"Il parlamento della Serbia condanna con forza il crimine commesso contro la popolazione musulmano bosniaca di Srebrenica nel luglio 1995" e porge le proprie "scuse e condoglianze alle famiglie delle vittime perché non è stato fatto di tutto per prevenire la tragedia". E' il passaggio chiave della storica risoluzione approvata nella notte dal parlamento di Belgrado al termine di una seduta fiume durata tredici ore e trasmessa in diretta tv. La Serbia che guarda all'Ue ha deciso quindi di guardare in faccia il proprio passato e le proprie responsabilità per il più grave crimine contro l'umanità compiuto in Europa dopo la fine della seconda guerra mondiale.
Il testo è stato fortemente voluto dal presidente Boris Tadic e sostenuto dal governo come un atto simbolico forte ed esempio concreto della volontà della Serbia di proseguire l'avvicinamento all'Unione Europea e compensare in qualche modo agli occhi della Comunità internazionale il mancato arresto del generale serbo-bosniaco Ratko Mladic, che comandava le forze militari e paramilitari che compirono l'eccidio, che resta uno dei principali ostacoli lungo il cammino di Belgrado verso l'Ue. Anche per questo il testo della risoluzione promette sostegno all'arresto di Mladic latitante da ormai quasi quindici anni.
Nel parlamento serbo non si è manifestata però quella "maggioranza il più ampia possibile" auspicata dal presidente Tadic. Solo 173 dei 250 deputati che compongono l'Assemblea nazionale serbasi sono presentati in aula e la risoluzione è passata con 127 voti a favore superando per soli due voti le fortissime resistenze dei nazionalisti che si sono decisamente opposti al documento sostenendo che le cifre del massacro sono state gonfiate e che vanno anche condannati i massacri compiuti da croati e musulmani bosniaci. Secondo il quotidiano Blic, pur di ottenere la maggioranza, il governo avrebbe promesso ad alcuni deputati il permesso di continuare ad esercitare la loro precedente professione, una questione sulla quale si discute da tempo.
Come ci si aspettava, in base alle indiscrezioni delle passarte settimane, la parola "genocidio" non compare nel testo, malgrado il massacro di Srebrenica sia stato così qualificato dalla giustizia internazionale. La risoluzione, infatti, parla del £crimine commesso contro la popolazione bosniaca di Srebrenica, nel luglio 1995, così come definito dalla sentenza della Corte internazionale di Giustizia". Alla fine, dunque, ha prevalso una soluzione di compromesso che tiene conto di quanti considerano quello di Srebrenica un "crimine di guerra" al pari degli altri perpetrati durante le guerre jugoslave degli anni '90. E' però molto importante che la risoluzione sostenga "l'importanza che la Serbia prosegua la sua cooperazione con il Tribunale penale internazionale per la ex Jugoslavia", compreso l'arresto e l'estradizione all'Aja di Mladic.
L'Ue, attraverso l'Alto rappresentante della politica estera, Catherine Ashton, ha giudicato il voto del parlamento serbo "un passo avanti importante": "Accogliamo con molto favore l'adozione di questa dichiarazione'', ha detto il suo portavoce Lutz Gullner, "si tratta di un passo avanti importante e di un'iniziativa molto importante per i serbi e la regione". Analogo giudizio viene dal governo olandese. Ricordiamo che proprio all'Olanda appartenevano i "caschi blu" che non riuscirono a impedire il massacro e sul cui comportamento, nonostante le difficoltà oggettive che dovettero affrontare, pesa una macchia infamante. Ma nonostante questo proprio l'Olanda solleva i maggiori ostacoli a dare il via libera definito all'apertura del processo di integrazione europea della Serbia fino a quando Mladic non sarà arrestato. Anche per il ministro degli esteri francese, Bernard Kouchner, la risoluzione "rappresenta un passo importante nel lavoro della memoria indispensabile affinchè la Serbia e i suoi vicini si impegnino risolutamente verso il loro avvenire europeo".
Valutazioni diverse vengono, invece, dai sopravvissuti al massacro e dai parenti delle vittime. "Per noi non vuol dire nulla" ha dichiarato Hajra Catic, dell'associazione Donne di Srebrenica, in quanto il testo adottato a Belgrado non utilizza in prima persona il termine 'genocidio', ma vi fa solo riferimento indiretto. Sappiamo che dei crimini sono stati commessi in tutta la Bosnia, ma noi abbiamo la sentenza della Corte internazionale di giustizia che dice che a Srebrenica è stato commesso un genocidio". Per Sehida Abdurahmanovic, che ha perso un fratello e altri tre membri della sua famiglia nel massacro, il testo adottato dai parlamentari serrbi è addirittura un "oltraggio" in quanto "avrebbe dovuto, per il bene delle future generazioni, includere il termine 'genocidio'".
Le forze progressiste serbe, però, vogliono andare avanti. "La dichiarazione non è che l'inizio perché le questioni che tratta non sono che la punta dell'iceberg di un passato con cui noi ci dobbiamo confrontare", ha dichiarato Nenad Canak, esponente della coalizione filo europeista di maggioranza, guidata dal Partito Democratico del presidente Tadic. Adesso, infatti, il Parlamento di Belgrado dovrebbe avviare i lavori per l'adozione di un altro documento di condanna dei crimini anche a danno di vittime serbe.
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mercoledì 31 marzo 2010
LA JUGOSLAVIA NON ESISTE PIU' NEMMENO SUL WEB
Ieri, dopo 21 anni di esistenza, le autorità serbe dell'apposito registro nazionale per gli indirizzi internet hanno disattivato il dominio nazionale ".yu". Da ieri, quindi, quella che fu la Federazione jugoslava non esiste più nemmeno sul web.
Al Museo di storia serba, per l'occasione, è stato organizzato un incontro di addio durante il quale è stato mostrato il primo computer prodotto in Serbia ed è stato proiettato un documentario sugli hacker jugoslavi. Agli ospiti e' stato servito un cocktail battezzato "kraj .yu" (ovvero "fine di .yu").
Il dominio ".yu"era attivo dal 1989. Le sei repubbliche che facevano parte della Federazione jugoslava, ormai tutte indipendenti e sovrane, hanno ognuna un proprio "Country code top-level domain" (ccTLD). Quasi tutti i titolari di domini ".yu" erano già passati all'identificativo nazionale della Serbia (.rs).
Al Museo di storia serba, per l'occasione, è stato organizzato un incontro di addio durante il quale è stato mostrato il primo computer prodotto in Serbia ed è stato proiettato un documentario sugli hacker jugoslavi. Agli ospiti e' stato servito un cocktail battezzato "kraj .yu" (ovvero "fine di .yu").
Il dominio ".yu"era attivo dal 1989. Le sei repubbliche che facevano parte della Federazione jugoslava, ormai tutte indipendenti e sovrane, hanno ognuna un proprio "Country code top-level domain" (ccTLD). Quasi tutti i titolari di domini ".yu" erano già passati all'identificativo nazionale della Serbia (.rs).
sabato 27 marzo 2010
UNDICI ANNI FA LE BOMBE NATO SU BELGRADO
"L'intervento Nato? Lo abbiamo visto arrivare in modo chiaro, non era questione di essere a favore o essere contro: era inevitabile. Per me lo shock vero fu la guerra in Slovenia, quella alla fine più breve e innocua, ma per la nostra generazione fu il vero colpo. Dopo ci fu la Croazia, la Bosnia, il Kosovo... si trattò per noi solo di assistere ad un'escalation che portò all'intervento della Nato".
Il 24 marzo del 1999 iniziavano i bombardamenti della Nato sulla Serbia che posero fine alla guerra del Kosovo. Undici anni dopo trovo molto utile rileggersi l'intervista di Lucia Manzotti a Sonja Biserko pubblicata un anno fa su Osservatorio Balcani e Caucaso a proposito dell'inevitabilità dell'intervento, non esente per altro da limiti ed errori.
Sonja Biserko è la presidente dell'Helsinki Committee for Human Rights di Belgrado. Per le sue posizioni anti-nazionaliste, insieme ad altri attivisti dei diritti umani viene periodicamente accusata dai revanchisti turboserbi di essere una traditrice del popolo. Ma anche molti altri suoi connazionali (e non solo) mal sopportano le sue argomentazioni.
Mentre i Balcani sembrano essersi finalmente avviati sulla strada della ricerca lunga e faticosa, di un futuro comune che chiuda definitivamente la stagione delle guerre e dell'odio etnico, mi pare molto interessante rileggere le sue considerazioni sui bombardamenti di dieci anni fa
Il 24 marzo del 1999 iniziavano i bombardamenti della Nato sulla Serbia che posero fine alla guerra del Kosovo. Undici anni dopo trovo molto utile rileggersi l'intervista di Lucia Manzotti a Sonja Biserko pubblicata un anno fa su Osservatorio Balcani e Caucaso a proposito dell'inevitabilità dell'intervento, non esente per altro da limiti ed errori.
Sonja Biserko è la presidente dell'Helsinki Committee for Human Rights di Belgrado. Per le sue posizioni anti-nazionaliste, insieme ad altri attivisti dei diritti umani viene periodicamente accusata dai revanchisti turboserbi di essere una traditrice del popolo. Ma anche molti altri suoi connazionali (e non solo) mal sopportano le sue argomentazioni.
Mentre i Balcani sembrano essersi finalmente avviati sulla strada della ricerca lunga e faticosa, di un futuro comune che chiuda definitivamente la stagione delle guerre e dell'odio etnico, mi pare molto interessante rileggere le sue considerazioni sui bombardamenti di dieci anni fa
LA RAI E L'EST EUROPA
La Direzione del TGR della RAI starebbe pensando alla fusione, al dimezzamento da 30 a 15 minuti e allo spostamento dal sabato alla domenica di Estovest e Levante, le due rubriche di RaiTre che ogni sabato parlano dei paesi e delle genti che si affacciano sull'Adriatico e sul “confine orientale” che legano l'Italia alla penisola balcanica e all'Europa orientale. E' una notizia che, se sarà confermata, dimostra l'ulteriore impoverimento della nostra televisione generalista pubblica (e privata) secondo la quale, evidentemente, l'unico estero che merita attenzione è quello di una qualche isola esotica su cui far zampettare una dozzina di famosi o presunti tali. A parte, ovviamente, le trasferte del premier, magari alla corte di qualche dittatore.
Tranne qualche eccezione c'è scarso o nullo interesse a cercare di saperne di più di società, economie, culture, della situazione politica di Paesi che - nel caso di cui parlo - sono già o diventeranno membri dell'Unione Europea. Tra l'altro, come giustamente nota Osservatorio Balcani e Caucaso, da cui riprendo la notizia, "l'ipotesi formulata dalla Direzione TGR contraddice la stessa politica estera italiana, che, sia da parte delle coalizioni di centro-destra che di centro-sinistra, ha sempre dedicato particolare attenzione ai nostri vicini oltre Adriatico", per non dire che, come fanno osservare i giornalisti Rai di Bari, nemmeno convincono motivazioni di carattere economico, vista l'esiguità dei costi di produzione delle trasmissioni.
L’assemblea di redazione della sede Rai di Bari, che ha anche indetto alcune giornate di sciopero, ha respinto ogni decisione che non tenga conto dell’autonomo lavoro di ideazione, proposta e produzione realizzato in questi anni nelle sedi di Bari e di Trieste: "Est Ovest e Levante sono conquiste professionali irrinunciabili per le due redazioni”, è detto in un comunicato stampa. Intanto su Facebook è nato il gruppo "No all'oscuramento delle rubriche di Rai Tre Estovest e Levante" con documenti, interrogazioni parlamentari e messaggi di sostegno. Per quanto mi riguarda, e per quel poco che può contare, non posso che esprimere la mia personale solidarietà ai colleghi delle due redazioni.
Tranne qualche eccezione c'è scarso o nullo interesse a cercare di saperne di più di società, economie, culture, della situazione politica di Paesi che - nel caso di cui parlo - sono già o diventeranno membri dell'Unione Europea. Tra l'altro, come giustamente nota Osservatorio Balcani e Caucaso, da cui riprendo la notizia, "l'ipotesi formulata dalla Direzione TGR contraddice la stessa politica estera italiana, che, sia da parte delle coalizioni di centro-destra che di centro-sinistra, ha sempre dedicato particolare attenzione ai nostri vicini oltre Adriatico", per non dire che, come fanno osservare i giornalisti Rai di Bari, nemmeno convincono motivazioni di carattere economico, vista l'esiguità dei costi di produzione delle trasmissioni.
L’assemblea di redazione della sede Rai di Bari, che ha anche indetto alcune giornate di sciopero, ha respinto ogni decisione che non tenga conto dell’autonomo lavoro di ideazione, proposta e produzione realizzato in questi anni nelle sedi di Bari e di Trieste: "Est Ovest e Levante sono conquiste professionali irrinunciabili per le due redazioni”, è detto in un comunicato stampa. Intanto su Facebook è nato il gruppo "No all'oscuramento delle rubriche di Rai Tre Estovest e Levante" con documenti, interrogazioni parlamentari e messaggi di sostegno. Per quanto mi riguarda, e per quel poco che può contare, non posso che esprimere la mia personale solidarietà ai colleghi delle due redazioni.
venerdì 26 marzo 2010
UN INCONTRO ‘SENZA CRAVATTA’
Di Marina Szikora
Si respira un’aria di ottimismo, e “l’incontro senza cravatta” come e’ stato qualificato il primo incontro non ufficiale tra i presidenti serbo e croato, Boris Tadic e Ivo Josipovic e’ stato accompagnato dalla bellezza dell’Adriatico e collocato in una delle perle del turismo croato – Opatija. Un incontro innaspettato di cui si e’ avuta la notiziasolo poche ore prima dell’arrivo del presidente serbo all’aeroporto dell’isola di Krk (Veglia) dove e’ stato atteso dal suo collega croato, Ivo Josipovic. Il pranzo di lavoro e’ stato preceduto dal tragitto sulla nave della marina militare croata “Cista Velika” che ha portato i due presidenti via mare dall’isola Krk ad Opatija. In una gita durata 1,45 minuti, Josipovic e Tadic hanno toccato gran parte dei temi di cui si e’ discusso poi durante il pranzo. Dopo lo sbarco, i presidenti croato e serbo hanno fatto una passeggiata di dieci minuti in uno dei piu’ belli parchi europei fermandosi a salutare i passanti incuriositi. Al pranzo, nel famoso ristorante di pesce “Bevanda”, hanno partecipato anche i funzionari dei due governi.
Rivolgendosi di seguito ai giornalisti, Josipovic e Tadic in ottimo umore, hanno entrambi sottolineato l’importanza dell’inizio di un dialogo nella luce di un partenariato europeo, un riavvicinamento iniziato gia’ con il recente incontro a tre in Slovenia, quando Boris Tadic ha incontrato la premier croata Jadranka Kosor e il premier sloveno Borut Pahor.
Josipovic e Tadic hanno toccato anche il tema delicato delle reciproche accuse per genocidio davanti alla Corte internazionale di Giustiazia all’Aja. I due presidenti hanno dichiarato che questi due casi potrebbero essere risolti con un accordo al di fuori del processo. “Cio’ non significa che si rinuncerebbe ai processi contro quelli che avevano commesso crimini. Tutti quelli che sono colpevoli di crimini devono rispondere davanti alla giustizia” ha detto il presidente Tadic e ha aggiunto che nessun paese deve essere ostaggio di criminali di guerra. “Siamo pronti a lavorare sulla soluzione di compromesso, ma senza eliminare i principi di giustizia ed equita’” ha detto il presidente serbo. Ivo Josipovic ha rilevato che l’accusa per genocidio non e’ fine a se stessa ed ha aggiunto che “se verra’ trovata la possibilita’ per un accordo relativo alle questioni che sono oggetto di causa, allora l’accusa non avrebbe piu’ senso”.
Alla domanda dei giornalisti se la scelta di questo incontro non ufficiale proprio nella giornata dell’anniversario dei bombardamenti NATO contro Belgrado e’ una scelta simbolica, Tadic ha risposto che il suo e’ un ribadire che i ponti vanno costruiti e che bisogna evitare ogni tipo di distruzione, come appunto i bombardamenti sono stati una forma di distruzione. L’incontro e’ una dimostrazione che bisogna andare avanti nello spirito di un partenariato europeo e che i paesi della regione devono impegnarsi in prima linea per garantire il processo di avvicinamento all’Ue, impegnandosi innanzitutto per le riforme. In questo senso, i due presidenti hanno fatto sapere di essere consapevoli che i loro paesi hanno entrambi una grande responsabilita’ per quanto riguarda l’integrazione europea dell’intera regione. Intevitabile per il presidente serbo e’ stata la domanda di commentare le recentissime dichiarazioni del premier della Repubblica Srpska, Milorad Dodik il quale ha detto che e’ arrivato tempo per una pacifica dissoluzione in BiH. A tal proposito, Tadic ha ribadito che la Serbia in quanto uno dei tre firmatari dell’Accordo di Dayton sostiene pienamente l’integrita’ della BiH. Josipovic, da parte sua, ha aggiunto che in BiH deve essere garantita’ l’equita’ e pari diritti ai tre popoli che costituiscono la BiH di Dayton, serbi, bosgnacchi e croati.
In modo simbolico, il presidente Tadic si e’ qualificato come il primo turista serbo di questa stagione sulla costa croata e ha invitato i cittadini della Serbia a venire in vacanza in Croazia come anche i croati a venire in Serbia, soprattutto a visitare i diversi concerti. Il benvenuto in entrambi gli Stati – ha sottolineato il presidente serbo – e’ un modo per superare i pregiudizi dei tempi precedenti. Secondo Tadic e Josipovic, l’unica questione su cui non sono riusciti ad accordarsi dopo cinque ore di colloqui, sono state le previsioni per il risultato delle prossime partite di tennis della Coppa Davis quando Croazia e Serbia giocheranno prossimamente a Spalato. Va sottolineato che in vista di quest’incontro e’ stato detto che si discutera’ di molti temi e questioni aperte, tranne del Kosovo.
Si respira un’aria di ottimismo, e “l’incontro senza cravatta” come e’ stato qualificato il primo incontro non ufficiale tra i presidenti serbo e croato, Boris Tadic e Ivo Josipovic e’ stato accompagnato dalla bellezza dell’Adriatico e collocato in una delle perle del turismo croato – Opatija. Un incontro innaspettato di cui si e’ avuta la notiziasolo poche ore prima dell’arrivo del presidente serbo all’aeroporto dell’isola di Krk (Veglia) dove e’ stato atteso dal suo collega croato, Ivo Josipovic. Il pranzo di lavoro e’ stato preceduto dal tragitto sulla nave della marina militare croata “Cista Velika” che ha portato i due presidenti via mare dall’isola Krk ad Opatija. In una gita durata 1,45 minuti, Josipovic e Tadic hanno toccato gran parte dei temi di cui si e’ discusso poi durante il pranzo. Dopo lo sbarco, i presidenti croato e serbo hanno fatto una passeggiata di dieci minuti in uno dei piu’ belli parchi europei fermandosi a salutare i passanti incuriositi. Al pranzo, nel famoso ristorante di pesce “Bevanda”, hanno partecipato anche i funzionari dei due governi.
Rivolgendosi di seguito ai giornalisti, Josipovic e Tadic in ottimo umore, hanno entrambi sottolineato l’importanza dell’inizio di un dialogo nella luce di un partenariato europeo, un riavvicinamento iniziato gia’ con il recente incontro a tre in Slovenia, quando Boris Tadic ha incontrato la premier croata Jadranka Kosor e il premier sloveno Borut Pahor.
Josipovic e Tadic hanno toccato anche il tema delicato delle reciproche accuse per genocidio davanti alla Corte internazionale di Giustiazia all’Aja. I due presidenti hanno dichiarato che questi due casi potrebbero essere risolti con un accordo al di fuori del processo. “Cio’ non significa che si rinuncerebbe ai processi contro quelli che avevano commesso crimini. Tutti quelli che sono colpevoli di crimini devono rispondere davanti alla giustizia” ha detto il presidente Tadic e ha aggiunto che nessun paese deve essere ostaggio di criminali di guerra. “Siamo pronti a lavorare sulla soluzione di compromesso, ma senza eliminare i principi di giustizia ed equita’” ha detto il presidente serbo. Ivo Josipovic ha rilevato che l’accusa per genocidio non e’ fine a se stessa ed ha aggiunto che “se verra’ trovata la possibilita’ per un accordo relativo alle questioni che sono oggetto di causa, allora l’accusa non avrebbe piu’ senso”.
Alla domanda dei giornalisti se la scelta di questo incontro non ufficiale proprio nella giornata dell’anniversario dei bombardamenti NATO contro Belgrado e’ una scelta simbolica, Tadic ha risposto che il suo e’ un ribadire che i ponti vanno costruiti e che bisogna evitare ogni tipo di distruzione, come appunto i bombardamenti sono stati una forma di distruzione. L’incontro e’ una dimostrazione che bisogna andare avanti nello spirito di un partenariato europeo e che i paesi della regione devono impegnarsi in prima linea per garantire il processo di avvicinamento all’Ue, impegnandosi innanzitutto per le riforme. In questo senso, i due presidenti hanno fatto sapere di essere consapevoli che i loro paesi hanno entrambi una grande responsabilita’ per quanto riguarda l’integrazione europea dell’intera regione. Intevitabile per il presidente serbo e’ stata la domanda di commentare le recentissime dichiarazioni del premier della Repubblica Srpska, Milorad Dodik il quale ha detto che e’ arrivato tempo per una pacifica dissoluzione in BiH. A tal proposito, Tadic ha ribadito che la Serbia in quanto uno dei tre firmatari dell’Accordo di Dayton sostiene pienamente l’integrita’ della BiH. Josipovic, da parte sua, ha aggiunto che in BiH deve essere garantita’ l’equita’ e pari diritti ai tre popoli che costituiscono la BiH di Dayton, serbi, bosgnacchi e croati.
