ha sottolineato che in ogni caso Budapest vuole che i colloqui inizino, a partire dagli elementi piu' neutrali, quindi tecnici per procedere poi verso le questioni piu' delicate che riguardano lo status. Martonyi ha ribadito che e' cruciale che le due parti dialoghino e che a tal proposito l'Ue ha offerto i suoi servizi.
Dal canto suo, il premier ungherese Viktor Orban, incontrando a Budapest settimana scorsa il presidente del Consiglio europeo, Hermann van Rompuy, ha detto che l'Ungheria durante la presidenza insistera' particolarmente sulla questione dell'ulteriore allargamento dell'Ue poiche' e' utile, sia per i membri attuali che quelli futuri. "Vorrei restituire lo slancio dell'allargamento perche' questo processo aiutera' anche a risolvere i problemi all'interno dell'Ue. Collui che si allarga al tempo stesso costruisce e crede nel proprio futuro. Il piu' necessario per l'Ue oggi e' credere nelle sue possibilita'" ha detto Orban alla conferenza stampa congiunta con il presidente del Consiglio europeo. Il premier ungherese non ha nascosto che il suo Paese attendono sei mesi difficili perche' deve prendere delle decisioni che sono state rimandate per diversi anni ma questo, come ha detto, non spaventa gli ungheresi.
Tra gli eventi piu' importanti durante la presidenza ungherese, Orban ha annunciato il summit energetico a febbraio a Bruxelles ed il vertice sullo stesso argomento a maggio a Budapest, al quale parteciperanno anche i leader dell'Europa orientale. "Siamo pronti a delle modifiche limitate dell'Accordo di Lisbona, stiamo preparando un pachetto di misure economiche e molto altro" ha detto Orban.
La Croazia, ricordiamolo, ancora l'anno scorso sperava di poter concludere il processo di negoziati di adesione entro il 2010, ma le aspettative si sono dovute trascinate verso l'anno prossimo. A fine 2010, Zagabria conclude altri tre capitoli del processo di negoziati e si compie cosi' un ulteriore passo verso l'adempimento di quello che attualmente vuole essere l'obiettivo principale: concludere i negoziati entro la fine della presidenza ungherese, vale a dire entro il prossimo giugno. I tre capitoli chiusi temporaneamente sono Liberta' e sicurezza, Ambiente e Politica estera e di sicurezza. Alla conferenza stampa, il commissario europeo all'allargamento, Štefan Feule ha affermato che la Croazia ha compiuto un grande progresso, il 2010 e' stato un anno impressionante in cui ha chiuso 11 capitoli e con questo ha raggiunto un totale di 28 capitoli conclusi. Zagabria ha compiuto un progresso rilevante anche per quanto riguarda altri sei capitoli il che rappresenta una buona base per la loro chiusura nei prossimi mesi. Cio' dimostra la fermezza delle autorita' croate a continuare le riforme, ha concluso l'eurocommissario Feule.
Il momento chiave per la conclusione dei negoziati croati con Bruxelles sara' il prossimo marzo quando la Commissione europea presentera' il rapporto sull'adempimento delle misure per chiudere il delicatissimo capitolo Giustizia e diritti fondamentali, il capitolo piu' difficile e piu' impegnativo che detta la conclusione dell'intero processo di negoziati. La Commissione europea ha annunciato che presentera' questo rapporto il prossimo 11 marzo 2011 quando verra' definitivamente noto se i negoziati potranno concludersi entro il 21 giugno che sarebbe la massima data per convocare la conferenza di adesione sotto la presidenza ungherese. A scopo di raggiungere poi lo status di membro a pieno titolo dell'Ue restera' la ratifica del trattato di adesione in tutti i paesi membri. Questo potrebbe avvenire entro il primo gennaio 2013. Gia' dopo la firma del trattato, la Croazia potra' partecipare in veste di osservatore nel lavoro delle isituzioni europee.
Giovedi' scorso, il vicepresidente del governo ungherese, Tibor Navracsics, anche ministro della giustizia, ha dichiarato a Zagabria che uno degli obiettivi della prossima presidenza ungherese sara' la conclusione dei negoziati di adesione croati. "La Croazia non e' soltanto un vicino e amico con cui condividiamo un passato di mille anni" ha detto Navracsics e ha aggiunto che Budapest non riterra' la presidenza all'Ue un sucesso se la Croazia non riuscira' a concludere i negoziati di adesione. Il vicepresidente del governo ungherese ha qualificato la larghezza e l'intensita' delle relazioni tra i due stati come un esempio per gli altri paesi centroeuropei rilevando in particoalare l'esempio dell'appena aperto gasdotto tra Croazia e Ungheria la cui importanza, ha detto Navracsics, e' nell'interesse non soltanto dell'Ungheria e della Croazia ma un interesse di tutta l'Europa centrale. Ha aggiunto che Budapest si impegna a realizzare accordi energetici anche con la Slovacchia e Polonia e questo, ha precisato il vicepremier ungherese, aiuterebbe l'indipendenza energetica dell'Ue.
Un certo numero di esperti politici croati ritiene che il ritiro dalla politica dell'ex premier croato Ivo Sander, attualmente tenuto in arresto a Salisburgo per forti sospetti di corruzione, il quale aveva motivato il suo abbandono della politica "per dare spazio ad altri di prendere la guida del Paese", oppure le recentissime dimissioni del premier del Montenegro Milo Đukanović "a causa di esaurimento politico", oppure ancora le feroci critiche nei confronti del premier kosovaro Hashim Thaci per presunto coinvolgimento nel traffico illecito di armi, droga e organi umani, cosi' come risulta dal rapporto del Consiglio d'Europa, tutto questo e' un segnale chiaro che l'Unione europea ha deciso di mettere un po' d'ordine nella regione. L'esperto politico croato Žarko Puhovski per la Deutsche Welle ha spiegato che, secondo la sua opinione, ci sarebbero supposizioni che e' stata proprio l'Ue a chiedere le dimissioni del premier montenegrino Milo Đukanović in cambio dello status di candidato all'adesione del Montenegro. Stessa opinione e' stata espressa dal giornale britannico "Economist".
A differenza di queste opinioni, la presidente della Commissione nazionale che segue i negoziati di adesione croati, Vesna Pusić ritiene che il ritiro e le critiche nei confronti di ben tre premier della regione non sono stati cosi' diretti e poco diplomatici. Secondo Pusić l'Ue puo' essere riservata ma in ogni caso non puo' esercitare tali pressioni. D'altra parte, lo puo' fare il politico nazionale, in questo caso Milo Đukanović, afferma Vesna Pusić, valutando la situazione per ritirarsi poi dall'incarico di premier. La parlametare liberale croata ritiene che e' stato lo stesso Đukanović a considerare oportune le sue dimissioni per facilitare cosi' la via del Montenegro verso le integrazioni europee. Gli editorialisti e giornalisti del settimanale di Zagabria "Nacional" affermano che il loro ex proprietario ed editore, Ivo Pukanić e' stato ucciso perche' aveva aperto il tema del contrabbando di sigarette montenegrino e sono propensi ad interpretare le dimissioni di Đukanović come conseguenza di questo atto.
Secondo l'analista serbo Dejan Vuk Stanković, l'evento politico dell'anno, per la regione, e' stato sicuramente l'accordo raggiunto tra il presidente della Serbia Boris Tadić e il capo della diplomazia europea Kathrin Ashton, ovvero l'accordo tra la Serbia e l'Ue sulla risoluzione Kosovo delle Nazioni Unite. Questo evento e' stato preceduto dal parere della Corte internazionale di giustizia che era un segnale chiaro alla Serbia di dover ridefinire la sua politica verso il Kosovo, afferma Stanković. L'analista serbo sottolinea che questo ha fatto si' che "e' stato avviato un nuovo approcio nella politica serba e il problema Kosovo e' stato inserito in un contesto piu' vasto relativo alle integrazioni europee della Serbia in cui Bruxelles e' diventata una specie di istanza politica che partecipera' attivamente per stabilire la cornice del dialogo tra serbi e albanesi". Secondo un altro esperto serbo, Cvijetin Milivojević, sul piano delle integrazioni europee della Serbia l'unico risultato palpabile e' l'abolizione del regime di visti che pero' e' in vigore sin dalla fine del 2009.
[*] Corrispondente di Radio Radicale. Il testo è la trascrizione della corrispondenza per lo Speciale di Passaggio a Sud Est andato in onda mercoledì 29 dicembre a Radio Radicale.
giovedì 30 dicembre 2010
PASSAGGIO SPECIALE
L'integrazione dell'Europa sud orientale nell'Unione Europea: anno nuovo, soliti problemi
Ultima puntata del 2010 dello Speciale di Passaggio a Sud Est: la trasmissione andata in onda mercoledì 29 dicembre a Radio Radicale è stata dedicata all'integrazione europea dell'Europa sud orientale. La presidenza di turno ungherese dell'Unione Europea, che inizia il 1° gennaio 2011, dovrebbe avere infatti l'allargamento come una delle sue priorità. In vista di ciò, e in questo periodo di bilanci di fine anno, il programma fa sinteticamente il punto sull'integrazione dell'Europa sud orientale dai Balcani alla Turchia: le questioni aperte e le prospettive possibili nel semestre di presidenza europea dell'Ungheria, con problemi e poche certezze, tranne (forse) che l'adesione della Turchia all'Ue è un sogno ormai svanito.
