Domani papa Francesco sarà in Turchia per un viaggio ufficiale che durerà tre giorni. "Migliorare l'immagine dell'Islam" agli occhi dell'Occidente e "condannare lo Stato islamico in modo inequivocabile" sono gli obiettivi che la Turchia dovrebbe raggiungere in occasione della visita del pontefice secondo quanto ha scritto martedì la giornalista Barcin Yinanc in un editoriale sul quotidiano turco Hurriyet. Yinanc nota come sia significativo che uno dei primi viaggi del papa fuori dall'Italia (il sesto dall'inizio del suo pontificato nel 2013) abbia come meta proprio la Turchia. Io aggiungerei anche, come ulteriore motivo di importanza, che il Paese della Mezzaluna è stato scelto per il secondo viaggio in Europa dopo che il primo ebbe come meta l'Albania. Dopo i Balcani, citati nel discorso del papa davanti al Parlamento europeo l'altro ieri a Strasburgo, la Turchia.
Barcin Yinanc ricorda che il primo a invitare il Pontefice in Turchia è stato il patriarca ecumenico di Costantinopoli, Bartolomeo, nel quadro della distensione dei rapporti con Roma cominciata da qualche anno e fortemente voluta proprio da Bergoglio. Ovviamente il papa non va in Turchia solo per migliorare i rapporti tra le due chiese cristiane, scrive Yinanc: gli sviluppi regionali e la posizione della Turchia danno al Paese una grande importanza. L'emergere dello cosiddetto Stato islamico ha dato "un secondo duro colpo all'immagine dell'Islam dopo gli attacchi dell'11settembre", creando risentimento nei cristiani, che accusano la comunità musulmana di non aver preso una posizione compatta e forte contro l'Is, ma anche nei musulmani che in Occidente si vedono assimilati ai terroristi.
"Proprio su questo la Turchia dovrebbe intervenire", scrive Yinanc ricordando che fu Ankara ad avvertire l'Occidente che le politiche settarie dell'ex premier iracheno Nuri al-Maliki rischiavano di spingere i sunniti nelle braccia degli estremisti e che occorreva intervenire in Siria prima che il paese diventasse il quartier generale dei terroristi. Invece "è finita che la Turchia viene criticata perché avrebbe chiuso un occhio sul passaggio attraverso il suo territorio degli estremisti diretti in Siria dando l'impressione che fosse nell'interesse di Ankara, perché combattono contro il regime di Bashar al-Assad".
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giovedì 27 novembre 2014
mercoledì 26 novembre 2014
UCRAINA E UE: IL DIBATTITO ONLINE DI OSSERVATORIO BALCANI E CAUCASO
La politica europea di vicinato è stata sviluppata a partire dal 2004 con l'obiettivo di rafforzare la prosperità, la stabilità e la sicurezza per l'Unione europea e i suoi vicini. Nell'ultimo anno si è assistito ad una drammatica escalation del conflitto in Ucraina. Possono essere attribuite responsabilità alla Politica di vicinato per aver contribuito al conflitto? Se sì, quali?
Sul tema posto da Osservatorio Balcani e Caucaso si confrontano due parlamentari europei: Jacek Saryusz-Wolski, del Partito Popolare Europeo, e Helmut Scholz, del gruppo della Sinistra Unitaria Europea. Ai lettori la possibilità di commentare i loro interventi sia sul sito che sui social network dell'Osservatorio. Cinque giorni dopo l'inizio del dibattito Paolo Bergamaschi, funzionario del Parlamento europeo, interverrà come moderatore per riassumere le diverse posizioni. Dopo un'altra settimana i due ospiti posteranno le loro conclusioni, rispondendo ad alcune delle eventuali domande poste dal pubblico.
Il dibattito è iniziato il 25 novembre e termina il 5 dicembre
Il dibattito online non è pre-moderato. I commenti dei lettori vengono pubblicati direttamente sulla pagina del dibattito. Tuttavia, i moderatori di OBC si riservano la facoltà di rimuovere ex-post commenti ritenuti estranei ai temi trattati nell’articolo (off topic), o contenuti volgari, offensivi e violenti
QUESTA SETTIMANA SU "RASSEGNA EST"
L’accelerata delle capitali
Il Pil delle grandi città del lato est dell’Ue nel periodo 2004-2011. Varsavia, Bucarest, Sofia e Bratislava le più scattanti. Praga l’unica che ha perso punti. Tre nostri grafici, con relativi commenti.
Terzetto russo
Tre conseguenze della crisi ucraina e della stagnazione economica, anche alimentata dalle sanzioni. Il rublo crolla e l’inflazione sale. Subisce una battuta d’arresto il turismo dalla Russia, asset importante del mercato mondiale. E intanto il Cremlino guarda con rinnovato interesse ai rapporti con la Cina.
Tre conseguenze della crisi ucraina e della stagnazione economica, anche alimentata dalle sanzioni. Il rublo crolla e l’inflazione sale. Subisce una battuta d’arresto il turismo dalla Russia, asset importante del mercato mondiale. E intanto il Cremlino guarda con rinnovato interesse ai rapporti con la Cina.
2014-2019Sono online le previsioni sulle economie dell’Est, da qui alla fine del decennio. Numeri del Fondo monetario internazionale, rielaborati sotto forma di grafici da Rassegna Est. E in più, tutto il resto della nostra banca dati, dai bandi pubblici alla competitività, passando per il fisco. Uno strumento per chi investe a Est, ma anche per capire la progressione di questa regione.
Il Berlusconi di Praga
L’oligarca Andrej Babis, volto nuovo della politica ceca, viene spesso associato al Cavaliere. Ma il paragone regge? Ne abbiamo scritto sul Venerdì.
L’oligarca Andrej Babis, volto nuovo della politica ceca, viene spesso associato al Cavaliere. Ma il paragone regge? Ne abbiamo scritto sul Venerdì.
La Maidan un anno dopo e la strana lotta per Donetsk Il 21 novembre 2013 iniziavano le proteste a Kiev. Si sono evolute in guerra. Il punto sulla più grave crisi internazionale degli ultimi anni. A Donetsk, intanto, si combatte duramente per l’aeroporto, malgrado la struttura non abbia più valore strategico. Perché?
Un rigassificatore contro Mosca
La Lituania guida la rincorsa dei Baltici verso una maggiore indipendenza energetica dalla Russia. Protagonista il porto di Klaipeda.
La Lituania guida la rincorsa dei Baltici verso una maggiore indipendenza energetica dalla Russia. Protagonista il porto di Klaipeda.
SESELJ TORNA IN SERBIA: TORNA ANCHE IL PASSATO?
Le dichiarazioni del capo ultranazionalista sotto processo all'Aja provoca dure reazioni in Croazia
Di Marina Szikora
Il presidente croato Ivo Josipovic ha condannato aspramente le ultimissime dichiarazioni bizzarre del leader degli ultranazionalisti radicali serbi, Vojislav Seselj in occasione dell'anniversario della tragica caduta di Vukovar di 23 anni fa. Il recentemente rilasciato imputato dell'Aja, Seselj si e' infatti congratulato con i “cetnici serbi” in occasione “della giornata della liberazione della Vukovar serba”. Ne ha dato notizia l'agenzia di stampa serba, Tanjug. Sul suo Twitter, Josipovic ha valutato queste congratulazioni come una provocazione vergognosa e ha rilevato che Seselj deve essere riconsegnato all'Aja. L'agenzia di stampa croata Hina, scrive il quotidiano serbo 'Vecernje novosti' ha informato che Seselj ha mandato un messaggio a tutti i media croati in cui ha detto che “nella giornata di oggi, 23 anni fa, i cetnici serbi dopo tre mesi di lotte eroiche hanno liberato la citta' di Vukovar dalle formazioni paramilitari ustasce”. “La Vukovar serba fu la prima citta' serba liberata, la quale senza lotta, grazie all'aiuto del regime di Belgrado fu riconsegnata allo stato ustascia croato” ha detto Seselj riferendosi al passato degli anni novanta. Nel suo messaggio e' stato detto ancora che “Vojislav Seselj e il suo partito non rinunceranno a nessun millimetro dello stato serbo e faranno il tutto possibile affinche' “la Republika della Krajina Serba e la Vukovar serba diventino nuovamente parte integrale della Grande Serbia”. Il presidente croato nel suo messaggio pubblico attraverso la televisione di stato HTV ha fatto sapere di aver scritto al presidente del Tribunale dell'Aja che giudica i crimini commessi in ex Jugoslavia su quanto accade dal rilascio di Sesselj dal carcere dell'Aja. Le notizie sulla lettera di Josipovic a Meron sono state riportate anche dai media serbi, senza pero' ulteriori commenti. In questa lettera, Josipovic ha avvertito che vi e' la possibilita' del rafforzamento delle attivita' politiche di Seselj e il pericolo che la sua retorica di odio minacci gravemente la pace e la stabilita' in Europa Sudorientale.