In modo simbolico, il presidente Tadic si e’ qualificato come il primo turista serbo di questa stagione sulla costa croata e ha invitato i cittadini della Serbia a venire in vacanza in Croazia come anche i croati a venire in Serbia, soprattutto a visitare i diversi concerti. Il benvenuto in entrambi gli Stati – ha sottolineato il presidente serbo – e’ un modo per superare i pregiudizi dei tempi precedenti. Secondo Tadic e Josipovic, l’unica questione su cui non sono riusciti ad accordarsi dopo cinque ore di colloqui, sono state le previsioni per il risultato delle prossime partite di tennis della Coppa Davis quando Croazia e Serbia giocheranno prossimamente a Spalato. Va sottolineato che in vista di quest’incontro e’ stato detto che si discutera’ di molti temi e questioni aperte, tranne del Kosovo.
mercoledì 24 marzo 2010
PRIMO INCONTRO TRA JOSIPOVIC E TADIC
Oggi ci sarà un incontro tra il presidente croato Ivo Josipovic e quello serbo Boris Tadic che sabato scorso non ha partecipato alla conferenza di Brdo non accettando che il Kosovo fosse presente come stato indipendente e sovrano.
Tadic arriverà nell'isola di Krk e poi con Josipovic proseguiranno in nave per Opatija. Alle 15 è prevista una conferenza stampa congiunta. Vedremo cosa diranno i due presidenti, ma personalmente registro l'incontro come l'ennesima prova che nei Balcani le cose si muovono e si muovono nella giusta direzione.
Aggiornamento delle 16.05
Non so a voi, ma a me questa foto piace molto. Sarà l'effetto della primavera, ma penso che per i Balcani, nonostante i tantissimi problemi (e Croazia e Serbia ne hanno, al loro interno e tra di loro), sia iniziata davvero una stagione nuova.
Aggiornamento delle 11.43
Riporto qui di seguito una notizia apparsa ieri sul quotidiano croato Vecernji List che annunciava l'incontro tra Tadic e Josipovic sabato prossimo a Bruxelles. La notizia è riportata, tra gli altri, anche sul sito del quotidiano serbo Blic. Evidentemente i due presidenti hanno deciso di vedersi già oggi.
La traduzione e la segnalazione sono di Marina Szikora.
Josipović e Tadić si incontrano per la prima volta a Bruxelles
I presidenti croato e serbo si incontreranno al summit sulle relazioni tra Europa e Stati Uniti, al dibattito il cui tema saranno i Balcani 2010.
di Božena Matijević
‘Vecernji list’, Zagabria 23 marzo 2010
I presidenti della Croazia e della Serbia, Ivo Josipović e Boris Tadić, si incontreranno per la prima volta sabato prossimo a Bruxelles. Josipović e Tadić, informa il B92 di Belgrado, parteciperanno al vertice dedicato alle relazioni tra Europa e Stati Uniti. Il primo incontro con il suo collega serbo, Josipović avra’ durante il dibattito che si terra’ sabato pomeriggio sul tema - Balcani 2010. I due presidenti dovevano incontrarsi lo scorso fine settimana al vertice regionale di Brdo kod Kranj, organizzato dal premier sloveno Borut Pahor e dalla sua collega croata Jadranka Kosor, ma Tadić si e’ rifiutato di venire a causa della partecipazione del premier kosovaro Thaci.
La Serbia ha raffredato le relazioni con la Croazia dopo che la Croazia ha riconosciuto l’indipendenza del Kosovo. Uno dei temi principali del dibattito sabato prossimo relativo ai Balcani 2010, che sara’ chiuso al pubblico, sara’ la situazione in BiH e nel dibattito parteciperanno il commissario all’allargamento Štefan Fle, il ministro slovacco Miroslav Lajčak e il senatore americano George Vojinovic. Si parlera’ del processo di integrazione nell’Ue e delle relazioni dei Paesi dei Balcani Occidentali con la NATO. Uno dei tema sara’ anche la possibile influenza sulla stabilita’ della regione del parere della Corte internazionale di giustizia relativo alla legalita’ dell’indipendenza del Kosovo proclamata unilateralmente.
Tadic arriverà nell'isola di Krk e poi con Josipovic proseguiranno in nave per Opatija. Alle 15 è prevista una conferenza stampa congiunta. Vedremo cosa diranno i due presidenti, ma personalmente registro l'incontro come l'ennesima prova che nei Balcani le cose si muovono e si muovono nella giusta direzione.
Aggiornamento delle 16.05
Non so a voi, ma a me questa foto piace molto. Sarà l'effetto della primavera, ma penso che per i Balcani, nonostante i tantissimi problemi (e Croazia e Serbia ne hanno, al loro interno e tra di loro), sia iniziata davvero una stagione nuova.
Aggiornamento delle 11.43
Riporto qui di seguito una notizia apparsa ieri sul quotidiano croato Vecernji List che annunciava l'incontro tra Tadic e Josipovic sabato prossimo a Bruxelles. La notizia è riportata, tra gli altri, anche sul sito del quotidiano serbo Blic. Evidentemente i due presidenti hanno deciso di vedersi già oggi.
La traduzione e la segnalazione sono di Marina Szikora.
Josipović e Tadić si incontrano per la prima volta a Bruxelles
I presidenti croato e serbo si incontreranno al summit sulle relazioni tra Europa e Stati Uniti, al dibattito il cui tema saranno i Balcani 2010.
di Božena Matijević
‘Vecernji list’, Zagabria 23 marzo 2010
I presidenti della Croazia e della Serbia, Ivo Josipović e Boris Tadić, si incontreranno per la prima volta sabato prossimo a Bruxelles. Josipović e Tadić, informa il B92 di Belgrado, parteciperanno al vertice dedicato alle relazioni tra Europa e Stati Uniti. Il primo incontro con il suo collega serbo, Josipović avra’ durante il dibattito che si terra’ sabato pomeriggio sul tema - Balcani 2010. I due presidenti dovevano incontrarsi lo scorso fine settimana al vertice regionale di Brdo kod Kranj, organizzato dal premier sloveno Borut Pahor e dalla sua collega croata Jadranka Kosor, ma Tadić si e’ rifiutato di venire a causa della partecipazione del premier kosovaro Thaci.
La Serbia ha raffredato le relazioni con la Croazia dopo che la Croazia ha riconosciuto l’indipendenza del Kosovo. Uno dei temi principali del dibattito sabato prossimo relativo ai Balcani 2010, che sara’ chiuso al pubblico, sara’ la situazione in BiH e nel dibattito parteciperanno il commissario all’allargamento Štefan Fle, il ministro slovacco Miroslav Lajčak e il senatore americano George Vojinovic. Si parlera’ del processo di integrazione nell’Ue e delle relazioni dei Paesi dei Balcani Occidentali con la NATO. Uno dei tema sara’ anche la possibile influenza sulla stabilita’ della regione del parere della Corte internazionale di giustizia relativo alla legalita’ dell’indipendenza del Kosovo proclamata unilateralmente.
BALCANI, EUROPA: DA BRDO UN BICCHIERE PIENO A META'
La conferenza di sabato scorso a Brdo, in Slovenia, ha ribadito l'impegno dei Balcani occidentali a proseguire nel processo di riforme sulla strada verso l'integrazione nell'Unione europea. I sette capi di governo presenti - Borut Pahor (Slovenia), Jadranka Kosor (Croazia), Nikola Spiric (Bosnia-Erzegovina), Milo Djukanovic (Montenegro), Nikola Gruevski (Macedonia), Hashim Thaci (Kosovo) e Sali Berisha (Albania) - hanno firmato una dichiarazione comune nella quale si chiede all'Unione europea di mantenere vivo il processo di allargamento e di continuare nella liberalizzazione dei visti per tutti i paesi dei Balcani occidentali (di cui hanno beneficiato solo Serbia, Macedonia e Montenegro). I firmatari si sono impegnati al tempo stesso a continuare nelle riforme per soddisfare i criteri e gli standard richiesti dalla Ue e hanno ribadito la volontà di favorire relazioni di buon vicinato.
Le immagini che mostrano capi di governo di Paesi che non molti anni fa si combattevano con ferocia insanguinando le terre dell'ex Jugoslavia che sorridenti si stringono la mano sono certo confortanti e fanno sperare che quella stagione di dolori e tragedie sia definitivamente alle spalle. In realtà i problemi non sono pochi, e i rapporti fra i paesi della regione sono tutt'altro che idilliaci. In primo luogo, lo scontro politico-diplomatico fra Serbia e Kosovo sul nodo dell'indipendenza che condiziona anche i rapporti fra Belgrado e i paesi vicini che hanno riconosciuto l'indipendenza di Pristina. Poi la precaria situazione della Bosnia-Erzegovina dove i fragili equilibri istituzionali e le tensioni interetniche frenano le riforme rischieste dal processo di integrazione europea. Serbia e Croazia inoltre sono ancora divise da uno scontro davanti alla giustizia internazionale con accuse reciproche di genocidio per le atrocità compiute nelle guerre degli anni Novanta.
Immagine concreta di questa situazione era l'assenza della Serbia, il maggiore paese della regione senza il quale qualunque ipotesi di riconciliazione e stabilizzazione non ha possibilità di successo. Belgrado non intende riconoscere l'indipendenza del Kosovo ed il presidente Boris Tadic, come aveva annunciato, ha rifiutato di partecipare ad una riunione dove il Kosovo era presente come paese sovrano e indipendente. La Serbia esige infatti che alle riunioni internazionali Pristina partecipi con la dicitura Kosovo-Unmik, vale a dire come protettorato dell'Onu, in conformità alla risoluzione 1244 delle Nazioni Unite. Un'ipotesi, questa, di cui le autorità di Pristina non vogliono nemmeno sentir parlare.
Slovenia e Croazia, organizzatori della riunione con la benedizione di Bruxelles (anche se per l'Ue era presente il solo commissario all'Allargamento, Stefan Fuele), la prima che intendeva riunire tutti i paesi della regione dopo l'indipendenza proclamata dal Kosovo nel febbraio 2008, hanno sottolineato l'importanza del dialogo che, per esempio, ha consentito a Lubiana e Zagabria nei mesi scorsi di trovare finalmente un accordo sull'annosa disputa dei confini marini in Adriatico. ''Ognuno deve riconoscere l'altro, e' questo il problema centrale che frena il processo di integrazione europea'', ha detto il premier sloveno Pahor con allusione alla questione del Kosovo.
Ma il principale problema della regione, come notava sabato scorso il giornale sloveno Dnevnik nell'edizione on-line citando appunto il premier Pahor, resta appunto il mancato riconoscimento reciproco di Serbia e Kosovo. Mercoledì 17 il quotidiano serbo Danas, però, sosteneva che Belgrado sta cercando di stabilire una qualche forma di relazioni con Pristina.Secondo gli osservatori sentiti dal giornale, non esiste un modello che potrebbe essere applicato ai futuri rapporti tra Serbia e Kosovo, tuttavia le esperienze delle relazioni tra due Germanie, tra Cina e Taiwan, Turchia e Cipro e anche tra Israele e Anp, con i loro pregi ed i loro limiti, possono avere un grande valore nel fornire indicazioni per una soluzione di compromesso per una collaborazione che non contempli il riconoscimento dell'indipendenza kosovara.
La conferenza di Brdo era considerata una sorta di prologo alla conferenza internazionale che, grazie all'iniziativa di Spagna e Italia, nella seconda metà di giugno dovrebbe riunire a Sarajevo tutti i Paesi della regione insieme a Unione Europea, Russia e Usa. Lunedì 15 marzo sempre Danas scriveva che la conferenza sarà sicuramente un'opportunità per ribadire il sostegno all'integrazione europea dei Balcani occidentali ma non ci sarà da attendersi risultati concreti.
Prima della conferenza i ministri degli Esteri dell'Ue dovrebbero discutere dell'implementazione dell'Accordo di stabilizzazione e associazione della Serbia, mentre qualche giorno prima il procuratore capo del Tribunale internazionale per la ex Jugoslavia, Serge Brammertz, farà il punto sullo stato della cooperazione di Belgrado con la giustizia internazionale. Sarajevo sarà l'occasione per riunire allo stesso tavolo i rappresentanti di Serbia e Kosovo se nel frattempo sarà stato trovato un modo accettabile da entrambi per sedersi allo stesso tavolo.
Sullo sfondo resta la questione dell'integrazione europea dei Balcani occidentali. Alla fine di dicembre la Serbia, il Paese chiave della regione, ha depositato a Bruxelles la richiesta ufficiale per ottenere lo status di candidato. Come ha scritto Deborah Grbac sul Courrier des Balkans, è stato un passo importante che ha segnato un decennio di transizione democratica della Serbia dopo la caduta del regime di Milosevic. Tuttavia, l'ingresso nell'Ue è un obiettivo di medio termine nella migliore delle ipotesi. La situazione di Belgrado rappresenta quella della regione. Bruxelles conferma la prospettiva di adesione per tutti i Balcani occidentali, ma si mantiene prudente e propone ai vari Paesi avanzamenti sempre limitati.
Le immagini che mostrano capi di governo di Paesi che non molti anni fa si combattevano con ferocia insanguinando le terre dell'ex Jugoslavia che sorridenti si stringono la mano sono certo confortanti e fanno sperare che quella stagione di dolori e tragedie sia definitivamente alle spalle. In realtà i problemi non sono pochi, e i rapporti fra i paesi della regione sono tutt'altro che idilliaci. In primo luogo, lo scontro politico-diplomatico fra Serbia e Kosovo sul nodo dell'indipendenza che condiziona anche i rapporti fra Belgrado e i paesi vicini che hanno riconosciuto l'indipendenza di Pristina. Poi la precaria situazione della Bosnia-Erzegovina dove i fragili equilibri istituzionali e le tensioni interetniche frenano le riforme rischieste dal processo di integrazione europea. Serbia e Croazia inoltre sono ancora divise da uno scontro davanti alla giustizia internazionale con accuse reciproche di genocidio per le atrocità compiute nelle guerre degli anni Novanta.
Immagine concreta di questa situazione era l'assenza della Serbia, il maggiore paese della regione senza il quale qualunque ipotesi di riconciliazione e stabilizzazione non ha possibilità di successo. Belgrado non intende riconoscere l'indipendenza del Kosovo ed il presidente Boris Tadic, come aveva annunciato, ha rifiutato di partecipare ad una riunione dove il Kosovo era presente come paese sovrano e indipendente. La Serbia esige infatti che alle riunioni internazionali Pristina partecipi con la dicitura Kosovo-Unmik, vale a dire come protettorato dell'Onu, in conformità alla risoluzione 1244 delle Nazioni Unite. Un'ipotesi, questa, di cui le autorità di Pristina non vogliono nemmeno sentir parlare.
Slovenia e Croazia, organizzatori della riunione con la benedizione di Bruxelles (anche se per l'Ue era presente il solo commissario all'Allargamento, Stefan Fuele), la prima che intendeva riunire tutti i paesi della regione dopo l'indipendenza proclamata dal Kosovo nel febbraio 2008, hanno sottolineato l'importanza del dialogo che, per esempio, ha consentito a Lubiana e Zagabria nei mesi scorsi di trovare finalmente un accordo sull'annosa disputa dei confini marini in Adriatico. ''Ognuno deve riconoscere l'altro, e' questo il problema centrale che frena il processo di integrazione europea'', ha detto il premier sloveno Pahor con allusione alla questione del Kosovo.
Ma il principale problema della regione, come notava sabato scorso il giornale sloveno Dnevnik nell'edizione on-line citando appunto il premier Pahor, resta appunto il mancato riconoscimento reciproco di Serbia e Kosovo. Mercoledì 17 il quotidiano serbo Danas, però, sosteneva che Belgrado sta cercando di stabilire una qualche forma di relazioni con Pristina.Secondo gli osservatori sentiti dal giornale, non esiste un modello che potrebbe essere applicato ai futuri rapporti tra Serbia e Kosovo, tuttavia le esperienze delle relazioni tra due Germanie, tra Cina e Taiwan, Turchia e Cipro e anche tra Israele e Anp, con i loro pregi ed i loro limiti, possono avere un grande valore nel fornire indicazioni per una soluzione di compromesso per una collaborazione che non contempli il riconoscimento dell'indipendenza kosovara.
La conferenza di Brdo era considerata una sorta di prologo alla conferenza internazionale che, grazie all'iniziativa di Spagna e Italia, nella seconda metà di giugno dovrebbe riunire a Sarajevo tutti i Paesi della regione insieme a Unione Europea, Russia e Usa. Lunedì 15 marzo sempre Danas scriveva che la conferenza sarà sicuramente un'opportunità per ribadire il sostegno all'integrazione europea dei Balcani occidentali ma non ci sarà da attendersi risultati concreti.
Prima della conferenza i ministri degli Esteri dell'Ue dovrebbero discutere dell'implementazione dell'Accordo di stabilizzazione e associazione della Serbia, mentre qualche giorno prima il procuratore capo del Tribunale internazionale per la ex Jugoslavia, Serge Brammertz, farà il punto sullo stato della cooperazione di Belgrado con la giustizia internazionale. Sarajevo sarà l'occasione per riunire allo stesso tavolo i rappresentanti di Serbia e Kosovo se nel frattempo sarà stato trovato un modo accettabile da entrambi per sedersi allo stesso tavolo.
Sullo sfondo resta la questione dell'integrazione europea dei Balcani occidentali. Alla fine di dicembre la Serbia, il Paese chiave della regione, ha depositato a Bruxelles la richiesta ufficiale per ottenere lo status di candidato. Come ha scritto Deborah Grbac sul Courrier des Balkans, è stato un passo importante che ha segnato un decennio di transizione democratica della Serbia dopo la caduta del regime di Milosevic. Tuttavia, l'ingresso nell'Ue è un obiettivo di medio termine nella migliore delle ipotesi. La situazione di Belgrado rappresenta quella della regione. Bruxelles conferma la prospettiva di adesione per tutti i Balcani occidentali, ma si mantiene prudente e propone ai vari Paesi avanzamenti sempre limitati.
lunedì 22 marzo 2010
CROAZIA: UN MESE DI POLITICA ESTERA DEL NEO PRESIDENTE
Dal primo viaggio all'estero a Bruxelles, dove ha incontrato i vertici delle istituzioni europee ma anche le maggiori Ong, alla non meno importante visita in Slovenia, un bilancio del primo mese di mandato del neo presidente croato Ivo Josipovic dal punto di vista della politica estera. Qui di seguito il testo della corrispondenza di Marina Szikora per la puntata di Passaggio a Sud Est andata in onda il 20 marzo a Radio Radicale.
Il neo presidente della Croazia, Ivo Josipovic ha concluso il primo mese del suo incarico come capo dello stato in linea con il suo programma elettorale anche per quanto riguarda la politica estera che, secondo la Costituzione croata, entra nelle sue dirette competenze. Da qui, la priorita' in assoluto, riguarda l'ingresso della Croazia nell'Ue. Proprio per questo motivo, Josipovic ha scelto Bruxelles e gli incontri con i vertici dell'Ue come la sua prima destinazione all'estero. E' seguito poi il viaggio, non meno importante, a Ljubljana e gli incontri con il suo collega sloveno Danilo Tuerk e il primo ministro Borut Pahor, una conferma che nelle relazioni tra Croazia e Slovenia si apre un nuovo capitolo di impegno comune per oltrepassare le divergenze che per lungo tempo sono state frutto di rapporti tesi tra i due Stati. L'accordo sull'arbitraggio in quanto la modalita' per la soluzione della disputa sul cofine che e' stato raggiunto tra i due premier, Jadranka Kosor e Borut Pahor, hanno aperto la via verso il riavvicinamento di questi due Paesi anche come un segnale importante per la stabilita' dell'intera regione dell'Europa sudorientale. Dopo Ljubljana, il presidente Josipovic si e' recato lo scorso 15 marzo a Vienna. Rispondendo all'invito del suo omologo austriaco, Hanns Fischer, il capo dello Stato croato ha ottenuto la conferma del pieno appoggio dell'Austria alla veloce conclusione del processo di negoziati di adesione entro il 2010 e una possibile adesione della Croazia all'Ue nel 2012.
Dopo Vienna, Josipovic si e' recato il 16 marzo nella capitale dell'Ungheria Budapest, un'altro stato membro dell'Ue che sostiene da anni il cammino della Croazia verso l'integrazione europea e che e' stato il primo a ratificare l'ingresso di Zagabria nella Nato. Dopo il suo incontro con il presidente ungherese Laszlo Solyom, Ivo Josipovic ha espresso soddisfazione per l'appoggio dell'Ungheria al piano croato per l'ingresso nell'Ue che prevede la conclusione dei negoziati entro quest'anno e l'adesione attraverso il processo di ratifica nel 2012. «Ne sono grato e sono consapevole che in Croazia dobbiamo attuare le riforme necessarie» ha aggiunto Josipovic. Va sottolineato che dal primo gennaio 2011 sara' proprio l'Ungheria a presiedere all'Ue e questo momento sara' di particolare importanza per Zagabria. Lasylo Solyom ha detto che il suo Paese vuole essere uno dei primi che ratifichera' l'accordo di adesione con la Croazia. Alla domanda dei giornalisti sugli ostacoli che restano sul cammino di Zagabria verso l'adesione all'Ue, Josipovic ha individuato il capitolo 23 – quello relativo alla giustizia e diritti fondamentali aggiungendo pero' che anche qui e' stato riconosciuto un progresso, che sono state attuate molte riforme e che e' stata rafforzata la lotta alla corruzione e criminalita' organizzata.