La trasmissione è stata realizzata con la collaborazione di Marina Szikora e Artur Nura ed è ascoltabile qui
oppure sul sito di Radio Radicale nella sezione delle Rubriche.
Ultima puntata del 2010 dello Speciale di Passaggio a Sud Est: la trasmissione andata in onda mercoledì 29 dicembre a Radio Radicale è stata dedicata all'integrazione europea dell'Europa sud orientale. La presidenza di turno ungherese dell'Unione Europea, che inizia il 1° gennaio 2011, dovrebbe avere infatti l'allargamento come una delle sue priorità. In vista di ciò, e in questo periodo di bilanci di fine anno, il programma fa sinteticamente il punto sull'integrazione dell'Europa sud orientale dai Balcani alla Turchia: le questioni aperte e le prospettive possibili nel semestre di presidenza europea dell'Ungheria, con problemi e poche certezze, tranne (forse) che l'adesione della Turchia all'Ue è un sogno ormai svanito.
La trasmissione è stata realizzata con la collaborazione di Marina Szikora e Artur Nura ed è ascoltabile qui
oppure sul sito di Radio Radicale nella sezione delle Rubriche.
venerdì 24 dicembre 2010
AUGURI A TUTTI
E' stato un anno complicato e faticoso.
Spero che il prossimo sia per tutti voi felice e sereno, ma se così non sarà vi auguro di essere nelle migliori condizioni per affrontare quello che la sorte vi riserverà.
Spero che il prossimo sia per tutti voi felice e sereno, ma se così non sarà vi auguro di essere nelle migliori condizioni per affrontare quello che la sorte vi riserverà.
Foto Jspad da Flickr |
Ovunque siete, chiunque siate, qualsiasi cosa crediate
Buon Natale e felice anno nuovo
Merry Christmas and happy new year
Joyeux Noel et heureuse nouvelle année
Feliz Navidad y feliz ano nuevo
Frohe Weihnachten und glückliches neues Jahr
Gezuar Krishtlindjet e Vitin e Ri
Shnorhavor Amanor yev Surb Tznund
Shnorhavor Nor Daree yev Soorp Dzuhnoont
Cestit Bozic i Sretna Nova godina
Cestita Koleda! Stastliva Nova Godina
Sretan Bozic i Sretna Nova godina
Kirismes u ser sala we piroz be
Kirismes u sali nwetan le piroz be
Kalá hristoúgena ke kalí hroniá
Sreken Bozhik i srekna Nova godina
Awguri ghas-sena l-gdida
Craciun fericit si un an nou fericit
Hristos se rodi-Vaistinu se rodi-Srecna Nova Godina
Vesel bozic in Srecno novo leto
Mutlu Noeller Ve Yeni Yiliniz Kutlu Olsun
giovedì 23 dicembre 2010
PASSAGGIO SPECIALE
Crimini di guerra in Kosovo: le accuse contro il premier kosovaro Hashim Thaci
Lo Speciale di Passaggio a Sud Est andato in onda mercoledì 22 dicembre a Radio Radicale è stata dedicata al dossier del Consiglio d'Europa che accusa l'attuale premier kosovaro Hashim Thaci, già comandante dell'Uck (l'Esercito di liberazione del Kosovo) di essere a capo di un'organizzazione criminale dedita al traffico di armi e droga e responsabile del traffico illegale di organi espiantati a prigionieri di guerra serbi e a kosovari albanesi accusati di essere spie o collaborazionisti.
Il contenuto del dossier redatto dal senatore svizzero ed ex magistrato Dick Marty per conto del Consiglio d'Europa, le denunce fatte dall'ex procuratrice del Tribunale internazionale per l'ex Jugoslavia, Carla Del Ponte, nel suo libro "La caccia", le reazioni in Kosovo ed Albania, la posizione delle autorità serbe, un problema per l'Unione Europea ed il ruolo dell'Ugheria che dal 1 gennaio assumerà la presidenza di turno dell'UE.
La trasmissione è stata realizzata come di consueto con la collaborazione di Marina Szikora e Artur Nura ed è ascoltabile direttamente qui
oppure sul sito di Radio Radicale nella sezione delle Rubriche.
Lo Speciale di Passaggio a Sud Est andato in onda mercoledì 22 dicembre a Radio Radicale è stata dedicata al dossier del Consiglio d'Europa che accusa l'attuale premier kosovaro Hashim Thaci, già comandante dell'Uck (l'Esercito di liberazione del Kosovo) di essere a capo di un'organizzazione criminale dedita al traffico di armi e droga e responsabile del traffico illegale di organi espiantati a prigionieri di guerra serbi e a kosovari albanesi accusati di essere spie o collaborazionisti.
Il contenuto del dossier redatto dal senatore svizzero ed ex magistrato Dick Marty per conto del Consiglio d'Europa, le denunce fatte dall'ex procuratrice del Tribunale internazionale per l'ex Jugoslavia, Carla Del Ponte, nel suo libro "La caccia", le reazioni in Kosovo ed Albania, la posizione delle autorità serbe, un problema per l'Unione Europea ed il ruolo dell'Ugheria che dal 1 gennaio assumerà la presidenza di turno dell'UE.
La trasmissione è stata realizzata come di consueto con la collaborazione di Marina Szikora e Artur Nura ed è ascoltabile direttamente qui
oppure sul sito di Radio Radicale nella sezione delle Rubriche.
La "casa gialla" dove sarebbero avvenuti gli espianti di organi ai prigionieri serbi e albanesi catturati dall'Uck durante la guerra |
martedì 21 dicembre 2010
PASSAGGIO IN ONDA
La puntata di Passaggio a Sud Est andata in onda sabato 18 dicembre a Radio Radicale
La prima parte della trasmissione è dedicata alla pubblicazione del dossier del Consiglio d'Europa che accusa il premier kosovaro Hashim Thaci di essere a capo di un'organizzazione responsabile del commercio illegale di armi e droga e del traffico illegale di organi di prigionieri di guerra serbi denunciato due anni fa dall'ex procuratrice del tribunale internazionale dell'Aja, Carla Del Ponte.
Nella seconda parte si parla invece dell'integrazione europea dei Balcani e di abolizione dei visti Schengen per Albania e Bosnia.
In conclusione un breve ritratto di Richard Holbrooke, l'artefice degli accordi di pace di Dayton, scomparso alcuni giorni fa.
La trasmissione è stata realizzata con la collaborazione di Marina Szikora e Artur Nura ed è riascoltabile qui
oppure sul sito di Radio Radicale nella sezione delle Rubriche.
La prima parte della trasmissione è dedicata alla pubblicazione del dossier del Consiglio d'Europa che accusa il premier kosovaro Hashim Thaci di essere a capo di un'organizzazione responsabile del commercio illegale di armi e droga e del traffico illegale di organi di prigionieri di guerra serbi denunciato due anni fa dall'ex procuratrice del tribunale internazionale dell'Aja, Carla Del Ponte.
Nella seconda parte si parla invece dell'integrazione europea dei Balcani e di abolizione dei visti Schengen per Albania e Bosnia.
In conclusione un breve ritratto di Richard Holbrooke, l'artefice degli accordi di pace di Dayton, scomparso alcuni giorni fa.
La trasmissione è stata realizzata con la collaborazione di Marina Szikora e Artur Nura ed è riascoltabile qui
oppure sul sito di Radio Radicale nella sezione delle Rubriche.
giovedì 16 dicembre 2010
CRIMINI IN KOSOVO: DOSSIER DEL CONSIGLIO D'EUROPA ACCUSA IL PREMIER THACI
Il premier kosovaro Hashim Thaci |
Secondo le "numerose concrete e convergenti informazioni" raccolte nel rapporto del CdE, nell'estate del 1999, subito dopo la fine del conflitto serbo-kosovaro, cittadini serbi e kosovari albanesi furono tenuti prigionieri dall'Uck, in prigioni segrete nel nord dell'Albania e furono sottoposti a trattamenti inumani e degradanti, prima di scomparire definitivamente. In una clinica in territorio albanese ad alcuni prigionieri furono poi asportati gli organi che vennero poi inviati all'estero per trapianti. Secondo il rapporto l'attività criminale è poi proseguita, in alcune forme fino ad oggi, come dimostrerebbero le indagini della missione civile dell'Unione Europea in Kosovo (Eulex) sulla clinica "Medicus" di Pristina. Il rapporto - che non è "non un'indagine penale", come si precisa nel testo - descrive la sorte che potrebbe essere toccata ad almeno "470 persone scomparse dopo l'arrivo (in Kosovo) delle truppe (della Nato) il 12 giugno 1999, 95 delle quali erano albanesi kosovari e 375 non albanesi, principalmente serbi". Prigionieri di guerra, ma anche kosovari accusati di tradimento e collaborazionismo, trasferiti nei campi base dell'Uck in Albania, quando "il confine tra Kosovo e Albania aveva effettivamente cessato di esistere".
