L'Ucraina di Putin e le possibili lezioni di Milosevic
Articolo di Davide Denti pubblicato su Aspenia Online
Chi ricorda la storia delle guerre di dissoluzione della Yugoslavia, e specialmente il contesto bosniaco, avrà assistito al conflitto del 2014 tra Russia e Ucraina con un sinistro sentimento di déjà vu. Come da copione, alla costruzione retorica del conflitto è seguita l’azione di gruppi paramilitari e truppe sotto copertura. Ma, nel caso ucraino, una soluzione al conflitto resta per ora preclusa.
In primo luogo, le basi del conflitto sono state poste attraverso la costruzione retorica dell’alterità e la narrazione dell’Ucraina come Paese diviso da una linea di faglia tra civiltà individuata in base alla differenza linguistica, secondo il modello teorizzato da Huntington già nel 1996. Nel contesto ucraino, etichette linguistiche e nazionali non coincidono (si conta che la maggior parte degli attivisti del Maidan comunicasse in russo) e non esiste alcuna frontiera chiara tra l’uso della lingua ucraina e di quella russa, che scolorano nell’area intermedia del surzhik. A tale complessità si è invece sostituita una narrazione basata sul modello etnonazionale - una lingua, un popolo, uno stato - fondato sul presupposto di inconciliabilità tra comunità differenti ed esclusive.
Dove, ed è stato così nella storia dell’Ucraina indipendente, non erano mai esistite tensioni tra comunità linguistiche o nazionali, tali tensioni sono state presunte e denunciate ex ante come violazione dei diritti dei cittadini ucraini di etnia russa. Vladimir Putin ha così recuperato e attualizzato la “dottrina Karaganov” rendendola però ben più minacciosa verso i suoi vicini. Sergei Karaganov, allora Consigliere del Presidente Boris Yeltsin, aveva sostenuto nel 1993 il diritto della Russia di intervenire nelle altre repubbliche post-sovietiche in caso di cattivo trattamento dei russi etnici, e lo stesso Yeltsin aveva proposto (senza successo) che ai russi etnici residenti fuori dalla Russia venisse garantito uno status superiore con diritti speciali, al di sopra di quelli delle altre minoranze nazionali.
Il passaggio dalla Rossijskaja Federacija, la federazione di tutti i popoli di Russia, al Russkij Mir, il mondo russo inteso in senso etnico e transnazionale, indica una trasformazione quantomeno retorica in senso etnonazionale. Una trasformazione non meno rilevante di quella che portò dalla “fratellanza ed unità” tra popoli della Yugoslavia titina al nazionalismo pan-serbo di Slobodan Milosevic.
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giovedì 29 gennaio 2015
mercoledì 28 gennaio 2015
QUESTA SETTIMANA SU "RASSEGNA EST"
Articoli, analisi, grafici e multimedia: la settimana su Rassegna Est.
Migliaia di cittadini, in Europa centrale e sud-orientale, hanno acceso mutui in franchi svizzeri. Le rate crescono. L’economia può risentirne.
Un po' di cose su TsiprasUn nostro articolo, prima che si chiudessero le urne. La domanda è: sarà capace, Tsipras, di cambiare gli equilibri in Europa? E la Merkel teme più lui o il QE di Mario Draghi?
Le Auschwitz che dividono Putin non va al settantesimo della liberazione del lager. Colpa dei contrasti russo-polacchi sull'Ucraina. Ma non è la prima volta che il tema dell'Olocausto alimenta conflittualità storiche e politiche.
Budapest, piazza continuaCresce l’opposizione al governo di Viktor Orban, ma in parlamento manca un’opposizione credibile che possa approfittarne.
Banca datiPrevisioni di crescita, fisco, competitività, export, import, grafici: tutto quello che c'è da sapere sulle economie dell'Est.
Ucraina / 1 - Abisso a Kiev
Tra guerra nel Donbass e lotte intestine l'Ucraina spera nell’Occidente per non sprofondare.
Putin ha Sputnik e Poroshenko Ukraine Today. Ora l’Ue vuole un canale in russo. La crisi a Kiev è anche una questione di giornalismo e manipolazione.
martedì 27 gennaio 2015
27 GENNAIO: LA MEMORIA EBRAICA PER TUTTE LE VITTIME DEL MONDO E DELLA STORIA
Oggi si celebra il Giorno della Memoria. La data è quella in cui, nel 1945, l'Armata Rossa entrò nel campo di sterminio nazista di Auschwitz. Sono passati esattamente settant'anni. Oggi si ricorda lo sterminio e si onora la memoria dei milioni di ebrei e, insieme a loro, degli slavi, dei rom e sinti, dei prigionieri, dei dissidenti politici, dei disabili, degli omosessuali, di tutti coloro che furono messi a morte in maniera pianificata e sistematica e implacabile perché "subumani", "inferiori", “indesiderabili” non meritevoli di vivere. La Shoah è la pagina più abominevole e indicibile della storia dell'umanità. Non è l'unica, purtroppo, ma è unica nel modo con cui l'annientamento fu teorizzato, organizzato e realizzato dal Nazismo e dai suoi alleati: il culmine di una storia secolare di persecuzioni, pregiudizi e discriminazioni.
Lo scorso anno, il rabbino capo della Comunità ebraica di Roma Riccardo Di Segni, in un articolo sul quotidiano Il Tempo, ammoniva che l’ostilità antiebraica non si è esaurita con la Shoà, ma "continua in questo Paese oggi e si esprime in tante forme". Per questo, continuava Di Segni, "è necessario che la società vigili e ricordi, che denunci, che non ceda, che non minimizzi, che non assolva e che non si autoassolva", perché "non c'è bisogno di essere ebreo per essere oggetto di ostilità e di odio, basta essere in qualche modo solo un po’ diverso". E' per questo che l’insegnamento che deriva da quella tragedia non riguarda solo gli ebrei e fatti di 70 anni fa, ma "è un discorso attuale in una società che cambia e che si fa fatica e seguire nelle sue evoluzioni tumultuose e nei germi anche micidiali che può covare al suo interno".
Primo Levi, in un'intervista della Rai degli anni '70, ad un certo punto diceva: "Pochissimi oggi riescono a ricostruire, a ricollegare quel filo conduttore che lega le squadre di azione fasciste degli anni Venti in Italia [...] con i campi di concentramento in Germania - e in Italia, perché non sono mancati nemmeno in Italia, questo non molti lo sanno - e il fascismo di oggi, altrettanto violento, a cui manca soltanto il potere per ridiventare quello che era, cioè, la consacrazione del privilegio e della disuguaglianza [...] Il lager, Auschwitz, era la realizzazione del fascismo, era il fascismo integrato, completato, aveva quello che in Italia mancava, cioè il suo coronamento [...] Io, purtroppo, devo dirlo, lo so questo, non è che lo pensi, lo so: so che si possono fare dappertutto [...] Dove un fascismo - non è detto che sia identico a quello - cioè un nuovo verbo, come quello che amano i nuovi fascisti in Italia, cioè non siamo tutti uguali, non tutti abbiamo gli stessi diritti, alcuni hanno diritti e altri no. Dove questo verbo attecchisce alla fine c'è il lager: questo io lo so con precisione".
Claudio Magris, nel discorso pronunciato al Quirinale in occasione della celebrazione del 27 gennaio 2009, spiegò come memoria significhi rapporto con la propria identità e consapevolezza non fanatica di quest'ultima: "La memoria è anche una garanzia di libertà; non a caso le dittature cercano di cancellare la memoria storica, di alterarla o distruggerla del tutto. Le tirannidi la deformano, i nazionalismi la falsificano e la violentano, il totalitarismo soft di tanti mezzi di comunicazione la cancella, con una insidiosa violenza che scava paurosi abissi fra le generazioni. La memoria ebraica può parlare a nome di tutte le vittime del mondo e della storia. La memoria guarda avanti; si porta con sé il passato, ma per salvarlo, come si raccolgono i feriti e i caduti rimasti indietro".
Memoria, dunque, non semplice ricordo e rituale celebrazione; memoria come coscienza di sé, della propria storia e del proprio futuro; memoria viva come strumento di conoscenza perché, come disse Primo Levi, "se comprendere è impossibile, conoscere è necessario".
lunedì 26 gennaio 2015
LA CRISI ECONOMICA FAVORISCE I NAZIONALISMI IN EUROPA
Di Marina Szikora
Il quotidiano tedesco Süddeutsche Zeitung, nell'edizione del 15 gennaio 2015 ha pubblicato un articolo in cui l'ex ministro degli esteri tedesco Joschka Fischer scrive che le conseguenze della crisi finanziaria hanno contribuito alla rinascita del nazionalismo in Europa. Un tale sviluppo della situazione, secondo Fischer, nuoce all'Ue e la politica deve offrire finalmente qualcosa che sara' in grado di contrastarlo. Fischer afferma che si scorge la fine della crisi dell'euro e che almeno i mercati finanziari si sono calmati nonostante il fatto che il cambio della valuta sta affondando e l'economia nei paesi meridionali dell'Ue in crisi sta stagnando. L'intera zona euro soffre perche' praticamente o quasi per niente non vi e' crescita e perche' vi e' la minaccia di deflazione, scrive l'ex ministro tedesco. Vista l'evidente incapacita' dell'Eurogruppo di porre finalmente fine alla crisi che dura da anni o di offrire ai paesi colpiti qualcosa di simile alla prospettiva di crescita, piuttosto che offrire appelli rituali e una dura politica di risparmio, non sorprende il fatto che in molti paesi membri dell'Ue sta scomparendo la pazienza per la politica di risparmio. Dallo spazio politico, avverte Fischer, arriva la minaccia di una grande catastrofe per il progetto europeo.
Uno scatto potrebbe essere nuovamente la Grecia. Come lo si poteva aspettare, il parlamento di Atene non e' riuscito ad eleggere il nuovo presidente con la maggioranza di due terzi. Il parlamento e' quindi stato sciolto e adesso, il 25 gennaio ci saranno le nuove elezioni alle quali c'e' il grande rischio dell'arrivo di Syriza al potere, il partito dei socialisti di sinistra. A condizione di vincere e di non voler fare il grande broglio elettorale. Syriza quindi deve insistere sui nuovi negoziati relativi al ricompenso degli aiuti finanziari della Troika, vale a dire dell'Ue, della Banca centrale europea e del Fondo monetario internazionale. Nel caso che i negoziati falliscano, il governo di Syriza dovra' intraprendere misure unilaterali, spiega Fischer. Precisa che il controverso favoreggiato delle elezioni greche, Cipras da settimane e' in contatto con Berlino, Parigi e con la Banca europea centrale. I colloqui con il capo della Coalizione della sinistra radicale si conducono anche attraverso il segretario di stato Asmussen che per questo non ha nemmeno un mandato ufficiale. Ma gia' da adesso si puo' prevedere che i nuovi negoziati e concessioni dopo la vittoria elettorale di Syriza porteranno ad effetti di slavina nella zona di crisi meridionale dell'Ue e in Francia.
Il quotidiano tedesco Süddeutsche Zeitung, nell'edizione del 15 gennaio 2015 ha pubblicato un articolo in cui l'ex ministro degli esteri tedesco Joschka Fischer scrive che le conseguenze della crisi finanziaria hanno contribuito alla rinascita del nazionalismo in Europa. Un tale sviluppo della situazione, secondo Fischer, nuoce all'Ue e la politica deve offrire finalmente qualcosa che sara' in grado di contrastarlo. Fischer afferma che si scorge la fine della crisi dell'euro e che almeno i mercati finanziari si sono calmati nonostante il fatto che il cambio della valuta sta affondando e l'economia nei paesi meridionali dell'Ue in crisi sta stagnando. L'intera zona euro soffre perche' praticamente o quasi per niente non vi e' crescita e perche' vi e' la minaccia di deflazione, scrive l'ex ministro tedesco. Vista l'evidente incapacita' dell'Eurogruppo di porre finalmente fine alla crisi che dura da anni o di offrire ai paesi colpiti qualcosa di simile alla prospettiva di crescita, piuttosto che offrire appelli rituali e una dura politica di risparmio, non sorprende il fatto che in molti paesi membri dell'Ue sta scomparendo la pazienza per la politica di risparmio. Dallo spazio politico, avverte Fischer, arriva la minaccia di una grande catastrofe per il progetto europeo.
Uno scatto potrebbe essere nuovamente la Grecia. Come lo si poteva aspettare, il parlamento di Atene non e' riuscito ad eleggere il nuovo presidente con la maggioranza di due terzi. Il parlamento e' quindi stato sciolto e adesso, il 25 gennaio ci saranno le nuove elezioni alle quali c'e' il grande rischio dell'arrivo di Syriza al potere, il partito dei socialisti di sinistra. A condizione di vincere e di non voler fare il grande broglio elettorale. Syriza quindi deve insistere sui nuovi negoziati relativi al ricompenso degli aiuti finanziari della Troika, vale a dire dell'Ue, della Banca centrale europea e del Fondo monetario internazionale. Nel caso che i negoziati falliscano, il governo di Syriza dovra' intraprendere misure unilaterali, spiega Fischer. Precisa che il controverso favoreggiato delle elezioni greche, Cipras da settimane e' in contatto con Berlino, Parigi e con la Banca europea centrale. I colloqui con il capo della Coalizione della sinistra radicale si conducono anche attraverso il segretario di stato Asmussen che per questo non ha nemmeno un mandato ufficiale. Ma gia' da adesso si puo' prevedere che i nuovi negoziati e concessioni dopo la vittoria elettorale di Syriza porteranno ad effetti di slavina nella zona di crisi meridionale dell'Ue e in Francia.