Il presidente croato ha menzionato anche l'importantissimo Accordo di arbitraggio con la Slovenia sottolineando che con questo accordo «si e' aperta una nuova pagina nelle relazioni di buon vicinato». Josipovic ha espresso speranza che anche il nuovo governo ungherese continuera' la politica di collaborazione comune che tra l'altro include anche riunioni congiunte dei governi ungherese e croato. Va detto che le elezioni politiche in Ungheria si terranno il prossimo 11 aprile e preannunciano la vittoria netta dell'opposizione di centro destra guidata dall'ex premier ungherese e leader del partito FIDESZ, Victor Orban. Oltre alla questione dell'ingresso della Croazia all'Ue e delle relazioni bilaterali, i due presidenti hanno discusso anche di economia e di questioni di minoranze etniche. Il capo dello stato ungherese ha rilevato come maggiore importanza il compito del collegamento infrastrutturale, vale a dire strade, ferrovie, sistema elettroenergetico e gasdotto. Per quanto riguarda le minoranze nazionali la situazione in entrambi paesi, come ha detto Solyom, e' stabile e le minoranze possono usufruire di possibilita' che sono a loro disposizione. Il presidente ungherese ha espresso anche desiderio che le minoranze in Ungheria ottengano la possibilita' di avere un loro rappresentante in Parlamento che attualmente non e' previsto dalla Costituzione ungherese a differenza della situazione nel Parlamento croato.
Infine, sulla linea di stabilire buoni rapporti tra i paesi della regione, il presidente ungherese Laszlo Solyom ha illustrato al suo collega croato l'iniziativa di organizzare un incontro trilaterale tra Ungheria, Croazia e Serbia, una prosposta che Ivo Josipovic ha accolto come molto positiva. Questa trilaterale – ha spiegato Solyom – ha una certa tradizione poiche' anche l'ex presidente croato Stjepan Mesic, il presidente serbo Boris Tadic e lui stesso si sono gia' incontrati a Kopacki rit dove hanno promosso certe questioni politiche. Settimana scorsa, Laszlo Solyom e' stato in visita a Vojvodina, la regione multietnica in Serbia dove ha incontrato il presidente Tadic. Ivo Josipovic da parte sua ha sottolineato che la cooperazione e la stabilita' nella regione nonche' le relazioni di buon vicinato sono uno degli obiettivi principali che la Croazia vuole realizzare nella sua politica estera e ha espresso soddisfazione per il fatto che Zagabria e Budapest condividono un approcio comune per quanto riguarda la politica regionale. «Proprio per questo sono importanti le iniziative come questa proposta dal presidente ungherse ed io, certamente, la saluto» ha concluso il presidente Josipovic.
Il neo presidente della Croazia, Ivo Josipovic ha concluso il primo mese del suo incarico come capo dello stato in linea con il suo programma elettorale anche per quanto riguarda la politica estera che, secondo la Costituzione croata, entra nelle sue dirette competenze. Da qui, la priorita' in assoluto, riguarda l'ingresso della Croazia nell'Ue. Proprio per questo motivo, Josipovic ha scelto Bruxelles e gli incontri con i vertici dell'Ue come la sua prima destinazione all'estero. E' seguito poi il viaggio, non meno importante, a Ljubljana e gli incontri con il suo collega sloveno Danilo Tuerk e il primo ministro Borut Pahor, una conferma che nelle relazioni tra Croazia e Slovenia si apre un nuovo capitolo di impegno comune per oltrepassare le divergenze che per lungo tempo sono state frutto di rapporti tesi tra i due Stati. L'accordo sull'arbitraggio in quanto la modalita' per la soluzione della disputa sul cofine che e' stato raggiunto tra i due premier, Jadranka Kosor e Borut Pahor, hanno aperto la via verso il riavvicinamento di questi due Paesi anche come un segnale importante per la stabilita' dell'intera regione dell'Europa sudorientale. Dopo Ljubljana, il presidente Josipovic si e' recato lo scorso 15 marzo a Vienna. Rispondendo all'invito del suo omologo austriaco, Hanns Fischer, il capo dello Stato croato ha ottenuto la conferma del pieno appoggio dell'Austria alla veloce conclusione del processo di negoziati di adesione entro il 2010 e una possibile adesione della Croazia all'Ue nel 2012.
Dopo Vienna, Josipovic si e' recato il 16 marzo nella capitale dell'Ungheria Budapest, un'altro stato membro dell'Ue che sostiene da anni il cammino della Croazia verso l'integrazione europea e che e' stato il primo a ratificare l'ingresso di Zagabria nella Nato. Dopo il suo incontro con il presidente ungherese Laszlo Solyom, Ivo Josipovic ha espresso soddisfazione per l'appoggio dell'Ungheria al piano croato per l'ingresso nell'Ue che prevede la conclusione dei negoziati entro quest'anno e l'adesione attraverso il processo di ratifica nel 2012. «Ne sono grato e sono consapevole che in Croazia dobbiamo attuare le riforme necessarie» ha aggiunto Josipovic. Va sottolineato che dal primo gennaio 2011 sara' proprio l'Ungheria a presiedere all'Ue e questo momento sara' di particolare importanza per Zagabria. Lasylo Solyom ha detto che il suo Paese vuole essere uno dei primi che ratifichera' l'accordo di adesione con la Croazia. Alla domanda dei giornalisti sugli ostacoli che restano sul cammino di Zagabria verso l'adesione all'Ue, Josipovic ha individuato il capitolo 23 – quello relativo alla giustizia e diritti fondamentali aggiungendo pero' che anche qui e' stato riconosciuto un progresso, che sono state attuate molte riforme e che e' stata rafforzata la lotta alla corruzione e criminalita' organizzata.
Il presidente croato ha menzionato anche l'importantissimo Accordo di arbitraggio con la Slovenia sottolineando che con questo accordo «si e' aperta una nuova pagina nelle relazioni di buon vicinato». Josipovic ha espresso speranza che anche il nuovo governo ungherese continuera' la politica di collaborazione comune che tra l'altro include anche riunioni congiunte dei governi ungherese e croato. Va detto che le elezioni politiche in Ungheria si terranno il prossimo 11 aprile e preannunciano la vittoria netta dell'opposizione di centro destra guidata dall'ex premier ungherese e leader del partito FIDESZ, Victor Orban. Oltre alla questione dell'ingresso della Croazia all'Ue e delle relazioni bilaterali, i due presidenti hanno discusso anche di economia e di questioni di minoranze etniche. Il capo dello stato ungherese ha rilevato come maggiore importanza il compito del collegamento infrastrutturale, vale a dire strade, ferrovie, sistema elettroenergetico e gasdotto. Per quanto riguarda le minoranze nazionali la situazione in entrambi paesi, come ha detto Solyom, e' stabile e le minoranze possono usufruire di possibilita' che sono a loro disposizione. Il presidente ungherese ha espresso anche desiderio che le minoranze in Ungheria ottengano la possibilita' di avere un loro rappresentante in Parlamento che attualmente non e' previsto dalla Costituzione ungherese a differenza della situazione nel Parlamento croato.
Infine, sulla linea di stabilire buoni rapporti tra i paesi della regione, il presidente ungherese Laszlo Solyom ha illustrato al suo collega croato l'iniziativa di organizzare un incontro trilaterale tra Ungheria, Croazia e Serbia, una prosposta che Ivo Josipovic ha accolto come molto positiva. Questa trilaterale – ha spiegato Solyom – ha una certa tradizione poiche' anche l'ex presidente croato Stjepan Mesic, il presidente serbo Boris Tadic e lui stesso si sono gia' incontrati a Kopacki rit dove hanno promosso certe questioni politiche. Settimana scorsa, Laszlo Solyom e' stato in visita a Vojvodina, la regione multietnica in Serbia dove ha incontrato il presidente Tadic. Ivo Josipovic da parte sua ha sottolineato che la cooperazione e la stabilita' nella regione nonche' le relazioni di buon vicinato sono uno degli obiettivi principali che la Croazia vuole realizzare nella sua politica estera e ha espresso soddisfazione per il fatto che Zagabria e Budapest condividono un approcio comune per quanto riguarda la politica regionale. «Proprio per questo sono importanti le iniziative come questa proposta dal presidente ungherse ed io, certamente, la saluto» ha concluso il presidente Josipovic.
PASSAGGIO IN ONDA
Passaggio a Sud Est
è in onda
il sabato alle 22,30
su Radio Radicale
Nella puntata di sabato 20 marzo 2010 si parla di Albania, Bosnia, Kosovo, Macedonia e della conferenza sui Balcani di Brdo. E inoltre: la situazione in Turchia dopo il voto sul genocidio armeno al parlamento svedese e alla Commissione Esteri della Camera Usa e un bilancio del primo mese di mandato del neo presidente croato Ivo Josipovic per quanto riguarda la politica estera. Infine un'intervista a Elisabetta Valgiusti dell'Associazione Salva I Monasteri sulla questione della difesa del patrimonio storico e religioso dei serbi del Kosovo
La puntata è disponibile sul sito di Radio Radicale
giovedì 18 marzo 2010
PASSAGGIO SPECIALE
Prove di integrazione dei Balcani occidentali: da Brdo a Sarajevo
La puntata dello Speciale di Passaggio a Sud Est andata in onda ieri sera a Radio Radicale continua ad analizzare il tema dell'integrazione dei Paesi dei Balcani occidentali, nel quadro più generale del processo di integrazione europea della regione, alla vigilia della conferenza di Brdo (Slovenia) del 20 marzo e in vista della conferenza internazionale prevista per giugno a Sarajevo.
La conferenza di Brdo si farà, è la posizione ufficiale del governo sloveno, anche se i problami non mancano: il più importante è quello relativo alla presenza del Kosovo. La Serbia mantiene la sua posizione ufficiale che non intende accettarne la presenza se non con la definizione di Kosovo-Unmik, cioè in pratica come protettorato internazionale e non come stato indipendente, come invece rivendicato dalle autorità di Pristina.
Da Brdo per ora non dovrebbe venire altro che una dichiarazione ufficiale, ma è importante che il meccanismo si metta in moto, soprattutto in vista della conferenza internazionale che a Sarajevo, in giugno metterà intorno allo stesso tavolo i Paesi dei Balcani occidentali, l'Unione Europea, gli Stati Uniti e la Russia. Le cose dunque sembrano in movimento, come dimostra anche la visita ufficiale del ministro degli Esteri e vice premier albanese a Belgrado dove ha incontrato i vertici serbi.
Lo Speciale di Passaggio a Sud Est del 17 marzo è disponibile sul sito di Radio Radicale
La puntata dello Speciale di Passaggio a Sud Est andata in onda ieri sera a Radio Radicale continua ad analizzare il tema dell'integrazione dei Paesi dei Balcani occidentali, nel quadro più generale del processo di integrazione europea della regione, alla vigilia della conferenza di Brdo (Slovenia) del 20 marzo e in vista della conferenza internazionale prevista per giugno a Sarajevo.
La conferenza di Brdo si farà, è la posizione ufficiale del governo sloveno, anche se i problami non mancano: il più importante è quello relativo alla presenza del Kosovo. La Serbia mantiene la sua posizione ufficiale che non intende accettarne la presenza se non con la definizione di Kosovo-Unmik, cioè in pratica come protettorato internazionale e non come stato indipendente, come invece rivendicato dalle autorità di Pristina.
Da Brdo per ora non dovrebbe venire altro che una dichiarazione ufficiale, ma è importante che il meccanismo si metta in moto, soprattutto in vista della conferenza internazionale che a Sarajevo, in giugno metterà intorno allo stesso tavolo i Paesi dei Balcani occidentali, l'Unione Europea, gli Stati Uniti e la Russia. Le cose dunque sembrano in movimento, come dimostra anche la visita ufficiale del ministro degli Esteri e vice premier albanese a Belgrado dove ha incontrato i vertici serbi.
Lo Speciale di Passaggio a Sud Est del 17 marzo è disponibile sul sito di Radio Radicale
mercoledì 17 marzo 2010
LA TURCHIA DI NUOVO SULL'ORLO DI UNA CRISI DI NERVI?
In qualche modo era prevedibile. Il recente riconoscimento del genocidio degli armeni da parte del parlamento svedese e, pochi giorni prima, della Commissione Esteri della Camera Usa (che potrebbe preludere ad un voto analogo da parte dell'intero Congresso) rischia di compromettere seriamente il processo di riavvicinamento tra Turchia ed Armenia da poco iniziato tra grandi difficoltà e diffidenze reciproche.
Il premier turco Recep Tayyip Erdogan ha ventilato la possibilità di espellere dal paese le migliaia di immigrati irregolari armeni in risposta alle risoluzioni adottate in Svezia e Usa. In Turchia vivono circa centomila armeni, soprattutto donne, che lavorano come in particolare come baby-sitter o domestiche."Cosa farò domani? Se necessario dirò loro 'Via, tornate nel vostro paese', non sono obbligato a tenerli in Turchia", ha detto Erdogan in un'intervista rilasciata martedì sera alla Bbc e rilanciata il giorno seguente con grande evidenza da gran parte della stampa turca.
Iniziative come quelle dei parlamentari svedesi e statunitensi, secondo Erdogan, "sfortunatamente, hanno un impatto negativo sulle nostre buone attitudini"e "colpiscono gli stessi cittadini armeni e alla fine tutto si blocca". Riferendosi ai recenti colloqui per riavviare i rapporti diplomatici con l'Armenia, culminati lo scorso anno nella sigla di alcuni protocolli (per altro non ancora ratificati dai due parlamenti), Erdogan ha detto: "Noi abbiamo teso la nostra mano, ma se la nostra controparte chiude la sua mano in un pugno, non c'è nulla che possiamo fare".
Nemmeno da Erevan, del resto, arrivano segnali incoraggianti. L'Armenia accusa la Turchia di mettere a serio rischio il processo di normalizzazione dei rapporti bilaterali creando "difficoltà ed ostacoli" nuovi, ha detto il ministro degli Esteri, Edward Nalbandyan, facendo riferimento al mancato riconoscimento del genocidio armeno e alle polemiche tra Ankara ed i Paesi che invece il genocidio lo hanno riconosciuto.
"Le dichiarazioni infondate da parte turca sul fatto che la risoluzione all'esame o adottata presso la Camera dei rappresentanti Usa, dal parlamento svedese e in altri Paesi potrebbe danneggiare la normalizzazione turco-armena sono solo uno scudo per coprire il fatto che la stessa Turchia non risparmia sforzi per creare precondizioni che generano difficoltà e ostacoli nel processo di normalizzazione", ha dichiarato il ministro degli Esteri armeno, secondo quanto riportato dall'agenzia Interfax, auspicando che "le autorità turche comprendano la gravità delle conseguenze che il perserverare di questa politica potrebbe avere".
In questi stessi giorni l'Akp, il partito islamico-moderato del premier Erdogan, ha depositato al parlamento turco la bozza di una nuova legge elettorale nella quale non figura più la possibilità di stampare materiale elettorale in lingua curda. La legge introduce alcuni importanti cambiamenti in materia di correttezza del voto e di trasparenza del finanziamento delle campagne elettorali, ma non prevede la possibilità di stampare e diffondere materiale elettorale in lingua curda.
La soluzione della questione curda è (era?) uno dei cavalli di battaglia del premier Erdogan con l'obiettivo di porre fine al lunghissimo e sanguinoso conflitto che ha condannato alla povetà e all'arretratezza il sud est del Paese. In questo quadro erano stati autorizzati corsi universitari in lungua curda e l'apertura del canale televisivo in curdo alla tv pubblica. Nei mesi scorsi si era pure parlato di un piano di pace a cui avrebbe partecipato anche il leader del Pkk, Abdullah Ocalan, detenuto nell'isola di Irmrali dove sconta una condanna all'ergastolo.
Il passo indietro del partito di maggioranza sulla legge elettorale arriva ora dopo la chiusura del partito curdo Dtp nel dicembre scorso da parte della Corte Costituzionale. E proprio le aperture alla minoranza curda e la possibilità di un accordo di pace con i guerriglieri separatisti avevano messo Erdogan nel mirino sia dell'opposizione nazionalista di destra del Mhp, sia di quella kemalista del Chp.
Tutti questi fatti messi in fila possono far immaginare che i prossimi mesi per la Turchia saranno tutt'altro che tranquilli.
In Turchia da tempo si sta svolgendo uno scontro istituzionale tra governo, militari e magistratura che rappresenta lo specchio del più vasto sommovimento sociale che oppone le varie componenti della socità turca: prinsipalmente quella legata all'establishment kemalista e la nuova classe dirigente emersa con Erdogan e l'Akp, ma anche un'anima "modernista" che vorrebbe guardare la futuro lasciandosi alle spalle proprio le contrapposizioni tra "tradizionalisti" laici e "modernizzatori" islamico-moderati.
Nel luglio del 2011 ci saranno le elezioni politiche. Le amministrative del 2009 hanno indicato un calo del favore popolare e la possibilità di ripetere fra 16 mesi una vittoria plebiscitaria come quella del 2007 appare al momento assai scarsa. Il che significa che Erdogan, pur vincendo le elezioni, potrebbe non avere più la possibilità di governare con la solida maggioranza monocolore dell'Akp. Di mezzo c'è anche la riforma della costituzione per la quale l'Akp non ha abbastanza voti in parlamento (essendo venuto meno l'appoggio dei rappresentanti curdi). Erdogan sembra intenzionato quindi a giocare nei prossimi mesi la carta del referendum popolare.
Le dure reazioni di Erdogan dopo il voto in Usa e Svezia sulla questione del genocidio degli armeni si possono allora interpretare anche come un tentativo di far leva sul nazionalismo turco (sempre presente in tutti gli strati sociali in varie declinazioni), rispondendo agli attacchi dell'opposizione, togliendo argomenti ai militari e ricompattando il proprio partito. Il tutto condito con una politica estera giocata a tutto campo, da potenza regionale (quale la Turchia non fa mistero di voler diventare), senza mettere in discussione le tradizionali alleanze ma in totale autonomia.
Con tutta probabilità nei prossimi mesi ne vedremo delle belle. La Turchia rischia di trovarsi una volta di più a camminare per i mesi a venire sull'orlo di una crisi di nervi. E comunque sia, ancora una volta, sarà il caso di seguire con molta attenzione quanto avverrà a cavallo del Bosforo.
Il premier turco Recep Tayyip Erdogan ha ventilato la possibilità di espellere dal paese le migliaia di immigrati irregolari armeni in risposta alle risoluzioni adottate in Svezia e Usa. In Turchia vivono circa centomila armeni, soprattutto donne, che lavorano come in particolare come baby-sitter o domestiche."Cosa farò domani? Se necessario dirò loro 'Via, tornate nel vostro paese', non sono obbligato a tenerli in Turchia", ha detto Erdogan in un'intervista rilasciata martedì sera alla Bbc e rilanciata il giorno seguente con grande evidenza da gran parte della stampa turca.
Iniziative come quelle dei parlamentari svedesi e statunitensi, secondo Erdogan, "sfortunatamente, hanno un impatto negativo sulle nostre buone attitudini"e "colpiscono gli stessi cittadini armeni e alla fine tutto si blocca". Riferendosi ai recenti colloqui per riavviare i rapporti diplomatici con l'Armenia, culminati lo scorso anno nella sigla di alcuni protocolli (per altro non ancora ratificati dai due parlamenti), Erdogan ha detto: "Noi abbiamo teso la nostra mano, ma se la nostra controparte chiude la sua mano in un pugno, non c'è nulla che possiamo fare".
Nemmeno da Erevan, del resto, arrivano segnali incoraggianti. L'Armenia accusa la Turchia di mettere a serio rischio il processo di normalizzazione dei rapporti bilaterali creando "difficoltà ed ostacoli" nuovi, ha detto il ministro degli Esteri, Edward Nalbandyan, facendo riferimento al mancato riconoscimento del genocidio armeno e alle polemiche tra Ankara ed i Paesi che invece il genocidio lo hanno riconosciuto.
"Le dichiarazioni infondate da parte turca sul fatto che la risoluzione all'esame o adottata presso la Camera dei rappresentanti Usa, dal parlamento svedese e in altri Paesi potrebbe danneggiare la normalizzazione turco-armena sono solo uno scudo per coprire il fatto che la stessa Turchia non risparmia sforzi per creare precondizioni che generano difficoltà e ostacoli nel processo di normalizzazione", ha dichiarato il ministro degli Esteri armeno, secondo quanto riportato dall'agenzia Interfax, auspicando che "le autorità turche comprendano la gravità delle conseguenze che il perserverare di questa politica potrebbe avere".
In questi stessi giorni l'Akp, il partito islamico-moderato del premier Erdogan, ha depositato al parlamento turco la bozza di una nuova legge elettorale nella quale non figura più la possibilità di stampare materiale elettorale in lingua curda. La legge introduce alcuni importanti cambiamenti in materia di correttezza del voto e di trasparenza del finanziamento delle campagne elettorali, ma non prevede la possibilità di stampare e diffondere materiale elettorale in lingua curda.