La regia di questo disegno criminale va attribuita al "gruppo di Drenica", la fazione Uck facente allora capo all'attuale premier Thaci definito "un boss criminale" dai rapporti dei servizi segreti italiani, tedeschi, inglesi e greci. Nel documento Marty riporta nomi e cognomi dei membri del gruppo che "avrebbero dovuto essere condannati per gravi crimini, ma che (...) hanno consolidato la loro impuntià". Tra questi spicca quello del chirugo Shaip Muja, nel 1999 comandante di una base medica dell'Uck in Albania e oggi "consigliere politico nell'ufficio del pirmo ministro, con resposabilità 'inter alia' in materia di Sanità". Il Kosovo nel frattempo diventato indipendente e che aspira al riconoscimento internazionale, ad un seggio all'Onu e ad avviare il processo di adesione all'Ue, sarebbe dunque rimasto teatro di crimini terribili, anche dopo la guerra per almeno un decennio, con il placet del premier e con il silenzio complice della comunità internazionale. Di particolare importanza nel documento è il ruolo degli "attori internazionali (che) scelsero di non vedere i crimini di guerra compiuti dall'Uck, in cambio del raggiungimento di un certo grado di stabilità a breve termine". Dalla Nato "de facto alleata dell'Uck", alla missione Onu, Unmik non all'altezza di gestire le indagini, alla missione dell'Ue, Eulex, subentrata nel 2008, che secondo il rapporto ha "lasciato vane le aspettative (...) di andare oltre gli 'intoccabili', dei quali un passato più che oscuro è comunemente noto".
Il documento non avrà conseguenze penali dirette ma, a soli due giorni dalle prime elezioni legislative del Kosovo indipendente è una autentica bomba per il neo riconfermato premier Hashim Thaci, già impegnato a difendersi dalle accuse sui brogli compiuti dal suo partito per vincere le elezioni. Le autorità serbe, che aspettavano l'esito delle elezioni per riaprire i negoziati con Pristina, hanno già espresso "perplessità sul futuro di Thaci" accogliendo il documento come "una grande vittoria". Belgrado indaga senza successo sul traffico di organi dal 2008. Il ministro degli Esteri serbo, Vuk Jeremic, ha colto la palla al balzo e ha dichiarato di non sapere cosa sarà dell'avvenire di Thaci. Jeremic si trova in visita in Russia, il grande protettore internazionale della Serbia. "Profonda preoccupazione" per i contenuti del rapporto sul Kosovo e' stata espressa dal ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov che ha auspicato che al documento sia data la più ampia diffusione possibile.
L'ambasciatore italiano in Kosovo, Michael Giffoni, invita a "reagire con calma ed equilibrio" circa l'opportunità di isolare Thaci e sostituirlo alla guida del governo ancora tutto da formare. Il nostro rappresentante diplomatico a Pristina sottolinea come il rapporto "non è certo una cosa buona per l'immagine internazionale del Kosovo, ma non è frutto di un'inchiesta della magistratura e non ha alcuna implicazione istituzionale". Le cautele diplomatiche sono comprensibili, ma è innegabile che per il suo peso politico e l'eco mediatico che sta suscitando, il rapporto rischia di compromettere la fragile stabilità del Kosovo con effetti tutti da comprendere sul resto della regione. E proprio questo è il problema per la Comunità internazionale, che seercita di fatto una sorta di protettorato sul Kosovo.
Il dossier è delicatissimo per l'Ue, impegnata a sostenere la stabilizzaizone e la pacificazione dell'ex Jugoslavia. Bruxelles ha già invitato l'autore del rapporto, Dick Marty, a fornire le prove di quanto sostiene alle autorita' competenti. Bruxelles "prende sul serio le accuse relative a crimini di guerra e criminalita' organizzata, e ricorda che questi aspetti fanno parte del dialogo costante che l'Ue ha con i paesi dei Balcani occidentali incluso il Kosovo", ha affermato Maja Kocijancic, portavoce dell'Alto rappresentante per la politica estera dell'Ue,Catherine Ashton. La portavoce della Ashton ha ricordato che, proprio per queste ragioni, in Kosovo c'e' la missione Ue Eulex che si occupa tra l'altro di fare luce su questi aspetti. Nessun commento sul rapporto però e' arrivata sulle prime dalla portavoce dell'Eulex, Kristina Herodes che si è limitata a dichiarare che al momento il rapporto è oggetto di studio e di analisi.
Intanti, il Comitato per gli Affari Legali dell'Assemblea Parlamentare del Consiglio d'Europa ha chiesto lo svolgimento di una serie di inchieste internazionali e nazionali sulle denunce contenute nel rapporto Marty. Il comitato sottolinea le "numerose indicazioni concrete e convergenti" che "sembrano confermare" i fatti denunciati. Il comitato chiede quindi a Eulex, la missione dell'Ue in Kosovo, di continuare il lavoro investigativo su questi crimini ed all'Ue ed agli altri stati presenti a fornire alla missione le risorse ed il sostegno politico di cui hanno bisogno. Il Comitato chiede infine alle autorita' serbe ed albanesi ed all'amministrazione del Kosovo, di cooperare pienamente con tutte le inchieste in materia.
PASSAGGIO SPECIALE
Kosovo: le elezioni del 12 dicembre e le accuse al premier Hashim Thaci
Lo Speciale di Passaggio a Sud Est andato in onda mercoledì 15 dicembre è stato dedicato alle analisi delle elezioni politiche anticipate svoltesi in Kosovo il 12 dicembre che hanno visto la conferma del premier Hashim Thaci oggetto però di accuse per i brogli e le irregolarità che sarebbero stai commessi dal suo partito (il Partito democratico del Kosovo, Pdk).
Il quadro politico che esce dalle urne rende però difficile la formazione del nuovo governo: la Lega democratica del Kosovo (Ldk) non intende ritornare in coalizione con il Pdk, anche se potrebbe cedere in nome dell'interess nazionale sotto la spinta della comunità internazionale. Altri appoggi potrebbero venire dal partito del magnate Pacolli e dalle minoranze. Assai difficile (ma non si può mai dire) un accordo di Thaci con l'accerrimo nemico Ramush Haradinaj, mentre è improbabile un'allenaza con i nazionalisti di Vetevendosje.
A questo si aggiunge la pubblicazione del rapporto del Consiglio d'Europa, redatto dal parlamentare svizzero Dick Marty, che dopo due anni di indagini, accusa Thaci di essere il capo di un'organizzazione criminale dedita al traffico di armi, droga e organi umani cominciato già al tempo della guerra.
Lo Speciale, realizzato con la collaborazione di Marina Szikora e Artur Nura, è riascoltabile qui
oppure sul sito di Radio Radicale nella sezione delle Rubriche.
Lo Speciale di Passaggio a Sud Est andato in onda mercoledì 15 dicembre è stato dedicato alle analisi delle elezioni politiche anticipate svoltesi in Kosovo il 12 dicembre che hanno visto la conferma del premier Hashim Thaci oggetto però di accuse per i brogli e le irregolarità che sarebbero stai commessi dal suo partito (il Partito democratico del Kosovo, Pdk).
Il quadro politico che esce dalle urne rende però difficile la formazione del nuovo governo: la Lega democratica del Kosovo (Ldk) non intende ritornare in coalizione con il Pdk, anche se potrebbe cedere in nome dell'interess nazionale sotto la spinta della comunità internazionale. Altri appoggi potrebbero venire dal partito del magnate Pacolli e dalle minoranze. Assai difficile (ma non si può mai dire) un accordo di Thaci con l'accerrimo nemico Ramush Haradinaj, mentre è improbabile un'allenaza con i nazionalisti di Vetevendosje.
A questo si aggiunge la pubblicazione del rapporto del Consiglio d'Europa, redatto dal parlamentare svizzero Dick Marty, che dopo due anni di indagini, accusa Thaci di essere il capo di un'organizzazione criminale dedita al traffico di armi, droga e organi umani cominciato già al tempo della guerra.