RESISTENZE NAZIONALISTE AL MERCATO EUROPEO DELL'ENERGIA
Di Marina Szikora
L'Unione Europea sta entrando nella lotta
sull'energia con i governi nazionalisti. Cosi' un articolo
dell'Economist britannico. In questo testo si rileva che secondo
l'opinione della Commissione europea, l'energia dovrebbe scorrere
liberamente ai membri dell'Ue e circolarvi liberamente tra di loro.
Ma per quanto riguarda questo argomento, il commissario per
l'energetica, Maros Sefcovic ha due avversari. Uno e' la Russia, che
cerca di mantenere il forte controllo sulla fornitura del gas in
Europa dell'Est. L'altro sono i governi nazionali dell'Ue e le
compagnie nella loro proprieta'. A loro piace l'influenza che hanno
sui mercati energetici nazionali ma non piace il fatto che il
traffico transconfinale del gas e dell'energia elettrica erode questa
influenza, scrive l'Economist. Osserva che l'Ue con la Russia ha
raggiunto un certo avanzamento. Finora, quest'inverno ha evitato il
blocco della fornitura di gas. La Slovacchia di Sefcovic e' stata
sollecitata di mandare il gas all'Est, in Ucraina, il che ha
capovolto la direzione consueta della fornitura. L'Ue preme l'Ucraina
di riformare il suo settore energetico, e soprattutto di introdurre i
misuratori del gas al confine con la Russia, piuttosto che
appoggiarsi sui misuramenti ai distributori in paese. Molti vedono
l'insufficienza dei misuratori come la fonte principale della
corruzione, prosegue il giornale britannico. Precisa che la
Commissione ha proclamato che il South Stream nella sua forma
primaria sia illecito: non e' permesso che la stessa compagnia si
occupi della manutenzione del gasdotto e possiede il gas che ci
trascorre.
LE REAZIONI RUSSE AL RISULTATO DELLE PRESIDENZIALI IN CROAZIA
Di Marina Szikora
Sulle recentissime elezioni presidenziali in Croazia e la vittoria della prima donna presidente croata, Kolinda Grabar Kitarovic si parla anche in Russia. Cosi' in una intervista per il giornale russo 'Vjesnik', sulle prospettive delle relazioni tra Croazia e Russia, relative alla elezione della nuova presidente, parlano prominenti esperti russi. Cosi' Georgij Engeljgardt, collaboratore dell'Istituto per la slavistica presso l'Accademia delle scienze russa ha sottolineato due ragioni cruciali nella cui ottica (negativa) sono le aspettative relative alle relazioni croato-russe dopo la vincita di Kolinda Grabar Kitarovic a presidente della Croazia. “Come primo, Kolinda Grabar Kitarovic appartiene al partito HDZ che ha fondato la Croazia moderna. Gli elementi chiave di questo partito sono sempre stati l'orientamento verso gli Stati Uniti e la Germania. Secondo, la sua carriera professionale e' collegata inseparabilmente agli Stati Uniti e le strutture euroatlantiche” afferma questo analista e constata che non ci sono quindi le basi per cambiamenti. Soprattutto nelle condizioni del peggioramento delle relazioni tra l'Ue e la Russia e lo sviluppo attivo del progetto petrolifero e di gas in Croazia (LNG terminal sull'isola di Veglia) che sia gli Stati Uniti che l'Ue promuovono come l'alternativa alla collaborazione con la Russia, afferma Georgij Engeljgardt. Ha espresso preoccupazioni di ancora maggiori problemi per gli investimenti russi in Croazia. Come esempio ha menzionato il caso INA che rimarra' definitivamente chiuso per Rosneft e Gazprom. Ha rilevato inoltre “una certa spietatezza nell'attuazione della comune politica europea di sanzioni”. In ogni caso a Zagabria guardano unanime alla dura linea verso la Russia, afferma l'esperto russo e per questo non bisogna aspettarsi delle particolari differenze tra i partiti a tal proposito. Ci potrebbe invece essere una critica piu' attiva nei confronti della presenza russa nella regione (Bosnia Erzegovina, Serbia) da parte di Zagabria e una maggiore contrapposizione verso la Russia. Questo molto probabilmente potrebbe riguardare la Bosnia e Zagabria potrebbe influenzare la posizione dei croati bosniaci, richiedendovi una lotta insieme al presidente della Republika Srpska, Milorad Dodik. Ivo Josipovic come politico croato era pienamente neutrale verso la Russia, valuta l'esperto russo.
Sulle recentissime elezioni presidenziali in Croazia e la vittoria della prima donna presidente croata, Kolinda Grabar Kitarovic si parla anche in Russia. Cosi' in una intervista per il giornale russo 'Vjesnik', sulle prospettive delle relazioni tra Croazia e Russia, relative alla elezione della nuova presidente, parlano prominenti esperti russi. Cosi' Georgij Engeljgardt, collaboratore dell'Istituto per la slavistica presso l'Accademia delle scienze russa ha sottolineato due ragioni cruciali nella cui ottica (negativa) sono le aspettative relative alle relazioni croato-russe dopo la vincita di Kolinda Grabar Kitarovic a presidente della Croazia. “Come primo, Kolinda Grabar Kitarovic appartiene al partito HDZ che ha fondato la Croazia moderna. Gli elementi chiave di questo partito sono sempre stati l'orientamento verso gli Stati Uniti e la Germania. Secondo, la sua carriera professionale e' collegata inseparabilmente agli Stati Uniti e le strutture euroatlantiche” afferma questo analista e constata che non ci sono quindi le basi per cambiamenti. Soprattutto nelle condizioni del peggioramento delle relazioni tra l'Ue e la Russia e lo sviluppo attivo del progetto petrolifero e di gas in Croazia (LNG terminal sull'isola di Veglia) che sia gli Stati Uniti che l'Ue promuovono come l'alternativa alla collaborazione con la Russia, afferma Georgij Engeljgardt. Ha espresso preoccupazioni di ancora maggiori problemi per gli investimenti russi in Croazia. Come esempio ha menzionato il caso INA che rimarra' definitivamente chiuso per Rosneft e Gazprom. Ha rilevato inoltre “una certa spietatezza nell'attuazione della comune politica europea di sanzioni”. In ogni caso a Zagabria guardano unanime alla dura linea verso la Russia, afferma l'esperto russo e per questo non bisogna aspettarsi delle particolari differenze tra i partiti a tal proposito. Ci potrebbe invece essere una critica piu' attiva nei confronti della presenza russa nella regione (Bosnia Erzegovina, Serbia) da parte di Zagabria e una maggiore contrapposizione verso la Russia. Questo molto probabilmente potrebbe riguardare la Bosnia e Zagabria potrebbe influenzare la posizione dei croati bosniaci, richiedendovi una lotta insieme al presidente della Republika Srpska, Milorad Dodik. Ivo Josipovic come politico croato era pienamente neutrale verso la Russia, valuta l'esperto russo.
"QUI TIRANA": LA CORRISPONDENZA DI ARTUR NURA
Gli argomenti della corrispondenza di Artur Nura per la puntata di Passaggio a Sud Est andata in onda a Radio Radicale il 25 gennaio
Albania
La situazione economica del paese è uno dei principali terreni di scontro tra la maggioranza di centri-sinistra che sostiene il governo di Edi Rama e l'opposizione guidata dal sindaco di Tirana, Lluzim Basha, leader del Partito Democratico.
Cooperazione multilaterale
Il vertice tra i ministri degli Esteri di Italia, Albania e Serbia che si è svolto a Roma nei giorni scorsi.
Kosovo
Le relazioni e la cooperazione bilaterale con l'Italia al centro dell'incontro tra la presidente kosovara Atifete Jahjaga e la presidente della Camera dei deputati Laura Boldrini.
Albania
La situazione economica del paese è uno dei principali terreni di scontro tra la maggioranza di centri-sinistra che sostiene il governo di Edi Rama e l'opposizione guidata dal sindaco di Tirana, Lluzim Basha, leader del Partito Democratico.
Cooperazione multilaterale
Il vertice tra i ministri degli Esteri di Italia, Albania e Serbia che si è svolto a Roma nei giorni scorsi.
Kosovo
Le relazioni e la cooperazione bilaterale con l'Italia al centro dell'incontro tra la presidente kosovara Atifete Jahjaga e la presidente della Camera dei deputati Laura Boldrini.
domenica 25 gennaio 2015
PASSAGGIO IN ONDA
E' on-line la puntata di Passaggio a Sud Est del 25 gennaio 2015.
La trasmissione e' ascoltabile direttamente qui di seguito oppure sul sito di Radio Radicale.
Sommario della puntata
La puntata odierna si apre con le parole di Primo Levi in occasione del "Giorno della memoria" della Shoah per non dimenticare che quella tragedia è pronta a materializzarsi di nuovo, seppure non in quelle dimensioni, nell'intolleranza e nel razzismo che si manifestano nella nostra società contemporanea.
Gli argomenti della trasmissione
Europa: la crisi economica favorisce e alimenta i nazionalismi; le considerazioni dell'ex ministro degli Esteri tedesco Joshcka Fischer in un articolo pubblicato dalla Suddeutsche Zeitung.
Energia: l'Unione Europea avrebbe bisogno di un mercato unico dell'energia ma deve vedersela con il nazionalismo dei Paesi fornitori, come la Russia, e anche con quello di alcuni Paesi membri.
Albania: la situazione economica è uno dei principali terreni di scontro tra il governo di centro-sinistra di Edi Rama e l'opposizione guidata dal sindaco di Tirana Llulzim Basha
Italia-Balcani: le relazioni trilaterali tra Roma, Tirana e Belgrado in un vertice alla Farnesina tra i rispettivi ministri degli Esteri
Kosovo: la cooperazione bilaterale con l'Italia in un incontro tra la presidente Atifete Jahjaga e la presidente della Camera dei Deputati Laura Boldrini.
Infine si parla di libertà di stampa, diritto all'informazione dei cittadini e tutela dei giornalisti, temi divenuti di stretta attualità dopo la strage di Charlie Hebdo: mercoledì 28, con un seminario al Parlamento europeo si conclude il progetto europeo "Safety Net for Europea Journalist" promosso e coordinato da Osservatorio Balcani e Caucaso. Se ne parla con un'intervista a Luka Zanoni direttore della testata giornalistica di Obc.
La puntata, realizzata con la collaborazione di Marina Szikora e Artur Nura, è ascoltabile direttamente qui
La trasmissione e' ascoltabile direttamente qui di seguito oppure sul sito di Radio Radicale.
Sommario della puntata
La puntata odierna si apre con le parole di Primo Levi in occasione del "Giorno della memoria" della Shoah per non dimenticare che quella tragedia è pronta a materializzarsi di nuovo, seppure non in quelle dimensioni, nell'intolleranza e nel razzismo che si manifestano nella nostra società contemporanea.
Gli argomenti della trasmissione
Europa: la crisi economica favorisce e alimenta i nazionalismi; le considerazioni dell'ex ministro degli Esteri tedesco Joshcka Fischer in un articolo pubblicato dalla Suddeutsche Zeitung.
Energia: l'Unione Europea avrebbe bisogno di un mercato unico dell'energia ma deve vedersela con il nazionalismo dei Paesi fornitori, come la Russia, e anche con quello di alcuni Paesi membri.
Albania: la situazione economica è uno dei principali terreni di scontro tra il governo di centro-sinistra di Edi Rama e l'opposizione guidata dal sindaco di Tirana Llulzim Basha
Italia-Balcani: le relazioni trilaterali tra Roma, Tirana e Belgrado in un vertice alla Farnesina tra i rispettivi ministri degli Esteri
Kosovo: la cooperazione bilaterale con l'Italia in un incontro tra la presidente Atifete Jahjaga e la presidente della Camera dei Deputati Laura Boldrini.
Infine si parla di libertà di stampa, diritto all'informazione dei cittadini e tutela dei giornalisti, temi divenuti di stretta attualità dopo la strage di Charlie Hebdo: mercoledì 28, con un seminario al Parlamento europeo si conclude il progetto europeo "Safety Net for Europea Journalist" promosso e coordinato da Osservatorio Balcani e Caucaso. Se ne parla con un'intervista a Luka Zanoni direttore della testata giornalistica di Obc.
La puntata, realizzata con la collaborazione di Marina Szikora e Artur Nura, è ascoltabile direttamente qui
#GRECIA2015: SPECIALE ELEZIONI
Uno Speciale di Passaggio a Sud Est per capire che Paese e con che spirito e quali aspettative i cittadini greci vanno alle urne oggi per elezioni anticipate (provocate dallo scioglimento del Parlamento in seguito alla mancata elezione del presidente della repubblica) che in base a tutti i sondaggi vedrà la vittoria di Syriza, la "Coalizione della sinistra radicale", guidata da Alexis Tsipras.
Quali sono i possibili scenari dopo il voto; quali saranno le possibili conseguenze sul resto dell'Unione Europea e sulla moneta unica; quali effetti la vittoria di Syriza potrebbe avere sul rilancio della prospettiva federalista e democratica per l'Europa.