La soluzione della questione curda è (era?) uno dei cavalli di battaglia del premier Erdogan con l'obiettivo di porre fine al lunghissimo e sanguinoso conflitto che ha condannato alla povetà e all'arretratezza il sud est del Paese. In questo quadro erano stati autorizzati corsi universitari in lungua curda e l'apertura del canale televisivo in curdo alla tv pubblica. Nei mesi scorsi si era pure parlato di un piano di pace a cui avrebbe partecipato anche il leader del Pkk, Abdullah Ocalan, detenuto nell'isola di Irmrali dove sconta una condanna all'ergastolo.
Il passo indietro del partito di maggioranza sulla legge elettorale arriva ora dopo la chiusura del partito curdo Dtp nel dicembre scorso da parte della Corte Costituzionale. E proprio le aperture alla minoranza curda e la possibilità di un accordo di pace con i guerriglieri separatisti avevano messo Erdogan nel mirino sia dell'opposizione nazionalista di destra del Mhp, sia di quella kemalista del Chp.
Tutti questi fatti messi in fila possono far immaginare che i prossimi mesi per la Turchia saranno tutt'altro che tranquilli.
In Turchia da tempo si sta svolgendo uno scontro istituzionale tra governo, militari e magistratura che rappresenta lo specchio del più vasto sommovimento sociale che oppone le varie componenti della socità turca: prinsipalmente quella legata all'establishment kemalista e la nuova classe dirigente emersa con Erdogan e l'Akp, ma anche un'anima "modernista" che vorrebbe guardare la futuro lasciandosi alle spalle proprio le contrapposizioni tra "tradizionalisti" laici e "modernizzatori" islamico-moderati.
Nel luglio del 2011 ci saranno le elezioni politiche. Le amministrative del 2009 hanno indicato un calo del favore popolare e la possibilità di ripetere fra 16 mesi una vittoria plebiscitaria come quella del 2007 appare al momento assai scarsa. Il che significa che Erdogan, pur vincendo le elezioni, potrebbe non avere più la possibilità di governare con la solida maggioranza monocolore dell'Akp. Di mezzo c'è anche la riforma della costituzione per la quale l'Akp non ha abbastanza voti in parlamento (essendo venuto meno l'appoggio dei rappresentanti curdi). Erdogan sembra intenzionato quindi a giocare nei prossimi mesi la carta del referendum popolare.
Le dure reazioni di Erdogan dopo il voto in Usa e Svezia sulla questione del genocidio degli armeni si possono allora interpretare anche come un tentativo di far leva sul nazionalismo turco (sempre presente in tutti gli strati sociali in varie declinazioni), rispondendo agli attacchi dell'opposizione, togliendo argomenti ai militari e ricompattando il proprio partito. Il tutto condito con una politica estera giocata a tutto campo, da potenza regionale (quale la Turchia non fa mistero di voler diventare), senza mettere in discussione le tradizionali alleanze ma in totale autonomia.
Con tutta probabilità nei prossimi mesi ne vedremo delle belle. La Turchia rischia di trovarsi una volta di più a camminare per i mesi a venire sull'orlo di una crisi di nervi. E comunque sia, ancora una volta, sarà il caso di seguire con molta attenzione quanto avverrà a cavallo del Bosforo.
martedì 16 marzo 2010
PERCHE' LA TURCHIA CI DEVE INTERESSARE
I recenti avvenimenti che hanno riguardato la Turchia (l'arresto di militari accusati di aver organizzato un golpe contro il governo legittimo e le dure reazioni di Ankara ai documenti sul genocidio degli armeni approvati dalla Commissione Esteri della camera Usa e dal parlamento svedese) hanno posto molti quesiti su cosa stia succedendo a cavallo del Bosforo e se davvero ci interessa stringere ulteriormente i rapporti con questo Paese fino a integrarlo nell'Ue. Sono proprioqueste le domande che si pone Giovanni Castellaneta (diplomatico di lungo corso e fino al 2009 ambasciatore italiano in Usa) in apertura di un lungo articolo pubblicato sul Sole 24 Ore di domenica 14 intitolato "L'Unione Europea rimane l'unico approdo per Istanbul" che ho trovato piuttosto interessante e che vi suggerisco di leggere.
Castellaneta ricorda le caratteristiche del Paese e anche le sue contraddizioni, ripercorre sinteticamente gli ultimi venti anni e centra, secondo me, una questione cruciale che quasi mai viene considerata: se la Turchia deve adeguarsi agli standard richiesti dall'Unione, da parte sua l'Europa deve accettare la diversità turca. Secondo Castellaneta bisogna proprio invertire il ragionamento: "Il vero dilemma non risiede tanto nella capacità turca di rendersi compatibile all'Unione, quanto nella capacità dell'Unione di accogliere la Turchia senza snaturarne troppo repentinamente il sistema statuale, l'identità culturale e il modello vincente di democrazia laica applicato a una società musulmana".
Per ricostruire in sintesi le complicate vicende di questi ultimi anni, l'inchiesta su Ergenekon, lo scontro tra governo e militari, ma anche tra le nuova Turchia dell'Akp e l'establishment kemalista, vi segnalo l'articolo "Il turbolento cammino della Turchia verso la democrazia" che trovate sul sito Medarabnews.
Sempre sul Sole 24 Ore di domenica trovate un articolo di Franco La Cecla, architetto e docente di antropologia culturale, dedicato alle donne turche: "Alle donne le chiavi della Turchia". La Cecla ha compiuto un viaggio a Istanbul, "nel solo paese musulmano in cui hanno potere e godono di libetà e diritti" e ne ha ricavato uno spaccato interessante sulla grande complessità della società turca. Secondo l'autore "la novità è però che il modello kemalista, laico e difeso dall'esercito, non è in crisi rispetto alla laicità, è piuttosto in crisi culturale", ma ritiene di aver colto anche una nuova coscienza della storia. Le donne "sembrano le vere protagoniste di questa nuova Turchia", mentre "gli uomini al cospetto risultano più anonimi, più chiusi in stereotipi o all'inseguimento di nuovi miti d'altrove". La Cecla parla anche del recupero del misticismo sufi in chiave femminile e di un complesso religioso poco ortodosso e geloso comunque della laicità in cui la Turchia per l'ennesima volta stupisce l'osservatore.
Castellaneta ricorda le caratteristiche del Paese e anche le sue contraddizioni, ripercorre sinteticamente gli ultimi venti anni e centra, secondo me, una questione cruciale che quasi mai viene considerata: se la Turchia deve adeguarsi agli standard richiesti dall'Unione, da parte sua l'Europa deve accettare la diversità turca. Secondo Castellaneta bisogna proprio invertire il ragionamento: "Il vero dilemma non risiede tanto nella capacità turca di rendersi compatibile all'Unione, quanto nella capacità dell'Unione di accogliere la Turchia senza snaturarne troppo repentinamente il sistema statuale, l'identità culturale e il modello vincente di democrazia laica applicato a una società musulmana".
Per ricostruire in sintesi le complicate vicende di questi ultimi anni, l'inchiesta su Ergenekon, lo scontro tra governo e militari, ma anche tra le nuova Turchia dell'Akp e l'establishment kemalista, vi segnalo l'articolo "Il turbolento cammino della Turchia verso la democrazia" che trovate sul sito Medarabnews.
Sempre sul Sole 24 Ore di domenica trovate un articolo di Franco La Cecla, architetto e docente di antropologia culturale, dedicato alle donne turche: "Alle donne le chiavi della Turchia". La Cecla ha compiuto un viaggio a Istanbul, "nel solo paese musulmano in cui hanno potere e godono di libetà e diritti" e ne ha ricavato uno spaccato interessante sulla grande complessità della società turca. Secondo l'autore "la novità è però che il modello kemalista, laico e difeso dall'esercito, non è in crisi rispetto alla laicità, è piuttosto in crisi culturale", ma ritiene di aver colto anche una nuova coscienza della storia. Le donne "sembrano le vere protagoniste di questa nuova Turchia", mentre "gli uomini al cospetto risultano più anonimi, più chiusi in stereotipi o all'inseguimento di nuovi miti d'altrove". La Cecla parla anche del recupero del misticismo sufi in chiave femminile e di un complesso religioso poco ortodosso e geloso comunque della laicità in cui la Turchia per l'ennesima volta stupisce l'osservatore.
QUATTRO ANNI FA LA MORTE DI SLOBODAN MILOSEVIC ALL'AJA
Quattro anni dopo la morte di Slobodan Milosevic, già presidente della Serbia e della Republica socialista della Jugoslavia, nonche' leader del Partito socialista della Serbia (SPS) e infine imputato di crimini di guerra davanti al Tribunale internazionale dell'Aja, molti politici serbi giudicano l'ex uomo forte di Belgrado responsabile per l'isolamento della Serbia e per il suo conflitto con l'intero mondo.
Di Marina Szikora (*)
In occasione del quarto anniversario dalla morte di Milosevic, giovedì scorso, Dragoljub Micunovic, deputato del Partito democratico (DS) del Presidente Boris Tadic che insieme al SPS governa attualmente in Serbia, ha ricordato che Milosevic come un uomo testardo che non aveva compreso la situazione politica mondiale ha condannato il Paese all'isolamento e alla confrontazione con il mondo. Micunovic ha valutato pero' che a Milosevic sono state attribuite tutte le colpe e gli errori commessi in quel periodo poiche' tutti i politici sono riusciti a sfuggire ogni tipo di responsabilita', imputando a Milosevic di essere l'unico colpevole mentre la sua politica verra' qualificata come una politica del tutto sbagliata.
Ivica Dacic, ministro degli Interni, vicepresidente del Governo serbo e al contempo presidente del Parito socialista della Serbia, il partito erede di quello di Milosevic, ha detto che il suo partito non puo' vivere nel passato ma che ai cittadini della Serbia deve offrire una visione del futuro. Dacic ha aggiunto che l'attuale leadership del SPS non vuole guardare "del tutto negativamente" al passato del partito ma neanche "mitizzarlo".
Secondo l'opinione del leader del Partito liberaldemocratico (LDP), partito di opposizione, Cedomir Jovanovic, l'imputato dell'Aja Slobodan Milosevic e' sfuggito alla responsabilita' per la sua politica ma non deve assolutamente sfuggire il tribunale politico, mentre la societa' serba oggi deve dire chiaramente quali sono stati gli errori che Milosevic aveva commesso.
Dragan Todorovic, capogruppo del partito di opposizione, l'ultranazionalista Partito radicale serbo (SRS) ha valutato che deve passare ancora tanto tempo finche' si possa avere una valutazione storica oggettiva del ruolo di Milosevic poiche', piu' o meno, tutti i funzionari politici sono per o contro Milosevic.
Ricordiamolo, Slobodan Milosevic e' morto di infarto l'11 marzo 2006 nella sua cella di Scheveningen durante il processo per crimini di guerra e contro l'umanita' in Kosovo e in Croazia nonche' per i crimini di genocidio in Bosnia Erzegovina. Il tribunale internazionale per l'ex Jugoslavia incrimino' Milosevic il 27 maggio 1999 per crimini commessi durante il conflitto in Kosovo. Su decisione del governo serbo, l'ex presidente serbo fu estradato all'Aja il 28 giugno 2001 e il 9 ottobre 2001 accusato anche di crimini commessi in Croazia. Infine il 23 novembre dello stesso anno fu accusato per genocidio in Bosnia. Il processo a Milosevic inizio' il 12 febbraio 2001 mentre la sua difesa ebbe inizio il 31 agosto 2004. Dopo la sua morte improvvisa nel carcere dell'Aja, la sua famiglia e alcuni alti funzionari politici avevano chiesto alle autorita' dello Stato serbo il permesso di seppelirlo con gli onori dello stato a Belgrado. Il permesso non fu acconsentito e Milosevic e' stato sepolto nel giardino della casa di famiglia a Pozarevac.
Milosevic e' stato presidente della Serbia fino al 5 ottobre 2000 quando, a seguito delle grandi proteste di cittadini ammise la sconfitta alle elezioni presidenziali svoltesi a settembre dello stesso anno e fu succeduto dal leader del Partito democratico della Serbia, Vojislav Kostunica. La moglie di Milosevic, Mirjana Markovic lascio' la Serbia il 23 febbraio 2003 mentre suo figlio Marco abbandono' il Paese subito dopo la sconfitta elettorale del padre. Entrambi vivono oggi a Mosca in asilo, mentre la figlia Marija si trova in Montenegro. Contro Mirjana Markovic e il figlio Marko Milosevic pende un processo penale per abuso d'ufficio. Contro la Markovic e' stato rilasciato un mandato di cattura mentre Marko Milosevic e' sotto processo in contumacia.
(*) Corrispondente di Radio Radicale. Il testo è tratto dalla corrispondenze andata in onda nella puntata di Passaggio a Sud Est del 13 marzo 2010
Di Marina Szikora (*)
In occasione del quarto anniversario dalla morte di Milosevic, giovedì scorso, Dragoljub Micunovic, deputato del Partito democratico (DS) del Presidente Boris Tadic che insieme al SPS governa attualmente in Serbia, ha ricordato che Milosevic come un uomo testardo che non aveva compreso la situazione politica mondiale ha condannato il Paese all'isolamento e alla confrontazione con il mondo. Micunovic ha valutato pero' che a Milosevic sono state attribuite tutte le colpe e gli errori commessi in quel periodo poiche' tutti i politici sono riusciti a sfuggire ogni tipo di responsabilita', imputando a Milosevic di essere l'unico colpevole mentre la sua politica verra' qualificata come una politica del tutto sbagliata.
Ivica Dacic, ministro degli Interni, vicepresidente del Governo serbo e al contempo presidente del Parito socialista della Serbia, il partito erede di quello di Milosevic, ha detto che il suo partito non puo' vivere nel passato ma che ai cittadini della Serbia deve offrire una visione del futuro. Dacic ha aggiunto che l'attuale leadership del SPS non vuole guardare "del tutto negativamente" al passato del partito ma neanche "mitizzarlo".
Secondo l'opinione del leader del Partito liberaldemocratico (LDP), partito di opposizione, Cedomir Jovanovic, l'imputato dell'Aja Slobodan Milosevic e' sfuggito alla responsabilita' per la sua politica ma non deve assolutamente sfuggire il tribunale politico, mentre la societa' serba oggi deve dire chiaramente quali sono stati gli errori che Milosevic aveva commesso.
Dragan Todorovic, capogruppo del partito di opposizione, l'ultranazionalista Partito radicale serbo (SRS) ha valutato che deve passare ancora tanto tempo finche' si possa avere una valutazione storica oggettiva del ruolo di Milosevic poiche', piu' o meno, tutti i funzionari politici sono per o contro Milosevic.
Ricordiamolo, Slobodan Milosevic e' morto di infarto l'11 marzo 2006 nella sua cella di Scheveningen durante il processo per crimini di guerra e contro l'umanita' in Kosovo e in Croazia nonche' per i crimini di genocidio in Bosnia Erzegovina. Il tribunale internazionale per l'ex Jugoslavia incrimino' Milosevic il 27 maggio 1999 per crimini commessi durante il conflitto in Kosovo. Su decisione del governo serbo, l'ex presidente serbo fu estradato all'Aja il 28 giugno 2001 e il 9 ottobre 2001 accusato anche di crimini commessi in Croazia. Infine il 23 novembre dello stesso anno fu accusato per genocidio in Bosnia. Il processo a Milosevic inizio' il 12 febbraio 2001 mentre la sua difesa ebbe inizio il 31 agosto 2004. Dopo la sua morte improvvisa nel carcere dell'Aja, la sua famiglia e alcuni alti funzionari politici avevano chiesto alle autorita' dello Stato serbo il permesso di seppelirlo con gli onori dello stato a Belgrado. Il permesso non fu acconsentito e Milosevic e' stato sepolto nel giardino della casa di famiglia a Pozarevac.
Milosevic e' stato presidente della Serbia fino al 5 ottobre 2000 quando, a seguito delle grandi proteste di cittadini ammise la sconfitta alle elezioni presidenziali svoltesi a settembre dello stesso anno e fu succeduto dal leader del Partito democratico della Serbia, Vojislav Kostunica. La moglie di Milosevic, Mirjana Markovic lascio' la Serbia il 23 febbraio 2003 mentre suo figlio Marco abbandono' il Paese subito dopo la sconfitta elettorale del padre. Entrambi vivono oggi a Mosca in asilo, mentre la figlia Marija si trova in Montenegro. Contro Mirjana Markovic e il figlio Marko Milosevic pende un processo penale per abuso d'ufficio. Contro la Markovic e' stato rilasciato un mandato di cattura mentre Marko Milosevic e' sotto processo in contumacia.
(*) Corrispondente di Radio Radicale. Il testo è tratto dalla corrispondenze andata in onda nella puntata di Passaggio a Sud Est del 13 marzo 2010
lunedì 15 marzo 2010
ON-LINE IL NUOVO SITO DI OSSERVATORIO BALCANI E CAUCASO
Osservatorio Balcani e Caucaso compie dieci anni e ha deciso di iniziare a festeggiare questo traguardo con un nuovo sito. Da oggi infatti è on-line il nuovo portale che riunisce in un'unica homepage, le tre anime di Osservatorio, ovvero quella che si occupa di Europa sud orientale, quella sul Caucaso e il sito dedicato al mondo della cooperazione. Il nuovo portale mi piace: è chiaro e "arioso" e trovate tutto quello che OBC ha prodotto fino ad oggi in questi dieci anni: migliaia di articoli, gallerie fotografiche, contributi audio e video (ci trovate anche alcune mie interviste per Radio Radicale), gli appuntamenti dedicati ai Balcani e al Caucaso degli ultimi anni e un database sui progetti di cooperazione e sulle relazioni tra Italia e sud-est Europa. Non si tratta semplicemente di un restyling del sito ma di una vera e propria nuova piattaforma. Mi sembrava giusto segnalarvelo prima di tutto perché OBC è un punto di riferimento fondamentale per chiunque, a qualunque titolo si interessi di queste aree e poi perché quelli dell'Osservatorio sono degli amici che meritano sostegno per tutto il grande lavoro che fanno.
L'EUROPA E I BALCANI, I BALCANI E L'EUROPA - 2
Qui di seguito il testo della corrispondenza di Marina Szikora per lo Speciale di Passaggio a Sud Est andato in onda mercoledì 10 marzo a Radio Radicale
Il Forum “Gli scenari dello sviluppo dell’area adriatico-balcanica” svoltosi a Gorizia e organizzato dalla Regione Friuli Venezia Giulia in cui i singoli Paesi che fanno parte di quest’area sono stati rappresentati ad alto livello ha non solo trattato le opportunita’ economiche che offrono i Balcani e l’interscambio sull’asse Italia-Balcani ma in qualche modo ha sollecitato ulteriormente analisi relative all’attuale situazione nella regione e le prospettive europee di questi Paesi che continuano a subire diversi ostacoli e perfino uno stallo nel loro cammino verso l’integrazione europea. Al Forum hanno preso parte a nome dell’ospitante, l’Italia, il Ministro degli esteri Franco Frattini, in piu’ il Ministro dell’Energia e dell’industria Mineraria della Serbia, Petar Skudric, il Vice Ministro dei Trasporti del Montenegro, Srdjan Vukcevic, il Ministro dell’Economia, del Lavoro e dell’Impresa della Croazia, Djuro Popijac, il Presidente della Regione Friuli, Renzo Tondo, il Sindaco di Gorizia Ettore Romoli, i Presidenti di INCE e IAI, nonche’ il Sottosegretario di Stato Alfredo Mantica e il Segratario di Stato del Ministero dell’Economia della Romania, Parcalabescu. Nel suo discorso di apertura, il Ministro Frattini ha sottolineato che “l’energia, le reti infrastrutturali, le nuove opportunita’ economiche che offrono i Balcani contribuiranno senz’altro ad alimentare proficuamente l’azione italiana nella regione”.
“Pur continuando ad essere tra i primissimi partner commerciali nei singoli mercati oltre Adriatico, il primato italiano negli ultimi anni si e’ progressivamente indebolito, non solo a causa dell’affermarsi di altri competitors come la Francia e la Germania, ma soprattutto a causa della “disarticolazione” che spesso caratterizza i numerosi interventi italiani nell’area”, ha detto Frattini, spiegando che gli stessi Governi dei Paesi balcanici guardano con forti aspettative a possibile effetto traino per le proprie economie derivante dalla ripresa economica italiana e in questo senso evidenzia che “le opportunita’ non mancano. Settori strategici quali il comparto energetico e le infrastrutture offrono rilevanti opportunita’” per le aziende italiane nei Balcani e aggiunge che gli ultimi sviluppi consolidano le prospettive di una accelerazione degli investimenti italiani nell’area.
Tra gli argomenti sollevati vi e’ stato anche quello della recente liberalizzazione dei visti che, nei Balcani ha privilegiato la Serbia, il Montenegro e la Macedonia, considerato il fatto che gia’ da tempo, il paese piu’ avanzato nella regione, la Croazia e’ esclusa dall’obbligo del regime di visti. In attesa di essere inseriti sulla cosidetta lista bianca di Schengen sono rimasti Albania e Bosnia Erzegovina, mentre il Kosovo non e’ ancora un tema di discussione. La libaralizzazione del regime di visti nella regione viene vista come un successo italiano poiche’ lo stesso Ministro Frattini, in quanto gia’ Vice Presidente della Commissione Europea e Commisario per la Giustizia e Affari Interni aveva promosso questa iniziativa nel marzo del 2008. Auspicando non solo l’attesa liberalizzazione dei visti per Albania e BiH, il capo della diplomazia italiana vuole farsi promotore anche del caso Kosovo e a tal proposito ha avvertito che “Pristina ha bisogno di essere incoraggiata nel suo difficile percorso verso la definitiva stabilizzazione. Un obiettivo al cui raggiungimento l’Italia sta contribuendo in prima linea, nella convinzione che il futuro del Kosovo e’ nell’Unione Europea. La Commissione – come da noi auspicato nel Piano in otto punti - ha presentato ad ottobre uno studio che costituisce una valida base su cui lavorare anche se, va ammesso, il compito non e’ agevole dal momento che sul Kosovo esistono posizioni sensibilmente diverse tra gli Stati membri dell’Ue” ha spiegato Frattini.