Lo Speciale, realizzato con la collaborazione di Marina Szikora e Artur Nura, è riascoltabile qui
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CROAZIA, L'ARRESTO DI SANADER: LA FINE DI UN SISTEMA?
di Marina Szikora (*) Tutte le agenzie di stampa ed i media internazionali hanno trasmesso venerdi' la notizia della settimana: arrestato l'ex premier croato Ivo Sanader nella regione di Salisburgo. L'agenzia francese AFP ha informato che "l'ex premier croato Ivo Sanader, ricercato dalle autorita' giudiziarie del suo paese a causa di presunti scandali di corruzione, e' stato arrestato venerdi' in Austria, un giorno dopo che in modo affrettato ha abbandonato la Croazia dove gli e' stata revocata l'immunita'". Secondo la Reuters gli analisti parlano che il vero processo contro Sanader, l'uomo che ha dominato la vita politica locale per un decennio, aiutera' gli sforzi della Croazia ad aderire all'Ue. "La Croazia spera di concludere i negoziati di adesione l'anno prossimo, ma prima deve convincere Bruxelles nella sua fermezza di sradicare la corruzion" informa la Reuters. La notizia e' stata difusa anche dall'ANSA, AP, STA, Tanjug, RIA Novosti, Itar-Tass e Xinhua. Ieri sera [venerdì 10 dicembre, ndr], la polizia croata ha ricevuto l'informazione telefonica della polizia austriaca che in base ad un mandato di cattura internazionale, Sanader e' stato arrestato alle ore 15,50.
Come e' iniziata
Un giorno prima, cioe' giovedi', proprio nella giornata internazionale della lotta alla corruzione e' esplosa la notizia in Croazia: l'ex premier croato Ivo Sanader poche ore prima del previsto voto in parlamento sulla revoca della sua immunita' parlamentare, fugge dal paese. Secondo le informazioni, Sanader aveva attraversato il confine a Bregana ed e' entrato in Slovenia. Lo stesso premier sloveno, Borut Pahor ha confermato che Sanader e' entrato in Slovenia.
Ricordiamolo: Ivo Sanader ha rassegnato improvvisamente le dimissioni il primo luglio 2009, nel pieno del suo secondo mandato. Lo ha sostituito la sa vice, Jadranka Kosor, sia come premier che come presidente del partito goverantivo, Unione Democratica Croata, HDZ. Dopo un tentativo di golpe nel gennaio di quest'anno in cui ha cercato di riottenere la leadership nel partito, Sanader e' stato espulso dall'HDZ. A seguito di un periodo di assenza, l'ex premier e' rientrato recentemente in parlamento come parlamentare indipendente. Il giorno della sua fuga dal paese, il Parlamento croato ha confermato all'unanimita' la decisione della Commissione immunita' e mandato di revocargli l'immunita' parlamentare per acconsentire l'arresto. Per la prima volta cosi', ad un premier croato viene chiesto un mandato di cattura. Nonostante gli annunci, nel momento in cui si e' avuto notizia della sua fuga, giungevano voci che Sanader sarebbe rientrato in paese volontariamente. Attualmente, risulta che l'ex premier croato non aveva nessuna intenzione di farlo e che invece aveva l'intenzione di prendere il volo da Monaco di Baviera per fuggire a Washington. Gli Stati Uniti pero' gii avevano velocemente abolito il visto cosiche' Sanader aveva dovuto cancellare il volo e dalla Germania recarsi in Austria. L'ex uomo forte dell'HDZ e' stato arrestato quindi dalla polizia in civile e nella sua cattura hanno partecipato le forze di policia di Salisburgo e di Innsbruck. Secondo le dichiarazioni di Alexander Markovits, portavoce del ministero degli esteri austriaco, le autorita' giudiziarie competenti decideranno la sua sorte nei prossimi giorni o settimane.
Da leader a ricercato
"Dall'ammirato leader di partito e premier carismatico fino ad un fuggitivo con il mandato di cattura di Interpol, cosi' in una frase si potrebbe descrivere l'immagine di Ivo Sanader" si legge sul sito della radio e televisione croata di stato HRT. Come se avesse un telecomando, decideva la sorte del partito e del Paese per ben sei anni. Ottimo oratore, carrierista, populista con una dose di arroganza, fino a poco tempo fa, Sanader sembrava aver fatto una carriere impressionante, scrive HRT. Nato a Spalato, in Dalmazia, in una famiglia di operai modesta, inizio' la sua carriera ad Innsbruck, in Austria. All'epoca si occupo' di giornalismo sportivo e procurava anche pin-up foto per il settimanale zagabrese Start. All'inizio degli anni novanta, torna in Croazia e diventa intendante del Tatro nazionale di Spalato. Nell'estate 1992. il suo lavoro in teatro sostituisce con l'incarico presso il ministero delle scienze ed e' incaricato per contatti con le organizzazioni internazionali. Cosi' inizia la sua ascesa. Successivamente si trasferisce al ministero degli esteri a capo del quale c'era il ministro Mate Granić e quando in effetti la politica estera croata veniva decisa maggiormente nell'Ufficio del presidente Franjo Tuđman. Si dice, che Sanader non apparteneva alle presone care al Presdente. Ma tutto cambia con la morte di Tuđman. Al congresso dell'HDZ, grazie all'aiuto di Branimir Glavaš (attualmente condannato per crimini di guerra), diventa presidente dell'allora maggiore partito di opposizione. Nel 2003, con Sanader capolista, l'HDZ vince le elezioni parlamentari. Il neo premier Sanader, abile con le lingue straniere, realizza buoni contatti e collaborazioni all'estero. Viene percepito come un politico proeuropeo e prosegue con la sua leadership facendo passi impressionanti: manda auguri natalizi agli ortodossi e consegna all'Aja i generali croati tra cui Ante Gotovina. Come curiosita', l'arresto di Sanader capita proprio nella stessa data dell'estradizione all'Aja di Ante Gotovina. Nel Paese, con la sua mano forte e grande trionfo, si parla addirittura di 'sanaderismo', l'HDZ si trasforma in un partito moderno di cui pero' si sa benissimo chi e' il capo. Nel 2007, Sanader vince nuovamente le elezioni. Ma la sua autorita' si stava logorando, la popolarita' diminuendo e all'improviso arriva il colpo – Sanader si dimette da tutti gli incarichi e lascia il Paese che ormai e' diventato una nave che affonda nella crisi economica e politica.
L'opinione pubblica e' fortemente delusa e gli si addossa la colpa di un debole che sfugge ai problemi. Ora le domande sono molto e soprattutto quelle che lo sospettano colpevole di molti scandali di corruzione. E si chiedono, se non fosse vero, perche' allora avrebbe rinunciato alla sua posizione dell' uomo piu' potente del Paese?
[*] Corrispondente di Radio Radicale. Il testo fa parte della corrispondenza andata in onda nella puntata dell'11 dicembre di Passaggio a Sud Est
Aggiornamento del 16 dicembre
L'ex premier croato, Ivo Sanader, accusato di corruzione e al momento detenuto in Austria, disporrebbe di due conti segreti all'estero, con depositi per oltre un milione di euro. Lo riportano oggi i media croati. La tv nazionale Hrt, che cita una fonte vicina all'inchiesta, ha parlato di 1 milione e 330 mila euro depisitati in due conti esteri, uno dei quali, scrive a sua volta il quotidiano Jutarni list, sarebbe intestato al padre defunto di Sanader (l'altro invece a lui stesso).
Lunedì la Croazia ha chiesto l'estradizione dell'ex premier che al momento è detenuto in un carcere di Salisburgo.
Come e' iniziata
Un giorno prima, cioe' giovedi', proprio nella giornata internazionale della lotta alla corruzione e' esplosa la notizia in Croazia: l'ex premier croato Ivo Sanader poche ore prima del previsto voto in parlamento sulla revoca della sua immunita' parlamentare, fugge dal paese. Secondo le informazioni, Sanader aveva attraversato il confine a Bregana ed e' entrato in Slovenia. Lo stesso premier sloveno, Borut Pahor ha confermato che Sanader e' entrato in Slovenia.
Ricordiamolo: Ivo Sanader ha rassegnato improvvisamente le dimissioni il primo luglio 2009, nel pieno del suo secondo mandato. Lo ha sostituito la sa vice, Jadranka Kosor, sia come premier che come presidente del partito goverantivo, Unione Democratica Croata, HDZ. Dopo un tentativo di golpe nel gennaio di quest'anno in cui ha cercato di riottenere la leadership nel partito, Sanader e' stato espulso dall'HDZ. A seguito di un periodo di assenza, l'ex premier e' rientrato recentemente in parlamento come parlamentare indipendente. Il giorno della sua fuga dal paese, il Parlamento croato ha confermato all'unanimita' la decisione della Commissione immunita' e mandato di revocargli l'immunita' parlamentare per acconsentire l'arresto. Per la prima volta cosi', ad un premier croato viene chiesto un mandato di cattura. Nonostante gli annunci, nel momento in cui si e' avuto notizia della sua fuga, giungevano voci che Sanader sarebbe rientrato in paese volontariamente. Attualmente, risulta che l'ex premier croato non aveva nessuna intenzione di farlo e che invece aveva l'intenzione di prendere il volo da Monaco di Baviera per fuggire a Washington. Gli Stati Uniti pero' gii avevano velocemente abolito il visto cosiche' Sanader aveva dovuto cancellare il volo e dalla Germania recarsi in Austria. L'ex uomo forte dell'HDZ e' stato arrestato quindi dalla polizia in civile e nella sua cattura hanno partecipato le forze di policia di Salisburgo e di Innsbruck. Secondo le dichiarazioni di Alexander Markovits, portavoce del ministero degli esteri austriaco, le autorita' giudiziarie competenti decideranno la sua sorte nei prossimi giorni o settimane.