Il testo è la trascrizione della corrispondenza per la puntata di Passaggio a Sud Est andata in onda il 24 novembre a Radio Radicale
Di Marina Szikora
Il presidente croato Ivo Josipovic ha condannato aspramente le ultimissime dichiarazioni bizzarre del leader degli ultranazionalisti radicali serbi, Vojislav Seselj in occasione dell'anniversario della tragica caduta di Vukovar di 23 anni fa. Il recentemente rilasciato imputato dell'Aja, Seselj si e' infatti congratulato con i “cetnici serbi” in occasione “della giornata della liberazione della Vukovar serba”. Ne ha dato notizia l'agenzia di stampa serba, Tanjug. Sul suo Twitter, Josipovic ha valutato queste congratulazioni come una provocazione vergognosa e ha rilevato che Seselj deve essere riconsegnato all'Aja. L'agenzia di stampa croata Hina, scrive il quotidiano serbo 'Vecernje novosti' ha informato che Seselj ha mandato un messaggio a tutti i media croati in cui ha detto che “nella giornata di oggi, 23 anni fa, i cetnici serbi dopo tre mesi di lotte eroiche hanno liberato la citta' di Vukovar dalle formazioni paramilitari ustasce”. “La Vukovar serba fu la prima citta' serba liberata, la quale senza lotta, grazie all'aiuto del regime di Belgrado fu riconsegnata allo stato ustascia croato” ha detto Seselj riferendosi al passato degli anni novanta. Nel suo messaggio e' stato detto ancora che “Vojislav Seselj e il suo partito non rinunceranno a nessun millimetro dello stato serbo e faranno il tutto possibile affinche' “la Republika della Krajina Serba e la Vukovar serba diventino nuovamente parte integrale della Grande Serbia”. Il presidente croato nel suo messaggio pubblico attraverso la televisione di stato HTV ha fatto sapere di aver scritto al presidente del Tribunale dell'Aja che giudica i crimini commessi in ex Jugoslavia su quanto accade dal rilascio di Sesselj dal carcere dell'Aja. Le notizie sulla lettera di Josipovic a Meron sono state riportate anche dai media serbi, senza pero' ulteriori commenti. In questa lettera, Josipovic ha avvertito che vi e' la possibilita' del rafforzamento delle attivita' politiche di Seselj e il pericolo che la sua retorica di odio minacci gravemente la pace e la stabilita' in Europa Sudorientale.
Il testo è la trascrizione della corrispondenza per la puntata di Passaggio a Sud Est andata in onda il 24 novembre a Radio Radicale
SARA' IOHANNIS LA NUOVA SPERANZA PER LA ROMANIA?
“La nuova speranza per la Romania”, cosi' la Deutsche Welle tedesca sulle recenti elezioni in Romania, ovvero sulla vittoria dello sfidante del premier socialdemocratico, Victor Ponta. La sconfitta di Ponta e la grande sorpresa della vittoria di Klaus Iohannis e', secondo il media tedesco, una sorpresa di dimensioni storiche. Per la prima volta dalla caduta del comunismo di 25 anni fa, i rumeni hanno dimostrato una solidarieta' extra partito. I cittadini semplici e la generazione 2.0 ormai matura che si informano e non permettono di essere manipolati dai media, rileva la DW, sono riusciti a convincere i loro genitori e i loro nonni che il candidato Ponta, similmente come il premier Ponta, e' una vergogna per il loro paese. Non gli hanno aiutato nemmeno le promesse elettorali vuote, una campagna sporca come mai prima delle sue truppe fedeli, menzogne e offese, scrive la Deutsche Welle. E' stato Ponta a far diventare Iohannis presidente grazie ai suoi tentativi estremamente antidemocratici di creare un abisso tra i rumeni. Proprio il suo slogan nazionale – populista che il rumeno ortodosso sia “un buon rumeno” gli e' stato di contraccolpo, precisa la Deutsche Welle e rileva che se Ponta avesse ancora un minimo di educazione, allora dovrebbe presentare le dimissioni.
Klaus Iohannis ha dimostrato in modo impressionante che anche un politico protestante di radici tedesche puo' essere un buon rumeno e di sicuro gli e' stato di aiuto anche il suo pragmatismo. Eletto ben quattro volte consecutive a sindaco di Sibiu (in tedesco Hermannstadt), Iohannis ha dimostrato all'intero paese, e non soltanto ai cittadini della sua citta' natale in Transilvania, che sta pensando seriamente quando parla di una “Romania del lavoro ben eseguito”. Pero' Klaus Iohannis e' anche un uomo di piccoli gesti, precisa la Deutsche Welle e indica il fatto che ad una conferenza stampa, alla domanda del giornalista se conosce il testo dell'inno rumeno, ha cantato la prima strofa senza alcun errore. Con questo ha colpito in pieno, proprio tutti quei elettori che necessitavano di una ultima prova per dimostrare che sia proprio lui l'uomo a cui dare la loro fiducia. Infine, ci sono state congratulazioni con i rumeni della diaspora. Circa 400.000 elettori, tre volte di piu' rispetto al primo turno del 2 novembre, hanno votato con l'oltre 40 per cento delle preferenze a favore di Iohannis. E questo anche nonostante il fatto che un percorso normale del voto non e' stato possibile in tutti i seggi. Adesso spetta a Klaus Iohannis a dimostrare di aver meritato la fiducia dei suoi elettori e che al tempo stesso, come presidente di tutti i rumeni possa occuparsi dell'equilibrio e della riconciliazione, conclude la Deutshe Welle tedesca.
Il testo è la trascrizione della corrispondenza per la puntata di Passaggio a Sud Est andata in onda il 24 novembre a Radio Radicale
"QUI TIRANA": LA CORRISPONDENZA DI ARTUR NURA
Gli argomenti della corrispondenza di Artur Nura per la puntata di Passaggio a Sud Est andata in onda a Radio Radicale il 23 novembre(*)
Albania
Prosegue lo scontro tra la maggioranza di centro-snostra, che sostiene il governo di Edi Rama, e l'opposizione di centro-destra guidata dal leader del Partito democratico e sindaco di Tirana Lulzim Basha. Intanto l'esecutivo incassa l'approvazione della legge finanziaria in Parlamento.
Kosovo
A quasi 6 mesi dalle elezioni anticipate dell'8 giugno, dopo settimane di trattative, con il rischio di tornare di nuovo alle urne, il Pdk del premier uscente Hashim Thaci e la Ldk di Isa Mustafa sembrano aver trovato l'accordo per dare vita ad un nuovo governo.
(*)Per un cambio di programmazione dovuto ad uno speciale sulle elezioni regionali di Emilia Romagna e in Calabria la trasmissione è andata in onda lunedì 24 novembre.
Albania
Prosegue lo scontro tra la maggioranza di centro-snostra, che sostiene il governo di Edi Rama, e l'opposizione di centro-destra guidata dal leader del Partito democratico e sindaco di Tirana Lulzim Basha. Intanto l'esecutivo incassa l'approvazione della legge finanziaria in Parlamento.
Kosovo
A quasi 6 mesi dalle elezioni anticipate dell'8 giugno, dopo settimane di trattative, con il rischio di tornare di nuovo alle urne, il Pdk del premier uscente Hashim Thaci e la Ldk di Isa Mustafa sembrano aver trovato l'accordo per dare vita ad un nuovo governo.
(*)Per un cambio di programmazione dovuto ad uno speciale sulle elezioni regionali di Emilia Romagna e in Calabria la trasmissione è andata in onda lunedì 24 novembre.
martedì 25 novembre 2014
PASSAGGIO IN ONDA
E' on-line la puntata di Passaggio a Sud Est del 23 novembre 2014(*).
La trasmissione e' ascoltabile direttamente qui di seguito oppure sul sito di Radio Radicale.
Sommario della puntata
La trasmissione e' ascoltabile direttamente qui di seguito oppure sul sito di Radio Radicale.
Sommario della puntata
sabato 22 novembre 2014
SLOVENIA: DESIDERIO BALCANICO
di Stefano Lusa, Capodistria 20 novembre 2014
Pubblicato da Osservatorio Balcani e Caucaso
Dal solito gruppo di ubriaconi, che occupa la panchina sotto la cattedrale di Lubiana, qualcuno si alza e va a chiedere ai passanti qualche moneta “per comprare un panino”, ma a tutti è chiaro che l’elemosina servirà per un’altra bottiglia di vino; di fianco una banda d’ottoni suona musiche balcaniche. Una folta comitiva di turisti italiani, attratta dai musicisti, fotografa divertita i “trubači” che sembrano appena usciti da un film di Kusturica. Qualcuno si gira e dedica uno scatto anche alla statua di France Prešeren. Il sommo poeta, simbolo dell’identità nazionale slovena, guarda quanto accade nella sua piazza e probabilmente pensa che quella scena è un po’ una metafora di quanto sta succedendo nel paese.
Retromarcia
L’infatuazione per il centroeuropa e per l’occidente, che aveva caratterizzato la Slovenia, dagli anni ottanta sino all’ingresso nell’Unione europea, sembra finita. Nell’aria aleggia uno strano desiderio di una nuova sintesi balcanica. Dalle radio sono tornati a risuonare vecchi e nuovi successi della scena musicale del resto dell’ex Jugoslavia. Severina, la “ragazza di campagna”, nota in regione per le sue canzoni ed anche per un video hard amatoriale, spopola in Slovenia con i suoi concerti pop folk, lo stesso accade anche a Ceca, l’esponente più becera - considerati anche i suoi legami familiari - del turbo folk serbo. Giovanotti e vistose ragazze, girano su belle macchine con i finestrini abbassati. Dalle loro autoradio, più che i grandi successi del panorama internazionale, risuonano ritmi balcanici, le tediose melodie delle klape dalmate o polchette slovene in versione pop, piene di doppi sensi.
Quella che a lungo era stata la Svizzera dei Balcani è in crisi. Il paese, una volta acciuffata l’Europa, è sembrato voler volgerle le spalle per riguardare a oriente, verso quelle spiagge dell’ex federazione che gli sloveni continuano ad affollare fedelmente ogni estate. I condizionamenti ed i pregiudizi sui Balcani, per i giovani nati dopo l’indipendenza, paiono non avere più senso, anzi. L’idea stereotipata dell’irruenza e della spontaneità balcanica sembra essere la risposta da contrapporre ai canoni di riservatezza e compostezza con cui i loro genitori hanno cercato di educare i figli.