Interventi in trasmissione di:
Elisabetta Casalotti, giornalista di Elefterotipia (in collegamento da Atene)
Dimitri Deliolanes, corrispondente dall'Italia della radiotelevisione greca Ert (in collegamento da Atene)
Antonio Ferrari, editorialista del Corriere della Sera,
Marco Cappato, dirigente radicale, consigliere del Gruppo radicale federalista europeo al Comune di Milano
Ascolta qui la trasmissione
Quali sono i possibili scenari dopo il voto; quali saranno le possibili conseguenze sul resto dell'Unione Europea e sulla moneta unica; quali effetti la vittoria di Syriza potrebbe avere sul rilancio della prospettiva federalista e democratica per l'Europa.
Interventi in trasmissione di:
Elisabetta Casalotti, giornalista di Elefterotipia (in collegamento da Atene)
Dimitri Deliolanes, corrispondente dall'Italia della radiotelevisione greca Ert (in collegamento da Atene)
Antonio Ferrari, editorialista del Corriere della Sera,
Marco Cappato, dirigente radicale, consigliere del Gruppo radicale federalista europeo al Comune di Milano
Ascolta qui la trasmissione
venerdì 23 gennaio 2015
LIBERTA' DI STAMPA, DIRITTO ALL'INFORMAZIONE E SICUREZZA DEI GIORNALISTI IN EUROPA
Intervista a Luka Zanoni
Che cosa limita la libertà di stampa, l'indipendenza e la sicurezza dei giornalisti? E come si può difendere il diritto all'informazione dei cittadini? Sono le domande attorno alle quali si arricolerà un sminario pubblico nell'ambito in programma mercoledì 28 gennaio al Parlamento europeo a Bruxelles che fa parte e conclude un ampio progetto europeo a cui Osservatorio Balcani e Caucaso ha lavorato durante tutto il 2014 dal titolo "Safety Net for European Journalists".
Luka Zanoni, direttore della testata giornalistica di OBC, in questa intervista a Radio Radicale presenta il seminario del 28 gennaio e traccia un primo bilancio del progetto europeo.
Che cosa limita la libertà di stampa, l'indipendenza e la sicurezza dei giornalisti? E come si può difendere il diritto all'informazione dei cittadini? Sono le domande attorno alle quali si arricolerà un sminario pubblico nell'ambito in programma mercoledì 28 gennaio al Parlamento europeo a Bruxelles che fa parte e conclude un ampio progetto europeo a cui Osservatorio Balcani e Caucaso ha lavorato durante tutto il 2014 dal titolo "Safety Net for European Journalists".
Luka Zanoni, direttore della testata giornalistica di OBC, in questa intervista a Radio Radicale presenta il seminario del 28 gennaio e traccia un primo bilancio del progetto europeo.
martedì 20 gennaio 2015
LE GRECIA, L'EUROPA E LA DEMOCRAZIA
Ecco perché un radicale liberista si augura la vittoria di Tsipras
di Marco Cappato, Consigliere del Gruppo Radicale federalista europeo al Comune di Milano, tesoriere dell'Associazione Luca Coscioni
Il Manifesto - 20 gennaio 2015
L'eventuale successo di Tsipras sarebbe (a titolo personalissimo) una buona notizia anche per me, radicale e liberista, perché segnalerebbe l’esigenza di democratizzazione federalista della politica economica europea e rappresenterebbe una speranza persino per obiettivi antistatalisti e liberali estranei a Tsipras.
Prima il metodo: la “governance” economica europea non è “governo” perché è il risultato di una selva di trattati tecnicamente complicatissimi cresciuti attorno al fiscal compact e sottratti ad un processo democratico. Non vale obiettare che la responsabilità è comunque di governi democratici, perché il filtro della governance è opaco e tecnicistico al punto da non tollerare interazione con l’opinione pubblica. Una vittoria di Tsipras impedirebbe ai protagonisti della governance europea di operare prescindendo dall’opinione pubblica di un paese europeo che raccoglie ampi riscontri anche in altri paesi. I Greci possono avere torto, ma l’ostilità contro Bruxelles e Berlino è problema europeo prima che greco. La democratizzazione federalista delle politiche economiche europee è obiettivo non più rinviabile, e il semplice fatto che Tsipras sia favorito sta obbligando l’Unione europea (e la Germania nell’Ue) a trattare la questione più seriamente, a partire dalle trattative sull’acquisto di titoli di Stato da parte della Banca centrale europea.
Se vince Tsipras, infatti, la linea Draghi esce rafforzata nella richiesta di riforme istituzionali nella direzione federalista, per trasformare l’acquisto di debito pubblico da misura d’emergenza a soluzione strutturale di governo europeo dei debiti sovrani; si rafforza la proposta di Michel Rocard che la Banca centrale europea possa prestare direttamente a tasso zero ai paesi in avanzo primario, attivando il ciclo virtuoso della diminuzione del costo del debito.
Solo così esiste una speranza di arrivare a ridurre gradualmente debiti consistenti, magari riuscendo, paradossalmente, ad evitare ciò che Tsipras propone: la ristrutturazione dei debiti nazionali, che potrebbe comunque essere necessaria in paesi come l’Italia, come lo è stata per la Grecia (ma la Germania è riuscita a scaricare il costo sul fondo monetario internazionale invece che sulla banche tedesche) o come lo fu nel ’53 per la Germania, quando la comunità internazionale evitò di ripetere l’errore dell’umiliazione del debito che dopo la prima guerra mondiale spianò la strada al nazismo.
Passando dal metodo al merito, la speranza “liberista” in Tsipras è certamente meno scontata, ma è fondata. Finché un paese come il nostro è soffocato dagli 80 miliardi di interessi sul debito pubblico, l’ostacolo a politiche liberali è immenso perché l’effetto delle riforme finirebbe inghiottito dal pozzo senza fondo del debito e degli interessi, come accaduto per le riforme delle pensioni o per le privatizzazioni. Schiacciati dal debito, non rimane spazio per ricentrare la spesa dall’assistenzialismo al welfare, per disinvestire da aziende partecipate inefficienti e investire nella conversione ecologica e contro il dissesto idrogeologico. La popolarità di una rivoluzione liberale, ancora necessaria, era forte negli anni ’90 ma, dopo il boicottaggio anti-costituzionale dei referendum radicali, è oggi indebolita sia da 20 anni di promesse non mantenute da parte di chi ha usato i vessilli liberali per svendere privilegi monopolistici, sia dalla sensazione che ogni “sacrificio” sia vano di fronte ai vincoli di debito e deficit. Non è un caso se due economisti liberisti come Alesina e Giavazzi propongono di passare per lo sfondamento del vincolo del 3% del rapporto tra deficit e debito pubblico per realizzare riforme pur molto diverse o opposte da quelle di Tsipras.
Conoscendo gli epigoni italiani di Tsipras, dove la “sua” lista è servita da scialuppa di salvataggio per gli spezzoni della sinistra conservatrice italiota, c’è certamente il rischio che sia usato o si lasci usare per riproporre soluzioni stataliste, corporativiste e di difesa di ciò che rimane dell’iniquo welfare dei garantiti (che sono sempre di meno) contro gli ultimi (che sono sempre di più). Il rischio c’è, ma è meglio correrlo, perché l’alternativa è la certezza depressiva e antidemocratica della “governance” europea. Una boccata di ossigeno federalista europeo, e magari persino liberale, può essere una delle conseguenze della eventuale vittoria di Tsipras.
di Marco Cappato, Consigliere del Gruppo Radicale federalista europeo al Comune di Milano, tesoriere dell'Associazione Luca Coscioni
Il Manifesto - 20 gennaio 2015
L'eventuale successo di Tsipras sarebbe (a titolo personalissimo) una buona notizia anche per me, radicale e liberista, perché segnalerebbe l’esigenza di democratizzazione federalista della politica economica europea e rappresenterebbe una speranza persino per obiettivi antistatalisti e liberali estranei a Tsipras.
Prima il metodo: la “governance” economica europea non è “governo” perché è il risultato di una selva di trattati tecnicamente complicatissimi cresciuti attorno al fiscal compact e sottratti ad un processo democratico. Non vale obiettare che la responsabilità è comunque di governi democratici, perché il filtro della governance è opaco e tecnicistico al punto da non tollerare interazione con l’opinione pubblica. Una vittoria di Tsipras impedirebbe ai protagonisti della governance europea di operare prescindendo dall’opinione pubblica di un paese europeo che raccoglie ampi riscontri anche in altri paesi. I Greci possono avere torto, ma l’ostilità contro Bruxelles e Berlino è problema europeo prima che greco. La democratizzazione federalista delle politiche economiche europee è obiettivo non più rinviabile, e il semplice fatto che Tsipras sia favorito sta obbligando l’Unione europea (e la Germania nell’Ue) a trattare la questione più seriamente, a partire dalle trattative sull’acquisto di titoli di Stato da parte della Banca centrale europea.
Se vince Tsipras, infatti, la linea Draghi esce rafforzata nella richiesta di riforme istituzionali nella direzione federalista, per trasformare l’acquisto di debito pubblico da misura d’emergenza a soluzione strutturale di governo europeo dei debiti sovrani; si rafforza la proposta di Michel Rocard che la Banca centrale europea possa prestare direttamente a tasso zero ai paesi in avanzo primario, attivando il ciclo virtuoso della diminuzione del costo del debito.
Solo così esiste una speranza di arrivare a ridurre gradualmente debiti consistenti, magari riuscendo, paradossalmente, ad evitare ciò che Tsipras propone: la ristrutturazione dei debiti nazionali, che potrebbe comunque essere necessaria in paesi come l’Italia, come lo è stata per la Grecia (ma la Germania è riuscita a scaricare il costo sul fondo monetario internazionale invece che sulla banche tedesche) o come lo fu nel ’53 per la Germania, quando la comunità internazionale evitò di ripetere l’errore dell’umiliazione del debito che dopo la prima guerra mondiale spianò la strada al nazismo.
Passando dal metodo al merito, la speranza “liberista” in Tsipras è certamente meno scontata, ma è fondata. Finché un paese come il nostro è soffocato dagli 80 miliardi di interessi sul debito pubblico, l’ostacolo a politiche liberali è immenso perché l’effetto delle riforme finirebbe inghiottito dal pozzo senza fondo del debito e degli interessi, come accaduto per le riforme delle pensioni o per le privatizzazioni. Schiacciati dal debito, non rimane spazio per ricentrare la spesa dall’assistenzialismo al welfare, per disinvestire da aziende partecipate inefficienti e investire nella conversione ecologica e contro il dissesto idrogeologico. La popolarità di una rivoluzione liberale, ancora necessaria, era forte negli anni ’90 ma, dopo il boicottaggio anti-costituzionale dei referendum radicali, è oggi indebolita sia da 20 anni di promesse non mantenute da parte di chi ha usato i vessilli liberali per svendere privilegi monopolistici, sia dalla sensazione che ogni “sacrificio” sia vano di fronte ai vincoli di debito e deficit. Non è un caso se due economisti liberisti come Alesina e Giavazzi propongono di passare per lo sfondamento del vincolo del 3% del rapporto tra deficit e debito pubblico per realizzare riforme pur molto diverse o opposte da quelle di Tsipras.
Conoscendo gli epigoni italiani di Tsipras, dove la “sua” lista è servita da scialuppa di salvataggio per gli spezzoni della sinistra conservatrice italiota, c’è certamente il rischio che sia usato o si lasci usare per riproporre soluzioni stataliste, corporativiste e di difesa di ciò che rimane dell’iniquo welfare dei garantiti (che sono sempre di meno) contro gli ultimi (che sono sempre di più). Il rischio c’è, ma è meglio correrlo, perché l’alternativa è la certezza depressiva e antidemocratica della “governance” europea. Una boccata di ossigeno federalista europeo, e magari persino liberale, può essere una delle conseguenze della eventuale vittoria di Tsipras.
SERBIA: IL PREMIER VUCIC CONTRO I GIORNALISTI FICCANASO
Il premier serbo Aleksandar Vucic non ha gradito l'inchiesta di quei ficcanaso del Balkan Investigative Reporting Network che hanno pubblicato un'inchiesta sull'affare con cui la società di Stato serba dell’energia, Elektroprivreda Srbije, avrebbe affidato, con un aggravio dei costi, alla Energotehnika–Juzna Backa, un consorzio locale senza esperienza, l’appalto per la ricostruzione della miniera di carbone di Tamnava, danneggiata dalle alluvioni del maggio 2014, che rifornisce di combustibile la centrale TENT che a sua volta fornisce energia a metà del paese.
Il consorzio della Juzna Backa, secondo Birn, sarebbe collegato a Nikola Petrović, direttore della compagnia statale della rete elettrica Elektromreze Srbije, vicino proprio al premier Vučić, il quale, non solo ha accusato Birn di aver scritto falsità, ma ha anche accusato direttamente l’Unione Europea e il suo capo delegazione a Belgrado, Michael Davenport, di finanziare organizzazioni giornalistiche come BIRN per diffamare il suo governo. Birn naturalmente respinge le accuse e conferma punto per punto la sua ricostruzione.