Da leader a ricercato
"Dall'ammirato leader di partito e premier carismatico fino ad un fuggitivo con il mandato di cattura di Interpol, cosi' in una frase si potrebbe descrivere l'immagine di Ivo Sanader" si legge sul sito della radio e televisione croata di stato HRT. Come se avesse un telecomando, decideva la sorte del partito e del Paese per ben sei anni. Ottimo oratore, carrierista, populista con una dose di arroganza, fino a poco tempo fa, Sanader sembrava aver fatto una carriere impressionante, scrive HRT. Nato a Spalato, in Dalmazia, in una famiglia di operai modesta, inizio' la sua carriera ad Innsbruck, in Austria. All'epoca si occupo' di giornalismo sportivo e procurava anche pin-up foto per il settimanale zagabrese Start. All'inizio degli anni novanta, torna in Croazia e diventa intendante del Tatro nazionale di Spalato. Nell'estate 1992. il suo lavoro in teatro sostituisce con l'incarico presso il ministero delle scienze ed e' incaricato per contatti con le organizzazioni internazionali. Cosi' inizia la sua ascesa. Successivamente si trasferisce al ministero degli esteri a capo del quale c'era il ministro Mate Granić e quando in effetti la politica estera croata veniva decisa maggiormente nell'Ufficio del presidente Franjo Tuđman. Si dice, che Sanader non apparteneva alle presone care al Presdente. Ma tutto cambia con la morte di Tuđman. Al congresso dell'HDZ, grazie all'aiuto di Branimir Glavaš (attualmente condannato per crimini di guerra), diventa presidente dell'allora maggiore partito di opposizione. Nel 2003, con Sanader capolista, l'HDZ vince le elezioni parlamentari. Il neo premier Sanader, abile con le lingue straniere, realizza buoni contatti e collaborazioni all'estero. Viene percepito come un politico proeuropeo e prosegue con la sua leadership facendo passi impressionanti: manda auguri natalizi agli ortodossi e consegna all'Aja i generali croati tra cui Ante Gotovina. Come curiosita', l'arresto di Sanader capita proprio nella stessa data dell'estradizione all'Aja di Ante Gotovina. Nel Paese, con la sua mano forte e grande trionfo, si parla addirittura di 'sanaderismo', l'HDZ si trasforma in un partito moderno di cui pero' si sa benissimo chi e' il capo. Nel 2007, Sanader vince nuovamente le elezioni. Ma la sua autorita' si stava logorando, la popolarita' diminuendo e all'improviso arriva il colpo – Sanader si dimette da tutti gli incarichi e lascia il Paese che ormai e' diventato una nave che affonda nella crisi economica e politica.
L'opinione pubblica e' fortemente delusa e gli si addossa la colpa di un debole che sfugge ai problemi. Ora le domande sono molto e soprattutto quelle che lo sospettano colpevole di molti scandali di corruzione. E si chiedono, se non fosse vero, perche' allora avrebbe rinunciato alla sua posizione dell' uomo piu' potente del Paese?
[*] Corrispondente di Radio Radicale. Il testo fa parte della corrispondenza andata in onda nella puntata dell'11 dicembre di Passaggio a Sud Est
Aggiornamento del 16 dicembre
L'ex premier croato, Ivo Sanader, accusato di corruzione e al momento detenuto in Austria, disporrebbe di due conti segreti all'estero, con depositi per oltre un milione di euro. Lo riportano oggi i media croati. La tv nazionale Hrt, che cita una fonte vicina all'inchiesta, ha parlato di 1 milione e 330 mila euro depisitati in due conti esteri, uno dei quali, scrive a sua volta il quotidiano Jutarni list, sarebbe intestato al padre defunto di Sanader (l'altro invece a lui stesso).
Lunedì la Croazia ha chiesto l'estradizione dell'ex premier che al momento è detenuto in un carcere di Salisburgo.
PASSAGGIO IN ONDA
La puntata di Passaggio a Sud Est andata in onda sabato 11 dicembre a Radio Radicale
Gli argomenti principali della trasmissione riguardano le elezioni politiche di domani 12 dicembre in Kosovo e l'arresto dell'ex premier croato Ivo Sanader. Inoltre: le sentenza con cui il Tribunale internazionale per l'ex Jugoslavia ha ridotto le pene ai militari serbi responsabili dei crimini commessi a Vukovar, il premio ricevuto dal presidente croato Ivo Josipovic nella Republika Srpska e la prossima decisione della Corte internazionale di giustizia dell'Onu sui confini dei territori albanesi dei Balcani.
La puntata di Passaggio a Sud Est è stata realizzata con la collaborazione dei corrispondenti Marina Szikora e Artur Nura ed è riascoltabile qui
oppure sul sito di Radio Radicale nella sezione delle Rubriche
Gli argomenti principali della trasmissione riguardano le elezioni politiche di domani 12 dicembre in Kosovo e l'arresto dell'ex premier croato Ivo Sanader. Inoltre: le sentenza con cui il Tribunale internazionale per l'ex Jugoslavia ha ridotto le pene ai militari serbi responsabili dei crimini commessi a Vukovar, il premio ricevuto dal presidente croato Ivo Josipovic nella Republika Srpska e la prossima decisione della Corte internazionale di giustizia dell'Onu sui confini dei territori albanesi dei Balcani.
La puntata di Passaggio a Sud Est è stata realizzata con la collaborazione dei corrispondenti Marina Szikora e Artur Nura ed è riascoltabile qui
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venerdì 3 dicembre 2010
IL SUD EST EUROPEO NEI FILE DI WIKILEAKS
Nella valanga di documenti diplomatici riservati resi noti da Wikileaks, che stanno tenendo banco sui media di tutto il mondo, ci sono numerose note diplomatiche che riguardano i paesi balcanici, la Turchia e il Caucaso. Nonostante i documenti pubblicati siano solo una parte di quelli di cui probabilmente dispone Julian Assange, alcuni elementi di interesse sono gia emersi. E mentre i governi di tutto il mondo sono impegnati a parare il colpo, le maggiori testate della stampa internazionale pubblicano le informazioni che stanno rivelando il "dietro le quinte" della politica e della diplomazia internazionali.
Sul sito di Osservatorio Balcani e Caucaso potete trovare un'utile rassegna delle informazioni riguardanti il sud est europeo.
Sul sito di Osservatorio Balcani e Caucaso potete trovare un'utile rassegna delle informazioni riguardanti il sud est europeo.
Ps: al momento è inutile cercare di connettersi a WikiLeaks.Org: il dominio è stato disattivato
BOSNIA, 15 ANNI FA LA PACE DI DAYTON
Di Marina Szikora
Qui di seguito il testo della corrispondenza per lo Speciale di Passaggio a Sud Est andato in onda mercoledì 1 dicembre a Radio Radicale.
Commentando le circostanze sociali in BiH 15 anni dopo Dayton, il professore Miodrag Zivanovic, della Facolta’ di Lettere di Banja Luca, afferma che esse sono "piu’ difficili rispetto alle circostanze subito dopo la firma dell’Accordo di Dayton". "Visto con l’occhio delle persone semplici, praticamente non e’ stato fatto nulla, mentre le distanze etniche sono molto piu’ profonde, forse anche piu’ grandi rispetto a quelle durante gli anni di guerra" dice Zivanovic e ricorda che le istituzioni di Dayton funzionano a malapena. "La parte serba e croata non sono a favore della BiH ed i leader di queste due entita’ etniche ne sono praticamente espliciti. Purtroppo, nemmeno la terza parte, quella bosgnacca, non e’ sinceramente a favore della BiH anche se in modo declarativo dice di esserlo. Negli ultimi 15 anni le visioni politiche bosgnacche sono state massimaliste con una significativa dosi di linee e visioni del futuro irreali" afferma Zivanovic.
Comunque, nonostante le differenze, le leadership di tutti e tre popoli che costituiscono la BiH concordano che i cambiamenti sono indispensabili. Secondo molti commenti, il ruolo chiave sara’ quello del quarto fattore – il fattore internazionale, Washington e Bruxelles, ma ultimamente sempre piu’ presenti anche Mosca ed Ankara. Un articolo del quotidiano croato ‘Vecernji list’, in occasione dell’anniversario di Dayton, scrive che "Dayton, non solo ha portato al Paese instabilita’ e problemi politici, bensi’ problemi vitali quali un’economia debole e poverta’. Ogni giornata di questo ordinamento, significa piu’ poverta’, indietreggiamento e instabilita’. La BiH, i suoi popoli ed i suoi cittadini non possono piu’ aspettare" avverte Miroslav Vasilj di ‘Vecernji list’ nel suo articolo pubblicato lo scorso 21 novembre.