Nel paese regna da tempo un clima di depressione profonda. Dopo anni di sviluppo, gli sloveni sono convinti che il loro tenore di vita sia calato e che le prospettive per il futuro siano anche peggiori. Nessun conforto sembra offrire la constatazione che tecnicamente non si è più in recessione. Nella realtà dei fatti le aziende continuano a fallire, mentre governo e sindacati proseguono una oramai costante discussione sui tagli nel settore pubblico. La classe politica, intanto, brancola nel buio e, sin dall’ingresso nell’Unione europea, sta dimostrando di avere poche idee, ma alquanto confuse sul da farsi.
Ex conquistatori
Tra le certezze slovene sgretolata soprattutto la convinzione di essere, almeno in quest’area, i primi della classe. Le aziende di Lubiana erano state leader incontrastate nella federazione jugoslava. I loro prodotti erano apprezzati e rappresentavano un sinonimo di qualità. Negli anni che seguirono l’indipendenza molte imprese si mossero su questi mercati, dove probabilmente la loro azione sarebbe stata anche più efficace se su di essa non avesse pesato l’annosa polemica legata ai depositi in valuta nelle filiali di Zagabria e Sarajevo della Ljubljanska banka.
Il simbolo della penetrazione ad oriente della Slovenia indipendente è stata sicuramente la Mercator. La grande catena di supermercati aveva aperto avveniristici centri commerciali nelle grandi città dell’ex federazione socialista ed aveva tentato di spingersi anche più in là. I suoi negozi, riforniti di ogni ben di Dio, sembravano essere delle vere e proprie ambasciate che propagandavano ad est la storia del successo sloveno. Era il progetto di Zoran Janković, l'attuale sindaco di Lubiana, che prima di darsi alla politica, era stato un lungimirante manager; frettolosamente defenestrato al tempo del primo governo Janša, quando la Mercator era in piena crescita.
Oggi l'azienda non è più quella di una volta. I grandi sogni di nuovi mercati sono finiti e con essi anche le prospettive per le aziende agroalimetari del paese di avere una capillare rete attraverso cui diffondere i propri prodotti ed il trade mark sloveno all'estero. Del resto l'azienda è stata venduta. Ad acquisirla non un una grande catena commerciale occidentale, ma una azienda croata, che era sempre stata una sua diretta concorrente. La difficile scalata era stata osteggiata per un po', ma alla fine Zagabria ha vinto, pagando anche meno di quello che avrebbero accettato di sborsare inizialmente. Non è il primo colpo dei croati in Slovenia. Alcuni anni fa era stato venduto un altro simbolo dell'industria alimentare, il colosso Droga Kolinska; mentre è di pochi giorni fa la notizia che un'altra azienda croata ha acquisito una serie di alberghi a Portorose, un tempo considerata la Montecarlo dei Balcani, tra cui il Metropol, lo storico albergo in cui era ubicato uno dei Casinò più rinomati di questo pezzo d'Europa.
Addio Figovec
Finiti i sogni di mirabolanti progetti per continuare a giocare un ruolo importante nei Balcani ora sembrano i Balcani giocare un ruolo sempre più importante in Slovenia. Del resto il paese sta mutando. A Lubiana sta per sparire, o per meglio dire cambiare radicalmente, una delle più antiche trattorie, il Figovec, considerata alla stregua di una vera e propria istituzione nazionale. Tra i suoi clienti fissi, ad onor del vero più per bere che per mangiare, anche il poeta France Prešeren frequentatore assiduo del locale come una fitta schiera di personaggi di primo piano del mondo culturale nazionale. La sua offerta con cibi tradizionali, rimasta praticamente immutata per secoli, sembra non tirare più. La nuova proprietà ci farà un ristorante indiano. Si chiamerà Curry Life Figovec (sic!).
Pubblicato da Osservatorio Balcani e Caucaso
Dal solito gruppo di ubriaconi, che occupa la panchina sotto la cattedrale di Lubiana, qualcuno si alza e va a chiedere ai passanti qualche moneta “per comprare un panino”, ma a tutti è chiaro che l’elemosina servirà per un’altra bottiglia di vino; di fianco una banda d’ottoni suona musiche balcaniche. Una folta comitiva di turisti italiani, attratta dai musicisti, fotografa divertita i “trubači” che sembrano appena usciti da un film di Kusturica. Qualcuno si gira e dedica uno scatto anche alla statua di France Prešeren. Il sommo poeta, simbolo dell’identità nazionale slovena, guarda quanto accade nella sua piazza e probabilmente pensa che quella scena è un po’ una metafora di quanto sta succedendo nel paese.
Retromarcia
L’infatuazione per il centroeuropa e per l’occidente, che aveva caratterizzato la Slovenia, dagli anni ottanta sino all’ingresso nell’Unione europea, sembra finita. Nell’aria aleggia uno strano desiderio di una nuova sintesi balcanica. Dalle radio sono tornati a risuonare vecchi e nuovi successi della scena musicale del resto dell’ex Jugoslavia. Severina, la “ragazza di campagna”, nota in regione per le sue canzoni ed anche per un video hard amatoriale, spopola in Slovenia con i suoi concerti pop folk, lo stesso accade anche a Ceca, l’esponente più becera - considerati anche i suoi legami familiari - del turbo folk serbo. Giovanotti e vistose ragazze, girano su belle macchine con i finestrini abbassati. Dalle loro autoradio, più che i grandi successi del panorama internazionale, risuonano ritmi balcanici, le tediose melodie delle klape dalmate o polchette slovene in versione pop, piene di doppi sensi.
Quella che a lungo era stata la Svizzera dei Balcani è in crisi. Il paese, una volta acciuffata l’Europa, è sembrato voler volgerle le spalle per riguardare a oriente, verso quelle spiagge dell’ex federazione che gli sloveni continuano ad affollare fedelmente ogni estate. I condizionamenti ed i pregiudizi sui Balcani, per i giovani nati dopo l’indipendenza, paiono non avere più senso, anzi. L’idea stereotipata dell’irruenza e della spontaneità balcanica sembra essere la risposta da contrapporre ai canoni di riservatezza e compostezza con cui i loro genitori hanno cercato di educare i figli.
Nel paese regna da tempo un clima di depressione profonda. Dopo anni di sviluppo, gli sloveni sono convinti che il loro tenore di vita sia calato e che le prospettive per il futuro siano anche peggiori. Nessun conforto sembra offrire la constatazione che tecnicamente non si è più in recessione. Nella realtà dei fatti le aziende continuano a fallire, mentre governo e sindacati proseguono una oramai costante discussione sui tagli nel settore pubblico. La classe politica, intanto, brancola nel buio e, sin dall’ingresso nell’Unione europea, sta dimostrando di avere poche idee, ma alquanto confuse sul da farsi.
Ex conquistatori
Tra le certezze slovene sgretolata soprattutto la convinzione di essere, almeno in quest’area, i primi della classe. Le aziende di Lubiana erano state leader incontrastate nella federazione jugoslava. I loro prodotti erano apprezzati e rappresentavano un sinonimo di qualità. Negli anni che seguirono l’indipendenza molte imprese si mossero su questi mercati, dove probabilmente la loro azione sarebbe stata anche più efficace se su di essa non avesse pesato l’annosa polemica legata ai depositi in valuta nelle filiali di Zagabria e Sarajevo della Ljubljanska banka.
Il simbolo della penetrazione ad oriente della Slovenia indipendente è stata sicuramente la Mercator. La grande catena di supermercati aveva aperto avveniristici centri commerciali nelle grandi città dell’ex federazione socialista ed aveva tentato di spingersi anche più in là. I suoi negozi, riforniti di ogni ben di Dio, sembravano essere delle vere e proprie ambasciate che propagandavano ad est la storia del successo sloveno. Era il progetto di Zoran Janković, l'attuale sindaco di Lubiana, che prima di darsi alla politica, era stato un lungimirante manager; frettolosamente defenestrato al tempo del primo governo Janša, quando la Mercator era in piena crescita.
Oggi l'azienda non è più quella di una volta. I grandi sogni di nuovi mercati sono finiti e con essi anche le prospettive per le aziende agroalimetari del paese di avere una capillare rete attraverso cui diffondere i propri prodotti ed il trade mark sloveno all'estero. Del resto l'azienda è stata venduta. Ad acquisirla non un una grande catena commerciale occidentale, ma una azienda croata, che era sempre stata una sua diretta concorrente. La difficile scalata era stata osteggiata per un po', ma alla fine Zagabria ha vinto, pagando anche meno di quello che avrebbero accettato di sborsare inizialmente. Non è il primo colpo dei croati in Slovenia. Alcuni anni fa era stato venduto un altro simbolo dell'industria alimentare, il colosso Droga Kolinska; mentre è di pochi giorni fa la notizia che un'altra azienda croata ha acquisito una serie di alberghi a Portorose, un tempo considerata la Montecarlo dei Balcani, tra cui il Metropol, lo storico albergo in cui era ubicato uno dei Casinò più rinomati di questo pezzo d'Europa.
Addio Figovec
Finiti i sogni di mirabolanti progetti per continuare a giocare un ruolo importante nei Balcani ora sembrano i Balcani giocare un ruolo sempre più importante in Slovenia. Del resto il paese sta mutando. A Lubiana sta per sparire, o per meglio dire cambiare radicalmente, una delle più antiche trattorie, il Figovec, considerata alla stregua di una vera e propria istituzione nazionale. Tra i suoi clienti fissi, ad onor del vero più per bere che per mangiare, anche il poeta France Prešeren frequentatore assiduo del locale come una fitta schiera di personaggi di primo piano del mondo culturale nazionale. La sua offerta con cibi tradizionali, rimasta praticamente immutata per secoli, sembra non tirare più. La nuova proprietà ci farà un ristorante indiano. Si chiamerà Curry Life Figovec (sic!).
giovedì 20 novembre 2014
"I BASTARDI DI SARAJEVO": INTERVISTA A LUCA LEONE
"I bastardi di Sarajevo" (Infinito Edizioni) è l'ultima fatica editoriale di Luca Leone, giornalista, scrittore ed editore. Il suo primo romanzo, dopo tanti saggi, per raccontare la realtà di Sarajevo e
della Bosnia di oggi: un Paese e la sua capitale prede della corruzione
politica interna e internazionale, in cui èsempre più
difficile avere speranze per il futuro.