Non è la prima volta che Vučić mostra qualche fastidio per le critiche. Nel giugno dello scorso anno, per esempio, se la prese con l’Osce accusandola di mentire dopo che essa aveva criticato il suo governo per aver cercato di limitare le critiche online alla sua gestione delle alluvioni.
Qui di seguito l'articolo di Davide Denti per Eastjournal.net
SERBIA: Il senso di Vučić per la libertà di stampa
di Davide Denti - Eastjournal.net, 19 gennaio 2015
“Dite a quei bugiardi che hanno mentito ancora. E’ tutto ciò che ho da dire”. Così il premier serbo Aleksandar Vučić, venerdì 9 gennaio, parlando in maniera non proprio lusinghiera del Balkan Investigative Reporting Network (BIRN), il network balcanico di giornalismo d’inchiesta basato a Sarajevo, che durante la settimana passata aveva denunciato la corruzione in base alla quale il monopolio statale serbo dell’energia, Elektroprivreda Srbije (EPS), avrebbe affidato ad un consorzio locale senza esperienza, la Energotehnika – Juzna Backa, l’appalto per la ricostruzione della miniera di carbone di Tamnava (regione di Obrenovac), con un forte aggravio dei costi. Il consorzio della Juzna Backa, secondo BIRN, era collegato a Nikola Petrović, direttore della compagnia statale della rete elettrica Elektromreze Srbije, vicino proprio al premier Vučić. La miniera di Tamnava, danneggiata dalle alluvioni dello scorso maggio, rifornisce di combustibile la centrale TENT, che dà energia a metà del paese.
Vučić ha anche accusato direttamente l’Unione Europea e il suo capo delegazione a Belgrado, Michael Davenport, di finanziare direttamente organizzazioni giornalistiche come BIRN per diffamare il governo. “E’ importante che la gente sappia. Hanno ricevuto i soldi da Davenport e dall’UE per parlare contro il governo serbo”.
Vučić l’ha quindi buttata sul nazionalismo economico, sostenendo che BIRN avrebbe fatto lobbying perché il contratto di ricostruzione della miniera fosse affidato ad aziende straniere. “Quelli che hanno vinto i vostri [dell'UE] appalti seguendo strette procedure hanno cercato di forzare il governo della Serbia ad accettare un’offerta di una società occidentale che era più costosa di 23 milioni di euro rispetto all’offerta di una compagnia serba”, ha affermato.
Il consorzio della Juzna Backa, secondo Birn, sarebbe collegato a Nikola Petrović, direttore della compagnia statale della rete elettrica Elektromreze Srbije, vicino proprio al premier Vučić, il quale, non solo ha accusato Birn di aver scritto falsità, ma ha anche accusato direttamente l’Unione Europea e il suo capo delegazione a Belgrado, Michael Davenport, di finanziare organizzazioni giornalistiche come BIRN per diffamare il suo governo. Birn naturalmente respinge le accuse e conferma punto per punto la sua ricostruzione.
Non è la prima volta che Vučić mostra qualche fastidio per le critiche. Nel giugno dello scorso anno, per esempio, se la prese con l’Osce accusandola di mentire dopo che essa aveva criticato il suo governo per aver cercato di limitare le critiche online alla sua gestione delle alluvioni.
Qui di seguito l'articolo di Davide Denti per Eastjournal.net
SERBIA: Il senso di Vučić per la libertà di stampa
di Davide Denti - Eastjournal.net, 19 gennaio 2015
“Dite a quei bugiardi che hanno mentito ancora. E’ tutto ciò che ho da dire”. Così il premier serbo Aleksandar Vučić, venerdì 9 gennaio, parlando in maniera non proprio lusinghiera del Balkan Investigative Reporting Network (BIRN), il network balcanico di giornalismo d’inchiesta basato a Sarajevo, che durante la settimana passata aveva denunciato la corruzione in base alla quale il monopolio statale serbo dell’energia, Elektroprivreda Srbije (EPS), avrebbe affidato ad un consorzio locale senza esperienza, la Energotehnika – Juzna Backa, l’appalto per la ricostruzione della miniera di carbone di Tamnava (regione di Obrenovac), con un forte aggravio dei costi. Il consorzio della Juzna Backa, secondo BIRN, era collegato a Nikola Petrović, direttore della compagnia statale della rete elettrica Elektromreze Srbije, vicino proprio al premier Vučić. La miniera di Tamnava, danneggiata dalle alluvioni dello scorso maggio, rifornisce di combustibile la centrale TENT, che dà energia a metà del paese.
Vučić ha anche accusato direttamente l’Unione Europea e il suo capo delegazione a Belgrado, Michael Davenport, di finanziare direttamente organizzazioni giornalistiche come BIRN per diffamare il governo. “E’ importante che la gente sappia. Hanno ricevuto i soldi da Davenport e dall’UE per parlare contro il governo serbo”.
Vučić l’ha quindi buttata sul nazionalismo economico, sostenendo che BIRN avrebbe fatto lobbying perché il contratto di ricostruzione della miniera fosse affidato ad aziende straniere. “Quelli che hanno vinto i vostri [dell'UE] appalti seguendo strette procedure hanno cercato di forzare il governo della Serbia ad accettare un’offerta di una società occidentale che era più costosa di 23 milioni di euro rispetto all’offerta di una compagnia serba”, ha affermato.
QUESTA SETTIMANA SU "RASSEGNA EST"
Notiziario politico-economico sui paesi dell'Europa centrale, balcanica e post-sovietica.
I fatti e i numeri.
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Turkish Stream
Putin annuncia la rivoluzione nelle forniture di gas all'Europa. Non passeranno più dall'Ucraina, ma dalla Turchia. Strategia possibile, ma certamente complicata da attuare. E potrebbe far parte di una valzer negoziale che tiene conto anche della situazione in Ucraina.
Putin annuncia la rivoluzione nelle forniture di gas all'Europa. Non passeranno più dall'Ucraina, ma dalla Turchia. Strategia possibile, ma certamente complicata da attuare. E potrebbe far parte di una valzer negoziale che tiene conto anche della situazione in Ucraina.
Balcani, l'amico cinese
Pechino investe pesantemente nel sudest europeo. Su energia e infrastrutture, prima di tutto. Il sogno di una nuova via della seta.
Pechino investe pesantemente nel sudest europeo. Su energia e infrastrutture, prima di tutto. Il sogno di una nuova via della seta.
Quarantacinque anni fa lo studente boemo si auto-immolava. Cosa è rimasto di quel gesto? Poco, purtroppo.
Banca dati Previsioni di crescita, fisco, competitività, lavoro. Tutte le economie dell'Est, voce per voce.
La presidentessa
Il nostro commento sull'esito delle presidenziali croate e sulla situazione economica a Zagabria.
Il nostro commento sull'esito delle presidenziali croate e sulla situazione economica a Zagabria.
L'Ucraina tra illusioni e realtà
Un 2014 difficilissimo, un 2015 denso di incognite. ll punto su passato recente e futuro prossimo a Kiev.
Un 2014 difficilissimo, un 2015 denso di incognite. ll punto su passato recente e futuro prossimo a Kiev.
Renzi, l'Albania e i sindacati
Tirana alle imprese italiane: "Investite da noi, non abbiamo sindacati". Ma è un falso vantaggio, perché le associazioni dei lavoratori servono.
Tirana alle imprese italiane: "Investite da noi, non abbiamo sindacati". Ma è un falso vantaggio, perché le associazioni dei lavoratori servono.
lunedì 19 gennaio 2015
CROAZIA: META' DEGLI ELETTORI HANNO ELETTO LA PRIMA PRESIDENTE DONNA
Domenica 11 gennaio i cittadini croati hanno eletto il loro quarto presidente dall'indipendenza del 1991: Kolinda Grabar-Kitarovic, candidata dell'HDZ, principale partito del centro-destra attualmente all'oposizione, smentendo tutti i sondaggi della vigilia ha sconfitto il presidente uscente Ivo Josipovic.
46 anni, già ministro degli Esteri nel governo di Ivo Sanader, Grabar-Kitarovic è diventata per una manciata di voti (50,5% contro 49,5%) la prima donna eletta presidente in Croazia e la prima esponente dell'HDZ a diventare capo dello stato, se si eccettua il “padre della patria” Franjo Tudjman.
Nonostante sessantamila schede nulle e l'esigua differenza con la sua sfidante, il presidente uscente ha subito riconosciuto la sconfitta e ha incontrato la neoeletta per concordare il passaggio dei poteri facendo sapere che fino alla fine del suo mandato, il prossimo 18 febbraio, non firmera' nessun atto importante.
Lo staff dell'ormai ex presidente ha fatto sapere inoltre che Josipovic intende riprendere il suo lavoro come professore di diritto penale all'universita' di Zagabria, come aveva dichiarato dopo la sua elezione. Molti nel suo entourage e moltissimi sostenitori sperano pero' che Josipovic non lasci la politica attiva e che diventi il punto di riferimento della sinistra croata continuando la realizzazione del suo programma politico.
Qui di seguito la trascrizione della corrispondenza di Marina Szikora per la puntata di Passaggio a Sud Est andata in onda il 18 gennaio a Radio Radicale, con un ampio panorama dei commenti e delle analisi apparsi in questa settimana sulla stampa di vari Paesi della regione.
C'e' molto da dire e ci sara' molto da analizzare per quanto riguarda l'esito di queste seste elezioni presidenziali in Croazia, quelle sicuramente piu' incerte e movimentate dall'indipendenza del Paese e che hanno rappresentato una sconfitta amara e sicuramente inaspettata per il presidente uscente Ivo Josipovic, per ben cinque anni il politico piu' popolare e apprezzato in Croazia. Una sconfitta sorprendente e dolorosa visto che Josipovic, fin dal momento in cui assunse l'incarico di capo dello stato, in tutti i sondaggi e' stato sempre nettamente al primo posto come popolarita' e come gradimento nel Paese, e fino all'ultimo è stato in testa ai sondaggi di questa competizione elettorale. Ma con l'avvicinarsi del momento decisivo, il ballottaggio dell'11 gennaio, il suo vantaggio rispetto alla sfidante Kolinda Grabar Kitarovic è diventava sempre piu' sottile e minima, fino a tramutrasi in una sconfitta.
Adesso ci vorra' del tempo per fare il punto della situazione, per capire che cosa e' veramente successo, che cosa e' andato storto, il perche' di questa sconfitta e di questo risultato. Alcuni mesi fa, erano pochi ad aspettarsi che la Croazia avrebbe avuto per la prima volta una donna come Presidente. Kolinda Grabar Kitarovic, che verra' insediata il prossimo 18 febbraio quando formalmente finirà il mandato di Ivo Josipovic, si associa alla lista delle donne di spicco nella politica croata. Ricordiamolo, l'attuale governo socialdemocratico di Zoran Milanovic ha prerso il posto di quello precedente dell'HDZ con l'ex premier Jadranka Kosor, arrivata a capo del governo dopo le dimissioni di Ivo Sanader, l'ex premier e leader dell'HDZ, attualmente in carcere per gravi crimini di corruzione e abuso di ufficio.
Nessun dubbio che questo esito elettorale ha scatenato subito reazioni della stampa e dei media anche internazionali.
46 anni, già ministro degli Esteri nel governo di Ivo Sanader, Grabar-Kitarovic è diventata per una manciata di voti (50,5% contro 49,5%) la prima donna eletta presidente in Croazia e la prima esponente dell'HDZ a diventare capo dello stato, se si eccettua il “padre della patria” Franjo Tudjman.
Nonostante sessantamila schede nulle e l'esigua differenza con la sua sfidante, il presidente uscente ha subito riconosciuto la sconfitta e ha incontrato la neoeletta per concordare il passaggio dei poteri facendo sapere che fino alla fine del suo mandato, il prossimo 18 febbraio, non firmera' nessun atto importante.
Lo staff dell'ormai ex presidente ha fatto sapere inoltre che Josipovic intende riprendere il suo lavoro come professore di diritto penale all'universita' di Zagabria, come aveva dichiarato dopo la sua elezione. Molti nel suo entourage e moltissimi sostenitori sperano pero' che Josipovic non lasci la politica attiva e che diventi il punto di riferimento della sinistra croata continuando la realizzazione del suo programma politico.
Qui di seguito la trascrizione della corrispondenza di Marina Szikora per la puntata di Passaggio a Sud Est andata in onda il 18 gennaio a Radio Radicale, con un ampio panorama dei commenti e delle analisi apparsi in questa settimana sulla stampa di vari Paesi della regione.
C'e' molto da dire e ci sara' molto da analizzare per quanto riguarda l'esito di queste seste elezioni presidenziali in Croazia, quelle sicuramente piu' incerte e movimentate dall'indipendenza del Paese e che hanno rappresentato una sconfitta amara e sicuramente inaspettata per il presidente uscente Ivo Josipovic, per ben cinque anni il politico piu' popolare e apprezzato in Croazia. Una sconfitta sorprendente e dolorosa visto che Josipovic, fin dal momento in cui assunse l'incarico di capo dello stato, in tutti i sondaggi e' stato sempre nettamente al primo posto come popolarita' e come gradimento nel Paese, e fino all'ultimo è stato in testa ai sondaggi di questa competizione elettorale. Ma con l'avvicinarsi del momento decisivo, il ballottaggio dell'11 gennaio, il suo vantaggio rispetto alla sfidante Kolinda Grabar Kitarovic è diventava sempre piu' sottile e minima, fino a tramutrasi in una sconfitta.