I Paesi piu’ avanzati nel processo di integrazione sono Craozia e Macedonia, ha ricordato il Ministro italiano, ma mentre “Zagabria ha compiuto sforzi straordinari nei negoziati di adesione, il caso macedone e’ invece un monito all’Europa a mantenere fede alle proprie promesse”. Seppure la Macedonia gode dello status di candidato ancora dal 2005, Skopje e’ tutt’ora in attesa di una data di apertura dei negoziati di adesione. L’Italia si impegna affinche’ cio’ avvenga quanto prima e ritiene che le questioni bilaterali, quale la disputa tra Skopje e Atene sul nome della Macedonia non debbano interferire con il processo di adesione.
Il nocciolo piu’ duro nella regione e’ senz’altro la Bosnia Erzegovina. In questo Paese cosi’ fragile, la questione della chisura dell’Ufficio dell’Alto Rappresentante e il passaggio a un ruolo guida dell’Ue restano bloccati dall’ancora insormontabile crisi politica interna, soprattutto in vista delle prossime elezioni politiche nel Paese. “A quindici anni da Dayton il contesto bosniaco continua a registrare fragilita’ nella convivenza interetnica e difficolta’ di sostenibilita’ istituzionale. Nondimeno, proprio nell’attuale contesto di crisi emerge l’esigenza di un’azione decisa dell’UE in Bosnia che consenta di tenere questo paese agganciato ai progressi registrati dagli altri paesi della regione. Occorre agire in raccordo con gli altri partner internazionali coinvolti, in primis Stati Uniti, Russia e Turchia, avendo chiaramente presente che il futuro di questo paese e’ in Europa”, ha sottolineato Franco Frattini.
Sulla linea di una specie di continuazione del Vertice di Zagabria svoltosi dieci anni fa, nel 2000, e’ stato deciso da parte della Presidenza Spagnola e su spinta della stessa Italia, di convocare a termine del mandato a rotazione spagnolo, un vertice politico Ue-Balcani Occidentali a giugno che si terra’ proprio a Sarejevo. Come ribadito dal Ministro degli esteri italiano, questa sara’ l’opportunita’ unica per dare rinnovato impulso al percorso della regione verso la piena adesione all’Ue, secondo un approccio che tenga conto dei meriti di ciascuno dei Paesi.
Proprio in vista di questo prossimo importante appuntamento nella capitale della BiH, attualmente siamo testimoni di un primo tentativo di mettere al tavolo di discussione e scambio di opinioni i paesi Balcanici che dovrebbe essere innanzitutto uno sforzo verso l’indispensabile riconciliazione nella regione che tutt’ora soffre di conseguenze della guerra degli anni novanta. L’idea e’ promossa da un paese membro dell’Ue – la Slovenia e dal paese candidato, considerato il prossimo 28-esimo membro dell’Ue – la Croazia. I due Stati sono impegnati ad organizzare, il prossimo 20 marzo una conferenza regionale a Brdo kod Kranj in Slovenia. L’appunatemento, secondo le informazioni, non ha ancora una conferma definitiva dovuto al problema delle modalita’ di partecipazione, vale a dire al come si risolvera’ il contrasto tra la partecipazione della Serbia e il nuovo Stato indipendente ancora da molti non riconosciuto, il Kosovo. Belgrado non e’ contraria alla partecipazione dei rappresentanti del Kosovo a nome del Kosovo-UNMIK cosi’ come definito dalla Risoluzione 1244 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Da Pristina invece, arrivano messaggi che i rappresentanti kosovari vi parteciperanno soltanto in veste di autorita’ del Kosovo indipendente. Il premier sloveno Boruh Pahor ha spiegato che si stanno investendo grandi sforzi affinche’ questa conferenza si potesse realizzare sottolineando l’importanza dell’appuntamento a Brdo per l’intera regione poiche’ servirebbe a rafforzare pace, stabilita’ e prosperita’ nel vicinato sloveno.
Ieri, il premier del Governo di Pristina, Hasim Tachi ha dichiarato di essere pronto a dialogare e stringere la mano al presidente della Serbia Boris Tadic e che il suo Governo non forzera’ i Serbi al nord del Kosovo di integrarsi nella societa’ kosovara. “Non ci sara’ violenza ne’ mosse unilaterali, bensi’ solo dialogo e collaborazione” ha detto Tachi in una intervista alla Reuters aggingendo che “tutto sara’ fatto in cooperazione con la comunta’ internazionale, la NATO e le istituzioni economiche”. Il primo ministro kosovaro ha detto di essere pronto alla lotta contro la corruzione al piu’ alto livello in Kosovo valutando che si tratta di “una malattia ereditata” e che “non ci saranno compromessi nella lotta alla corruzione”.
Per quanto riguarda la situazione economica nella regione, il quotidiano di Belgrado ‘Blic’ scrive nella sua edizione di ieri che “la Croazia giustamente puo’ chiamarsi leader economico dei Balcani Occidentali seppure anche gli economisti croati credono che la Serbia, nel futuro potrebbe diventare il centro economico regionale”. La priorita’ chiave della Croazia rispetto alla Serbia, Macedonia, BiH, Montenegro e Albania – scrive Blic – e’ che il Paese e’ tra i piu’ vicini all’ingresso nell’Ue ed e’ interessante che il confronto delle foze e’ simile a quello di venti anni fa quando questi paesi, con l’eccezione dell’Albania, si trovavano sotto lo stesso cappello.
Aleksandar Miloradovic, rappresentante dell’Agenzia per gli investimenti stranieri e per la promozione dell’esportazione (SIEPA) afferma che nelle condizioni di crisi si e’ dimostrato che la Serbia ha una delle economie piu’ resistenti se non la piu’ resistente nella regione. “Perfino l’economia slovena, che fa parte del sistema europeo, ha subito un maggiore calo del PIL. Inoltre, noi siamo l’unico paese della regione che ha un corso di valuta estera fluttuale, per cui le attuali vicende a lungo termine aumentano la nostra competitivita’. Tuttavia, il leader e’ definitivamente la Croazia anche se noi forse abbiamo una migliore prospettiva” sottolinea Miloradovic. Ljiljana Weissbarth, presidente della societa’ croata “Weissbarth e partner” dice per ‘Blic’ che un vero leader della regione non esiste ma soltanto potenziali candidati: “lo possono essere soltanto Croazia e Serbia, altri paesi secondo il livello di sviluppo e la grandezza dell’economia si trovano evidentemente al di sotto. Il fatto e’ che la Croazia ha un PIL molto piu’ alto, ma le istituzioni finanziarie prevedono per la Serbia un piu’ alto tasso di crescita nel futuro” osserva Weissbarth.
Mladjen Kovacevic, membro dell’Accademia delle scienze economiche serba lamenta che la Serbia in confronto con i paesi vicini venti anni fa aveva una prospettiva molto migliore che pero’ non e’ riuscita a sfruttare. Il concetto di riforme e’ stato completamente sbagliato, afferma questo esperto e agginge che “la troppo veloce apertura verso il mondo nonche’ la liberalizzazione dell’importo sono i difetti chiave delle riforme serbe. Pensavamo di aprirci al piu’ presto ad ogni costo, contando di accellerare cosi’ l’ingresso nell’Ue ma questo ha solo distrutto l’esportazione domestica. Abbiamo le tasse doganali mediamente del 4,5 percento che e’ il livello dei piu’ sviluppati paesi nel modno, per non parlare di paesi vicini. Questo uccide il prodotto nazionale” spiega Mladjen Kovacevic.
L’agricoltura era il principale asso serbo venti anni fa, mentre la Croazia dominava nel turismo. Prima della secessione dell’ex Jugoslavia, la Slovenia era in testa nell’esportazione delle merci e la Croazia invece nell’esportazione dei servizi. L’interessante e’ che la BiH aveva una esportazione significativa sia delle merci che dei servizi. Le diffirenze tra le ex repubbliche diminuirono (con sempre l’eccezione del Kosovo). Il cambiamento cruciale dopo la disgregazione dell’ex Jugoslavia e’ stata la deindustrializzazione delle parti continentali tranne la Slovenia e’ questo e’ la chiave per comprendere la situazione, afferma sempre per ‘Blic’ Vladimir Gligorov, collaboratore dell’Istituto di Vienna per gli studi economici internazionali.
Il Forum “Gli scenari dello sviluppo dell’area adriatico-balcanica” svoltosi a Gorizia e organizzato dalla Regione Friuli Venezia Giulia in cui i singoli Paesi che fanno parte di quest’area sono stati rappresentati ad alto livello ha non solo trattato le opportunita’ economiche che offrono i Balcani e l’interscambio sull’asse Italia-Balcani ma in qualche modo ha sollecitato ulteriormente analisi relative all’attuale situazione nella regione e le prospettive europee di questi Paesi che continuano a subire diversi ostacoli e perfino uno stallo nel loro cammino verso l’integrazione europea. Al Forum hanno preso parte a nome dell’ospitante, l’Italia, il Ministro degli esteri Franco Frattini, in piu’ il Ministro dell’Energia e dell’industria Mineraria della Serbia, Petar Skudric, il Vice Ministro dei Trasporti del Montenegro, Srdjan Vukcevic, il Ministro dell’Economia, del Lavoro e dell’Impresa della Croazia, Djuro Popijac, il Presidente della Regione Friuli, Renzo Tondo, il Sindaco di Gorizia Ettore Romoli, i Presidenti di INCE e IAI, nonche’ il Sottosegretario di Stato Alfredo Mantica e il Segratario di Stato del Ministero dell’Economia della Romania, Parcalabescu. Nel suo discorso di apertura, il Ministro Frattini ha sottolineato che “l’energia, le reti infrastrutturali, le nuove opportunita’ economiche che offrono i Balcani contribuiranno senz’altro ad alimentare proficuamente l’azione italiana nella regione”.
“Pur continuando ad essere tra i primissimi partner commerciali nei singoli mercati oltre Adriatico, il primato italiano negli ultimi anni si e’ progressivamente indebolito, non solo a causa dell’affermarsi di altri competitors come la Francia e la Germania, ma soprattutto a causa della “disarticolazione” che spesso caratterizza i numerosi interventi italiani nell’area”, ha detto Frattini, spiegando che gli stessi Governi dei Paesi balcanici guardano con forti aspettative a possibile effetto traino per le proprie economie derivante dalla ripresa economica italiana e in questo senso evidenzia che “le opportunita’ non mancano. Settori strategici quali il comparto energetico e le infrastrutture offrono rilevanti opportunita’” per le aziende italiane nei Balcani e aggiunge che gli ultimi sviluppi consolidano le prospettive di una accelerazione degli investimenti italiani nell’area.
Tra gli argomenti sollevati vi e’ stato anche quello della recente liberalizzazione dei visti che, nei Balcani ha privilegiato la Serbia, il Montenegro e la Macedonia, considerato il fatto che gia’ da tempo, il paese piu’ avanzato nella regione, la Croazia e’ esclusa dall’obbligo del regime di visti. In attesa di essere inseriti sulla cosidetta lista bianca di Schengen sono rimasti Albania e Bosnia Erzegovina, mentre il Kosovo non e’ ancora un tema di discussione. La libaralizzazione del regime di visti nella regione viene vista come un successo italiano poiche’ lo stesso Ministro Frattini, in quanto gia’ Vice Presidente della Commissione Europea e Commisario per la Giustizia e Affari Interni aveva promosso questa iniziativa nel marzo del 2008. Auspicando non solo l’attesa liberalizzazione dei visti per Albania e BiH, il capo della diplomazia italiana vuole farsi promotore anche del caso Kosovo e a tal proposito ha avvertito che “Pristina ha bisogno di essere incoraggiata nel suo difficile percorso verso la definitiva stabilizzazione. Un obiettivo al cui raggiungimento l’Italia sta contribuendo in prima linea, nella convinzione che il futuro del Kosovo e’ nell’Unione Europea. La Commissione – come da noi auspicato nel Piano in otto punti - ha presentato ad ottobre uno studio che costituisce una valida base su cui lavorare anche se, va ammesso, il compito non e’ agevole dal momento che sul Kosovo esistono posizioni sensibilmente diverse tra gli Stati membri dell’Ue” ha spiegato Frattini.
I Paesi piu’ avanzati nel processo di integrazione sono Craozia e Macedonia, ha ricordato il Ministro italiano, ma mentre “Zagabria ha compiuto sforzi straordinari nei negoziati di adesione, il caso macedone e’ invece un monito all’Europa a mantenere fede alle proprie promesse”. Seppure la Macedonia gode dello status di candidato ancora dal 2005, Skopje e’ tutt’ora in attesa di una data di apertura dei negoziati di adesione. L’Italia si impegna affinche’ cio’ avvenga quanto prima e ritiene che le questioni bilaterali, quale la disputa tra Skopje e Atene sul nome della Macedonia non debbano interferire con il processo di adesione.
Il nocciolo piu’ duro nella regione e’ senz’altro la Bosnia Erzegovina. In questo Paese cosi’ fragile, la questione della chisura dell’Ufficio dell’Alto Rappresentante e il passaggio a un ruolo guida dell’Ue restano bloccati dall’ancora insormontabile crisi politica interna, soprattutto in vista delle prossime elezioni politiche nel Paese. “A quindici anni da Dayton il contesto bosniaco continua a registrare fragilita’ nella convivenza interetnica e difficolta’ di sostenibilita’ istituzionale. Nondimeno, proprio nell’attuale contesto di crisi emerge l’esigenza di un’azione decisa dell’UE in Bosnia che consenta di tenere questo paese agganciato ai progressi registrati dagli altri paesi della regione. Occorre agire in raccordo con gli altri partner internazionali coinvolti, in primis Stati Uniti, Russia e Turchia, avendo chiaramente presente che il futuro di questo paese e’ in Europa”, ha sottolineato Franco Frattini.
Sulla linea di una specie di continuazione del Vertice di Zagabria svoltosi dieci anni fa, nel 2000, e’ stato deciso da parte della Presidenza Spagnola e su spinta della stessa Italia, di convocare a termine del mandato a rotazione spagnolo, un vertice politico Ue-Balcani Occidentali a giugno che si terra’ proprio a Sarejevo. Come ribadito dal Ministro degli esteri italiano, questa sara’ l’opportunita’ unica per dare rinnovato impulso al percorso della regione verso la piena adesione all’Ue, secondo un approccio che tenga conto dei meriti di ciascuno dei Paesi.
Proprio in vista di questo prossimo importante appuntamento nella capitale della BiH, attualmente siamo testimoni di un primo tentativo di mettere al tavolo di discussione e scambio di opinioni i paesi Balcanici che dovrebbe essere innanzitutto uno sforzo verso l’indispensabile riconciliazione nella regione che tutt’ora soffre di conseguenze della guerra degli anni novanta. L’idea e’ promossa da un paese membro dell’Ue – la Slovenia e dal paese candidato, considerato il prossimo 28-esimo membro dell’Ue – la Croazia. I due Stati sono impegnati ad organizzare, il prossimo 20 marzo una conferenza regionale a Brdo kod Kranj in Slovenia. L’appunatemento, secondo le informazioni, non ha ancora una conferma definitiva dovuto al problema delle modalita’ di partecipazione, vale a dire al come si risolvera’ il contrasto tra la partecipazione della Serbia e il nuovo Stato indipendente ancora da molti non riconosciuto, il Kosovo. Belgrado non e’ contraria alla partecipazione dei rappresentanti del Kosovo a nome del Kosovo-UNMIK cosi’ come definito dalla Risoluzione 1244 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Da Pristina invece, arrivano messaggi che i rappresentanti kosovari vi parteciperanno soltanto in veste di autorita’ del Kosovo indipendente. Il premier sloveno Boruh Pahor ha spiegato che si stanno investendo grandi sforzi affinche’ questa conferenza si potesse realizzare sottolineando l’importanza dell’appuntamento a Brdo per l’intera regione poiche’ servirebbe a rafforzare pace, stabilita’ e prosperita’ nel vicinato sloveno.
Ieri, il premier del Governo di Pristina, Hasim Tachi ha dichiarato di essere pronto a dialogare e stringere la mano al presidente della Serbia Boris Tadic e che il suo Governo non forzera’ i Serbi al nord del Kosovo di integrarsi nella societa’ kosovara. “Non ci sara’ violenza ne’ mosse unilaterali, bensi’ solo dialogo e collaborazione” ha detto Tachi in una intervista alla Reuters aggingendo che “tutto sara’ fatto in cooperazione con la comunta’ internazionale, la NATO e le istituzioni economiche”. Il primo ministro kosovaro ha detto di essere pronto alla lotta contro la corruzione al piu’ alto livello in Kosovo valutando che si tratta di “una malattia ereditata” e che “non ci saranno compromessi nella lotta alla corruzione”.
Per quanto riguarda la situazione economica nella regione, il quotidiano di Belgrado ‘Blic’ scrive nella sua edizione di ieri che “la Croazia giustamente puo’ chiamarsi leader economico dei Balcani Occidentali seppure anche gli economisti croati credono che la Serbia, nel futuro potrebbe diventare il centro economico regionale”. La priorita’ chiave della Croazia rispetto alla Serbia, Macedonia, BiH, Montenegro e Albania – scrive Blic – e’ che il Paese e’ tra i piu’ vicini all’ingresso nell’Ue ed e’ interessante che il confronto delle foze e’ simile a quello di venti anni fa quando questi paesi, con l’eccezione dell’Albania, si trovavano sotto lo stesso cappello.
Aleksandar Miloradovic, rappresentante dell’Agenzia per gli investimenti stranieri e per la promozione dell’esportazione (SIEPA) afferma che nelle condizioni di crisi si e’ dimostrato che la Serbia ha una delle economie piu’ resistenti se non la piu’ resistente nella regione. “Perfino l’economia slovena, che fa parte del sistema europeo, ha subito un maggiore calo del PIL. Inoltre, noi siamo l’unico paese della regione che ha un corso di valuta estera fluttuale, per cui le attuali vicende a lungo termine aumentano la nostra competitivita’. Tuttavia, il leader e’ definitivamente la Croazia anche se noi forse abbiamo una migliore prospettiva” sottolinea Miloradovic. Ljiljana Weissbarth, presidente della societa’ croata “Weissbarth e partner” dice per ‘Blic’ che un vero leader della regione non esiste ma soltanto potenziali candidati: “lo possono essere soltanto Croazia e Serbia, altri paesi secondo il livello di sviluppo e la grandezza dell’economia si trovano evidentemente al di sotto. Il fatto e’ che la Croazia ha un PIL molto piu’ alto, ma le istituzioni finanziarie prevedono per la Serbia un piu’ alto tasso di crescita nel futuro” osserva Weissbarth.
Mladjen Kovacevic, membro dell’Accademia delle scienze economiche serba lamenta che la Serbia in confronto con i paesi vicini venti anni fa aveva una prospettiva molto migliore che pero’ non e’ riuscita a sfruttare. Il concetto di riforme e’ stato completamente sbagliato, afferma questo esperto e agginge che “la troppo veloce apertura verso il mondo nonche’ la liberalizzazione dell’importo sono i difetti chiave delle riforme serbe. Pensavamo di aprirci al piu’ presto ad ogni costo, contando di accellerare cosi’ l’ingresso nell’Ue ma questo ha solo distrutto l’esportazione domestica. Abbiamo le tasse doganali mediamente del 4,5 percento che e’ il livello dei piu’ sviluppati paesi nel modno, per non parlare di paesi vicini. Questo uccide il prodotto nazionale” spiega Mladjen Kovacevic.
L’agricoltura era il principale asso serbo venti anni fa, mentre la Croazia dominava nel turismo. Prima della secessione dell’ex Jugoslavia, la Slovenia era in testa nell’esportazione delle merci e la Croazia invece nell’esportazione dei servizi. L’interessante e’ che la BiH aveva una esportazione significativa sia delle merci che dei servizi. Le diffirenze tra le ex repubbliche diminuirono (con sempre l’eccezione del Kosovo). Il cambiamento cruciale dopo la disgregazione dell’ex Jugoslavia e’ stata la deindustrializzazione delle parti continentali tranne la Slovenia e’ questo e’ la chiave per comprendere la situazione, afferma sempre per ‘Blic’ Vladimir Gligorov, collaboratore dell’Istituto di Vienna per gli studi economici internazionali.