Ascolta qui l'intervista a Luca Leone
Leggi la prefazione
Acquistabile in libreria o direttamente sul sito di Infinito Edizioni
Ascolta qui l'intervista a Luca Leone
I BASTARDI DI SARAJEVO |
Una città in balìa della corruzione, un Paese senza speranze di futuro, il fantasma del passato che torna dall’Italia Prefazione di Riccardo Noury. Introduzione di Silvio Ziliotto. Postfazione di Eldina Pleho |
Leggi la prefazione
Acquistabile in libreria o direttamente sul sito di Infinito Edizioni
mercoledì 19 novembre 2014
ROSE BIANCHE PER LE CROCI DI VUKOVAR
Vukovar: il memoriale di Ovcara |
La crisi economica continua a farsi sentire e l'opposizione di centro-destra, guidata dal Hdz, al momento in testa nei sondaggi, cerca in tutti modi di sfruttare la situazione per mettere in difficoltà il governo socialdemocratico di Zoran Milanovic, messo sotto pressione da Bruxelles che spinge sui tagli e sulle riforme, e il presidente Ivo Josipovic, che ha già manifestato per tempo la sua decisione di candidarsi per un secondo mandato.
A questo si aggiunge la questione dei veterani della guerra che da alcune settimane protestano (alcuni con lo sciopero della fame, mentre un altro ha tentato di darsi fuoco) chiedendo le dimissioni del ministro competente, a sua volta reduce di Vukovar, prigioniero in un campo di concentramento serbo dove fu torturato, e del suo vice, Bojan Glavasevic, figlio del giornalista che fu ucciso nel massacro di Ovcara il cui nome e' un simbolo della guerra, che si è trovato al centro di una polemica strumentale per alcune sue dichiarazioni riprese fuori contesto da alcuni organi di stampa. Il tutto è più o meno coinciso con l'arresto di Milan Bandic, sindaco di Zagabria e uno dei più potenti politici croati.
Infine, la scorsa settimana, il rientro a Belgrado di Vojislav Seselj, leader ultranazionalista sotto processo davanti al Tribunale internazionale per l'ex Jugoslavia con l'accusa di omicidio, atti inumani, persecuzioni per motivi politici, razziali e religiosi, sterminio e attacchi contro civili nei territori di Croazia e Bosnia. Seselj è stata posto in libertà condizionata per motivi di salute dopo oltre 11 anni di detenzione preventiva. Una decisione, quella del Tpi, che ha provocato reazioni fortemente negative in Croazia.
Qui di seguito la trascrizione della corrispondenza di Marina Szikora sulla commemorazione della caduta di Vukovar andata in onda ieri nel corso del notiziario serale di Radio Radicale.
Rose bianche per le croci di Vukovar
di Marina Szikora
Come ogni anno, dalla fine della guerra di occupazione degli anni novanta, la Croazia commemora la caduta della citta' simbolica di questa guerra, la citta' martire, Vukovar. Una vicenda questa che e' stata tra le peggiori della guerra contro la Croazia, una vicenda e una citta' che riguardano anche l'impegno ormai storico dei radicali transnazionali di Emma Bonino e Marco Pannella per il riconoscimento delle ex repubbliche jugoslave. Ma forse come mai prima dalla fine di queste guerre, che rendono l'intera regione ancora cosi' vulnerabile, pero' desiderosa di impegnarsi a superare il male del passato e garantire la stabilita' odierna di tutta l'area, forse come mai prima, la commemorazione della caduta di Vukovar e dei massacri di Ovcara, sentono oggi di fallita giustizia internazionale. E come si suol dire in questi giorni in Croazia e non solo, le vittime di Vukovar, Ovcara, Osijek, Dubrovnik e molte altre, sono morte ancora una volta con la decisione inspiegabile del Tribunale dell'Aja che giudica i crimini commessi in ex Jugoslavia di rilasciare il criminale di guerra, l'ultranazionalista radicale serbo, Vojislav Seselj. Una decisione questa dei giudici dell'Aja, dovuta, come la si giustifica, alla salute precaria dell'imputato. Ma invece delle cure adeguate in Serbia, Seselj torna a Belgrado con il suono delle fanfare di vittoria tra i suoi numerosi seguaci. Una vittoria di Piro, l'hanno commentata alcuni, ma per la Croazia una facenda vergognosa che ha permesso ad un progetto folle di tornare in piazza e per le strade della Serbia. Il progetto della Grande Serbia, cosi' spesso invocato da Seselj, durante la guerra, ma anche nei lunghi anni della sua permanenza all'Aja, oltre 11 anni, in un processo senza fine e da lui stesso disprezzato.
martedì 18 novembre 2014
VUKOVAR E L'IMBROGLIO ETNICO
In occasione dell'anniversario della caduta di Vukovar, come utile elemento di riflessione, riporto qui di seguito l'articolo di Matteo Zola pubblicato due anni fa su Eastjournal,net
Quando i serbi sparavano sui serbi. Vukovar e l’imbroglio etnico
di Matteo Zola - 17 ottobre 2012
Quello di Vukovar non fu un assedio, fu un sacrificio rituale, un urbicidio. Fu il trionfo dell’inganno, il giro di valzer del gran ballo in maschera dove demoni e lupi danzavano sulle macerie della Jugoslavia. La storia ci racconta che Vukovar, città che in quel 1991 di guerra era al 44% croata e al 37% serba (il resto si divideva in sedici nazionalità minori, tra cui la tedesca, la magiara e l’italiana), fu assediata dalle truppe dell’Armata Popolare (l’esercito jugoslavo, nda) che presto lasciò il campo ai paramilitari serbi di Arkan e Seselj, le famigerate Tigri e Aquile bianche. L’esito fu un eccidio e un esodo dei croati dalla “loro” città mentre, il 17 novembre 1991, i serbi entravano tra le macerie di Vukovar. Poi, all’alba del 4 agosto 1995, la città veniva “riconquistata” dai croati che, a loro volta, si abbandoneranno alla pulizia etnica nei confronti della popolazione serba. Una doppia pulizia etnica che ha, di fatto, consacrato la chiave di lettura “razziale” del conflitto jugoslavo. Certo i crimini ci sono stati, ambo le parti, ma la chiave di lettura etnica convince poco. Vediamo perché.
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COSA C'E' SU RASSEGNA EST
Articoli, grafici e analisi usciti nell'ultima settimana su Rassegna Est
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La sorpresa delle urne
Alle presidenziali romene vince Klaus Iohannis, che batte a sorpresa il premier in carica Victor Ponta. Un voto “contro”, malgrado il buon andamento dell'economia. Ne abbiamo scritto dopo e prima che le urne si chiudessero.
Skoda, Dacia e le altre La casata automobilistica ceca e quella romena, rilevate da Volkswagen e Renault, hanno avuto un grande successo negli ultimi anni. Non così i modelli Lada, di produzione russa.
La nuova guerra fredda? È scoppiata dieci anni fa
Ucraina spaccata, Caucaso a brandelli, grande gioco in Asia centrale. La competizione tra Russia e Occidente è partita in sordina, dieci anni fa. Ma già allora tutto era chiaro. Riproponiamo un nostro vecchio articolo, uscito nel 2004 sulCorriere del Ticino.
Ucraina spaccata, Caucaso a brandelli, grande gioco in Asia centrale. La competizione tra Russia e Occidente è partita in sordina, dieci anni fa. Ma già allora tutto era chiaro. Riproponiamo un nostro vecchio articolo, uscito nel 2004 sulCorriere del Ticino.
Banca dati Previsioni di crescita 2014-2019, indici di competitività, export e import, bandi pubblici, presenza italiana, fisco. Tutto quello che c'è da sapere sulle economie dell'Est, per capirne l'evoluzione. Un servizio per le aziende, ma non solo.
Croazia e Ungheria: scontro all'ultimo barile
Zagabria rivuole il controllo di Ina, la compagnia petrolifera passata agli ungheresi di Mol. Scontro energetico, politico e strategico. Ne scriviamo su Osservatorio Balcani e Caucaso.
Zagabria rivuole il controllo di Ina, la compagnia petrolifera passata agli ungheresi di Mol. Scontro energetico, politico e strategico. Ne scriviamo su Osservatorio Balcani e Caucaso.
Quando l'export è tecno
Un grafico sul peso dei prodotti ICT sul totale delle esportazioni nei dieci paesi dell'Est dove l'Italia è più presente. La parte del leone spetta all'Europa centrale.
Un grafico sul peso dei prodotti ICT sul totale delle esportazioni nei dieci paesi dell'Est dove l'Italia è più presente. La parte del leone spetta all'Europa centrale.
La marcia dei venticinque anni
Il Fondo monetario internazionale dedica una ricarca alle transizioni a Est. Bilancio positivo. La sintesi del rapporto.
Il Fondo monetario internazionale dedica una ricarca alle transizioni a Est. Bilancio positivo. La sintesi del rapporto.
Serbia contro Albania. Oppure no
Droni, Kosovo, background di rapporti tesi. Ma tra Belgrado e Tirana, senza clamori mediatici, si sta costruendo anche una solida relazione economica. Limes ha ripreso il nostro articolo.
Droni, Kosovo, background di rapporti tesi. Ma tra Belgrado e Tirana, senza clamori mediatici, si sta costruendo anche una solida relazione economica. Limes ha ripreso il nostro articolo.
L'Ostalgia al potere
Il made e il bord in Ddr che si sono affermati nella Germania riunificata. Articolo pubblicato da Europa.