Adesso ci vorra' del tempo per fare il punto della situazione, per capire che cosa e' veramente successo, che cosa e' andato storto, il perche' di questa sconfitta e di questo risultato. Alcuni mesi fa, erano pochi ad aspettarsi che la Croazia avrebbe avuto per la prima volta una donna come Presidente. Kolinda Grabar Kitarovic, che verra' insediata il prossimo 18 febbraio quando formalmente finirà il mandato di Ivo Josipovic, si associa alla lista delle donne di spicco nella politica croata. Ricordiamolo, l'attuale governo socialdemocratico di Zoran Milanovic ha prerso il posto di quello precedente dell'HDZ con l'ex premier Jadranka Kosor, arrivata a capo del governo dopo le dimissioni di Ivo Sanader, l'ex premier e leader dell'HDZ, attualmente in carcere per gravi crimini di corruzione e abuso di ufficio.
Nessun dubbio che questo esito elettorale ha scatenato subito reazioni della stampa e dei media anche internazionali.
"QUI TIRANA": LA CORRISPONDENZA DI ARTUR NURA
Gli argomenti della corrispondenza di Artur Nura per la puntata di Passaggio a Sud Est andata in onda a Radio Radicale il 18 gennaio
Albania
Il governo di Edi Rama chiede la collaborazione delle principali autorità religiose del Paese per favorire la convivenza religiosa; la collaborazione bilaterale con l'Italia per contrastare il terrorismo fondamentalista.
Kosovo
La visita del premier serbo Alksandar Vucic nel nord del Paese e le contestazioni da parte di alcuni giovani kosovari; le iniziative del governo di Pristina per la gestione ed il controllo dell'importante complesso minerario di Trepce.
Albania
Il governo di Edi Rama chiede la collaborazione delle principali autorità religiose del Paese per favorire la convivenza religiosa; la collaborazione bilaterale con l'Italia per contrastare il terrorismo fondamentalista.
Kosovo
La visita del premier serbo Alksandar Vucic nel nord del Paese e le contestazioni da parte di alcuni giovani kosovari; le iniziative del governo di Pristina per la gestione ed il controllo dell'importante complesso minerario di Trepce.
domenica 18 gennaio 2015
PASSAGGIO IN ONDA
E' on-line la puntata di Passaggio a Sud Est del 18 gennaio 2015.
La trasmissione e' ascoltabile direttamente qui di seguito oppure sul sito di Radio Radicale.
Sommario della puntata
L'apertura della puntata odierna è dedicata al semestre di presidenza italiana del Consiglio dell'Unione Europea: con Davide Denti, vicedirettore di Eastjournal.net, esperto di questioni dell'Europa centro e sud orinetale, tracciamo un bilancio in particolare dal punto di vista della politica di allargamento e dell'integrazione dei Balcani occidentali e della Turchia.
A seguire un ampia pagina con analisi e commenti sulle elezioni presidenziali in Croazia che hanno visto l'inattesa vittoria della candidata del centro-destra Kolinda Grabar-Kitarovic, prima donna e prima esponente dell'Hdz a conquistare la più alta carica dello stato, e la sconfitta del presidente uscente Ivo Josipovic che sembra aver pagato più che altro la sfiducia degli elettori nell'attuale governo di centro-sinistra.
Gli altri argomenti della trasmissione
Albania: la promozione della convivenza religiosa, il contrasto del fondamentalismo e la cooperazione con l'Italia nella lotta al terrorismo.
Kosovo: la visita del premier serbo Aleksandar Vucic nel nord e le contestazioni da parte di alcuni kosovari albanesi e le iniziative del governo di Pristina per il controllo e la gestione dell'importante complesso minerario di Trepce.
La puntata, realizzata con la collaborazione di Marina Szikora e Artur Nura, è ascoltabile direttamente qui:
La trasmissione e' ascoltabile direttamente qui di seguito oppure sul sito di Radio Radicale.
Sommario della puntata
L'apertura della puntata odierna è dedicata al semestre di presidenza italiana del Consiglio dell'Unione Europea: con Davide Denti, vicedirettore di Eastjournal.net, esperto di questioni dell'Europa centro e sud orinetale, tracciamo un bilancio in particolare dal punto di vista della politica di allargamento e dell'integrazione dei Balcani occidentali e della Turchia.
A seguire un ampia pagina con analisi e commenti sulle elezioni presidenziali in Croazia che hanno visto l'inattesa vittoria della candidata del centro-destra Kolinda Grabar-Kitarovic, prima donna e prima esponente dell'Hdz a conquistare la più alta carica dello stato, e la sconfitta del presidente uscente Ivo Josipovic che sembra aver pagato più che altro la sfiducia degli elettori nell'attuale governo di centro-sinistra.
Gli altri argomenti della trasmissione
Albania: la promozione della convivenza religiosa, il contrasto del fondamentalismo e la cooperazione con l'Italia nella lotta al terrorismo.
Kosovo: la visita del premier serbo Aleksandar Vucic nel nord e le contestazioni da parte di alcuni kosovari albanesi e le iniziative del governo di Pristina per il controllo e la gestione dell'importante complesso minerario di Trepce.
La puntata, realizzata con la collaborazione di Marina Szikora e Artur Nura, è ascoltabile direttamente qui:
sabato 17 gennaio 2015
ALLARGAMENTO UE: IL MAGRO BILANCIO DEL SEMESTRE ITALIANO
Intervista a Davide Denti, vicedirettore di Eastjournal.net
Il 13 gennaio si è chiuso definitivamente il semestre italiano di presidenza del Consiglio dell’Unione europea. Il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, a Strasburgo, nel suo discorso davanti al Parlamento europeo, ha sottolineato l'importanza dell'integrazione europea dei Balcani, citando espressamente Albania, Serbia e Montenegro. Il 2014 avrebbe potuto essere un anno favorevole all'avanzamento del processo di integrazione della regione: la presidenza di turno è toccata, infatti, prima alla Grecia e poi all'Italia, due paesi tradizionalmente amici dei Balcani. Inoltre, c'erano stati in precedenza fatti positivi: nel 2013 l’accordo sulla normalizzazione delle relazioni tra Serbia e Kosovo e l'ingresso della Croazia nell'UE; nel 2014 l'avvio dei negoziati di adesione con la Serbia, lo status di Paese candidato dell'Albania, l'Accordo di stabilizzazione e associazione con il Kosovo (che non dovrà passare per la ratifica dei 28 Paesi membri).
Il 13 gennaio si è chiuso definitivamente il semestre italiano di presidenza del Consiglio dell’Unione europea. Il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, a Strasburgo, nel suo discorso davanti al Parlamento europeo, ha sottolineato l'importanza dell'integrazione europea dei Balcani, citando espressamente Albania, Serbia e Montenegro. Il 2014 avrebbe potuto essere un anno favorevole all'avanzamento del processo di integrazione della regione: la presidenza di turno è toccata, infatti, prima alla Grecia e poi all'Italia, due paesi tradizionalmente amici dei Balcani. Inoltre, c'erano stati in precedenza fatti positivi: nel 2013 l’accordo sulla normalizzazione delle relazioni tra Serbia e Kosovo e l'ingresso della Croazia nell'UE; nel 2014 l'avvio dei negoziati di adesione con la Serbia, lo status di Paese candidato dell'Albania, l'Accordo di stabilizzazione e associazione con il Kosovo (che non dovrà passare per la ratifica dei 28 Paesi membri).
Per quanto riguarda la politica d’allargamento, il bilancio del semestre italiano rimane invece assai magro. L’unico passo avanti formale è stata l’apertura di quattro nuovi capitoli negoziali con il Montenegro e il lancio della macro-regione adriatico-ionica, iniziativa importante ma che convolge 4 Paesi membri UE (Italia, Grecia, Croazia e Slovenia) e 4 Paesi candidati (Albania, Bosnia, Montenegro e Serbia), ma non potrà contare su risorse e un bilancio aggiuntivo rispetto ai vari fondi UE e bilaterali ed esclude Kosovo e Macedonia per via dei veti della Grecia e della Serbia. Ma proprio la Grecia si è mostrata ben poco interessata al proprio ruolo storico, mentre le tante scadenze elettorali, dalle elezioni europee a quelle in Bosnia, Serbia e Kosovo, hanno ulteriormente fatto perdere tempo. Così il 2014 è stato un anno sprecato e la presidenza italiana non è riuscita a portare a casa quasi nulla.
Questo in estrema sintesi il contenuto dell'analisi di Davide Denti pubblicata su Eastjournal.net.
Ascolta qui l'intervista per Radio Radicale
Allargamento UE, il magro bilancio della presidenza italiana del Consiglio UE
di Davide Denti - Eastjournal.net, 14 gennaio 2015
Da SARAJEVO - Il 13 gennaio, con il passaggio di consegne alla Lettonia, si è chiuso definitivamente il semestre italiano di presidenza del Consiglio dell’Unione europea. E anche per quanto riguarda la politica d’allargamento, il bilancio del semestre rimane magro. L’unico passo avanti formale dei paesi dei Balcani occidentali verso l’integrazione europea è stata l’apertura di quattro nuovi capitoli negoziali con il Montenegro, oltre al lancio della strategia macroregionale adriatico-ionica. Ferme al palo Serbia e Albania, i maggiori paesi della regione, così come Macedonia, Kosovo e Bosnia ed Erzegovina.
venerdì 16 gennaio 2015
TURCHIA: CUMHURIYET PUBBLICA ALCUNE PAGINE DELL'ULTIMO NUMERO DI CHARLIE HEBDO
Il quotidiano fondato dal padre della
Turchia moderna Kemal Atatürk nel 1924, ha sfidato apertamente il
regime di Recep Tayyip Erdoğan diffondendo una parte del numero
speciale di Charlie Hebdo realizzato dopo la strage del 7 gennaio.
Insieme all'italiano “Fatto Quotidiano” è la sola pubblicazione
non francese che lo ha fatto, uscendo nelle edicole con una tiratura
di 100 mila copie contro le abituali 60.000 (e in alcuni quartieri di
Istanbul è andato esaurito fin dal mattino).
La decisione non è stata presa a cuor
leggero e il dibattito è stato acceso all'interno della redazione.
Alla fine, come ha spiegato il direttore del giornale Utku Çakırözer
su Twitter, è stato di non pubblicare la prima pagina di Charlie con
l'illustrazione sul profeta. Ma non tutti hanno approvato la scelta:
due editorialisti, Hikmet Çetinkaya e Ceyda Karan, l'hanno perciò
inserita come immagine nei loro pezzi.
Anche la stampa del numero non è stata
semplice: martedì notte alcuni poliziotti hanno effettuato una
perquisizione all'interno della tipografia del giornale che ha
provocato un ritardo di un'ora nella pubblicazione, mentre al mattino
altri poliziotti stazionavano davanti agli uffici del quotidiano. Un
impiegato di Cumhuriyet, sotto garanzia di anonimato, ha dichiarato a
Hürriyet che al quotidiano sarebbero arrivate “diverse centinaia
di minacce di morte”.
CROAZIA E BOSNIA DOPO L'ELEZIONE DI GRABAR-KITAROVIC
L'elezione di Kolinda Grabar-Kitarovic alla presidenza della Croazia, con la determinante partecipazione al voto dei croati di Bosnia
Erzegovina, apre nuovi scenari nei rapporti tra Zagabria e Sarajevo. Su questo particolare aspetto del voto dell'11 gennaio in Croazia, è da segnalare l'interessante analisi di Rodolfo Toé su Osservatorio Balcani e Caucaso.
"La novità - scrive Toè - potrebbe avere degli effetti sull'equilibrio della regione, soprattutto in Bosnia Erzegovina, dove proprio la questione dei diritti dei croati bosniaci è stata una delle più delicate della scorsa legislatura, in particolar modo in relazione alla sentenza della Corte Europea sul caso Sejdić-Finci e sulla necessità (ormai non più rinviabile) di rivedere gli accordi di pace di Dayton, che buona parte dell'opinione pubblica e della comunità internazionale ritiene superati".
Stando alle dichiarazioni di Grabar Kitarović, l'impressione è che la Croazia cerchi di ritagliarsi un ruolo da protagonista nelle questioni bosniache, anche se esiste la possibilità che la nuova presidente croata stia semplicemente facendo della retorica: "Molto probabilmente, occorrerà attendere i prossimi mesi per capire quale sarà l'impatto effettivo del cambio al vertice dello stato croato", conclude Rodolfo Toè.
Il testo integrale dell'articolo su Osservatorio Balcani e Caucaso
"La novità - scrive Toè - potrebbe avere degli effetti sull'equilibrio della regione, soprattutto in Bosnia Erzegovina, dove proprio la questione dei diritti dei croati bosniaci è stata una delle più delicate della scorsa legislatura, in particolar modo in relazione alla sentenza della Corte Europea sul caso Sejdić-Finci e sulla necessità (ormai non più rinviabile) di rivedere gli accordi di pace di Dayton, che buona parte dell'opinione pubblica e della comunità internazionale ritiene superati".