In una specie di diaro di Dayton 1995, il noto giornalista e pubblicista Erol Avdovic, richiama le vicende di quel storico martedi’ di 15 anni fa, quando il 21 novembre 1995 a Dayton, fu firmato l’Accordo di pace che segno’ la fine della guerra in BiH. Si tratta infatti delle note giornalistiche di Avdovic che furono inserite nel suo libro pubblicato a Zagabria nell’estate 1996, sotto il titolo "Il sommergibile di Dayton". Milosevic, racconta Avdovic, aveva proposto a Tudjman durante la fase dei negoziati che la delegazione serba e quella croata escano in pubblico con un comunicato congiunto in cui si avrebbe detto che la Croazia e la Repubblica Federale della Jugoslavia accettano di sottoscrivere l’Accordo di Dayton. Mentre ai musulmani si lasciava di decidere da soli: se vogliono la pace oppure la guerra.
Si crede che il presidente serbo convinse anche il presidente croato che i croati "rinuncino alla parte della Bosnia di cui si erano impossessati", vale a dire la regione di Posavina. Milosevic infatti avrebbe fatto presente a Tudjman che il computer americano aveva gia’ "disegnato i confini a favore della Republika Srpska". Si suppone che il presidente serbo ripete’ a Tudjman di non preoccuparsi perche’ "ci saranno dopo delle correzioni...". E cosi’ fu persa la regione croata Posavina. Secondo Avdovic, quell’ultima giornata a Dayton, e anche molto dopo, tante delle dispute territoriali e concettuali non furono risolte. All’epoca si parlava soltanto se "accettare" o "non accettare" l’accordo.
A proposito del problema "minore", quale la zona di Brcko, il presidente croato disse che "il tempo dell’arbitrato internazionale a Brcko dovrebbe essere solo di sei mesi!". Milosevic, accettando i termini dell’Accordo di pace di Dayton, "generosamente" propose che l’arbitrato sulla zona di Brcko poteva durare "perfino 12 mesi", ricorda Avdovic. Dopo che la parte serba e quella croata accettarono l’Accordo, il segretario di stato americano Christopher incontro’ il presidente bosgnacco, Alija Izetbegovic e l’allora ministro degli esteri Haris Silajdzic. Spettava a loro la decisione se firmare altrettanto l’Accordo. "Questa non e’ una pace giusta, ma il mio popolo ha bisogno di pace. Per il mio popolo sarebbe una maggiore ingiustizia se la guerra continuasse" disse allora il presidente Izetbegovic e cosi’ nacque la sua famosa frase: "In un mondo come questo, la Bosnia non poteva sperare ad una pace migliore".
Sarajevo invece rimase la citta’ non divisa. In vista di Dayton, l’agenzia di stampa serba Tanjug affermava invece che Sarajevo verrebbe al cento percento divisa. Quando la parte dei serbi bosniaci, come ultima, seppe i detagli, inizio’ una vera sparatoria retorica e fu deciso che i rappresentanti di Radovan Karadzic non parteciperanno alla cerimonia della firma. Ma nemmeno l’allora rappresentante della Presidenza della BiH, Ivo Komsic come nemmeno Kresimir Zubak, presidente della Federazione BiH non furono presenti a questa ceremonia come segno di protesta per la decisione che la regione della Posavina bosniaca rimase parte dell’entita’ serba della BiH. Secondo Avdovic, "fu previsto che la guerra termini cosi’ come fu iniziata – nella mente della gente". Sin dall’inizio, scrive questo giornalista bosniaco, si calcolava che l’accordo di pace sarebbe di carattere provisorio e che poi doveva essere modificato. Come sappiamo, questo ai tempi di oggi non e’ ancora accaduto.
In qualche modo, tutti a Dayton si sentirono vincitori, anche se Milosevic in modo patetico disse "non ci sono vincitori – tutti hanno perso". "Tuttavia, Tudjman si mostrava tionfante, poiche’ a Dayton realizzava il suo piano di guerra. Milosevic molto probabilmente credeva che l’Occidente lo avrebbe amnistizzato e che non cadeva nella trappolo relativa al Kosovo. Era contento di essersi liberato dai pazzi Karadzic e Mladic che diventarono un problema della giustizia internazionale..." scrive Avdovic. Il presidente Izetbegovic, dopo Dayton, figurava come serio candidato per il Nobel della Pace. Anche l’amminsitrazione Clinton trionfava. Fu fermata la guerra che produceva i piu’ atroci crimini in Europa dopo la Seconda guerra mondiale. E costrinse i leader balcanici di riconoscere praticamente i confini come confini di stati internazionalmente riconosciuti. In conclusione del suo articolo, Avdovic chiede agli americani la risposta di tutte le risposte: perche’ avevano accettato (o insistito) che l’entita’ minore della BiH abbia il nome della leaderscip dei serbi bosniaci che commisero il genocidio di Srebrenica nel 1995? Lo stesso ordinamento entitetico della BiH non e’ cosi’ contestato in BiH come lo e’ infatti il nome dell’entita’ serba – Republika Srpska.
Proprio su questa traccia, l’ex membro della presidenza della BiH e leader del Partito per la BiH, Haris Silajdzic, in occasione dei 15 anni dell’Accordo di Dayton, valuta che questo accordo aveva fermato la guerra ma che sta’ diventando sempre di piu’ un mezzo di divisione e di distruzione della BiH. Partecipando ad una conferenza dedicata ai 15 anni di Dayton, l’allora capo della diplomazia della BiH, ha precisato che per la BiH sono necessarie soluzioni di una nuova costituzione che rispettera’ i principi democratici contro richieste etniche affinche’ il Paese possa accettare gli standard europei.
L’Alto rappresentante per la BiH, Valentin Inzko ha sottolineato che i paesi vicini della BiH hanno preso le distanze dal nazionalismo che prima era presente "e lavorano attivamente per sviluppare un clima di collaborazione che sara’ opportuno per ciascuno dei paesi della regione". Inzko ha valutato che gli ultimi quattro anni sono stati anni di stallo in BiH e ha rilevato che i politici locali devono impegnarsi ad adattare la Costituzione agli standard europei e rafforzare l’economia. Secondo il neo presidente della Republika Srpska e leader dell’Alleanza dei socialdemocratici indipendenti (SNSD), Milorad Dodik l’Accordo di Dayton e’ l’unica base possibile dell’esistenza e sopravvivenza della BiH. I tentativi falliti della modifica di solo un anex dell’Accordo dimostrano in effetti con quanta attenzione e’ stato scritto l’Accordo, afferma Dodik e aggiunge che le modifiche finora sono state risultato delle decisioni dell’Ufficio dell’Alto rappresentante che, secondo le parole di Dodik, rendono ancora piu’ difficile la situazione in BiH.
C’e’ da dire che a 15 anni dalla firma dell’Accordo di Dayton, il 62,5 percento della popolazione della BiH, secondo un sodaggio del Galup, ritiene di aver bisogno di una nuova Costituzione. Una alta percentuale, 43,3 percento sarebbe a favore della secessione della RS mentre il 32,7 percento appoggia l’istituzione di una terza entita’, vale a dire la divisione della Federazione della BiH in due parti: quella croata e quella bosgnacca. Ma la maggioranza, il 53 percento teme che la proclamazione dell’indipendenza del Kosovo avra’ conseguenze negative, cioe’ provocherebbe anche la divisione della Federazione BiH. Secondo il censimento del 1991, in BiH vivevano 44 percento bosgnacchi, 31 percento serbi e 17 percento croati. Un passaporto croato oggi hanno 14,7 percento di cittadini della BiH mentre quello serbo lo hanno soltanto 2,7 percento. I bosniaci non credono alle riforme: la fiducia nei partiti politici e’ minima, non credono ne’ all’Ue, ne’alla Nato, ne’ alle Nazioni Unite. Ma almeno un terzo della popolazione crede che dopo la sospensione del regime di visti per l’ingresso nell’Ue, aumetera’ notevolmente il numero di emigrati.