IL RITORNO DI SESELJ
Seselj e Arkan all'epoca delle guerre jugoslave |
I medici serbi che lo hanno in cura hanno dichiarato che è ammalato di tumore al colon che si sarebbe diffuso anche al fegato. Secondo quanto stabilito dai giudici del Tpi, Šešelj non dovrà interferire con le vittime o i testimoni coinvolti nel processo a suo carico e dovrà far rientro al tribunale quando richiesto. E' però innegabile che il suo ritorno in libertà (seppure condizionata) mentre il processo non è ancora giunto a conclusione a 11 anni da suo inizio, rappresenta, come nel caso di Slobodan Milosevic, morto in carcere, una sconfitta per il Tpi e per la giustizia internazionale.
È probabile che Šešelj cercherà ora di rilanciare il Srs, rimasto ormai fuori del parlamento e pesantemente ridimensionato a favore del Partito serbo del progresso (Sns) dell'attuale presidente Tomislav Nikolic, ex braccio destro di Seselj, e del premier Aleksandar Vucic. Il tentativo potrebbe anche ottenere qualche successo, considerando che due anni di governo del Sns ha deluso una parte degli elettori nazionalisti, ma molti esponenti del Srs si sono nel frattempo piazzati in posti chiave, mentre quelli rimasti fedeli a Šešelj sono fuori dal sistema.
Centinaia di suoi sostenitori si sono recati all'aeroporto in cui è atterrato il volo proveniente da Amsterdam e hanno poi manifestato nel centro di Belgrado in favore di Seselj.
Vedi la fotostoria pubblicata da TPortal,hr
RADIO FREE EUROPE TRASMETTE ANCORA
Un reportage di Matteo Tacconi del 2009 da Praga sulla storica emittente della "Guerra fredda"
Solidarność e Lech Wałeşa, l’Ostpolitik di Willi Brandt, la compattezza granitica della Nato, il processo d’integrazione europeo, Karol Wojtyla, la perestrojka e la glasnost di Mikhail Gorbaciov, l’incessante contributo politico e ideale dell’America. La carrellata degli attori e dei fattori che hanno portato alla caduta del Muro di Berlino è ricca. Ma nell’almanacco dei protagonisti della vittoria dell’Ovest sull’Est va inclusa anche Radio Free Europe. Ecco perché.
Siamo a Praga, la capitale della Repubblica ceca. È da qui che Radio Free Europe/Radio Liberty (nel 1976 ci fu la fusione tra le due emittenti) continua a essere operativa. Già, perché se è vero che la Cortina di ferro si è squagliata ormai da vent’anni e l’Urss è rovinosamente capitolata da diciotto, facendo venire meno la missione storica per cui le radio, prima distintamente poi insieme, sono state conosciute e apprezzate, è altrettanto evidente che ci sono altre cortine da sfondare, altri Paesi dove diffondere sulle onde medie un messaggio di libertà e democrazia. Nell’Asia centrale e nel versante settentrionale del Caucaso la sorveglianza dei governanti sui “sudditi” è infatti serrata, come una volta nell’Est. In Russia, l’era Putin ha riportato indietro le lancette della storia. Insomma, Radio Free Europe/Radio Liberty serve ancora.
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Solidarność e Lech Wałeşa, l’Ostpolitik di Willi Brandt, la compattezza granitica della Nato, il processo d’integrazione europeo, Karol Wojtyla, la perestrojka e la glasnost di Mikhail Gorbaciov, l’incessante contributo politico e ideale dell’America. La carrellata degli attori e dei fattori che hanno portato alla caduta del Muro di Berlino è ricca. Ma nell’almanacco dei protagonisti della vittoria dell’Ovest sull’Est va inclusa anche Radio Free Europe. Ecco perché.
Siamo a Praga, la capitale della Repubblica ceca. È da qui che Radio Free Europe/Radio Liberty (nel 1976 ci fu la fusione tra le due emittenti) continua a essere operativa. Già, perché se è vero che la Cortina di ferro si è squagliata ormai da vent’anni e l’Urss è rovinosamente capitolata da diciotto, facendo venire meno la missione storica per cui le radio, prima distintamente poi insieme, sono state conosciute e apprezzate, è altrettanto evidente che ci sono altre cortine da sfondare, altri Paesi dove diffondere sulle onde medie un messaggio di libertà e democrazia. Nell’Asia centrale e nel versante settentrionale del Caucaso la sorveglianza dei governanti sui “sudditi” è infatti serrata, come una volta nell’Est. In Russia, l’era Putin ha riportato indietro le lancette della storia. Insomma, Radio Free Europe/Radio Liberty serve ancora.
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lunedì 17 novembre 2014
ROMANIA: IL NUOVO PRESIDENTE E' IOHANNIS. SCONFITTO PONTA (E I SONDAGGISTI)
Klaus Iohannis, sindaco di Sibiu ed
esponente della minoranza tedesca, è il nuovo presidente della
Romania. Una vittoria a sorpresa che smentisce i
sondaggi che anche alla vigilia del voto davano per vincente il
premier socialdemocratico Victor Ponta. Da notare che il 55% dei voti
per Iohannis sono più o meno la percentuale che le rilevazioni
attribuivano a Ponta che, da parte sua, ha invece incrementato appena
i voti del primo turno (dal 40 al 45%). Una vittoria storica per il leader liberale
che in solo due settimane è riuscito a recuperare uno svantaggio
enorme e ad infliggere a Ponta un distacco pari al vantaggio che
quest'ultimo aveva sul neo presidente dopo il primo turno.
I primi commenti attribuiscono la
disastrosa performance di Ponta alla pessima gestione del voto dei
romeni all'estero. La comunità romena che vive fuori dai confini del
Paese, infatti, ha votato in maggioranza per Iohannis e anche in Romania la solidarietà per gli emigrati a cui era stato in pratica
negato il voto nel primo turno ha avuto un peso non secondario:
migliaia di persone sono scese in piazza anche ieri per chiedere che
venisse prolungato il termine di voto per l'estero, dove moltissimi
romeni sono stati in coda ore per esprimere il proprio voto (con
momenti di tensione e tafferugli a Parigi e a Torino). Il totale dei
votanti della diaspora (360 mila), che conta più di tre milioni di
persone, è stato più del doppio del primo turno quando erano andati
alle urne in 150 mila. L'affluenza più alta è stata registrata
in Italia, in Spagna, Moldova, Gran Bretagna, Germania e
Francia.
LA VISITA DI RAMA A BELGRADO. TRA ALBANIA E SERBIA C'E' DI MEZZO IL KOSOVO?
Il fuori programma delle sue dichiarazioni sul Kosovo ha rischiato di far fallire la storica visita a Belgrado, ma nonostante la tensione le relazioni bilaterali non sono a rischio.
Di Marina Szikora
Le parole del premier albanese Edi Rama a Belgrado appena pronunciate hanno suscitato la smorfia del premier serbo Aleksandar Vucic e la sua durissima replica. “L'indipendenza del Kosovo e' una realta' e prima la Serbia lo accettera', piu' velocemente la regione andra' avanti”, cosi' il premier albanese, forse in modo inaspettato, ma dall'altra parte, come ha osservato il corrispondente croato da Belgrado, nessuno poteva essere cosi' ingenuo di non immaginare che Edi Rama avrebbe utilizzato proprio questa occasione per ribadire la sua posizione e per non far dimenticare a nessuno la solidarieta' degli albanesi, quale che sia il paese al quale appartengono. Per Vucic, almeno di come potevano registrarlo le telecamere, e' stata una brutta sorpresa e qualcosa che, come aveva detto, non e' stato annunciato in nessuno degli talking point di questa visita che si annunciava storica. E sull'inevitabile tema della recente partita che si e' conclusa con il ben noto incidente con la bandiera e le violenze sullo stadio di Belgrado, Rama ha detto: “Non siamo nemici, i nostri nemici comuni sono la poverta', mancanza di prospettiva per i giovani e un grande debito pubblico”. L'invito al suo omologo serbo, di visitare l'anno prossimo l'Albania non e' mancato e per gli albanesi della valle di Presevo, Rama ha detto che possono essere il ponte di collaborazione tra la Serbia e l'Albania.
Rama si e' presentato come un avvocato dell'indipendenza kosovara e Vucic lo ha qualificato come una provocazione. I due premier non dovrebbero discutere “del” Kosovo, bensi' “con” il Kosovo, e' dell'opinione Dragoslav Dedovic, corrispondente della Deutsche Welle sezione serba. Nel suo commento il giornalista si chiede che cosa c'e' di storico nell'incontro Vucic-Rama? E risponde che una dimensione storica vi e' soltanto nel ritardo di quasi un intero secolo. Loro due sono i primi rappresentanti democraticamente eletti di due popoli che si sono decisi ad un incontro bilaterale, Belgrado e Tirana si trovano a due ore di volo da Bruxelles o da Berlino, ma le lontananze politiche ed emotive di queste destinazioni si misurano con anni di luce. Una stretta di mano cordiale con qualcuno che vedi come un nemico solido e un po' di presunzione balcanica e' meglio che nulla, afferma il giornalista della DW e aggiunge che meglio prima che mai. Questo incontro non risolevera' pero' i problemi accumulati, afferma. Pristina sembra essere piena di sex appeal anche se si tratta del piu' povero paese in Europa. Sia Belgrado che Tirana ripetono la stessa formula che Bruxelles ascolta volentieri: rispettiamo i confini immutabili! Con il fatto che la Serbia ritiene di confinare con l'Albania mentre l'Albania ritiene di confinare con il Kosovo, scrive la Deutsche Welle.