Stando alle dichiarazioni di Grabar Kitarović, l'impressione è che la Croazia cerchi di ritagliarsi un ruolo da protagonista nelle questioni bosniache, anche se esiste la possibilità che la nuova presidente croata stia semplicemente facendo della retorica: "Molto probabilmente, occorrerà attendere i prossimi mesi per capire quale sarà l'impatto effettivo del cambio al vertice dello stato croato", conclude Rodolfo Toè.
Il testo integrale dell'articolo su Osservatorio Balcani e Caucaso
martedì 13 gennaio 2015
CROAZIA: KOLINDA GRABAR-KITAROVIC E' LA NUOVA PRESIDENTE
Kolinda Grabar-Kitarovic è la nuova presidente della Croazia, la quarta dall'indipendenza e la prima donna alla più alta carica dello Stato. 46 anni, esponente dell'Hdz, il principale partito di centro-destra, attualmente all'opposizione, già ministro degli Esteri del governo di Ivo Sanader e attualmente vice-segretario della Nato, ha battuto al ballottaggio per una manciata di voti e un po' a sorpresa (ma forse nemmeno troppo, visto l'esito del primo turno) il presidente uscente Ivo Josipovic, dato per favorito dai sondaggi della vigilia: 50,5% per Grabar-Kitarovic contro 49,5% per Josipovic, questo l'esito del voto di domenica 11 gennaio che ha visto un'afflluenza ai seggi del 58,9% con un aumento del 12% rispetto al primo turno.
Josipovic, che durante il suo mandato ha sempre goduto di un ampio consenso popolare, più che un calo di consensi personali pare aver scontato la sfiducia nell'attuale premier social-democratico Zoran Milanovic e nel suo governo sostenuto dalla "Coalizione Kukuriku" (dal nome del ristorante dove nacque questo progetto politico), a causa della perdurante crisi economica. Le presidenziali erano considerate un test politico importante in vista delle elezioni parlamentari che potrebbero tenersi verso la fine del 2015. Visto l'esito finale, e data la crisi economica che continua ad attanagliare il Paese, la vittoria di domenica scorsa potrebbe a questo punto essere il preludio del ritorno al potere dell'Hdz fra circa un anno.
Qui di seguito un primo commento a caldo di Marina Szikora sull'esito del voto per il notiziario serale di Radio Radicale di lunedì 12 gennaio
Josipovic, che durante il suo mandato ha sempre goduto di un ampio consenso popolare, più che un calo di consensi personali pare aver scontato la sfiducia nell'attuale premier social-democratico Zoran Milanovic e nel suo governo sostenuto dalla "Coalizione Kukuriku" (dal nome del ristorante dove nacque questo progetto politico), a causa della perdurante crisi economica. Le presidenziali erano considerate un test politico importante in vista delle elezioni parlamentari che potrebbero tenersi verso la fine del 2015. Visto l'esito finale, e data la crisi economica che continua ad attanagliare il Paese, la vittoria di domenica scorsa potrebbe a questo punto essere il preludio del ritorno al potere dell'Hdz fra circa un anno.
Qui di seguito un primo commento a caldo di Marina Szikora sull'esito del voto per il notiziario serale di Radio Radicale di lunedì 12 gennaio
lunedì 12 gennaio 2015
CROAZIA: JOSIPOVIC E GRABAR-KITAROVIC A CACCIA DI OGNI SINGOLO VOTO
La puntata di Passaggio a Sud Est di domenica 11 gennaio è andata in onda poco dopo la chiusura dei seggi per il secondo turno delle presidenziali in Croazia ed è stata registrata nel pomeriggio, quando ancora le votazioni erano in corso.
Questa parte della corrispondenza di Marina Szikora che riportiamo qui di seguito è quindi, per forza di cose, limitata alle previsioni alla vigilia del voto, rimandando alla successiva puntata per le analisi dell'esito del voto e delle sue conseguenze.
Come abbiamo gia' detto subito dopo il primo turno svoltosi lo scorso 28 dicembre, a sorpresa di tutte le precedenti previsioni, l'attuale presidente e candidato per il secondo mandato, Ivo Josipovic, la cui candidatura gode dell'appoggio dell'attuale coalizione governativa, in tutto di 17 partiti, ha vinto con una percentuale sottilissima contro la seconda arrivata dei quattro candidati che c'erano in gara. La sua sfidante al ballottaggio quindi e' la candidata del maggiore partito di opposizione, HDZ, Kolinda Grabar Kitarovic gia' ministro degli esteri del governo Sanader e attualmente vice del segretario generale della NATO per la diplomazia pubblica. In questa corrispondenza dunque, soltanto le previsioni, le analisi ovvero i commenti di una parte dei media internazionali a questo voto per il sesto mandato del presidente della Croazia dalla sua indipendenza. Si parla del voto piu' imprevedibile nella storia del Paese.
In Bulgaria, ad esempio Euinside scrive che in Croazia soffiano venti di cambiamenti e si afferma che le elezioni presidenziali in Croazia del fine anno hanno dato alcune sorprese e molto materiale per le analisi e riflessioni. La piu' grande sorpresa e' il fatto che per quanto riguarda il primo turno delle elezioni ha profittato il piu' giovane candidato nella storia del paese, il 25enne Ivan Vilibor Sincic. Lui e' riuscito a sconfiggere tutte le previsioni ottenendo 16,42 per cento di voti e questo grazie all'aiuto di una modestissima somma di danaro. (…) La seconda sorpErsa, scrive il media bulgaro, e' che Kolinda Grabar Kitarovic, candidata dell'HDZ dalle fila della destra, ha ottenuto quasi lo stesso numero di voti come l'attuale presidente Ivo Josipovic. (…) Ma dietro questi dati si nascondono relazioni piu' coplesse, si dice in questo commento e si afferma che la Croazia e' matura per i cambiamenti ma la domanda e' a quali cambiamenti. Lo scorso anno per la Croazia e' stato cruciale, scrive 'Euinside' e precisa che sono crollate le illusioni che la crisi economica del paese sia uno scombussolamento temporaneo che passera' appena migliorera' la situazione economica nei paesi della zona euro ed e' stato confermato che si tratta di un problema sistematico. Per questo motivo le questioni chiave nella campagna elettorale sono state quelle economiche.
Questa parte della corrispondenza di Marina Szikora che riportiamo qui di seguito è quindi, per forza di cose, limitata alle previsioni alla vigilia del voto, rimandando alla successiva puntata per le analisi dell'esito del voto e delle sue conseguenze.
Kolinda Grabar-Kitarovic e Ivo Josipovic |
In Bulgaria, ad esempio Euinside scrive che in Croazia soffiano venti di cambiamenti e si afferma che le elezioni presidenziali in Croazia del fine anno hanno dato alcune sorprese e molto materiale per le analisi e riflessioni. La piu' grande sorpresa e' il fatto che per quanto riguarda il primo turno delle elezioni ha profittato il piu' giovane candidato nella storia del paese, il 25enne Ivan Vilibor Sincic. Lui e' riuscito a sconfiggere tutte le previsioni ottenendo 16,42 per cento di voti e questo grazie all'aiuto di una modestissima somma di danaro. (…) La seconda sorpErsa, scrive il media bulgaro, e' che Kolinda Grabar Kitarovic, candidata dell'HDZ dalle fila della destra, ha ottenuto quasi lo stesso numero di voti come l'attuale presidente Ivo Josipovic. (…) Ma dietro questi dati si nascondono relazioni piu' coplesse, si dice in questo commento e si afferma che la Croazia e' matura per i cambiamenti ma la domanda e' a quali cambiamenti. Lo scorso anno per la Croazia e' stato cruciale, scrive 'Euinside' e precisa che sono crollate le illusioni che la crisi economica del paese sia uno scombussolamento temporaneo che passera' appena migliorera' la situazione economica nei paesi della zona euro ed e' stato confermato che si tratta di un problema sistematico. Per questo motivo le questioni chiave nella campagna elettorale sono state quelle economiche.
BELGRADO ASSUME LA PRESIDENZA DELL'OSCE, MA NON TUTTI SONO ENTUSIASTI
Di Marina Szikora
Dal 1 gennaio 2015 la presidenza dell'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE) è passata nelle mani di Belgrado. Il giornale austriaco 'Die Presse' scrive in questi giorni che nel mezzo della crisi ucraina, la presidenza dell'OSCE passa al paese che si trova a bilanciare tra l'Est e l'Ovest. Nuovi impulsi dal governo di Belgrado non bisogna aspettarsi ed i critici avvertono che ci potrebbero essere anche delle gaffe, scrive 'Die Presse'. Ma il presidente della Serbia, Tomislav Nikolic e' ottimista quando si tratta di questa presidenza e afferma che la Serbia nel conflitto in Ucraina “non favoreggia nessuno”. Ha aggiunto che la presidenza all'OSCE e' “una occasione ideale” di portare tutti i partecipanti della crisi ucraina allo stesso tavolo. “Noi non saremo soltanto da una parte” ha detto Nikolic. Il giornale austriaco osserva che la Serbia si trova pero' in un grande discrepanza tra Bruxelles e Mosca e si comporta in modo indeciso e contrastante. Belgrado da una parte dice di rispettare l'integrita' territoriale dell'Ucraina, dall'altra parte il paese candidato all'adesione all'Ue non accetta le sanzioni contro la Russia. Inoltre, a novembre la Serbia ha permesso a due rappresentanti del governo di partire senza sanzioni dai separatisti in Donjeck e Lugansk, scrive 'Die Presse'. I critici quindi piu' preoccupati che felici si aspettano la presidenza dell'OSCE passata dalla Svizzera alla Serbia e temono le gaffe di Belgrado. Il ministro degli esteri serbo, Ivica Dacic ha ammesso che Belgrado si trova di fronte “alla grande sfida” e quasi come se si volesse scusare ha spiegato che la presidenza non e' stata richiesta dall'attuale bensi' dal precedente governo di Belgrado.
“Invece di assumersi la responsabilita', il capo della diplomazia serba ne sta nuovamente sfuggendo” ha osservato l'ex presidente della Serbia, Boris Tadic aggiungendo che “Dacic ha avuto paura ancora prima di aver assunto la presidenza dell'OSCE”. “Tali dichiarazioni sono vergognose per la Serbia e danno l'immagine come se fossimo un paese di gente incapace e irresponsabile” ha detto Tadic. La presidenza ad una organizzazione come l'OSCE e' “una grande occasione” ma non esclude “il naufragio” osserva invece l'ex ministro degli esteri, Vuk Draskovic. Questo ex dissidente vede il problema della verita' nella posizione contro europea latente di molti funzionari e media nonche' nell' attuazione apatica dell'accordo di Bruxelles sul Kosovo, scrive 'Die Presse'. Infine, secondo il giornale austriaco, Belgrado non dimostra nessuna chiara strategia nella crisi ucraina. Dalla Serbia alla guida dell'OSCE non si aspettano grandi impulsi nell'arena internazionale. Ma integrata nella troica con la presidenza uscente Svizzera e quella successiva – la Germania, che presiedera' nel 2016, questo stato balcanico dovrebbe far passare l'OSCE attraverso il suo 40 esimo anno di giubileo almeno senza grandi fallimenti, conclude 'Die Presse'. E sullo stesso tema la Deutsche Welle tedesca pone la domanda se la Serbia in base alle sue buone relazioni sia con l'Est che con l'Ovest possa aiutare a trovare una soluzione per quanto riguarda la crisi in Ucraina.
Il media tedesco osserva che la modestia non e' mai stata una qualifica della classe politica serba e che sono stati grandi i progetti che Belgrado preannunciava in vista della presidenza dell'OSCE. Quest'anno si celebrano i 40 anni dell'accordo di Helsinki in cui sono state stabilite le basi per, come si credeva allora, una Europa sicura. Un anniversario quindi molto carino per le grandi cerimonie quali non sono una cosa strana per la Serbia, ma possono aiutare anche l'immagine degradata del paese, osserva la DW. Si constatano pero' altrettanto che ci sono sempre piu' quelli che si chiedono se la Serbia sia in grado a presiedere all'OSCE in una situazione cosi' complicata. La Serbia e' attualmente situata nella freddolosa sala d'aspetto europea e li ci rimarra' almeno per altri cinque anni – cosi' hanno detto i nuovi vertici della Commissione Europea, prosegue la DW e aggiunge che l'orientamento europeo non ha pero' in nessun modo titubato le autorita' serbe a dimostrare con forti simboli la loro affezione verso la Russia – quello piu' visibile e' stato il rifiuto decisivo delle sanzioni, la parata militare megalomane per Putin a Belgrado e i congiunti allenamenti militari.
Recentemente, il segretario generale dell'OSCE, Lamberto Zannier, sempre per la DW ha detto che “questi sono gli elementi positivi in base ai quali Belgrado puo' giocare un ruolo di mediatore sincero”. Zannier ha aggiunto che i mediatori neutrali ricevono critiche sia dalla sinistra che dalla destra, ma che soltanto un mediatore neutrale puo' realizzare passi in avanti. Dragan Simeunovic, professore della Facolta' di scienze politiche di Belgrado condivide queste affermazioni e rileva che la Serbia non sara' un decision maker ma che ha una chance a contribuire ad un importante processo di pace. “La vita, storia e favole ci insegnano che qualche volta i piccoli possono fare molto per i grandi” afferma questo analista politico serbo. Non la pensa cosi' Dusan Reljic, capo dell'ufficio brixellese della fondazione tedesca Scienza e politica. Lui non ha molte illusioni e afferma che le principali forze europee, Francia e Germania si trovano in un dialogo diretto con Mosca e non hanno bisogno di mediatori. E' convinto che piccoli paesi quali la Serbia la quale essa stessa deve affrontare difficolta' economiche e grandi sfide di politica interna ed estera, quali il Kosovo - non possono contribuire molto alla soluzione di problemi globali.