L'EUROPA E I BALCANI, I BALCANI E L'EUROPA - 1
Qui di seguito il testo della corrispondenza di Artur Nura per lo Speciale di Passaggio a Sud Est andato in onda mercoledì 10 marzo a Radio Radicale
La conferenza internazionale sui Balcani previsto a giugno a Sarajevo e a 15 anni dalla fine della guerra, concepito per ridare forza al processo di avvicinamento all'Europa dei paesi dell'area balcanica, e’ una buona notizia per tutti noi. Da queste parti, il fatto che i Ministri degli Esteri UE riuniti a Cordoba il 5 e 6 marzo hanno accolto la proposta dell'Italia e controfirmata dalla attuale Presidenza spagnola, si e’ trattato veramente come una buona notizia da tutti. Per di più, un po' di entusiasmo si e’ concentrato nell’idea che l'incontro di Sarajevo dovrà fare avanzare il percorso della regione verso l'integrazione europea e sul fatto che l'Europa stessa deve essere la guida politica nella partita dei Balcani. "La sicurezza e la prosperità nei Balcani influiscono sulla vita quotidiana dei cittadini UE", è scritto nel documento elaborato dai 27, però nello stesso documento si aggiunge che la stabilità nella regione ha una importanza chiave per la sicurezza europea stessa. “E’ necessario assicurare che l'Alto Rappresentante, sostenuta dal servizio diplomatico, possa condurre una coerente azione di politica estera, evitando duplicazioni e sovrapposizioni con le iniziative di altre istituzioni UE” in effetti, ha sottolineato ministro degli Esteri italiano Franco Frattini, precisando la necessità di lavorare per una voce unica europea in politica estera, e tale resposabilità politica del governo italiano per l’opinione pubblica albanese, nota come filoitaliana, tutto questo porta soddisfazione.
"La crisi economica dello scorso anno ha messo a dura prova il Sistema Italia nei Balcani con un calo in media del 22% per le nostre esportazioni e del 6% delle nostre importazioni", ha spiegato Frattini nel Forum, pero’ questo dato di fatto e’ stato tradotto come problematico per la stessa regione Balcanica ed in modo particolare per l’Albania che gode tanto dagli investimenti Italiani nella regione. In parole concrete, possiamo dire che il Ministro degli Esteri Frattini ha così ammesso che il Made in Italy gode in una posizione privilegiata nell’Europa centro meridionale costituendo un interesse vitale dell’Italia, pero’ in questo caso io aggiungerrei che tutto questo e’ una possibilta economica in piu per i Balcani stessi. In effetti, gli stessi Governi dei Paesi balcanici, ed io potrei garantire in modo particolare sull’Albania, guardano con forti aspettative ad un possibile effetto traino per le proprie economie derivante dalla ripresa economica italiana e loro investimenti in queste aree. Se dobbiamo parlare anche in concreto, bisogna aggiungere che il fatto che lo scopo principale dell'incontro era quello di costituire in futuro un Gruppo permanente di lavoro inteso e creare un Segretariato Tecnico permanente dell’International Desk, con sede in Friuli Venezia Giulia, e’ stato considerato come un passo molto positivo dalla mass media locale e regionale. Gli opinionisti di queste aree dicono che i temi discussi come energia, le reti infrastrutturali, le nuove opportunità economiche che offrono i Balcani contribuiranno senz’altro ad alimentare proficuamente l’azione italiana nella regione, ma per di piu sanare l’economia regionale dei Balcani. Da diversi esperti del campo è stato detto che le opportunità non mancano e si sono sottolineati i settori strategici quali il comparto energetico e le infrastrutture offrono rilevanti opportunità per le aziende Italiane nei Balcani e che tali sviluppi consolidano le prospettive economiche della regione stessa.
Generalmente in Albania si fa concepire che l'Italia sosterrà sempre l'Albania nel cammino verso l'Unione Europea e negli strumenti di pre-adesione all'Unione Europea, ma per di piu, si confida molto sulla cooperazione di sviluppo tra l'Albania e l'Italia. E del tutto chiaro che nel corso di questi anni gli investimenti italiani in Albania sono stati elevati ed importanti consolidando il clima di fiducia nei mercati locali, rispetto ad altri Paesi della regione. Sulla stampa Albanese si e’ stato ricordato l’accordo tra Italia e Montenegro, firmato lo scorso 6 febbraio, per la costruzione di un cavo di interconnessione elettrica da 1000 MW, identificando cosi i Balcani come un bacino strategico di approvvigionamento energetico, in particolare per l’energia da fonti rinnovabili, coerentemente con le sollecitazioni che provengono da Bruxelles. In piu, si e’ stato parlato sullo sviluppo delle reti infrastrutturali, con i Corridoi Paneuropei Cinque e Otto, nonché con la futura creazione di una Comunità di Trasporti tra i Paesi dei Balcani e la UE, il cui trattato è ancora in fase di negoziati. Questa ocasione si e’ trattato come un azione di una politica e di futuro europeo della regione, a cominciare dalla “road-map” italiana in otto punti, che dovrà mettere fine ad una sorta di frustrazione e preoccupazione che deriva dalla fatica dell'allargamento. Come capibile, il fatto della liberalizzazione dei visti già in vigore con Montenegro, Serbia e Macedonia, pero anche l’impegno per Albania e Bosnia Erzegovina entro il 2010, certo alla luce dei rilevanti progressi compiuti nell’attuazione dei parametri richiesti dalla UE, ha fatto possibile che alcuni opinionisti chiedano piu responsabilita sia dalla parte del governo Albanese anche dell’opposizione. Come dovuto, di piu’ attenzione ha avuto in Kosovo il fatto che il Forum analogamente ha auspichato che il dialogo sulla liberalizzazione dei visti possa presto essere avviato anche con il Kosovo stesso, in linea con quanto suggerito dalla Commissione. Pristina ha bisogno di essere incoraggiata nel suo difficile percorso verso la definitiva stabilizzazione. Un obiettivo al cui raggiungimento l’Italia sta contribuendo in prima linea, nella convinzione che il futuro del Kosovo è nell’Unione Europea, ha precisato il ministro Italiano degli esteri Franco Frattini. In effetti, a Pristina e a Tirana non si puoi dimenticare che l’Italia tramite il Piano in otto punti ha presentato ad ottobre uno studio che costituisce una valida base su cui lavorare in questa direzione.
Per quanto riguarda invece, il caso di Macedonia, visto come un Paese più avanzato nel processo di integrazione, si e’ stato ricordato l’impasse con la Grecia, e secondo gli opinionisti Albanesi, l’Europa deve mantenere fede alle proprie promesse ad imporre una soluzione al caso. Skopje, che beneficia dello status di candidato dal lontano 2005, attende ancora l’apertura dei negoziati di adesione. Lo scorso ottobre la Commissione ha dato parere favorevole e perquanto dichiarato sembra che in tal senso e l’Italia sta lavorando affinché l’apertura dei relativi negoziati avvenga quanto prima. E per concludere la mia corrispondenza ma con delle notizie regionali che hanno a che fare con la filosofia politica di quel Forum, dobbiamo informare che si è svolta a Tirana "La conferenza sulla sicurezza delle frontiere" con la partecipazione dei Ministri degli Interni dei Balcani dei Paesi che non hanno beneficiato dell'abolizione del regime dei visti. Nel corso del vertice è stata sottoscritta una dichiarazione congiunta, tramite la quale verrà chiesto alla Commissione europea di effettuare una revisione delle decisioni prese. Attraverso questa dichiarazione verrà così chiesto alla CE di accelerare il processo della liberalizzazione dei visti per l'Albania e la Bosnia-Erzegovina. La dichiarazione è stata letta durante la conferenza dal Ministro degli Interni albanese Lulzim Basha e nel frattempo, il capo del gruppo parlamentare democratico Astrit Patozi, ha reso noto in una conferenza stampa che è stato elaborato una risoluzione a sostegno della liberalizzazione dei visti per l’Albania. Patozi ha dichiarato che la sospensione dei visti è un grande obbiettivo che dev’essere supportato da tutti gli attori politici. Egli ha rivelato che nella prossima sessione parlamentare il Gruppo Democratico presenterà la risoluzione.
La conferenza internazionale sui Balcani previsto a giugno a Sarajevo e a 15 anni dalla fine della guerra, concepito per ridare forza al processo di avvicinamento all'Europa dei paesi dell'area balcanica, e’ una buona notizia per tutti noi. Da queste parti, il fatto che i Ministri degli Esteri UE riuniti a Cordoba il 5 e 6 marzo hanno accolto la proposta dell'Italia e controfirmata dalla attuale Presidenza spagnola, si e’ trattato veramente come una buona notizia da tutti. Per di più, un po' di entusiasmo si e’ concentrato nell’idea che l'incontro di Sarajevo dovrà fare avanzare il percorso della regione verso l'integrazione europea e sul fatto che l'Europa stessa deve essere la guida politica nella partita dei Balcani. "La sicurezza e la prosperità nei Balcani influiscono sulla vita quotidiana dei cittadini UE", è scritto nel documento elaborato dai 27, però nello stesso documento si aggiunge che la stabilità nella regione ha una importanza chiave per la sicurezza europea stessa. “E’ necessario assicurare che l'Alto Rappresentante, sostenuta dal servizio diplomatico, possa condurre una coerente azione di politica estera, evitando duplicazioni e sovrapposizioni con le iniziative di altre istituzioni UE” in effetti, ha sottolineato ministro degli Esteri italiano Franco Frattini, precisando la necessità di lavorare per una voce unica europea in politica estera, e tale resposabilità politica del governo italiano per l’opinione pubblica albanese, nota come filoitaliana, tutto questo porta soddisfazione.
"La crisi economica dello scorso anno ha messo a dura prova il Sistema Italia nei Balcani con un calo in media del 22% per le nostre esportazioni e del 6% delle nostre importazioni", ha spiegato Frattini nel Forum, pero’ questo dato di fatto e’ stato tradotto come problematico per la stessa regione Balcanica ed in modo particolare per l’Albania che gode tanto dagli investimenti Italiani nella regione. In parole concrete, possiamo dire che il Ministro degli Esteri Frattini ha così ammesso che il Made in Italy gode in una posizione privilegiata nell’Europa centro meridionale costituendo un interesse vitale dell’Italia, pero’ in questo caso io aggiungerrei che tutto questo e’ una possibilta economica in piu per i Balcani stessi. In effetti, gli stessi Governi dei Paesi balcanici, ed io potrei garantire in modo particolare sull’Albania, guardano con forti aspettative ad un possibile effetto traino per le proprie economie derivante dalla ripresa economica italiana e loro investimenti in queste aree. Se dobbiamo parlare anche in concreto, bisogna aggiungere che il fatto che lo scopo principale dell'incontro era quello di costituire in futuro un Gruppo permanente di lavoro inteso e creare un Segretariato Tecnico permanente dell’International Desk, con sede in Friuli Venezia Giulia, e’ stato considerato come un passo molto positivo dalla mass media locale e regionale. Gli opinionisti di queste aree dicono che i temi discussi come energia, le reti infrastrutturali, le nuove opportunità economiche che offrono i Balcani contribuiranno senz’altro ad alimentare proficuamente l’azione italiana nella regione, ma per di piu sanare l’economia regionale dei Balcani. Da diversi esperti del campo è stato detto che le opportunità non mancano e si sono sottolineati i settori strategici quali il comparto energetico e le infrastrutture offrono rilevanti opportunità per le aziende Italiane nei Balcani e che tali sviluppi consolidano le prospettive economiche della regione stessa.
Generalmente in Albania si fa concepire che l'Italia sosterrà sempre l'Albania nel cammino verso l'Unione Europea e negli strumenti di pre-adesione all'Unione Europea, ma per di piu, si confida molto sulla cooperazione di sviluppo tra l'Albania e l'Italia. E del tutto chiaro che nel corso di questi anni gli investimenti italiani in Albania sono stati elevati ed importanti consolidando il clima di fiducia nei mercati locali, rispetto ad altri Paesi della regione. Sulla stampa Albanese si e’ stato ricordato l’accordo tra Italia e Montenegro, firmato lo scorso 6 febbraio, per la costruzione di un cavo di interconnessione elettrica da 1000 MW, identificando cosi i Balcani come un bacino strategico di approvvigionamento energetico, in particolare per l’energia da fonti rinnovabili, coerentemente con le sollecitazioni che provengono da Bruxelles. In piu, si e’ stato parlato sullo sviluppo delle reti infrastrutturali, con i Corridoi Paneuropei Cinque e Otto, nonché con la futura creazione di una Comunità di Trasporti tra i Paesi dei Balcani e la UE, il cui trattato è ancora in fase di negoziati. Questa ocasione si e’ trattato come un azione di una politica e di futuro europeo della regione, a cominciare dalla “road-map” italiana in otto punti, che dovrà mettere fine ad una sorta di frustrazione e preoccupazione che deriva dalla fatica dell'allargamento. Come capibile, il fatto della liberalizzazione dei visti già in vigore con Montenegro, Serbia e Macedonia, pero anche l’impegno per Albania e Bosnia Erzegovina entro il 2010, certo alla luce dei rilevanti progressi compiuti nell’attuazione dei parametri richiesti dalla UE, ha fatto possibile che alcuni opinionisti chiedano piu responsabilita sia dalla parte del governo Albanese anche dell’opposizione. Come dovuto, di piu’ attenzione ha avuto in Kosovo il fatto che il Forum analogamente ha auspichato che il dialogo sulla liberalizzazione dei visti possa presto essere avviato anche con il Kosovo stesso, in linea con quanto suggerito dalla Commissione. Pristina ha bisogno di essere incoraggiata nel suo difficile percorso verso la definitiva stabilizzazione. Un obiettivo al cui raggiungimento l’Italia sta contribuendo in prima linea, nella convinzione che il futuro del Kosovo è nell’Unione Europea, ha precisato il ministro Italiano degli esteri Franco Frattini. In effetti, a Pristina e a Tirana non si puoi dimenticare che l’Italia tramite il Piano in otto punti ha presentato ad ottobre uno studio che costituisce una valida base su cui lavorare in questa direzione.
Per quanto riguarda invece, il caso di Macedonia, visto come un Paese più avanzato nel processo di integrazione, si e’ stato ricordato l’impasse con la Grecia, e secondo gli opinionisti Albanesi, l’Europa deve mantenere fede alle proprie promesse ad imporre una soluzione al caso. Skopje, che beneficia dello status di candidato dal lontano 2005, attende ancora l’apertura dei negoziati di adesione. Lo scorso ottobre la Commissione ha dato parere favorevole e perquanto dichiarato sembra che in tal senso e l’Italia sta lavorando affinché l’apertura dei relativi negoziati avvenga quanto prima. E per concludere la mia corrispondenza ma con delle notizie regionali che hanno a che fare con la filosofia politica di quel Forum, dobbiamo informare che si è svolta a Tirana "La conferenza sulla sicurezza delle frontiere" con la partecipazione dei Ministri degli Interni dei Balcani dei Paesi che non hanno beneficiato dell'abolizione del regime dei visti. Nel corso del vertice è stata sottoscritta una dichiarazione congiunta, tramite la quale verrà chiesto alla Commissione europea di effettuare una revisione delle decisioni prese. Attraverso questa dichiarazione verrà così chiesto alla CE di accelerare il processo della liberalizzazione dei visti per l'Albania e la Bosnia-Erzegovina. La dichiarazione è stata letta durante la conferenza dal Ministro degli Interni albanese Lulzim Basha e nel frattempo, il capo del gruppo parlamentare democratico Astrit Patozi, ha reso noto in una conferenza stampa che è stato elaborato una risoluzione a sostegno della liberalizzazione dei visti per l’Albania. Patozi ha dichiarato che la sospensione dei visti è un grande obbiettivo che dev’essere supportato da tutti gli attori politici. Egli ha rivelato che nella prossima sessione parlamentare il Gruppo Democratico presenterà la risoluzione.
PASSAGGIO IN ONDA
Passaggio a Sud Est
è in onda
il sabato alle 22,30
su Radio Radicale
Gli argomenti della puntata di sabato 13 marzo 2010
- La Grecia e la crisi economica nell'Europa centrale e sud orientale
- La visita ufficiale del presidente croato Ivo Josipovic in Slovenia
- La Macedonia tra integrazione europea e rapporti con la Grecia
- La visita del premier sloveno in Kosovo e le relazioni di Pristina con gli altri paesi della regione
- La questione dei visti Schengen per Albania e Bosnia e il problema della richiesta di asilo politico in Europa degli albanesi di Serbia e Macedonia
- La Turchia e l'Europa e la questione di Cipro
- La possibile scarcerazione del generale Gotovina
- La Serbia ed il quarto anniversario della morte di Milosevic
La registrazione è disponibile sul sito di Radio Radicale
La trasmissione è curata e condotta da Roberto Spagnoli con la collaborazione di Marina Szikora e Artur Nura
venerdì 12 marzo 2010
GENOCIDIO ARMENO: DOPO GLI USA LA SVEZIA, ANKARA FURIBONDA
Ieri il Parlamento svedese, a sopresa e malgrado il parere contrario del governo, ha adottato una mozione che riconosce il genocidio degli armeni del 1915. Il testo presentato dall'opposizione di sinistra è passato con un solo voto di maggioranza (131 contro 130) grazie a quattro deputati della maggioranza di centrodestra che non hanno rispettato la linea del loro partito e hanno votato in favore della mozione. Il voto del Parlamento svedese arriva dopo quello della commissione Esteri della Camera dei Rappresentanti Usa che ha messo in crisi i già non facili rapporti tra Ankara e Washington.
La reazione turca non si è fatta attendere ed è stata dura: "Condanniamo fermamente questa decisione. Il nostro popolo e il nostro governo respingono questa decisione macchiata di gravi errori e priva di fondamento" ha dichiarato il governo turco. Il premier Recep Tayyip Erdogan si è espresso con toni altrettanto netti in un discorso televisivo in cui ha affermato che la Turchia "non si farà intimidire, non si inchinerà di fronte a questi fatti compiuti, questi atti in malafede, questi atteggiamenti irresponsabili".
Il ministro degli Esteri svedese, Carl Bildt, ha immediatamente annunciato che la linea del suo governo, che sostiene la candidatura della Turchia all'Unione Europea, "resta invariata" e ha definito un errore il voto del parlamento. Linea ribadita dall'ambasciatore svedese ad Ankara che ha precisato che "il compito di pronunciarsi sugli avvenimenti storici va lasciato agli storici" e che Stoccolma vuole mantenere "buone relazioni" con Ankara. Il voto, secondo l'ambasciatore avra' inevitabili ripercussioni sui rapporti diplomatici ed economici tra Turchia e Svezia.
E infatti l'ambasciatore svedese è stato convocato al ministero degli Esteri turco, mentre la sua omologa turca a Stoccolma è stata richiamata in patria "per consultazioni", mentre il premier turco ha annullato la visita in Svezia prevista per la prossima settimana.. Tutti passi molto gravi secondo la prassi della diplomazia internazionale. Ma le conseguenze più serie potrebbero essere altre: secondo Erdogan, iniziative come quella del Parlamento svedese (e come quella Usa, aggiungo io) "avranno un impatto negativo sulle relazioni tra la Turchia e l'Armenia, che siamo tentando di normalizzare".
Ankara ed Erevan hanno firmato a ottobre 2009 due protocolli d'intesa che prevedono la normalizzazione delle relazioni diplomatiche e l'apertura delle frontiere. Entrambi gli accordi, tuttavia, non sono stati ancora ratificati dai rispettivi parlamenti. Due sono i punti cruciali del negoziato. Il primo è quello dei massacri degli armeni per mano ottomana che Erevan (non da sola) considera un genocidio. Il secondo è la questione della regione a maggioranza armena del Nagorno-Karabakh, che negli anni Novanta ha autoproclamato l'indipendenza dall'Azerbaigian, paese strettamente legato per ragioni storiche e culturali con la Turchia.
Il presidente armeno Serzh Sarkisian, da Parigi dove si trova in visita ufficiale, in un'intervista al quotidiano francese Le Figaro, ha minacciato il ritiro della firma dagli accordi per la normalizzazione dei rapporti diplomatici con la Turchia se Ankara utilizzerà "per altri fini" questa fase. "Il mio desiderio di stabilire relazioni normali è grande, ma le dichiarazioni recenti della Turchia mi fanno credere che non ratificheranno i protocolli in un futuro prossimo", ha affermato il capo di stato armeno, protagonista, con il suo omologo turco Abdullah Gul, del disgelo tra i due paesi. Sarkisian rimprovera alla Turchia di "non smetterla di porre problemi preventivi alla ratifica, tra cui il principale è quello che concerne il Nagorno Karabakh". Erevan, ha ribadito il capo di stato, ha già chiarito che ratificherà l'accordo "non appena lo farà il Parlamento turco".
La reazione turca non si è fatta attendere ed è stata dura: "Condanniamo fermamente questa decisione. Il nostro popolo e il nostro governo respingono questa decisione macchiata di gravi errori e priva di fondamento" ha dichiarato il governo turco. Il premier Recep Tayyip Erdogan si è espresso con toni altrettanto netti in un discorso televisivo in cui ha affermato che la Turchia "non si farà intimidire, non si inchinerà di fronte a questi fatti compiuti, questi atti in malafede, questi atteggiamenti irresponsabili".
Il ministro degli Esteri svedese, Carl Bildt, ha immediatamente annunciato che la linea del suo governo, che sostiene la candidatura della Turchia all'Unione Europea, "resta invariata" e ha definito un errore il voto del parlamento. Linea ribadita dall'ambasciatore svedese ad Ankara che ha precisato che "il compito di pronunciarsi sugli avvenimenti storici va lasciato agli storici" e che Stoccolma vuole mantenere "buone relazioni" con Ankara. Il voto, secondo l'ambasciatore avra' inevitabili ripercussioni sui rapporti diplomatici ed economici tra Turchia e Svezia.
E infatti l'ambasciatore svedese è stato convocato al ministero degli Esteri turco, mentre la sua omologa turca a Stoccolma è stata richiamata in patria "per consultazioni", mentre il premier turco ha annullato la visita in Svezia prevista per la prossima settimana.. Tutti passi molto gravi secondo la prassi della diplomazia internazionale. Ma le conseguenze più serie potrebbero essere altre: secondo Erdogan, iniziative come quella del Parlamento svedese (e come quella Usa, aggiungo io) "avranno un impatto negativo sulle relazioni tra la Turchia e l'Armenia, che siamo tentando di normalizzare".