Edi Rama e Aleksandar Vucic |
Le parole del premier albanese Edi Rama a Belgrado appena pronunciate hanno suscitato la smorfia del premier serbo Aleksandar Vucic e la sua durissima replica. “L'indipendenza del Kosovo e' una realta' e prima la Serbia lo accettera', piu' velocemente la regione andra' avanti”, cosi' il premier albanese, forse in modo inaspettato, ma dall'altra parte, come ha osservato il corrispondente croato da Belgrado, nessuno poteva essere cosi' ingenuo di non immaginare che Edi Rama avrebbe utilizzato proprio questa occasione per ribadire la sua posizione e per non far dimenticare a nessuno la solidarieta' degli albanesi, quale che sia il paese al quale appartengono. Per Vucic, almeno di come potevano registrarlo le telecamere, e' stata una brutta sorpresa e qualcosa che, come aveva detto, non e' stato annunciato in nessuno degli talking point di questa visita che si annunciava storica. E sull'inevitabile tema della recente partita che si e' conclusa con il ben noto incidente con la bandiera e le violenze sullo stadio di Belgrado, Rama ha detto: “Non siamo nemici, i nostri nemici comuni sono la poverta', mancanza di prospettiva per i giovani e un grande debito pubblico”. L'invito al suo omologo serbo, di visitare l'anno prossimo l'Albania non e' mancato e per gli albanesi della valle di Presevo, Rama ha detto che possono essere il ponte di collaborazione tra la Serbia e l'Albania.
Rama si e' presentato come un avvocato dell'indipendenza kosovara e Vucic lo ha qualificato come una provocazione. I due premier non dovrebbero discutere “del” Kosovo, bensi' “con” il Kosovo, e' dell'opinione Dragoslav Dedovic, corrispondente della Deutsche Welle sezione serba. Nel suo commento il giornalista si chiede che cosa c'e' di storico nell'incontro Vucic-Rama? E risponde che una dimensione storica vi e' soltanto nel ritardo di quasi un intero secolo. Loro due sono i primi rappresentanti democraticamente eletti di due popoli che si sono decisi ad un incontro bilaterale, Belgrado e Tirana si trovano a due ore di volo da Bruxelles o da Berlino, ma le lontananze politiche ed emotive di queste destinazioni si misurano con anni di luce. Una stretta di mano cordiale con qualcuno che vedi come un nemico solido e un po' di presunzione balcanica e' meglio che nulla, afferma il giornalista della DW e aggiunge che meglio prima che mai. Questo incontro non risolevera' pero' i problemi accumulati, afferma. Pristina sembra essere piena di sex appeal anche se si tratta del piu' povero paese in Europa. Sia Belgrado che Tirana ripetono la stessa formula che Bruxelles ascolta volentieri: rispettiamo i confini immutabili! Con il fatto che la Serbia ritiene di confinare con l'Albania mentre l'Albania ritiene di confinare con il Kosovo, scrive la Deutsche Welle.
SESELJ TORNA A BELGRADO PER SCONFIGGERE I DUE 'CANCRI' NIKOLIC E VUCIC
Vojislav Seselj |
In coincidenza, più o meno, con la partenza da Belgrado del premier albanese Edi Rama, protagonista di uno scontro con il suo omologo serbo Alksandar Vucic a proposito del Kosovo, ecco l'arrivo di un'altra grana pesante per la leadership serba: il ritorno, dopo 11 anni di carcere, di Vojislav Seselj, leader dell'estremo radicalismo nazionalista serbo, sotto processo davanti al Tribunale internazionale per l'ex Jugoslavia. Il quotidiano serbo 'Politika' in vista dell'arrivo di Seselj a Belgrado si e' chiesto chi e' che attende Seselj? E scrive che Seselj alla fine ritorna in paese: molto piu' tardi di quanto i suoi fedeli ma poi ridimensionati seguaci politici lo avevano sperato, e comunque prima di quanto se lo aspettavano quelli che lo avevano scortato e salutato in partenza da Belgrado. Il giornale ricorda che i resti dei resti del partito politico serbo che una volta era il piu' potente e maggior organizzato partito negli ultimi anni, alludendo all'ultranazionalista Partito Radicale Serbo, spesso gridavano con manifesti annunciando un rientro trionfale del loro leader dall'Aja. Spesso sembravano tragicomici con sempre la stessa iconografia e con sempre gli stessi preannunci, scrive 'Politika', ma osserva che Seselj non soltanto non attendeva la Serbia, ma ad attenderlo hanno rinunciato nel frattempo anche alcuni dei suoi piu' stretti collaboratori, alludendo proprio alle massime cariche dell'attuale stato serbo. E secondo il giornale di Belgrado, il ritorno di Seselj adesso e' comunque una specie di ritorno da vincitore anche se forse “ferito a morte”. Non bisogna dimenticare che Seselj non ha mai riconosciuto il Tribunale dell'Aja e le sue regole, non ha mai inoltrato la domanda di essere liberato prima del tempo, come nemmeno accettato “le garanzie” e le condizioni delle autorita' serbe. Alla fine hanno dovuto rilasciarlo senza ancora una sentenza.
"QUI TIRANA": LA CORRISPONDENZA DI ARTUR NURA
Albania
La visita del premier Edi Rama a Belgrado, i commenti, le polemiche politiche, le analisi degli esperti sullo stato delle relazioni con la Serbia
Kosovo
I giornali kosovari continuano a parlare del presunto scandalo e dell'inchiesta sulla missione civile europea Eulex dopo le dichiarazioni dell'ex procuratrice Maria Bamieh.
PASSAGGIO IN ONDA
E' on-line la puntata di Passaggio a Sud Est andata in onda il 16 novembre 2014.
La trasmissione e' ascoltabile direttamente qui di seguito oppure sul sito di Radio Radicale.
Sommario della puntata
Albania: la storica visita del premier Edi Rama a Belgrado, la polemica con il premier serbo Aleksandar Vucic sulla questione del Kosovo, i commenti dei politici e degli analisti, il comportamento dei media serbi, le conseguenze sulle relazioni bilaterali.
Crimini di guerra: il ritorno a Belgrado per motivi di salute di Vojslav Seselj, il leader ultranazionalista serbo sotto processo al Tribunale internazionale per l'ex jugoslavia.
Kosovo: gli ultimi sviluppi dell'inchiesta sulla missione civile europea Eulex riportati sui media kosovari.
In trasmissione si parla anche della Romania in attesa dei risultati del secondo turno delle presidenziali di oggi, e della Turchia dove sembra poter ripartire il negoziato con i curdi dopo il raffreddamento delle ultime settimane a causa del conflitto contro lo Stato islamico.
La trasmissione, realizzata con la collaborazione di Marina Szikora e Artur Nura, è ascoltabile direttamente qui
La trasmissione e' ascoltabile direttamente qui di seguito oppure sul sito di Radio Radicale.
Sommario della puntata
Albania: la storica visita del premier Edi Rama a Belgrado, la polemica con il premier serbo Aleksandar Vucic sulla questione del Kosovo, i commenti dei politici e degli analisti, il comportamento dei media serbi, le conseguenze sulle relazioni bilaterali.
Crimini di guerra: il ritorno a Belgrado per motivi di salute di Vojslav Seselj, il leader ultranazionalista serbo sotto processo al Tribunale internazionale per l'ex jugoslavia.
Kosovo: gli ultimi sviluppi dell'inchiesta sulla missione civile europea Eulex riportati sui media kosovari.
In trasmissione si parla anche della Romania in attesa dei risultati del secondo turno delle presidenziali di oggi, e della Turchia dove sembra poter ripartire il negoziato con i curdi dopo il raffreddamento delle ultime settimane a causa del conflitto contro lo Stato islamico.
La trasmissione, realizzata con la collaborazione di Marina Szikora e Artur Nura, è ascoltabile direttamente qui
martedì 11 novembre 2014
1989-2014: VENTICINQUE ANNI FA LA CADUTA DEL MURO DI BERLINO
Uno speciale di Radio Radicale per ricordare i giorni della caduta del muro di Berlino e gli eventi di quell'anno straordinario che cambiò la storia e la geografia politica europea e ai quali si intrecciò l'iniziativa politica del Partito Radicale che, divenuto "transnazionale", in aprile tenne il suo 35° Congresso a Budapest, quando ancora esisteva la "cortina di ferro". Con interventi di Emma Bonino, Marco Pannella, Marino Busdachin, Antonio Stango, una sintesi della relazione tenuta a Budapest da Sergio Stanzani, allora segretario del PR, e documenti sonori dell'epoca.
Venticinque anni fa, poco prima delle 7 di sera del 9 novembre 1989, il portavoce del Partito comunista della Repubblica democratica tedesca, Guenter Schabowski, durante una conferenza stampa convocata poco prima, annunciava ai giornalisti della stampa internazionale a Berlino Est che i cittadini della Germania orientale avrebbero potuto recarsi all'estero senza più bisogno di permessi speciali. Poco tempo prima le autorità della Ddr avevano annunciato un provvedimento simile, anche in risposta alle manifestazioni popolari sempre più imponenti che da Lipsia a Dresda alla stessa Berlino, chiedevano riforme e libertà di movimento, ma la cosa era rimasta lettera morta.
Il corrispondente dell'agenzia Ansa da Berlino, Riccardo Ehrman, lo fece notare piuttosto seccamente e chiese se questa volta le nuove disposizioni sarebbero entrate in vigore da subito. Ma Schabowski non aveva istruzioni precise e, non aveva avuto il tempo di leggere con attenzione le carte che gli erano state passate e di prepararsi una risposta. Così, colto di sorpresa, rispose con un certo imbarazzo: “Sofort. Da subito”.
In pochi minuti la notizia fece il giro del mondo, ripresa da tutte le emittenti internazionali, compresa la televisione della Germania ovest, regolarmente seguita nella Ddr. I cittadini di Berlino est cominciarono allora ad affluire check-point. Nelle ore successive, quando anche la televisione di stato della Germania est manderà in onda le dichiarazioni di Schabowsky, diventeranno decine di migliaia: una folla sempre più imponente che chiedeva di poter finalmente andare liberamente all'ovest, come era stato annunciato.