Il testo è tratto dalla trascrizione del contributo per la puntata di Passaggio a Sud Est andata in onda l'11 gennaio a Radio Radicale.
Dal 1 gennaio 2015 la presidenza dell'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE) è passata nelle mani di Belgrado. Il giornale austriaco 'Die Presse' scrive in questi giorni che nel mezzo della crisi ucraina, la presidenza dell'OSCE passa al paese che si trova a bilanciare tra l'Est e l'Ovest. Nuovi impulsi dal governo di Belgrado non bisogna aspettarsi ed i critici avvertono che ci potrebbero essere anche delle gaffe, scrive 'Die Presse'. Ma il presidente della Serbia, Tomislav Nikolic e' ottimista quando si tratta di questa presidenza e afferma che la Serbia nel conflitto in Ucraina “non favoreggia nessuno”. Ha aggiunto che la presidenza all'OSCE e' “una occasione ideale” di portare tutti i partecipanti della crisi ucraina allo stesso tavolo. “Noi non saremo soltanto da una parte” ha detto Nikolic. Il giornale austriaco osserva che la Serbia si trova pero' in un grande discrepanza tra Bruxelles e Mosca e si comporta in modo indeciso e contrastante. Belgrado da una parte dice di rispettare l'integrita' territoriale dell'Ucraina, dall'altra parte il paese candidato all'adesione all'Ue non accetta le sanzioni contro la Russia. Inoltre, a novembre la Serbia ha permesso a due rappresentanti del governo di partire senza sanzioni dai separatisti in Donjeck e Lugansk, scrive 'Die Presse'. I critici quindi piu' preoccupati che felici si aspettano la presidenza dell'OSCE passata dalla Svizzera alla Serbia e temono le gaffe di Belgrado. Il ministro degli esteri serbo, Ivica Dacic ha ammesso che Belgrado si trova di fronte “alla grande sfida” e quasi come se si volesse scusare ha spiegato che la presidenza non e' stata richiesta dall'attuale bensi' dal precedente governo di Belgrado.
“Invece di assumersi la responsabilita', il capo della diplomazia serba ne sta nuovamente sfuggendo” ha osservato l'ex presidente della Serbia, Boris Tadic aggiungendo che “Dacic ha avuto paura ancora prima di aver assunto la presidenza dell'OSCE”. “Tali dichiarazioni sono vergognose per la Serbia e danno l'immagine come se fossimo un paese di gente incapace e irresponsabile” ha detto Tadic. La presidenza ad una organizzazione come l'OSCE e' “una grande occasione” ma non esclude “il naufragio” osserva invece l'ex ministro degli esteri, Vuk Draskovic. Questo ex dissidente vede il problema della verita' nella posizione contro europea latente di molti funzionari e media nonche' nell' attuazione apatica dell'accordo di Bruxelles sul Kosovo, scrive 'Die Presse'. Infine, secondo il giornale austriaco, Belgrado non dimostra nessuna chiara strategia nella crisi ucraina. Dalla Serbia alla guida dell'OSCE non si aspettano grandi impulsi nell'arena internazionale. Ma integrata nella troica con la presidenza uscente Svizzera e quella successiva – la Germania, che presiedera' nel 2016, questo stato balcanico dovrebbe far passare l'OSCE attraverso il suo 40 esimo anno di giubileo almeno senza grandi fallimenti, conclude 'Die Presse'. E sullo stesso tema la Deutsche Welle tedesca pone la domanda se la Serbia in base alle sue buone relazioni sia con l'Est che con l'Ovest possa aiutare a trovare una soluzione per quanto riguarda la crisi in Ucraina.
Il media tedesco osserva che la modestia non e' mai stata una qualifica della classe politica serba e che sono stati grandi i progetti che Belgrado preannunciava in vista della presidenza dell'OSCE. Quest'anno si celebrano i 40 anni dell'accordo di Helsinki in cui sono state stabilite le basi per, come si credeva allora, una Europa sicura. Un anniversario quindi molto carino per le grandi cerimonie quali non sono una cosa strana per la Serbia, ma possono aiutare anche l'immagine degradata del paese, osserva la DW. Si constatano pero' altrettanto che ci sono sempre piu' quelli che si chiedono se la Serbia sia in grado a presiedere all'OSCE in una situazione cosi' complicata. La Serbia e' attualmente situata nella freddolosa sala d'aspetto europea e li ci rimarra' almeno per altri cinque anni – cosi' hanno detto i nuovi vertici della Commissione Europea, prosegue la DW e aggiunge che l'orientamento europeo non ha pero' in nessun modo titubato le autorita' serbe a dimostrare con forti simboli la loro affezione verso la Russia – quello piu' visibile e' stato il rifiuto decisivo delle sanzioni, la parata militare megalomane per Putin a Belgrado e i congiunti allenamenti militari.
Recentemente, il segretario generale dell'OSCE, Lamberto Zannier, sempre per la DW ha detto che “questi sono gli elementi positivi in base ai quali Belgrado puo' giocare un ruolo di mediatore sincero”. Zannier ha aggiunto che i mediatori neutrali ricevono critiche sia dalla sinistra che dalla destra, ma che soltanto un mediatore neutrale puo' realizzare passi in avanti. Dragan Simeunovic, professore della Facolta' di scienze politiche di Belgrado condivide queste affermazioni e rileva che la Serbia non sara' un decision maker ma che ha una chance a contribuire ad un importante processo di pace. “La vita, storia e favole ci insegnano che qualche volta i piccoli possono fare molto per i grandi” afferma questo analista politico serbo. Non la pensa cosi' Dusan Reljic, capo dell'ufficio brixellese della fondazione tedesca Scienza e politica. Lui non ha molte illusioni e afferma che le principali forze europee, Francia e Germania si trovano in un dialogo diretto con Mosca e non hanno bisogno di mediatori. E' convinto che piccoli paesi quali la Serbia la quale essa stessa deve affrontare difficolta' economiche e grandi sfide di politica interna ed estera, quali il Kosovo - non possono contribuire molto alla soluzione di problemi globali.
Il testo è tratto dalla trascrizione del contributo per la puntata di Passaggio a Sud Est andata in onda l'11 gennaio a Radio Radicale.
UNGHERIA: LA POPOLARITA' DELL'UOMO FORTE DI BUDAPEST IN EVIDENTE CALO
Non ci siamo occupati spesso di Ungheria, che del resto non appartiene all'Europa sud-orientale, ma ciò che accade da qualche anno, dopo l'arrivo al potere di Viktor Orban e del suo partito Fidesz, merita di essere tenuto d'occhio: dalle leggi autoritarie al controllo dei media, dall'insofferenza per i vincoli comunitari all'avanzata di movimenti xenofobi e antisemiti come Jobbik con la sua iconografia che rimanda in maniera nemmeno troppo velata all'immaginario hitleriano. Da qualche tempo, la popolarità dell'uomo forte di Budapest, nonostante la recente vittoria elettorale, appare in calo: proteste popolari, dissidi con una parte della leadership di Fidesz, le polemiche con gli Usa. Un punto della situazione.
Di Marina Szikora
“Viktor sta andando in guerra” cosi' il titolo del prestigioso “The Economist” britannico del 3 gennaio sul contenzioso del premier ungherese Viktor Orban con una parte della leadership del suo partito e con gli Stati Uniti. Il giornale britannico scrive in questo articolo che l'Anno nuovo non e' iniziato bene per il conflittuale premier ungherese, Viktor Orban. L'appoggio al suo partito di destra Fidesz sta diminuendo. Secondo i recenti risultati del sondaggio Mediana, la popolarita' del partito e' calata dal 38 al 26 per cento il che significa la perdita di circa 900 000 votanti. La popolarita' personale di Orban e' calata di 16 punti in percentuale e anche altri sondaggi dimostrano simili risultati, scrive “The Economist”. La ragione dell'insoddisfazione e' stata la proposta di tasse per Internet che poi e' stata subito ritirata dopo che le manifestazioni in piazza a Budapest hanno riunito diverse decine di migliaia di manifestanti. E' stato il primo significativo indietreggiamento del governo dalla sua netta vittoria elettorale dell'aprile 2014, ma quello che sorprende e' che questo non ha calmato gli ungheresi amareggiati bensi' ulteriormente stimolato.
La loro furia ha radici profonde. Girano voci sul patrimonio lussuoso e sugli immobili aristocratici di cui nonostante la crescita della poverta' godono alcuni ministri del suo governo e i loro amici il che sta causando divisioni all'interno del Fidesz. L'ex presidente del partito e ministro dell'educazione, Zoltan Pokorni, il quale attualmente e' presidente di uno dei comuni di Budapest, ha invitato a porre fine “agli stili di vita fastosi” degli esponenti del governo e “politici di spicco”. Per questo Pokorni si e' guadagnato una pecca da parte del capo del gabinetto di Orban, Janos Lazar, ma le sue critiche hanno fatto grande colpo sull'opinione pubblica. Inoltre, e' sempre maggiore la preoccupazione all'interno del Fidesz a causa della possibilita' che il contenzioso con gli americani si trasformi in una vera crisi diplomatica, informa il giornale britannico. Piu' precisamente, a sei funzionari ungheresi e' stato vietato l'ingresso negli Stati Uniti per presunta corruzione. Una sanzione molto insolita contro uno degli alleati della NATO. Gli Stati Uniti si rifiutano di dare informazione sui nomi di questi funzionari appellandosi al diritto della privacy. Pero', il capo delle autorita' finanziarie, Ildiko Vidasama ha ammesso di trovarsi sulla lista di questi nomi ma nega fermamente azioni corruttive. Con l'appoggio di Orban, Vidasama ha fatto causa contro il charge d'affaires americano di Budapest, Andre Goodfriend per calunnia. La causa molto probabilmente non portera' a nulla poiche' Goodfriend ha imunita' diplomatica.
Grazie alle feste natalizie le emozioni hanno occasione di placarsi, scrive “The Economist” e la politica estera ungherese puo' cambiare. Il giramento verso Mosca dopo la crisi ucraina e il crollo del rublo ha avuto insuccesso. I funzionari ungheresi si confidano con gli ambasciatori occidentali che la molto plaudita “apertura verso l'Est” non ha dato risultati di guadagno del commercio e degli investimenti come aspettati. Il presidente Putin ha cancellato il progetto del gasdotto South Stream che l'Ungheria aveva appoggiato e questo e' stato un colpo alla strategia energetica ungherese. Ma Orban ed i suoi ministri non hanno ricucito le relazioni con gli americani, bensi' iniziato l'attacco, scrive il giornale britannico e aggiunge che Orban ha rigettato le accuse sulla corruzione come “una scusa” per i tentativi americani di aumentare la loro influenza nella regione. Secondo l'uomo forte dell'Ungheria, Viktor Orban, gli Stati Uniti si mischiano nelle questioni politiche interne dei paesi centro europei. Orban e' dell'opinione che le principali ragioni di questa situazione sono il conflitto in Ucraina e i negoziati tra l'Ue e gli Stati Uniti relativi al libero commercio.
Il portavoce del segretario di stato americano su questo ha risposto che gli Stati Uniti esprimono al governo ungherese soltanto preoccupazioni sulla situazione della democrazia e lo stato di diritto. Affermazioni aggressive sul comportamento americano finora hanno espresso il capo del gabinetto del premier, Lazar, poi il presidente del parlamento Antal Rogan e il ministro degli esteri ungherese Peter Szijjarto, nelle diverse interviste ai media vicini al governo, rileva 'The Economist' e precisa che Szijjarto ha dichiarato per il “Magyar Nemzet” che “le forze internazionali ed interne” vogliono “destabilizzare” l'Ungheria. Infine, il giornale precisa che come detto dal portavoce del governo, Zoltan Kovacs, il contenzioso con gli Stati Uniti ha le sue radici nell'approvazione della controversa legge sui media. Secondo le sue affermazioni “vi e' una visibile e palpabile insoddisfazione dell'amministrazione americana con il governo ungherese sin dal 2011”.
Il testo è tratto dalla trascrizione di una parte del contributo per la puntata di Passaggio a Sud Est andata in onda l'11 gennaio a Radio Radicale.
Il premier ungherese Viktor Orban |
“Viktor sta andando in guerra” cosi' il titolo del prestigioso “The Economist” britannico del 3 gennaio sul contenzioso del premier ungherese Viktor Orban con una parte della leadership del suo partito e con gli Stati Uniti. Il giornale britannico scrive in questo articolo che l'Anno nuovo non e' iniziato bene per il conflittuale premier ungherese, Viktor Orban. L'appoggio al suo partito di destra Fidesz sta diminuendo. Secondo i recenti risultati del sondaggio Mediana, la popolarita' del partito e' calata dal 38 al 26 per cento il che significa la perdita di circa 900 000 votanti. La popolarita' personale di Orban e' calata di 16 punti in percentuale e anche altri sondaggi dimostrano simili risultati, scrive “The Economist”. La ragione dell'insoddisfazione e' stata la proposta di tasse per Internet che poi e' stata subito ritirata dopo che le manifestazioni in piazza a Budapest hanno riunito diverse decine di migliaia di manifestanti. E' stato il primo significativo indietreggiamento del governo dalla sua netta vittoria elettorale dell'aprile 2014, ma quello che sorprende e' che questo non ha calmato gli ungheresi amareggiati bensi' ulteriormente stimolato.