Ankara ed Erevan hanno firmato a ottobre 2009 due protocolli d'intesa che prevedono la normalizzazione delle relazioni diplomatiche e l'apertura delle frontiere. Entrambi gli accordi, tuttavia, non sono stati ancora ratificati dai rispettivi parlamenti. Due sono i punti cruciali del negoziato. Il primo è quello dei massacri degli armeni per mano ottomana che Erevan (non da sola) considera un genocidio. Il secondo è la questione della regione a maggioranza armena del Nagorno-Karabakh, che negli anni Novanta ha autoproclamato l'indipendenza dall'Azerbaigian, paese strettamente legato per ragioni storiche e culturali con la Turchia.
Il presidente armeno Serzh Sarkisian, da Parigi dove si trova in visita ufficiale, in un'intervista al quotidiano francese Le Figaro, ha minacciato il ritiro della firma dagli accordi per la normalizzazione dei rapporti diplomatici con la Turchia se Ankara utilizzerà "per altri fini" questa fase. "Il mio desiderio di stabilire relazioni normali è grande, ma le dichiarazioni recenti della Turchia mi fanno credere che non ratificheranno i protocolli in un futuro prossimo", ha affermato il capo di stato armeno, protagonista, con il suo omologo turco Abdullah Gul, del disgelo tra i due paesi. Sarkisian rimprovera alla Turchia di "non smetterla di porre problemi preventivi alla ratifica, tra cui il principale è quello che concerne il Nagorno Karabakh". Erevan, ha ribadito il capo di stato, ha già chiarito che ratificherà l'accordo "non appena lo farà il Parlamento turco".
giovedì 11 marzo 2010
PASSAGGIO SPECIALE
L'Europa e i Balcani: l'integrazione dei e tra i Paesi della regione
Lo Speciale di Passaggio a Sud Est andato in onda mercoledì 10 marzo su Radio Radicale è tornato ad occuparsi della questione dell'integrazione europea dei Balcani, ma anche dell'integrazione dei Paesi della regione tra di loro.
I Balcani sono in cammino verso l'Europa ma in ordine sparso e con un anello debole, la Bosnia, ancora lontana da una vera stabilizzazione. Così ha detto, in sintesi, il ministro degli Esteri Franco Frattini parlando con i giornalisti a margine del Forum su "Gli Scenari dello sviluppo dell'Area Adriatico-Balcanica", che si è svolto lunedì 8 e martedì 9 marzo a Gorizia Organizzato dalla regione Friuli -Venezia Giulia in collaborazione con il ministero degli Esteri, il Comune di Gorizia e la Banca popolare Friuli Adria - Credit Agricole, a cui hanno partecipato delegazioni di 11 paesi dell'area balcanica per discutere di cooperazione incentrata sui temi dell'energia, delle infrastrutture di trasporto e della finanza, argomenti che saranno al centro della programmazione comunitaria 2013-2020.
Se il presidente serbo Boris Tadic sta "coraggiosamente" portando il suo Paese verso L'Europa, e il cammino di Paesi come la Croazia è già avanzato, é la Bosnia, secondo Frattini, che l'Unione europea deve guidare attraverso un percorso che superi le tragedie e gli orrori dei conflitti che hanno segnato la dissoluzione della Jugoslavia. "Non dobbiamo sprecare il 2010 in attesa delle elezioni dell'autunno" in Bosnia, ma fare concreti passi avanti a partire dalla liberalizzazione dei visti, così come è già avvenuto in altri paesi balcanici, ha detto ancora Frattini.
Il Forum di Gorizia, dove i Paesi della regione sono stati rappresentati ad alto livello, ha non solo trattato le opportunità economiche che offrono i Balcani e l’interscambio tra Italia e l'area balcanica, ma in qualche modo ha sollecitato ulteriri analisi relative all’attuale situazione nella regione e alle prospettive europee di questi Paesi che continuano a incontrare diversi ostacoli e perfino situazioni di stallo nel loro cammino verso l’integrazione europea.
"La questione Balcani" è ampia e complessa, dunque, e se da una parte il futuro dell'area dipende dalla volontà di riforme dei governi locali per raggiungere gli standard europei, dall'altra è fondamentale la risposta che l'Ue saprà dare alla domanda d'Europa che viene da oltre Adriatico. Inoltre, se la questione va considerata guardando all'integrazione europea di questi Paesi e anche all'integrazione degli stessi Paesi fra di loro (per esempio attraverso l'integrazione delle infrastrutture, delle reti di comunicazione e di quelle di approvvigionamento energetico), non va dimenticato che alla base deve essere affrontato e sciolto anche il nodo della riconciliazione tra popoli segnati da un decennio di guerre e di stragi.
Da tutti questi punti di vista, di particolare importanza saranno incontri come il summit che si terrà in Slovenia entro la fine di questo mese e soprattutto la conferenza internazionale sui Balcani prevista a Sarajevo per il prossimo mese di giugno. Un vertice fortemente voluto dall'Italia, ma che sarà a guida europea e al quale sono stati invitati anche la Russia e gli Stati Uniti. La prima grande conferenza internazionale sui Balcani quindici anni dopo la fine delle guerre jugoslave.
Lo Speciale di Passaggio a Sud Est è riascoltabile sul sito di Radio Radicale
Lo Speciale di Passaggio a Sud Est andato in onda mercoledì 10 marzo su Radio Radicale è tornato ad occuparsi della questione dell'integrazione europea dei Balcani, ma anche dell'integrazione dei Paesi della regione tra di loro.
I Balcani sono in cammino verso l'Europa ma in ordine sparso e con un anello debole, la Bosnia, ancora lontana da una vera stabilizzazione. Così ha detto, in sintesi, il ministro degli Esteri Franco Frattini parlando con i giornalisti a margine del Forum su "Gli Scenari dello sviluppo dell'Area Adriatico-Balcanica", che si è svolto lunedì 8 e martedì 9 marzo a Gorizia Organizzato dalla regione Friuli -Venezia Giulia in collaborazione con il ministero degli Esteri, il Comune di Gorizia e la Banca popolare Friuli Adria - Credit Agricole, a cui hanno partecipato delegazioni di 11 paesi dell'area balcanica per discutere di cooperazione incentrata sui temi dell'energia, delle infrastrutture di trasporto e della finanza, argomenti che saranno al centro della programmazione comunitaria 2013-2020.
Se il presidente serbo Boris Tadic sta "coraggiosamente" portando il suo Paese verso L'Europa, e il cammino di Paesi come la Croazia è già avanzato, é la Bosnia, secondo Frattini, che l'Unione europea deve guidare attraverso un percorso che superi le tragedie e gli orrori dei conflitti che hanno segnato la dissoluzione della Jugoslavia. "Non dobbiamo sprecare il 2010 in attesa delle elezioni dell'autunno" in Bosnia, ma fare concreti passi avanti a partire dalla liberalizzazione dei visti, così come è già avvenuto in altri paesi balcanici, ha detto ancora Frattini.
Il Forum di Gorizia, dove i Paesi della regione sono stati rappresentati ad alto livello, ha non solo trattato le opportunità economiche che offrono i Balcani e l’interscambio tra Italia e l'area balcanica, ma in qualche modo ha sollecitato ulteriri analisi relative all’attuale situazione nella regione e alle prospettive europee di questi Paesi che continuano a incontrare diversi ostacoli e perfino situazioni di stallo nel loro cammino verso l’integrazione europea.
"La questione Balcani" è ampia e complessa, dunque, e se da una parte il futuro dell'area dipende dalla volontà di riforme dei governi locali per raggiungere gli standard europei, dall'altra è fondamentale la risposta che l'Ue saprà dare alla domanda d'Europa che viene da oltre Adriatico. Inoltre, se la questione va considerata guardando all'integrazione europea di questi Paesi e anche all'integrazione degli stessi Paesi fra di loro (per esempio attraverso l'integrazione delle infrastrutture, delle reti di comunicazione e di quelle di approvvigionamento energetico), non va dimenticato che alla base deve essere affrontato e sciolto anche il nodo della riconciliazione tra popoli segnati da un decennio di guerre e di stragi.
Da tutti questi punti di vista, di particolare importanza saranno incontri come il summit che si terrà in Slovenia entro la fine di questo mese e soprattutto la conferenza internazionale sui Balcani prevista a Sarajevo per il prossimo mese di giugno. Un vertice fortemente voluto dall'Italia, ma che sarà a guida europea e al quale sono stati invitati anche la Russia e gli Stati Uniti. La prima grande conferenza internazionale sui Balcani quindici anni dopo la fine delle guerre jugoslave.
Lo Speciale di Passaggio a Sud Est è riascoltabile sul sito di Radio Radicale
martedì 9 marzo 2010
ANCORA SUL GENOCIDIO ARMENO
Grazie ad Andrea G. segnalo un interessante pezzo di Nicholas Kristof, inviato speciale e commentatore del New York Times. Il pezzo, con misura e prudenza che traspare già dal titolo, propone alcune riflessioni e perplessità sul voto della Commissione Esteri della Camera Usa. Alcune sono analoghe a quelle che in questi giorni ho fatto io e che ho letto in vari articoli sui giornali italiani e in diversi blog, ma ci sono anche altre osservazioni. Comunque la si pensi mi sembra una lettura utile. Ve lo riporto qui di seguito nella traduzione in italiano "rubata" dal blog di Andrea.
Parlando, non da armeno...
Il Congresso ha sempre rifiutato di prendere misure serie contro i genocidio in corso. E allora è un progress il fatto che la commissione degli affari esteri abbia votato ieri la condanna del genocidio armenio del 1915? Vale la pena per il Congresso di trattare di un genocidio in qualche modo, anche se con 95 anni di ritardo?
Prima, qualche premessa. Sono in parte armeno (mio padre creò Kristof da Krzysztofowicz, la versione polacca di Hachikian, un cognome ben armeno). (…) Non ci sono storie familiari legate al genocidio, ma penso che le prove siano chiare e che “genocidio” sia la parola adatta per ciò che è successo, ed è per questo che mi riferisco sempre a questi fatti come “genocidio armeno”. È anche vero che la Turchia ha dei problemi a riconoscere la sua brutalità verso armeni e curdi, sebbene nell’ultima decade la situazione sia andata molto meglio. Ho parlato della questione con il primo ministro Recep Tayyip Erdogan un paio di volte, ed è lontano anni luce dai suoi predecessori (e anche qualche anno luce indietro di quanto ci sia bisogno).
Il problema è che non vedo per quale ragione il Congresso debba occuparsi del genocidio del 1915, soprattutto in un tempo in cui non può affrontare problemi urgenti oggi. Se il Congresso inizia a deragliare guardando alle ingiustizie del passato, non raggiungerà mai agli affari presenti. E non è una risoluzione che aiuterà gli armeni. Al contrario, la reazione forse danneggerà il recente disgelo nelle relazioni turco-armeno, un importante sviluppo per la regione. Quella riconciliazione turco-armena è qualcosa che il congresso potrebbe aver sostenuto con una risoluzione.
I politici, compreso Barack Obama, durante le campagne elettorali parlano spesso del genocidio degli armeni perché vogliono i voti degli armeni-americani. In carica cercano di annientare queste risoluzioni anziché offendere gratuitamente un alleato. Ecco perché il segretario di Stato Hillary Clinton disse all’ultimo minuto che era una cattiva idea.
È sciocco per la Turchia essere offesi dalla risoluzione? Certo, ma probabilmente saremmo stati ugualmente offesi se tutta l’Europa avesse votato risoluzioni denunciando le politiche di genocidio verso i nativi americani (indiani d’America, ndt) nel XIX secolo, o il quasi-genocidio commesso da noi a inizio del XX secolo. Dovremmo sostenere ulteriormente la Turchia lungo il percorso della riconciliazione con armeni e curdi. Colpendoli — anche per qualche peccato storico— non raggiungeremmo quest’obiettivo. Chiunque pensi che la diplomazia è dir la verità non conosce la diplomazia.
Già oggi ho ricevuto qualche mail in cui si affermava che la vera storia è che Israele sta cercando di punier la turchia per le sue dure critiche all’invasione di Gaza a fine 2008 (Stando a Ha’aretz, Israele si è opposta o è rimasta neutrale alla risoluzione). Questo punto di vista si impadronirà del mondo islamico e incoraggerà fondamentalisti e nazionalisti in Turchia. Sostenere il nazionalismo turco non mi sembra la maniera migliore per onorare le vittime del genocidio armeno.
Così se il Congresso vuole far passare una risoluzione, perché non ne fa una condannando la passività statunitense nel 1915, quando il genocidio stava iniziando? La nostra ambasciata nell’Impero ottomano inviava in patria telegrammi chiarendo la grandezza dello sterminio e chiedendo aiuto, ma il presidente Woodrow Wilson non volle immischiarsi. Quindi, prima di “infangare” all’estero, sarebbe utile fare un po’ di autocritica.
Parlando, non da armeno...
Il Congresso ha sempre rifiutato di prendere misure serie contro i genocidio in corso. E allora è un progress il fatto che la commissione degli affari esteri abbia votato ieri la condanna del genocidio armenio del 1915? Vale la pena per il Congresso di trattare di un genocidio in qualche modo, anche se con 95 anni di ritardo?
Prima, qualche premessa. Sono in parte armeno (mio padre creò Kristof da Krzysztofowicz, la versione polacca di Hachikian, un cognome ben armeno). (…) Non ci sono storie familiari legate al genocidio, ma penso che le prove siano chiare e che “genocidio” sia la parola adatta per ciò che è successo, ed è per questo che mi riferisco sempre a questi fatti come “genocidio armeno”. È anche vero che la Turchia ha dei problemi a riconoscere la sua brutalità verso armeni e curdi, sebbene nell’ultima decade la situazione sia andata molto meglio. Ho parlato della questione con il primo ministro Recep Tayyip Erdogan un paio di volte, ed è lontano anni luce dai suoi predecessori (e anche qualche anno luce indietro di quanto ci sia bisogno).
Il problema è che non vedo per quale ragione il Congresso debba occuparsi del genocidio del 1915, soprattutto in un tempo in cui non può affrontare problemi urgenti oggi. Se il Congresso inizia a deragliare guardando alle ingiustizie del passato, non raggiungerà mai agli affari presenti. E non è una risoluzione che aiuterà gli armeni. Al contrario, la reazione forse danneggerà il recente disgelo nelle relazioni turco-armeno, un importante sviluppo per la regione. Quella riconciliazione turco-armena è qualcosa che il congresso potrebbe aver sostenuto con una risoluzione.
I politici, compreso Barack Obama, durante le campagne elettorali parlano spesso del genocidio degli armeni perché vogliono i voti degli armeni-americani. In carica cercano di annientare queste risoluzioni anziché offendere gratuitamente un alleato. Ecco perché il segretario di Stato Hillary Clinton disse all’ultimo minuto che era una cattiva idea.
È sciocco per la Turchia essere offesi dalla risoluzione? Certo, ma probabilmente saremmo stati ugualmente offesi se tutta l’Europa avesse votato risoluzioni denunciando le politiche di genocidio verso i nativi americani (indiani d’America, ndt) nel XIX secolo, o il quasi-genocidio commesso da noi a inizio del XX secolo. Dovremmo sostenere ulteriormente la Turchia lungo il percorso della riconciliazione con armeni e curdi. Colpendoli — anche per qualche peccato storico— non raggiungeremmo quest’obiettivo. Chiunque pensi che la diplomazia è dir la verità non conosce la diplomazia.
Già oggi ho ricevuto qualche mail in cui si affermava che la vera storia è che Israele sta cercando di punier la turchia per le sue dure critiche all’invasione di Gaza a fine 2008 (Stando a Ha’aretz, Israele si è opposta o è rimasta neutrale alla risoluzione). Questo punto di vista si impadronirà del mondo islamico e incoraggerà fondamentalisti e nazionalisti in Turchia. Sostenere il nazionalismo turco non mi sembra la maniera migliore per onorare le vittime del genocidio armeno.
Così se il Congresso vuole far passare una risoluzione, perché non ne fa una condannando la passività statunitense nel 1915, quando il genocidio stava iniziando? La nostra ambasciata nell’Impero ottomano inviava in patria telegrammi chiarendo la grandezza dello sterminio e chiedendo aiuto, ma il presidente Woodrow Wilson non volle immischiarsi. Quindi, prima di “infangare” all’estero, sarebbe utile fare un po’ di autocritica.
lunedì 8 marzo 2010
CRISI GRECIA: FIDUCIA IN PAPANDREU NONOSTANTE L'AUSTERITA'
La maggioranza dei Greci pensa che i provvedimenti presi per risolvere la pesantissima situazione dei conti pubblici siano ingiusti, che colpiscano soprattutto i redditi bassi e debbano comunque essere temporanei, ma continua comunque ad aver fiducia nel premier Giorgio Papandreou e nelle sue capacità di condurre il paese fuori della crisi. Questi i dati che emergono da un nuovo sondaggio del quotidiano socialista To Vima secondo il quale circa il 52% dei Greci ha fiducia nella capacità del premier di risanare l'economia e calmare i mercati. Poco più del 69% ritiene tuttavia che le misure non siano eque e debbano essere temporanee.
Questi dati confermano quanto mi diceva pochi giorni fa Elisabetta Casalotti, collega del quotidiano greco Eleftherotypia, che ho intervistato per Radio Radicale sulla situazione in Grecia di questi ultimi giorni. Papandreou gode ancora del favore della maggioranza dell'opinione pubblica, anche perché la gente sa che il disastro dei conti pubblici è stato provocato (e nascosto) dal precedente governo di centro-destra di Nuova Democrazia. In genere la gente sa e accetta che occorrano dei sacrifici per risolvere la situazione: semmai contesta le misure adottate che colpiscono in pratica solo i lavoratori dipendenti. Il tutto accompagnato da un'altissima evasione fiscale. Insomma uno scenario molto simile a quello nostrano (come si dice, "greci, italiani, una faccia, una razza"). Inoltre, anche se i provvedimenti anticrisi sono stati apporvati con i soli voti del Pasok (che ha 160 deputati su 300) e del partito di destra Laos (15 seggi), il governo socialista non è a rischio. Anche la situazione sociale, nonostante gli eposodi di violenza di questi giorni, è per ora ben lontana dalla guerriglia urbana scoppiata nel dicembre 2008 dopo l'uccisione di un giovane da parte di un poliziotto. Anche perché, mentre allora si trattò di proteste giovanili, in larga parte spontanee, anche se vi si innestarono i gruppi automoni anarchici, oggi le proteste sono guidate dai sindacati.
Tornando al sondaggio di To Vima, secondo la rilevazione la stragrande maggioranza giudica che i tagli a stipendi e pensioni e l'aumento delle tasse determineranno l'aumento dell'ingiustizia sociale e finiranno per provocare disordini. Interessante, a pochi giorni dal nuovo sciopero generale dell'11 marzo, il dato secondo cui piu' della meta' dei Greci e' contraria a grandi proteste sindacali. La maggioranza degli intervistati (63%) e' contraria anche all'uscita dall'Ue evocata nei giorni scorsi dal Partito comunista (Kke), anche se la proposta registra un quarto delle opinioni favorevoli. Il sondaggio ha interpellato i cittadini greci anche sui rapporti con gli altri Paesi. Il leader straniero piu' amato e' il presidente francese Nicolas Sarkozy (59% dei consensi), che ieri dopo l'incontro con Papandreou a Parigi, ha ribadito che la Grecia non sarà lasciata sola.Il presidente Usa Barack Obama ottiene un gradimento di poco del 42%. La piu' impopolare, con l'85% di voti negativi, risulta essere (il dato non sorprende viste le polemiche di questi giorni) la cancelliera tedesca Angela Merkel, seguita dal Commissario europeo Olli Rehn (70,6% negativi).
Questi dati confermano quanto mi diceva pochi giorni fa Elisabetta Casalotti, collega del quotidiano greco Eleftherotypia, che ho intervistato per Radio Radicale sulla situazione in Grecia di questi ultimi giorni. Papandreou gode ancora del favore della maggioranza dell'opinione pubblica, anche perché la gente sa che il disastro dei conti pubblici è stato provocato (e nascosto) dal precedente governo di centro-destra di Nuova Democrazia. In genere la gente sa e accetta che occorrano dei sacrifici per risolvere la situazione: semmai contesta le misure adottate che colpiscono in pratica solo i lavoratori dipendenti. Il tutto accompagnato da un'altissima evasione fiscale. Insomma uno scenario molto simile a quello nostrano (come si dice, "greci, italiani, una faccia, una razza"). Inoltre, anche se i provvedimenti anticrisi sono stati apporvati con i soli voti del Pasok (che ha 160 deputati su 300) e del partito di destra Laos (15 seggi), il governo socialista non è a rischio. Anche la situazione sociale, nonostante gli eposodi di violenza di questi giorni, è per ora ben lontana dalla guerriglia urbana scoppiata nel dicembre 2008 dopo l'uccisione di un giovane da parte di un poliziotto. Anche perché, mentre allora si trattò di proteste giovanili, in larga parte spontanee, anche se vi si innestarono i gruppi automoni anarchici, oggi le proteste sono guidate dai sindacati.