Le guardie di frontiera - i “Vopos”- rimasero disorientate e chiesero inutilmente istruzioni, ma la situazione rimaneva confusa. Prima venne detto loro di lasciar passare solo le persone in possesso del passaporto. Poi di respingerle al momento in cui sarebbero tornate per rientrare a casa. Col passare del tempo la folla aumentò, così come le file di Trabant in attesa di andare all'ovest. La tensione crebbe e la situazione rischiò di sfuggire di mano. Gli agenti della “Volkspolizei” non sapendo bene cosa fare e cercavano di tenere calma la folla che si sentiva sempre più presa in giro per l'ennesima volta.
Alle 22.30, l'ufficiale responsabile del varco sulla Bornholmerstrasse, Harald Jaeger, dopo essersi consultato con i suoi sottoposti, decise che non si poteva più attendere oltre e ordinò di aprire le sbarre. Di lì a poco lo stesso avverrà in tutti gli altri check-point. La frontiera più chiusa d'Europa si apriva: dopo 28 anni il “muro di Berlino” non esisteva più abbattuto sull'onda delle pressione popolare, ma anche di scelte politiche prese non solo in Germania.
Per oltre un quarto di secolo, anche se fisicamente non ne faceva parte, il “Muro di Berlino”, che separava la parte occidentale della città, appartenente alla Germania Ovest (la Repubblica federale tedesca, legata agli Stati Uniti), da quella orientale, capitale della Germania Est, la Repubblica democratica tedesca, la Ddr, strettamente legata ll'Unione Sovietica, era stato il simbolo e la rappresentazione più cruda della “cortina di ferro” che dal Baltico all'Adriatico tagliava l'Europa in due entità appartenenti a due sistemi politici, ideologici ed economici in conflitto fra di loro (la “guerra fredda”).
Questo Speciale, grazie a materiali sonori tratti dall'archivio di Radio Radicale e ad altre registrazioni dell'epoca, vuole ricordare quel formidabile 1989 e con esso l'iniziativa politica dei Radicali che, prima che cadesse il muro di Berlino e prima che si aprisse la “cortina di ferro”, in quello stesso anno andarono a Budapest a tenere il 35° congresso del loro partito diventato “transnazionale” e che, mentre da anni lottavano per l'affermazione della democrazia e dei diritti umani nell'Europa dell'est, denunciavano il rischio che le democrazie liberali dell'Occidente diventassero democrazie “reali”, autoritarie e burocratiche, così come nei Paesi dell'est il socialismo era divenuto “socialismo reale”.
Ascolta lo Speciale sul sito di Radio Radicale
lunedì 10 novembre 2014
25 ANNI DOPO LA CADUTA DEL MURO CI SONO ANCORA DUE GERMANIE?
Di Marina Szikora
Un quarto del secolo dopo la caduta del Muro di Berlino, il che ha portato all'unificazione un anno dopo, ultimamente e a volte, fa pensare che le due Germanie esistono ancora. Ma non la Germania dell'Est e dell'Ovest, bensi' la Germania interna ed esterna. Cosi' in questi giorni il giornale irlandese 'The Irish Times'. Il giornale scrive che queste due Germanie non esistono su nessuna mappa, bensi' nelle menti della gente. Il primo paese e' quello che vedono i tedeschi: un paese prospero – piu' povero rispetto alla Germania Occidentale, piu' ricco rispetto alla Germania dell'Est – che realizza i risultati e vende gli automobili. Le ombre storiche indietreggiano in questa Germania, mentre la generazione presuntuosa dell'”unificazione', nata intorno al 1989/1990 rigetta le vecchie differenze dei loro genitori tra l'est e l'ovest, scrive il giornale irlandese e aggiunge che vi e' pero' anche un'altra Germania. Quella che esiste nella mente dei suoi vicini europei. Dieci anni fa, questa Germania veniva considerata il malato dell'Europa. Adesso la macchina mediatica sul malato ha cambiato rotta, e la Germania e' un potente egemone “über-efficace” in Europa. Sembra particolarmente grande a quei paesi dell'Ue le cui economie come anche la loro certezza negli ultimi anni sono inciampate. Queste due Germanie, scrive 'The Irisch Times', quella interna e quella esterna, cosi' come percepita dai suoi vicini, sono parte di un quadro piu' grande. Invece di essere osservate come complementari, queste due Germanie sono lasciate ad una reciproca abrasione in maniera sbagliata. Il dibattito dopo la crisi, se il continente si puo' aspettare un' Europa tedesca oppure una Germania europea, trascorre inosservato per la maggior parte della gente, ma diventa invece entusiasmante per l'elite politica e mediatica europea, osserva il giornale irlandese. Negli ultimi anni i leader tedeschi venivano lusingati per la loro importanza in Europa e da loro si aspettava molto. Cosi' essi si sentono sicuri a causa della forza tedesca nella attuale Europa la quale pero' e' ancora vulnerabile per i suoi punti deboli nel futuro: il tick-tack della bomba demografica, il progresso che si basa sul trasferimento incerto alle fonti energetiche rinnovabili e l'infrastruttura troppo affaticata della Germania occidentale. Questi tedeschi presuntuosi ma ancora vulnerabili vedono rosso quando devono affrontare le idee altrui: che Berlino puo' e deve dare un sacco di soldi per risolvere i problemi finanziari europei, osserva “The Irish Times”.
Un quarto del secolo dopo la caduta del Muro di Berlino, il che ha portato all'unificazione un anno dopo, ultimamente e a volte, fa pensare che le due Germanie esistono ancora. Ma non la Germania dell'Est e dell'Ovest, bensi' la Germania interna ed esterna. Cosi' in questi giorni il giornale irlandese 'The Irish Times'. Il giornale scrive che queste due Germanie non esistono su nessuna mappa, bensi' nelle menti della gente. Il primo paese e' quello che vedono i tedeschi: un paese prospero – piu' povero rispetto alla Germania Occidentale, piu' ricco rispetto alla Germania dell'Est – che realizza i risultati e vende gli automobili. Le ombre storiche indietreggiano in questa Germania, mentre la generazione presuntuosa dell'”unificazione', nata intorno al 1989/1990 rigetta le vecchie differenze dei loro genitori tra l'est e l'ovest, scrive il giornale irlandese e aggiunge che vi e' pero' anche un'altra Germania. Quella che esiste nella mente dei suoi vicini europei. Dieci anni fa, questa Germania veniva considerata il malato dell'Europa. Adesso la macchina mediatica sul malato ha cambiato rotta, e la Germania e' un potente egemone “über-efficace” in Europa. Sembra particolarmente grande a quei paesi dell'Ue le cui economie come anche la loro certezza negli ultimi anni sono inciampate. Queste due Germanie, scrive 'The Irisch Times', quella interna e quella esterna, cosi' come percepita dai suoi vicini, sono parte di un quadro piu' grande. Invece di essere osservate come complementari, queste due Germanie sono lasciate ad una reciproca abrasione in maniera sbagliata. Il dibattito dopo la crisi, se il continente si puo' aspettare un' Europa tedesca oppure una Germania europea, trascorre inosservato per la maggior parte della gente, ma diventa invece entusiasmante per l'elite politica e mediatica europea, osserva il giornale irlandese. Negli ultimi anni i leader tedeschi venivano lusingati per la loro importanza in Europa e da loro si aspettava molto. Cosi' essi si sentono sicuri a causa della forza tedesca nella attuale Europa la quale pero' e' ancora vulnerabile per i suoi punti deboli nel futuro: il tick-tack della bomba demografica, il progresso che si basa sul trasferimento incerto alle fonti energetiche rinnovabili e l'infrastruttura troppo affaticata della Germania occidentale. Questi tedeschi presuntuosi ma ancora vulnerabili vedono rosso quando devono affrontare le idee altrui: che Berlino puo' e deve dare un sacco di soldi per risolvere i problemi finanziari europei, osserva “The Irish Times”.
CROAZIA: LE PREVISIONI ECONOMICHE NEGATIVE DELLA COMMISSIONE EUROPEA
Di Marina Szikora
Con il titolo “La Croazia, il nuovissimo stato membro non trova un facile approccio alla prosperita'” la Reuters britannica descrive l'attuale situazione del 28-esimo stato membro dell'Ue. Mentre a mezzogiorno e' impressionante il mercato centrale nella capitale pittoresca croata con i suoi colori, suoni e profumi, scrive il giornalista della Reuters, nel pomeriggio, quando i mercanti richiudono le loro bancarelle, il piu' giovane stato membro dell'Ue dimostra anche l'altro lato: i poveri iniziano a raccogliere la frutta e la verdura gettata per terra. “Lo vedo sempre di piu'” afferma una fruttivendola e aggiunge che e' ancora piu' triste il fatto che non si tratta soltanto di pensionati che lo fanno e i senzatetto, adesso lo fanno anche le persone giovani”. La Croazia non ha goduto nulla del grande boom che potevano godere i paesi della classe 2004-10, maggiormente ex paesi comunistici e paesi dell'Europa dell'Est i quali aderirono all'Ue dieci anni fa quando ancora l'economia mondiale fioriva, scrive la Reuters e aggiunge che la Croazia ha mancato a questo punto di partenza soprattutto a causa di un potere autoritario che aveva afferrato Zagabria poco prima dell'inizio delle guerre le quali portarono poi alla dissoluzione della Jugoslavia. Nel frattempo la Croazia ha riguadagnato il credito democratico, ma ha dovuto combattere per cambiare i mercati perduti e ha dovuto rinunciare ai suoi cantieri navali sovvenzionati per poter soddisfare i criteri dell' adesione all'Ue. La poverta' non e' inconsueta nelle vicinanze balcaniche della Croazia, osserva la Reuters, oppure nelle tasche dei ricchi paesi Occidentali dell'Ue sei anni dopo l'inizio della crisi finanziaria globale.