Un decennio e mezzo dopo Dayton, quasi tutti concordano che questo accordo era buono nella misura in cui segno’ la fine della guerra sanguinosa in BiH. Tempo passando pero’ si e’ dimostrato che la Costituzione della BiH che risale a Dayton, come parte integrale dell’intero accordo, non e’ una soluzione ideale affinche’ questo paese possa stabilizzarsi a lungo termine, scrive il corrispondente del quotidiano croato ‘Vjesnik’ Alenko Zornia. Per questo motivo, anche il quindicesimo anniversario di Dayton e’ stata un’occasione di parlare molto delle modifiche cosituzionali. Le posizioni dei serbi bosniaci le abbiamo sentite per voce del presidente della RS Milorad Dodik, quelle dei bosgnacchi, cosi’ come commentate da Haris Silajdzic. Per quanto riguarda i croati, questo popolo della Bosnia multietnica e’ particolarmente insoddisfatto con l’attuale posizione costituzionale e per questo motivo, praticamente tutti i politici croati in BiH insistono su soluzioni nuove.
Qui di seguito il testo della corrispondenza per lo Speciale di Passaggio a Sud Est andato in onda mercoledì 1 dicembre a Radio Radicale.
Commentando le circostanze sociali in BiH 15 anni dopo Dayton, il professore Miodrag Zivanovic, della Facolta’ di Lettere di Banja Luca, afferma che esse sono "piu’ difficili rispetto alle circostanze subito dopo la firma dell’Accordo di Dayton". "Visto con l’occhio delle persone semplici, praticamente non e’ stato fatto nulla, mentre le distanze etniche sono molto piu’ profonde, forse anche piu’ grandi rispetto a quelle durante gli anni di guerra" dice Zivanovic e ricorda che le istituzioni di Dayton funzionano a malapena. "La parte serba e croata non sono a favore della BiH ed i leader di queste due entita’ etniche ne sono praticamente espliciti. Purtroppo, nemmeno la terza parte, quella bosgnacca, non e’ sinceramente a favore della BiH anche se in modo declarativo dice di esserlo. Negli ultimi 15 anni le visioni politiche bosgnacche sono state massimaliste con una significativa dosi di linee e visioni del futuro irreali" afferma Zivanovic.
Comunque, nonostante le differenze, le leadership di tutti e tre popoli che costituiscono la BiH concordano che i cambiamenti sono indispensabili. Secondo molti commenti, il ruolo chiave sara’ quello del quarto fattore – il fattore internazionale, Washington e Bruxelles, ma ultimamente sempre piu’ presenti anche Mosca ed Ankara. Un articolo del quotidiano croato ‘Vecernji list’, in occasione dell’anniversario di Dayton, scrive che "Dayton, non solo ha portato al Paese instabilita’ e problemi politici, bensi’ problemi vitali quali un’economia debole e poverta’. Ogni giornata di questo ordinamento, significa piu’ poverta’, indietreggiamento e instabilita’. La BiH, i suoi popoli ed i suoi cittadini non possono piu’ aspettare" avverte Miroslav Vasilj di ‘Vecernji list’ nel suo articolo pubblicato lo scorso 21 novembre.
In una specie di diaro di Dayton 1995, il noto giornalista e pubblicista Erol Avdovic, richiama le vicende di quel storico martedi’ di 15 anni fa, quando il 21 novembre 1995 a Dayton, fu firmato l’Accordo di pace che segno’ la fine della guerra in BiH. Si tratta infatti delle note giornalistiche di Avdovic che furono inserite nel suo libro pubblicato a Zagabria nell’estate 1996, sotto il titolo "Il sommergibile di Dayton". Milosevic, racconta Avdovic, aveva proposto a Tudjman durante la fase dei negoziati che la delegazione serba e quella croata escano in pubblico con un comunicato congiunto in cui si avrebbe detto che la Croazia e la Repubblica Federale della Jugoslavia accettano di sottoscrivere l’Accordo di Dayton. Mentre ai musulmani si lasciava di decidere da soli: se vogliono la pace oppure la guerra.
Si crede che il presidente serbo convinse anche il presidente croato che i croati "rinuncino alla parte della Bosnia di cui si erano impossessati", vale a dire la regione di Posavina. Milosevic infatti avrebbe fatto presente a Tudjman che il computer americano aveva gia’ "disegnato i confini a favore della Republika Srpska". Si suppone che il presidente serbo ripete’ a Tudjman di non preoccuparsi perche’ "ci saranno dopo delle correzioni...". E cosi’ fu persa la regione croata Posavina. Secondo Avdovic, quell’ultima giornata a Dayton, e anche molto dopo, tante delle dispute territoriali e concettuali non furono risolte. All’epoca si parlava soltanto se "accettare" o "non accettare" l’accordo.
A proposito del problema "minore", quale la zona di Brcko, il presidente croato disse che "il tempo dell’arbitrato internazionale a Brcko dovrebbe essere solo di sei mesi!". Milosevic, accettando i termini dell’Accordo di pace di Dayton, "generosamente" propose che l’arbitrato sulla zona di Brcko poteva durare "perfino 12 mesi", ricorda Avdovic. Dopo che la parte serba e quella croata accettarono l’Accordo, il segretario di stato americano Christopher incontro’ il presidente bosgnacco, Alija Izetbegovic e l’allora ministro degli esteri Haris Silajdzic. Spettava a loro la decisione se firmare altrettanto l’Accordo. "Questa non e’ una pace giusta, ma il mio popolo ha bisogno di pace. Per il mio popolo sarebbe una maggiore ingiustizia se la guerra continuasse" disse allora il presidente Izetbegovic e cosi’ nacque la sua famosa frase: "In un mondo come questo, la Bosnia non poteva sperare ad una pace migliore".
Sarajevo invece rimase la citta’ non divisa. In vista di Dayton, l’agenzia di stampa serba Tanjug affermava invece che Sarajevo verrebbe al cento percento divisa. Quando la parte dei serbi bosniaci, come ultima, seppe i detagli, inizio’ una vera sparatoria retorica e fu deciso che i rappresentanti di Radovan Karadzic non parteciperanno alla cerimonia della firma. Ma nemmeno l’allora rappresentante della Presidenza della BiH, Ivo Komsic come nemmeno Kresimir Zubak, presidente della Federazione BiH non furono presenti a questa ceremonia come segno di protesta per la decisione che la regione della Posavina bosniaca rimase parte dell’entita’ serba della BiH. Secondo Avdovic, "fu previsto che la guerra termini cosi’ come fu iniziata – nella mente della gente". Sin dall’inizio, scrive questo giornalista bosniaco, si calcolava che l’accordo di pace sarebbe di carattere provisorio e che poi doveva essere modificato. Come sappiamo, questo ai tempi di oggi non e’ ancora accaduto.
In qualche modo, tutti a Dayton si sentirono vincitori, anche se Milosevic in modo patetico disse "non ci sono vincitori – tutti hanno perso". "Tuttavia, Tudjman si mostrava tionfante, poiche’ a Dayton realizzava il suo piano di guerra. Milosevic molto probabilmente credeva che l’Occidente lo avrebbe amnistizzato e che non cadeva nella trappolo relativa al Kosovo. Era contento di essersi liberato dai pazzi Karadzic e Mladic che diventarono un problema della giustizia internazionale..." scrive Avdovic. Il presidente Izetbegovic, dopo Dayton, figurava come serio candidato per il Nobel della Pace. Anche l’amminsitrazione Clinton trionfava. Fu fermata la guerra che produceva i piu’ atroci crimini in Europa dopo la Seconda guerra mondiale. E costrinse i leader balcanici di riconoscere praticamente i confini come confini di stati internazionalmente riconosciuti. In conclusione del suo articolo, Avdovic chiede agli americani la risposta di tutte le risposte: perche’ avevano accettato (o insistito) che l’entita’ minore della BiH abbia il nome della leaderscip dei serbi bosniaci che commisero il genocidio di Srebrenica nel 1995? Lo stesso ordinamento entitetico della BiH non e’ cosi’ contestato in BiH come lo e’ infatti il nome dell’entita’ serba – Republika Srpska.
Proprio su questa traccia, l’ex membro della presidenza della BiH e leader del Partito per la BiH, Haris Silajdzic, in occasione dei 15 anni dell’Accordo di Dayton, valuta che questo accordo aveva fermato la guerra ma che sta’ diventando sempre di piu’ un mezzo di divisione e di distruzione della BiH. Partecipando ad una conferenza dedicata ai 15 anni di Dayton, l’allora capo della diplomazia della BiH, ha precisato che per la BiH sono necessarie soluzioni di una nuova costituzione che rispettera’ i principi democratici contro richieste etniche affinche’ il Paese possa accettare gli standard europei.
L’Alto rappresentante per la BiH, Valentin Inzko ha sottolineato che i paesi vicini della BiH hanno preso le distanze dal nazionalismo che prima era presente "e lavorano attivamente per sviluppare un clima di collaborazione che sara’ opportuno per ciascuno dei paesi della regione". Inzko ha valutato che gli ultimi quattro anni sono stati anni di stallo in BiH e ha rilevato che i politici locali devono impegnarsi ad adattare la Costituzione agli standard europei e rafforzare l’economia. Secondo il neo presidente della Republika Srpska e leader dell’Alleanza dei socialdemocratici indipendenti (SNSD), Milorad Dodik l’Accordo di Dayton e’ l’unica base possibile dell’esistenza e sopravvivenza della BiH. I tentativi falliti della modifica di solo un anex dell’Accordo dimostrano in effetti con quanta attenzione e’ stato scritto l’Accordo, afferma Dodik e aggiunge che le modifiche finora sono state risultato delle decisioni dell’Ufficio dell’Alto rappresentante che, secondo le parole di Dodik, rendono ancora piu’ difficile la situazione in BiH.