Tornando al sondaggio di To Vima, secondo la rilevazione la stragrande maggioranza giudica che i tagli a stipendi e pensioni e l'aumento delle tasse determineranno l'aumento dell'ingiustizia sociale e finiranno per provocare disordini. Interessante, a pochi giorni dal nuovo sciopero generale dell'11 marzo, il dato secondo cui piu' della meta' dei Greci e' contraria a grandi proteste sindacali. La maggioranza degli intervistati (63%) e' contraria anche all'uscita dall'Ue evocata nei giorni scorsi dal Partito comunista (Kke), anche se la proposta registra un quarto delle opinioni favorevoli. Il sondaggio ha interpellato i cittadini greci anche sui rapporti con gli altri Paesi. Il leader straniero piu' amato e' il presidente francese Nicolas Sarkozy (59% dei consensi), che ieri dopo l'incontro con Papandreou a Parigi, ha ribadito che la Grecia non sarà lasciata sola.Il presidente Usa Barack Obama ottiene un gradimento di poco del 42%. La piu' impopolare, con l'85% di voti negativi, risulta essere (il dato non sorprende viste le polemiche di questi giorni) la cancelliera tedesca Angela Merkel, seguita dal Commissario europeo Olli Rehn (70,6% negativi).
domenica 7 marzo 2010
CROAZIA: A BRUXELLES LA PRIMA VISITA UFFICIALE DEL PRESIDENTE JOSIPOVIC
Nella sua prima visita ufficiale all’estero il neo presidente croato, oltre ai vertici dell'Unione Europea, ha incontrato le ong per i diritti umani nella sede di "Non c'è Pace senza Giustizia"
Di Marina Szikora (*)
Una occasione particolare e si puo’ dire tranquillamente un precedente quello della visita ufficiale di un capo di Stato nella capitale europea Bruxelles. Si e’ trattato del primo viaggio all’estero del neoeletto presidente della Croazia, Ivo Josipovic, due settimane dopo aver prestato giuramento e assunto ufficialmente il nuovo incarico succedendo l’ex presidente croato Stjepan Mesic. L’importantissimo obiettivo di Josipovic e’ stato quello di incontrare i vertici delle istituzioni europee, per primo Jerzy Busek, presidente del PE, giovedi’ 4 marzo e poi il giorno dopo, Jose Manuel Barroso, presidente della Commissione europea e Herman Van Rompuyem, presidente del Consiglio europeo. Il presidente del Consiglio europeo ha dichiarato in questa occasione che la Croazia puo’ concludere i negoziati di adesione attualmente in corso entro quest’anno se riesce a soddisfare le condizioni necessarie. Ha rilevato che a tal proposito, la Croazia ha il pieno sostegno dell’Ue sottolineando anche l’importanza della cooperazione regionale e l’attuazione delle riforme. Il Presidente Josipovic ha espresso speranza di una nuova fase nella collaborazione con i paesi vicini. Ha sottolineato che sia il Governo che l’opposizione sono dedicati all’obiettivo dell’ingresso della Croazia nell’Ue e che ai cittadini bisogna spiegare i benefici dell’adesione.
Il nuovo capo dello Stato croato ha incontrato anche José Manuel Barroso. Con il presidente della Commissione europea Josipovic concorda che bisogna attuare le necessarie riforme, indipendentemente dal processo di adesione che si sta’ avvicinando alla sua fase finale. In merito all’attualissima delicata situazione interna relativa all’agricoltura e costruzione navale, Josipovic ha rilevato che le debolezze in questi settori sono problemi interni che non sono stati trattati e risolti da anni e che le riforme nell’agricoltura e costruzione navale sono indispensabili indipendentemente dall’accesso all’Ue. Ha sottolineato di essere certo che la privatizzazione dei cantieri navali sara’ effettuata nel modo di evitare che gli operai rimangano senza lavoro. Secondo Barroso una adesione accelerata della Croazia all’Ue e’ possibile ma anche molto impegnativa. Ha enfatizzato che finora e’ stato fatto molto e che dalla Croazia arrivano buoni segnali. Va sottolineato che di un totale di 33 capitoli di negoziati di adesione, la Croazia ne ha aperti finora 30 di cui 17 sono stati completamente chiusi.
Tra gli incontri del Presidente Josipovic ugualmente importante e indubbiamente particolare e’ stato quello svoltosi venerdi’ mattina con i rapppresentanti delle piu’ prestigiose organizzazioni nongovernative per i dirtitti umani con sede a Bruxelles. Josipovic si è incontrato con Louise Arbour, presidente di ICG, Nicolas Beger, direttore dell’Ufficio Ue, Amnesty International, Marino Busdachin, segretario generale di UNPO, Ivan Ivanov, direttore esecutivo di European Roma Information Office, Lotte Leicht, direttrice dell’ ufficio EU di HRW, Antoine Madelin, direttore per gli affari intergovernativi di FIDH e Marina Sikora, consigliere generale del PRNTT. L’evento e’ stato ospitato e presieduto da Niccolo’ Figa – Talamanca, segretario generale di Non C’e’ Pace Senza Giustizia nella sede di NPSG a Bruxelles. L’obiettivo di questo incontro a cui il Presdente Josipovic ha partecipato accompagnato dall’ambasciatore della missione croata presso l’Ue e dai suoi consiglieri per la politica estera e’ stato quello di discutere le nuove priorita’ della Croazia sul piano della promozione di diritti umani, lo stato di diritto e giustizia internazionale nonche’ le aspettative da parte delle organizzazioni nongovernative per i diritti umani dalla Croazia in particolare nella luce dell’inizio del mandato del nuovo presidente.
In occasione di questo importante appuntamento, Sergio Stanzani e Niccolo’ Figa-Talamanca, rispettivamente presidente e segretario generale di Non C’e’ Pace senza Justizia, hanno dichiarato: “NPSG e il Partito radicale nonviolento transnazionale e transpartito sono onorati di aver avuto l’opportunita’ di ospitare questo incontro con il Presidente Ivo Josipovic. Il fatto che il Presidente ha avuto tempo di incontrare i rappresentanti delle piu’ prestigiose organizzazioni nongovernative per i dieritti umani nell’ambito del suo primo viaggio a Bruxelles, e’ una testimonianza concreta alla sua visione politica di una piu’ forte leadership croata nell’affermazione dello stato di diritto, giustizia e diritti umani, sia a casa che all’estero. Il Presidente Josipovic ha dichiarato che le organizzazioni della societa’ civile hanno avuto e continuano ad avere un ruolo fondamentale nel processo di costruzione di una societa’ piu’ aperta e democratica ed e’ stato essenziale nel raggiungimento efficace dell’obiettivo della Croazia di indirizzare i crimini di guerra e crimini contro l’umanita’ che avevano colpito il Paese, contribuendo a condurre la Croazia verso la democrazia e lo stato di diritto nonche’ di ristabilire pace, stabilita’ e sviluppo in Europa sudorientale.
NPSG saluta l’appello del Presidente Josipovic a chiudere i conti con il passato e di aiutare gli sforzi del Governo a rimuovere i rimanenti ostacoli nel processo di negoziati di adesione della Croazia all’Ue rendendo possibile la conclusione definitiva del cammino della Croazia in quanto 28-esimo Stato membro dell’Ue entro il 2012”, conclude il comunicato di NPSG, l’organizzazione nongovernativa che insieme al PRNTT e in collaborazione con la missione croata presso l’Ue ha ospitato questo evento. Marina Sikora, consigliere generale del PRNTT, nel corso degli interventi dei rappresentanti delle organizzazioni presenti all’incontro con Ivo Josipovic, ha voluto ricordare il contributo unico e straordinario di Marco Pannella e del PRT negli anni dell’atroce guerra contro la Croazia. A Capodanno del 1991, indossando la divisa croata, il leader radicale insieme ai suoi compagni si e’ recato ad Osijek, la citta’ croata sotto bombe ed attacchi delle forze militari serbe e da gandhiano nonviolento, senza armi, sulla prima linea di fronte ha chiamato l’attenzione della comunita’ internazionale di porre fine alla guerra sangunosa in ex Jugoslavia e di riconoscere immediatamente l’indipendenza della Croazia, Slovenia e BiH. Gia’ da allora, i leader radicali Marco Pannella, Emma Bonino e Sergio Stanzani avvertirono che la politica del regime Milosevic avrebbe condotto all’atroce guerra in BiH.
Per l’impegno dei radicali al riconoscimento dello Stato indipendente croato, su decisione dell’ex presidente croato Stjepan Mesic, Emma Bonino, Marco Pannella e Olivier Dupuis, all’epoca segretario del PRT, nel 2002 hanno ricevuto le piu’ alte onorificenze dello Stato croato che vengono attribuite agli stranieri per il loro contributo particolare alla Croazia. Le onorificenze sono state consegnate a nome del Presidente Mesic dall’allora ministro degli esteri croato, Tonino Picula. Marina Sikora ha rilevato anche l’importanza dell’amicizia politica tra i radicali e il neoeletto presidente croato Ivo Josipovic il quale in tutti gli anni delle sue attivita’ politiche ma anche attualmente e’ un forte sostenitore e promotore della societa’ civile. Le conoscenze risalgono ai tempi della Conferenza diplomatica svoltasi a Roma nel 1998 per l’istituzione della Corte Penale Permanente (ICC) quando Ivo Josipovic vi partecipo’ come membro – esperto di diritto internazionale della delegazione croata. Ricordiamo che Emma Bonino e il PRNTT ha sostenuto con una lettera di sostegno la candidatura di Josipovic alle elezioni presidenziali in cui Emma Bonino ha sottolineato l’importanza della scelta dei cittadini croati di un politico quale Ivo Josipovic, convinto europeista e fermo sostenitore dello stato di diritto, della giustizia e in particolare un politico il cui impegno principale vuole essere quello di lottare contro la corruzione e criminalita’ organizzata, uno dei requisiti indispensabili per l’ingresso della Croazia nell’Ue.
A quindici anni dalla guerra per l’indipendenza della Croazia, il nuovo presidente Ivo Josipovic tende la mano alla Serbia con la quale si dice pronto a girare pagina a condizioni concrete nel momento in cui i due Paesi guardano nella direzione verso l’Ue, scrive l’agenzia di stampa francese France presse che ha pubblicato una intervista con Ivo Josipovic. “Vogliamo migliorare le nostre relazioni, questo e’ uno degli obiettivi piu’ importanti del mio programma presidenziale” ha spiegato Josipovic nell’intervista durante la sua visita a Bruxelles. “I politici della Croazia e della Serbia devono impegnarsi piu’ attivamente a favore della riconciliazione perche’ le attuali generazioni non devono trasferire i problemi alle prossime generazioni, i problemi devono essere risolti una volta per sempre” valuta Josipovic. AFP rileva che il nuovo presidente croato sa di che cosa parla e ricorda che Josipovic e’ un esperto di diritto internazionale e uno degli autori dell’accusa per genocidio che la Croazia ha sollevato contro la Serbia dieci anni fa mentre la Serbia, lo scorso 4 gennaio ha presentato la controaccusa, sempre per genocidio alla Corte internazionale di Giustizia. Josipovic – aggiunge AFP – non esclude la possibilita’ che entrambi i Paesi alla fine ritirino le proprie accuse. “Questo dipendera’ dagli sforzi nella ricerca di soluzioni di altri problemi collegati con la guerra, con il destino delle persone scomparse, il patrimonio saccheggiato, i crimini di guerra” ha detto Josipovic esprimento anche soddisfazione per il fatto che “la Serbia ha cambiato la sua politica e ha iniziato a collaborare nella ricerca di criminali di guerra latitanti”.
(*) Corrispondente di Radio Radicale. Il testo è la trascrizione di una parte della corrispondenza andata in onda nella puntata di Passaggio a Sud Est del 6 marzo
Di Marina Szikora (*)
Una occasione particolare e si puo’ dire tranquillamente un precedente quello della visita ufficiale di un capo di Stato nella capitale europea Bruxelles. Si e’ trattato del primo viaggio all’estero del neoeletto presidente della Croazia, Ivo Josipovic, due settimane dopo aver prestato giuramento e assunto ufficialmente il nuovo incarico succedendo l’ex presidente croato Stjepan Mesic. L’importantissimo obiettivo di Josipovic e’ stato quello di incontrare i vertici delle istituzioni europee, per primo Jerzy Busek, presidente del PE, giovedi’ 4 marzo e poi il giorno dopo, Jose Manuel Barroso, presidente della Commissione europea e Herman Van Rompuyem, presidente del Consiglio europeo. Il presidente del Consiglio europeo ha dichiarato in questa occasione che la Croazia puo’ concludere i negoziati di adesione attualmente in corso entro quest’anno se riesce a soddisfare le condizioni necessarie. Ha rilevato che a tal proposito, la Croazia ha il pieno sostegno dell’Ue sottolineando anche l’importanza della cooperazione regionale e l’attuazione delle riforme. Il Presidente Josipovic ha espresso speranza di una nuova fase nella collaborazione con i paesi vicini. Ha sottolineato che sia il Governo che l’opposizione sono dedicati all’obiettivo dell’ingresso della Croazia nell’Ue e che ai cittadini bisogna spiegare i benefici dell’adesione.
Il nuovo capo dello Stato croato ha incontrato anche José Manuel Barroso. Con il presidente della Commissione europea Josipovic concorda che bisogna attuare le necessarie riforme, indipendentemente dal processo di adesione che si sta’ avvicinando alla sua fase finale. In merito all’attualissima delicata situazione interna relativa all’agricoltura e costruzione navale, Josipovic ha rilevato che le debolezze in questi settori sono problemi interni che non sono stati trattati e risolti da anni e che le riforme nell’agricoltura e costruzione navale sono indispensabili indipendentemente dall’accesso all’Ue. Ha sottolineato di essere certo che la privatizzazione dei cantieri navali sara’ effettuata nel modo di evitare che gli operai rimangano senza lavoro. Secondo Barroso una adesione accelerata della Croazia all’Ue e’ possibile ma anche molto impegnativa. Ha enfatizzato che finora e’ stato fatto molto e che dalla Croazia arrivano buoni segnali. Va sottolineato che di un totale di 33 capitoli di negoziati di adesione, la Croazia ne ha aperti finora 30 di cui 17 sono stati completamente chiusi.
Tra gli incontri del Presidente Josipovic ugualmente importante e indubbiamente particolare e’ stato quello svoltosi venerdi’ mattina con i rapppresentanti delle piu’ prestigiose organizzazioni nongovernative per i dirtitti umani con sede a Bruxelles. Josipovic si è incontrato con Louise Arbour, presidente di ICG, Nicolas Beger, direttore dell’Ufficio Ue, Amnesty International, Marino Busdachin, segretario generale di UNPO, Ivan Ivanov, direttore esecutivo di European Roma Information Office, Lotte Leicht, direttrice dell’ ufficio EU di HRW, Antoine Madelin, direttore per gli affari intergovernativi di FIDH e Marina Sikora, consigliere generale del PRNTT. L’evento e’ stato ospitato e presieduto da Niccolo’ Figa – Talamanca, segretario generale di Non C’e’ Pace Senza Giustizia nella sede di NPSG a Bruxelles. L’obiettivo di questo incontro a cui il Presdente Josipovic ha partecipato accompagnato dall’ambasciatore della missione croata presso l’Ue e dai suoi consiglieri per la politica estera e’ stato quello di discutere le nuove priorita’ della Croazia sul piano della promozione di diritti umani, lo stato di diritto e giustizia internazionale nonche’ le aspettative da parte delle organizzazioni nongovernative per i diritti umani dalla Croazia in particolare nella luce dell’inizio del mandato del nuovo presidente.
In occasione di questo importante appuntamento, Sergio Stanzani e Niccolo’ Figa-Talamanca, rispettivamente presidente e segretario generale di Non C’e’ Pace senza Justizia, hanno dichiarato: “NPSG e il Partito radicale nonviolento transnazionale e transpartito sono onorati di aver avuto l’opportunita’ di ospitare questo incontro con il Presidente Ivo Josipovic. Il fatto che il Presidente ha avuto tempo di incontrare i rappresentanti delle piu’ prestigiose organizzazioni nongovernative per i dieritti umani nell’ambito del suo primo viaggio a Bruxelles, e’ una testimonianza concreta alla sua visione politica di una piu’ forte leadership croata nell’affermazione dello stato di diritto, giustizia e diritti umani, sia a casa che all’estero. Il Presidente Josipovic ha dichiarato che le organizzazioni della societa’ civile hanno avuto e continuano ad avere un ruolo fondamentale nel processo di costruzione di una societa’ piu’ aperta e democratica ed e’ stato essenziale nel raggiungimento efficace dell’obiettivo della Croazia di indirizzare i crimini di guerra e crimini contro l’umanita’ che avevano colpito il Paese, contribuendo a condurre la Croazia verso la democrazia e lo stato di diritto nonche’ di ristabilire pace, stabilita’ e sviluppo in Europa sudorientale.
NPSG saluta l’appello del Presidente Josipovic a chiudere i conti con il passato e di aiutare gli sforzi del Governo a rimuovere i rimanenti ostacoli nel processo di negoziati di adesione della Croazia all’Ue rendendo possibile la conclusione definitiva del cammino della Croazia in quanto 28-esimo Stato membro dell’Ue entro il 2012”, conclude il comunicato di NPSG, l’organizzazione nongovernativa che insieme al PRNTT e in collaborazione con la missione croata presso l’Ue ha ospitato questo evento. Marina Sikora, consigliere generale del PRNTT, nel corso degli interventi dei rappresentanti delle organizzazioni presenti all’incontro con Ivo Josipovic, ha voluto ricordare il contributo unico e straordinario di Marco Pannella e del PRT negli anni dell’atroce guerra contro la Croazia. A Capodanno del 1991, indossando la divisa croata, il leader radicale insieme ai suoi compagni si e’ recato ad Osijek, la citta’ croata sotto bombe ed attacchi delle forze militari serbe e da gandhiano nonviolento, senza armi, sulla prima linea di fronte ha chiamato l’attenzione della comunita’ internazionale di porre fine alla guerra sangunosa in ex Jugoslavia e di riconoscere immediatamente l’indipendenza della Croazia, Slovenia e BiH. Gia’ da allora, i leader radicali Marco Pannella, Emma Bonino e Sergio Stanzani avvertirono che la politica del regime Milosevic avrebbe condotto all’atroce guerra in BiH.
Per l’impegno dei radicali al riconoscimento dello Stato indipendente croato, su decisione dell’ex presidente croato Stjepan Mesic, Emma Bonino, Marco Pannella e Olivier Dupuis, all’epoca segretario del PRT, nel 2002 hanno ricevuto le piu’ alte onorificenze dello Stato croato che vengono attribuite agli stranieri per il loro contributo particolare alla Croazia. Le onorificenze sono state consegnate a nome del Presidente Mesic dall’allora ministro degli esteri croato, Tonino Picula. Marina Sikora ha rilevato anche l’importanza dell’amicizia politica tra i radicali e il neoeletto presidente croato Ivo Josipovic il quale in tutti gli anni delle sue attivita’ politiche ma anche attualmente e’ un forte sostenitore e promotore della societa’ civile. Le conoscenze risalgono ai tempi della Conferenza diplomatica svoltasi a Roma nel 1998 per l’istituzione della Corte Penale Permanente (ICC) quando Ivo Josipovic vi partecipo’ come membro – esperto di diritto internazionale della delegazione croata. Ricordiamo che Emma Bonino e il PRNTT ha sostenuto con una lettera di sostegno la candidatura di Josipovic alle elezioni presidenziali in cui Emma Bonino ha sottolineato l’importanza della scelta dei cittadini croati di un politico quale Ivo Josipovic, convinto europeista e fermo sostenitore dello stato di diritto, della giustizia e in particolare un politico il cui impegno principale vuole essere quello di lottare contro la corruzione e criminalita’ organizzata, uno dei requisiti indispensabili per l’ingresso della Croazia nell’Ue.
A quindici anni dalla guerra per l’indipendenza della Croazia, il nuovo presidente Ivo Josipovic tende la mano alla Serbia con la quale si dice pronto a girare pagina a condizioni concrete nel momento in cui i due Paesi guardano nella direzione verso l’Ue, scrive l’agenzia di stampa francese France presse che ha pubblicato una intervista con Ivo Josipovic. “Vogliamo migliorare le nostre relazioni, questo e’ uno degli obiettivi piu’ importanti del mio programma presidenziale” ha spiegato Josipovic nell’intervista durante la sua visita a Bruxelles. “I politici della Croazia e della Serbia devono impegnarsi piu’ attivamente a favore della riconciliazione perche’ le attuali generazioni non devono trasferire i problemi alle prossime generazioni, i problemi devono essere risolti una volta per sempre” valuta Josipovic. AFP rileva che il nuovo presidente croato sa di che cosa parla e ricorda che Josipovic e’ un esperto di diritto internazionale e uno degli autori dell’accusa per genocidio che la Croazia ha sollevato contro la Serbia dieci anni fa mentre la Serbia, lo scorso 4 gennaio ha presentato la controaccusa, sempre per genocidio alla Corte internazionale di Giustizia. Josipovic – aggiunge AFP – non esclude la possibilita’ che entrambi i Paesi alla fine ritirino le proprie accuse. “Questo dipendera’ dagli sforzi nella ricerca di soluzioni di altri problemi collegati con la guerra, con il destino delle persone scomparse, il patrimonio saccheggiato, i crimini di guerra” ha detto Josipovic esprimento anche soddisfazione per il fatto che “la Serbia ha cambiato la sua politica e ha iniziato a collaborare nella ricerca di criminali di guerra latitanti”.
(*) Corrispondente di Radio Radicale. Il testo è la trascrizione di una parte della corrispondenza andata in onda nella puntata di Passaggio a Sud Est del 6 marzo