La loro furia ha radici profonde. Girano voci sul patrimonio lussuoso e sugli immobili aristocratici di cui nonostante la crescita della poverta' godono alcuni ministri del suo governo e i loro amici il che sta causando divisioni all'interno del Fidesz. L'ex presidente del partito e ministro dell'educazione, Zoltan Pokorni, il quale attualmente e' presidente di uno dei comuni di Budapest, ha invitato a porre fine “agli stili di vita fastosi” degli esponenti del governo e “politici di spicco”. Per questo Pokorni si e' guadagnato una pecca da parte del capo del gabinetto di Orban, Janos Lazar, ma le sue critiche hanno fatto grande colpo sull'opinione pubblica. Inoltre, e' sempre maggiore la preoccupazione all'interno del Fidesz a causa della possibilita' che il contenzioso con gli americani si trasformi in una vera crisi diplomatica, informa il giornale britannico. Piu' precisamente, a sei funzionari ungheresi e' stato vietato l'ingresso negli Stati Uniti per presunta corruzione. Una sanzione molto insolita contro uno degli alleati della NATO. Gli Stati Uniti si rifiutano di dare informazione sui nomi di questi funzionari appellandosi al diritto della privacy. Pero', il capo delle autorita' finanziarie, Ildiko Vidasama ha ammesso di trovarsi sulla lista di questi nomi ma nega fermamente azioni corruttive. Con l'appoggio di Orban, Vidasama ha fatto causa contro il charge d'affaires americano di Budapest, Andre Goodfriend per calunnia. La causa molto probabilmente non portera' a nulla poiche' Goodfriend ha imunita' diplomatica.
Grazie alle feste natalizie le emozioni hanno occasione di placarsi, scrive “The Economist” e la politica estera ungherese puo' cambiare. Il giramento verso Mosca dopo la crisi ucraina e il crollo del rublo ha avuto insuccesso. I funzionari ungheresi si confidano con gli ambasciatori occidentali che la molto plaudita “apertura verso l'Est” non ha dato risultati di guadagno del commercio e degli investimenti come aspettati. Il presidente Putin ha cancellato il progetto del gasdotto South Stream che l'Ungheria aveva appoggiato e questo e' stato un colpo alla strategia energetica ungherese. Ma Orban ed i suoi ministri non hanno ricucito le relazioni con gli americani, bensi' iniziato l'attacco, scrive il giornale britannico e aggiunge che Orban ha rigettato le accuse sulla corruzione come “una scusa” per i tentativi americani di aumentare la loro influenza nella regione. Secondo l'uomo forte dell'Ungheria, Viktor Orban, gli Stati Uniti si mischiano nelle questioni politiche interne dei paesi centro europei. Orban e' dell'opinione che le principali ragioni di questa situazione sono il conflitto in Ucraina e i negoziati tra l'Ue e gli Stati Uniti relativi al libero commercio.
Il portavoce del segretario di stato americano su questo ha risposto che gli Stati Uniti esprimono al governo ungherese soltanto preoccupazioni sulla situazione della democrazia e lo stato di diritto. Affermazioni aggressive sul comportamento americano finora hanno espresso il capo del gabinetto del premier, Lazar, poi il presidente del parlamento Antal Rogan e il ministro degli esteri ungherese Peter Szijjarto, nelle diverse interviste ai media vicini al governo, rileva 'The Economist' e precisa che Szijjarto ha dichiarato per il “Magyar Nemzet” che “le forze internazionali ed interne” vogliono “destabilizzare” l'Ungheria. Infine, il giornale precisa che come detto dal portavoce del governo, Zoltan Kovacs, il contenzioso con gli Stati Uniti ha le sue radici nell'approvazione della controversa legge sui media. Secondo le sue affermazioni “vi e' una visibile e palpabile insoddisfazione dell'amministrazione americana con il governo ungherese sin dal 2011”.
Il testo è tratto dalla trascrizione di una parte del contributo per la puntata di Passaggio a Sud Est andata in onda l'11 gennaio a Radio Radicale.
"QUI TIRANA": LA CORRISPONDENZA DI ARTUR NURA
Gli argomenti della corrispondenza di Artur Nura per la puntata di Passaggio a Sud Est andata in onda a Radio Radicale l'11 gennaio
Albania/1
La situazione politica generale all'inizio del nuovo anno dopo che il 2014 è stato contrassegnato dal continuo scontro tra la maggioranza di centro-sinistra che sostiene il governo del premier Edi Rama, leader del Partito socialista, e l'opposizione guidata dal sindaco di Tirana, Lulzim Basha, leader del Partito democratico, principale forza del centro-destra.
Albania/2
La visita a Tirana del relatore del Parlamento europeo per l'Albania per fare il punto sull'approvazione delle riforme richieste dall'UE rese difficili dallo scontro parlamentare tra maggioranza e opposizione che sta rallentando il processo di integrazione dopo la candidatura all'adesione finalmente e faticosamente raggiunta lo scorso anno.
Kosovo
Procede l'iter della legge che istituisce il tribunale speciale per giudicare i crimini di guerra commessi durante il conflitto del 1998/99, così come richiesto da Bruxelles nell'ultimo rapporto della Commissione europea sullo stato di avanzamento del processo di integrazione. Intanto prosegue il procedimento penale su alcuni crimini commessi durante la guerra che coinvolge alcuni importanti esponenti politici kosovari all'epoca dirigenti dell'Uck (l'Esercito di liberazione del Kosovo).
La registrazione integrale della puntata del 11 gennaio è ascoltabile direttamente qui http://www.radioradicale.it/scheda/430842
Albania/1
La situazione politica generale all'inizio del nuovo anno dopo che il 2014 è stato contrassegnato dal continuo scontro tra la maggioranza di centro-sinistra che sostiene il governo del premier Edi Rama, leader del Partito socialista, e l'opposizione guidata dal sindaco di Tirana, Lulzim Basha, leader del Partito democratico, principale forza del centro-destra.
Albania/2
La visita a Tirana del relatore del Parlamento europeo per l'Albania per fare il punto sull'approvazione delle riforme richieste dall'UE rese difficili dallo scontro parlamentare tra maggioranza e opposizione che sta rallentando il processo di integrazione dopo la candidatura all'adesione finalmente e faticosamente raggiunta lo scorso anno.
Kosovo
Procede l'iter della legge che istituisce il tribunale speciale per giudicare i crimini di guerra commessi durante il conflitto del 1998/99, così come richiesto da Bruxelles nell'ultimo rapporto della Commissione europea sullo stato di avanzamento del processo di integrazione. Intanto prosegue il procedimento penale su alcuni crimini commessi durante la guerra che coinvolge alcuni importanti esponenti politici kosovari all'epoca dirigenti dell'Uck (l'Esercito di liberazione del Kosovo).
La registrazione integrale della puntata del 11 gennaio è ascoltabile direttamente qui http://www.radioradicale.it/scheda/430842
PASSAGGIO IN ONDA
E' on-line la puntata di Passaggio a Sud Est del 11 gennaio 2015.
La trasmissione e' ascoltabile direttamente qui di seguito oppure sul sito di Radio Radicale.
Sommario della puntata
L'apertura della puntata odierna è dedicata - e non poteva essere altrimenti - alla strage di Parigi e alle vittime del fanatismo, contro la logica del fanatismo e della xenofobia di chi, in Europa e in Italia, parla di scontro tra civiltà e fomenta un clima da guerre di religione: "Nous sommes tous Charlie" e tutti gli altri.
Argomenti della puntata: le elezioni presidenziali in Croazia(*); la situazione politica in Albania; la presidenza dell'Osce assunta dalla Serbia; l'istituzione di un tribunale per i crimini di guerra in Kosovo; le proteste contro il premier Vikton Orban in Ungheria.
La puntata, realizzata con la collaborazione di Marina Szikora e Artur Nura, è ascoltabile direttamente qui
(*) La puntata è stata registrata nel pomeriggio del 11 gennaio, quando ancora erano aperti i seggi. Quindi la parte sulla Croazia è limitata alle analisi e alle previsioni alla vigilia del voto per le presidenziali.
La trasmissione e' ascoltabile direttamente qui di seguito oppure sul sito di Radio Radicale.
Sommario della puntata
L'apertura della puntata odierna è dedicata - e non poteva essere altrimenti - alla strage di Parigi e alle vittime del fanatismo, contro la logica del fanatismo e della xenofobia di chi, in Europa e in Italia, parla di scontro tra civiltà e fomenta un clima da guerre di religione: "Nous sommes tous Charlie" e tutti gli altri.
Argomenti della puntata: le elezioni presidenziali in Croazia(*); la situazione politica in Albania; la presidenza dell'Osce assunta dalla Serbia; l'istituzione di un tribunale per i crimini di guerra in Kosovo; le proteste contro il premier Vikton Orban in Ungheria.
La puntata, realizzata con la collaborazione di Marina Szikora e Artur Nura, è ascoltabile direttamente qui
(*) La puntata è stata registrata nel pomeriggio del 11 gennaio, quando ancora erano aperti i seggi. Quindi la parte sulla Croazia è limitata alle analisi e alle previsioni alla vigilia del voto per le presidenziali.
mercoledì 7 gennaio 2015
NOUS SOMMES TOUS CHARLIE...
... e siamo
tutti Ahmed, siamo tutti Mustapha, siamo tutti Frederick, Elsa,
George, Stephane, Bernard, e tutti i colleghi di Charlie Hebdo e le
vittime innocenti della Porte de Vincennes e
tutte le vittime innocenti del fanatismo
Lucille Clerc, "Ieri, oggi, domani" |
Non
è facile parlare e scrivere dopo quello che accaduto in questi
giorni, dalla strage alla redazione di Charlie Hebdo all'epilogo
sanguinoso di venerdì con la morte dei terroristi e di ostaggi
innocenti. Non è facile evitare di dire cose già dette e ripetute,
evitare di aggiungere altra retorica alle emozioni pur naturali e
spontanee che si provano di fronte a fatti come questi.
Certo,
di fronte a certi titoli di giornali, a certi editoriali che abbiamo
letto in queste ore, di fronte a dichiarazioni populiste,
xenofobe e razziste che pensano di rispondere all'odio e alla paura,
seminando altro odio e altre paure, verrebbe da stare in silenzio, da
invocare silenzio.
Eppure
non si può e non si deve restare in silenzio. Perché il silenzio
della paura è ciò a cui ci vorrebbero ridurre i fanatici
fondamentalisti di ogni risma. Il silenzio della paura è quello a
cui finirebbero per ridurci anche certi politici senza scrupoli con le
loro dichiarazioni irresponsabili.
Per
questo non ci si deve ridurre al silenzio e bisogna invece
scrivere e parlare, perché il diritto e la libertà di parola e di
pensiero l’Europa se li è conquistati a caro prezzo in secoli di
lotte, spesso anche a costo di tante vite umane.
Se
quello che viviamo è uno scontro di civiltà, esso non è, come
qualcuno ci racconta, uno scontro tra civiltà, ma uno scontro della
civiltà contro la barbarie. E soprattutto non è una guerra di
religione.
Noi
che da tanti anni seguiamo e raccontiamo la realtà dell'Europa sud
orientale sappiamo quanto sia stato sbagliato guardare a ciò che è
accaduto venti anni fa nella ex Jugoslavia come una guerra di
religione. La componente religiosa c'era, ma fu usata, insieme a
quella nazionalista, per aizzare un popolo contro l'altro, un'etnia
contro un'altra, una persona contro l'altra, e nascondere così le vere
ragioni dei conflitti che travolsero i Balcani.
Sono
gli stessi mostri che tornano oggi ad agitare quei politici che di nuovo
parlano di muri, di ghetti, di espulsioni, di civiltà superiori e
inferiori; che giudicano le persone a prescindere, per il colore
della pelle o per il loro credo religioso e non per quello che dicono
o che fanno o per i reati che eventualmente commettono.
La
democrazia è fragile, può perdere molte battaglie, e va difesa ogni
momento perché non deve mai essere data per scontata. Oggi,
quindi, anche noi, la nostra piccola redazione di Passaggio a Sud Est, siamo
Charlie, ognuno con le sue idee, le
sue opinioni, i suoi giudizi sulle cose del mondo e anche sul lavoro che facevano i
colleghi di Charlie Hebdo.
La
democrazia ha però in sé anche una grande forza che è proprio la sua libertà
che è anche libertà di discutere di sé stessa senza avere paura
delle idee differenti, anche quelle che appaiono scandalose o
offensive. Libertà che è anche ammettere la libertà di dissentire dalla libertà stessa.
Per
questo oggi e tutti i giorni dell'anno “siamo Charlie” e siamo Ahmed, siamo Mustapha, siamo Frederick, Elsa, George, Stephane, Bernard, e tutti i colleghi di
Charlie Hebdo e le vittime innocenti del supermercato kasher della
Porte de Vincennes e tutte le vittime del fanatismo.