Con il titolo “La Croazia, il nuovissimo stato membro non trova un facile approccio alla prosperita'” la Reuters britannica descrive l'attuale situazione del 28-esimo stato membro dell'Ue. Mentre a mezzogiorno e' impressionante il mercato centrale nella capitale pittoresca croata con i suoi colori, suoni e profumi, scrive il giornalista della Reuters, nel pomeriggio, quando i mercanti richiudono le loro bancarelle, il piu' giovane stato membro dell'Ue dimostra anche l'altro lato: i poveri iniziano a raccogliere la frutta e la verdura gettata per terra. “Lo vedo sempre di piu'” afferma una fruttivendola e aggiunge che e' ancora piu' triste il fatto che non si tratta soltanto di pensionati che lo fanno e i senzatetto, adesso lo fanno anche le persone giovani”. La Croazia non ha goduto nulla del grande boom che potevano godere i paesi della classe 2004-10, maggiormente ex paesi comunistici e paesi dell'Europa dell'Est i quali aderirono all'Ue dieci anni fa quando ancora l'economia mondiale fioriva, scrive la Reuters e aggiunge che la Croazia ha mancato a questo punto di partenza soprattutto a causa di un potere autoritario che aveva afferrato Zagabria poco prima dell'inizio delle guerre le quali portarono poi alla dissoluzione della Jugoslavia. Nel frattempo la Croazia ha riguadagnato il credito democratico, ma ha dovuto combattere per cambiare i mercati perduti e ha dovuto rinunciare ai suoi cantieri navali sovvenzionati per poter soddisfare i criteri dell' adesione all'Ue. La poverta' non e' inconsueta nelle vicinanze balcaniche della Croazia, osserva la Reuters, oppure nelle tasche dei ricchi paesi Occidentali dell'Ue sei anni dopo l'inizio della crisi finanziaria globale.
QUI TIRANA: LA CORRISPONDENZA DI ARTUR NURA
Gli argomenti della corrispondenza di Artur Nura per la puntata di Passaggio a Sud Est andata in onda a Radio Radicale il 9 novembre
Albania
Il parlamento discute la legge finanziaria e il bilancio dello stato per il 2015 mentre rimangono le tensioni tra maggioranza di centro-sinistra e opposizione.
Il procuratore generale albanese Adriatik Llalla e il procuratore nazionale antimafia italiano Franco Roberti hanno sottoscritto un accordo di cooperazione per la lotta alla criminalità organizzata.
Kosovo
L'Unione Europea indaga su alcuni funzionari della missione civile europea Eulex; intanto sembra raggiunto l'accordo per la formazione del nuovo governo dopo le elezioni anticipate di giugno.
Albania
Il parlamento discute la legge finanziaria e il bilancio dello stato per il 2015 mentre rimangono le tensioni tra maggioranza di centro-sinistra e opposizione.
Il procuratore generale albanese Adriatik Llalla e il procuratore nazionale antimafia italiano Franco Roberti hanno sottoscritto un accordo di cooperazione per la lotta alla criminalità organizzata.
Kosovo
L'Unione Europea indaga su alcuni funzionari della missione civile europea Eulex; intanto sembra raggiunto l'accordo per la formazione del nuovo governo dopo le elezioni anticipate di giugno.
PASSAGGIO IN ONDA
E' on-line la puntata di Passaggio a Sud Est andata in onda il 9 novembre 2014.
La trasmissione e' ascoltabile direttamente qui di seguito oppure sul sito di Radio Radicale.
Sommario della trasmissione
Kosovo: l'indagine su alcuni funzionari della missione civile europea Eulex e le possibili soluzioni dello stallo politico che impedisce la formazione di un nuovo governo dopo le elezioni anticipate dello scorso giugno.
Croazia: la difficile situazione della crisi economica e le valutazioni negative da parte dell'Unione Europea a due mesi dalle elezioni presidenziali (non ancora fissate ufficialmente).
Albania: la legge finanziaria in discussione in parlamento e l'accordo di cooperazione con l'Italia per la lotta alla criminalità organizzata.
L'apertura del programma è dedicata al 25° anniversario della caduta del Muro di Berlino e ad alcune analisi sulla realtà della Germania riunificata di oggi.
La trasmissione, realizzata con la collaborazione dei corrispondenti Marina Szikora e Artur Nura, è ascoltabile direttamente qui
La trasmissione e' ascoltabile direttamente qui di seguito oppure sul sito di Radio Radicale.
Sommario della trasmissione
Kosovo: l'indagine su alcuni funzionari della missione civile europea Eulex e le possibili soluzioni dello stallo politico che impedisce la formazione di un nuovo governo dopo le elezioni anticipate dello scorso giugno.
Croazia: la difficile situazione della crisi economica e le valutazioni negative da parte dell'Unione Europea a due mesi dalle elezioni presidenziali (non ancora fissate ufficialmente).
Albania: la legge finanziaria in discussione in parlamento e l'accordo di cooperazione con l'Italia per la lotta alla criminalità organizzata.
L'apertura del programma è dedicata al 25° anniversario della caduta del Muro di Berlino e ad alcune analisi sulla realtà della Germania riunificata di oggi.
La trasmissione, realizzata con la collaborazione dei corrispondenti Marina Szikora e Artur Nura, è ascoltabile direttamente qui
venerdì 7 novembre 2014
"CERCAVAMO LA PACE": UN BILANCIO DEL PROGETTO
Intervista a Luisa Chiodi, direttrice di Osservatorio Balcani e Caucaso
Alla vigilia della Conferenza conclusiva, che si terrà il 14 novembre presso l'Università di Trento, tracciamo un bilancio del progetto promosso da Osservatorio Balcani e Caucaso insieme ad altre organizzazioni per raccogliere e analizzare la storia dell'impegno civile dei tanti italiani che durante le guerre jugoslave degli anni '90 parteciparono a iniziative di aiuto e solidarietà verso le popolazioni vittime dei conflitti.
La conferenza sarà l'occasione per ragionare sulla minore reattività delle società civili europee ai conflitti attuali e sulla possibilità che i cittadini possano ancora incidere sulle scelte di politica internazionale.
Ascolta qui l'intervista
Leggi qui il programma della conferenza
Tutti i materiali del progetto sono qui
Alla vigilia della Conferenza conclusiva, che si terrà il 14 novembre presso l'Università di Trento, tracciamo un bilancio del progetto promosso da Osservatorio Balcani e Caucaso insieme ad altre organizzazioni per raccogliere e analizzare la storia dell'impegno civile dei tanti italiani che durante le guerre jugoslave degli anni '90 parteciparono a iniziative di aiuto e solidarietà verso le popolazioni vittime dei conflitti.
La conferenza sarà l'occasione per ragionare sulla minore reattività delle società civili europee ai conflitti attuali e sulla possibilità che i cittadini possano ancora incidere sulle scelte di politica internazionale.
Ascolta qui l'intervista
Leggi qui il programma della conferenza
Tutti i materiali del progetto sono qui
martedì 4 novembre 2014
ROMANIA: PRIMO TURNO PRESIDENZIALI CONFERMA VITTORIA DI PONTA
Ma
l'esito del ballottaggio del 16 novembre non è scontato
I risultati finali del primo turno
delle elezioni presidenziali romene confermano le previsioni della
vigilia: col 40,33 per cento dei voti, il leader socialdemocratico e
attuale premier Victor Ponta il 16 novembre sfiderà al ballottaggio
il candidato del centrodestra, il liberale Klaus Iohannis, che ha
ottenuto il 30,44. ”Sono fiero che tanti romeni abbiano creduto al
mio progetto. Nelle prossime due settimane mi rivolgerò a tutti i
romeni perché mi sento responsabile per tutti loro”, ha dichiarato
Ponta dopo i primi exit poll invitando Iohannis ad un confronto
pubblico.
Il programma elettorale del premier
punta sullo sviluppo di settori chiave come agricoltura, industria,
infrastrutture ed energia e sul rafforzamento dello stato sociale e
dei servizi pubblici promuovendo l’uguaglianza sociale, la
riduzione del divario fra persone abbienti e classi disagiate e
favorendo il dialogo sociale. Iohannis, da parte sua, ha sostenuto
che "i risultati dimostrano che sta avvenendo un cambiamento”
proponendosi come “l'unico candidato rimasto in corsa che è
disposto a garantire l'indipendenza della giustizia e dello stato di
diritto".
Anche se tra i due candidati la
differenza è di quasi dieci punti, l'esito del ballottaggio non è
però scontato e molto dipenderà dalle decisioni dei tre candidati
“minori”: l’indipendente Monica Macovei (4,65%), la candidata e
leader del Partito movimento popolare Elena Udrea (5,17%) e
l’indipendente Calin Popescu Tariceanu, attuale presidente del
Senato (5,83%). Qualche settimana fa, Ponta aveva annunciato che
Tariceanu è uno dei candidati alla carica di primo ministro, ma a
situazione resta comunque instabile.
E' difficile che Monica Macovei decida
di appoggiare Ponta viste le ultime dichiarazioni e il suo passato
politico, mentre Elena Udrea, sostenuta dal presidente della
Repubblica Traian Basescu,
deve però fare i conti con
l'opposizione interna del suo partito che, visto il magro risultato,
le chiede di farsi da parte e spinge per un accordo con Iohannis.
Inoltre, l'alto livello di astensione (secondo l’Ufficio elettorale
centrale ha votato solo il 53,1 % degli aventi diritto) e il gran
numero di candidati al primo turno (erano ben 14) lascia un notevole
numero di voti in “libera uscita” che potrebbero avere un certo
peso sull’esito finale.