C’e’ da dire che a 15 anni dalla firma dell’Accordo di Dayton, il 62,5 percento della popolazione della BiH, secondo un sodaggio del Galup, ritiene di aver bisogno di una nuova Costituzione. Una alta percentuale, 43,3 percento sarebbe a favore della secessione della RS mentre il 32,7 percento appoggia l’istituzione di una terza entita’, vale a dire la divisione della Federazione della BiH in due parti: quella croata e quella bosgnacca. Ma la maggioranza, il 53 percento teme che la proclamazione dell’indipendenza del Kosovo avra’ conseguenze negative, cioe’ provocherebbe anche la divisione della Federazione BiH. Secondo il censimento del 1991, in BiH vivevano 44 percento bosgnacchi, 31 percento serbi e 17 percento croati. Un passaporto croato oggi hanno 14,7 percento di cittadini della BiH mentre quello serbo lo hanno soltanto 2,7 percento. I bosniaci non credono alle riforme: la fiducia nei partiti politici e’ minima, non credono ne’ all’Ue, ne’alla Nato, ne’ alle Nazioni Unite. Ma almeno un terzo della popolazione crede che dopo la sospensione del regime di visti per l’ingresso nell’Ue, aumetera’ notevolmente il numero di emigrati.
Un decennio e mezzo dopo Dayton, quasi tutti concordano che questo accordo era buono nella misura in cui segno’ la fine della guerra sanguinosa in BiH. Tempo passando pero’ si e’ dimostrato che la Costituzione della BiH che risale a Dayton, come parte integrale dell’intero accordo, non e’ una soluzione ideale affinche’ questo paese possa stabilizzarsi a lungo termine, scrive il corrispondente del quotidiano croato ‘Vjesnik’ Alenko Zornia. Per questo motivo, anche il quindicesimo anniversario di Dayton e’ stata un’occasione di parlare molto delle modifiche cosituzionali. Le posizioni dei serbi bosniaci le abbiamo sentite per voce del presidente della RS Milorad Dodik, quelle dei bosgnacchi, cosi’ come commentate da Haris Silajdzic. Per quanto riguarda i croati, questo popolo della Bosnia multietnica e’ particolarmente insoddisfatto con l’attuale posizione costituzionale e per questo motivo, praticamente tutti i politici croati in BiH insistono su soluzioni nuove.
PASSAGGIO SPECIALE
La Bosnia Erzegovina 15 anni dopo Dayton
Due entità federate unite da deboli istituzioni centrali, una delle quali ripartita a sua volta in 10 cantoni, 150 "ministeri" suddivisi tra i vari livelli di potere, per un Paese che ha meno di quattro milioni di abitanti, sottoposti all'autorità di un Alto rappresentante internazionale e con la presenza sul territorio di un contingente militare multinazionale. E la Bosnia Erzegovina oggi, così come è stata disegnata dagli accordi di pace che misero fine alla guerra nel 1995. Quindici anni fa, il 21 novembre 1995, a Dayton negli Usa, venivano infatti firmati gli accordi che mettevano fine al conflitto più sanguinoso combattuto in Europa dalla fine della seconda guerra mondiale. Un conflitto costato oltre 100mila morti, che ha provocato 2 milioni di rifugiati e che è stato segnato da massacri terribili come quello di Srebrenica. Quegli accordi però, da zattera di salvataggio hanno finito col diventare una gabbia all'interno della quale il Paese sta vivendo la sua più grave crisi politica e istituzionale dalla fine della guerra, una crisi che ne compromette lo sviluppo sociale ed economico e che sta bloccando l'integrazione regionale e internazionale della Bosnia.
Lo Speciale di Passaggio a Sud Est andato in onda mercoledì 1 dicembre a Radio Radicale, dopo aver ricordato come si arrivò a quegli accordi, analizza la situazione attuale, dalle responsabilità della politica locale a quelle della comunità internazionale, dall'importanza della stabilizzazione della Bosnia per tutti i Balcani ai rischi di disgregazione del Paese, agli effetti su un'altra situazione delicata come quella del Kosovo, e rilancia alcune proposte per uscire dall'impasse come quelle formulate da Christophe Solioz, segretario generale del Centre for European Integration Strategies di Ginevra, e Wolfgang Petritsch, già Alto rappresentante internazionale in Bosnia Erzegovina(1999-2002), in un articolo pubblicato alla fine di settembre dal quotidiano svizzero Le Temps e da quello austriaco Der Standard e di cui ho parlato a suo tempo sul blog.
Petritsch e Solioz individuano quattro questioni che vanno affrontate e risolte per far uscire il Paese dalla crisi: in primo luogo la comunità internazionale, e i paesi membri dell'Ue per primi, deve dimostrarsi più unita e coerente rispetto alla Bosnia; in secondo luogo la stessa comunità internazionale deve subito impegnare i politici locali in un partenariato fondato su una responsabilità condivisa; occorre poi avere la consapevolezza che l'obiettivo dell'adesione all'Ue non è dietro l'angolo; infine proprio la Bosnia dovrebbe farsi promotrice di una cooperazione regionale concorrendo alla creando di uno spazio economico sul modello di quella europea degli anni '90 come premessa al successivo completamento dell'integrazione europea dell'area post jugoslava.
Lo Speciale, realizzato con la collaborazione dei corrispondenti Marina Szikora e Artur Nura, è riascoltabile direttamente qui
oppure sul sito di Radio Radicale nella sezione delle Rubriche.
Due entità federate unite da deboli istituzioni centrali, una delle quali ripartita a sua volta in 10 cantoni, 150 "ministeri" suddivisi tra i vari livelli di potere, per un Paese che ha meno di quattro milioni di abitanti, sottoposti all'autorità di un Alto rappresentante internazionale e con la presenza sul territorio di un contingente militare multinazionale. E la Bosnia Erzegovina oggi, così come è stata disegnata dagli accordi di pace che misero fine alla guerra nel 1995. Quindici anni fa, il 21 novembre 1995, a Dayton negli Usa, venivano infatti firmati gli accordi che mettevano fine al conflitto più sanguinoso combattuto in Europa dalla fine della seconda guerra mondiale. Un conflitto costato oltre 100mila morti, che ha provocato 2 milioni di rifugiati e che è stato segnato da massacri terribili come quello di Srebrenica. Quegli accordi però, da zattera di salvataggio hanno finito col diventare una gabbia all'interno della quale il Paese sta vivendo la sua più grave crisi politica e istituzionale dalla fine della guerra, una crisi che ne compromette lo sviluppo sociale ed economico e che sta bloccando l'integrazione regionale e internazionale della Bosnia.
Lo Speciale di Passaggio a Sud Est andato in onda mercoledì 1 dicembre a Radio Radicale, dopo aver ricordato come si arrivò a quegli accordi, analizza la situazione attuale, dalle responsabilità della politica locale a quelle della comunità internazionale, dall'importanza della stabilizzazione della Bosnia per tutti i Balcani ai rischi di disgregazione del Paese, agli effetti su un'altra situazione delicata come quella del Kosovo, e rilancia alcune proposte per uscire dall'impasse come quelle formulate da Christophe Solioz, segretario generale del Centre for European Integration Strategies di Ginevra, e Wolfgang Petritsch, già Alto rappresentante internazionale in Bosnia Erzegovina(1999-2002), in un articolo pubblicato alla fine di settembre dal quotidiano svizzero Le Temps e da quello austriaco Der Standard e di cui ho parlato a suo tempo sul blog.
Petritsch e Solioz individuano quattro questioni che vanno affrontate e risolte per far uscire il Paese dalla crisi: in primo luogo la comunità internazionale, e i paesi membri dell'Ue per primi, deve dimostrarsi più unita e coerente rispetto alla Bosnia; in secondo luogo la stessa comunità internazionale deve subito impegnare i politici locali in un partenariato fondato su una responsabilità condivisa; occorre poi avere la consapevolezza che l'obiettivo dell'adesione all'Ue non è dietro l'angolo; infine proprio la Bosnia dovrebbe farsi promotrice di una cooperazione regionale concorrendo alla creando di uno spazio economico sul modello di quella europea degli anni '90 come premessa al successivo completamento dell'integrazione europea dell'area post jugoslava.
Lo Speciale, realizzato con la collaborazione dei corrispondenti Marina Szikora e Artur Nura, è riascoltabile direttamente qui
oppure sul sito di Radio Radicale nella sezione delle Rubriche.