Intervista a Predrag Matvejevic
Nato in Bosnia Erzegovina, a Mostar, da padre russo e madre croata, è uno degli intellettuali europei più importanti del nostro tempo. Scrittore, saggista, professore universitario, Predrag Matvejevic autore di un libro celeberrimo come Breviario mediterraneo e di altri testi importanti, da Epistolario della nuova Europa, a L'altra Venezia, al recente Pane nostro. Un uomo di cultura, anzi di molte culture, e soprattutto una delle voci più libere dell'Europa contemporanea, si è sempre opposto ai fanatismi che hanno contribuito a far precipitare la Jugoslavia in un gorgo di odii e tragedie e ai conformismi che impediscono una ricostruzione onesta e spassionata delle vicende degli ultimi vent'anni.
In questa mia intervista per Radio Radicale Matvejevic parla delle prospettive dell'Unione Europea e dell'integrazione dei Balcani occidentali e della Turchia, non rinuncia alla speranza nell'avvenire del progetto dell'Europa unita e dell'integrazione del sud est europeo, ma nello stesso tempo non nasconde la sua amarezza per l'attuale situazione di crisi economica, politica e anche ideale, e i suoi timori per il futuro.
L'intervista è tratta dall'ultima puntata del ciclo di Speciali di Passaggio a Sud Est "Racconta l'Europa all'Europa" realizzati nell'ambito del progetto europeo promosso da Osservatorio Balcani e Caucaso.
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domenica 28 aprile 2013
sabato 27 aprile 2013
SERBIA: LA SITUAZIONE POLITICA DOPO L'ACCORDO CON IL KOSOVO
Intervista a Dragan Petrovic
Il clima politico che si respira a Belgrado e in Serbia dopo lo storico accordo raggiunto a Bruxelles il 19 aprile, con la mediazione dell'Unione Europea, per la normalizzazione delle relazioni tra la Serbia e il Kosovo. Il futuro dell'esecutivo alla luce dei rapporti interni alla maggioranza di governo e della strana diarchia tra il primo ministro Ivica Dacic, leader del Partito socialista, e il vice premier Aleksandar Vucic, leader del Partito del progresso. L'interesse russo all'integrazione europea della Serbia e al ruolo dell'Ue nel raggiungimento del compromesso sul Kosovo in funzione anti Usa. I meriti dell'ex presidente serbo Boris Tadic, del suo impegno europeista e per nuove relazioni nella regione e tra i Paesi ex jugoslavi.
Ascolta l'intervista per Radio Radicale
Dragan Petrovic è il corrispondente dell'agenzia Ansa da Belgrado.
Il clima politico che si respira a Belgrado e in Serbia dopo lo storico accordo raggiunto a Bruxelles il 19 aprile, con la mediazione dell'Unione Europea, per la normalizzazione delle relazioni tra la Serbia e il Kosovo. Il futuro dell'esecutivo alla luce dei rapporti interni alla maggioranza di governo e della strana diarchia tra il primo ministro Ivica Dacic, leader del Partito socialista, e il vice premier Aleksandar Vucic, leader del Partito del progresso. L'interesse russo all'integrazione europea della Serbia e al ruolo dell'Ue nel raggiungimento del compromesso sul Kosovo in funzione anti Usa. I meriti dell'ex presidente serbo Boris Tadic, del suo impegno europeista e per nuove relazioni nella regione e tra i Paesi ex jugoslavi.
Ascolta l'intervista per Radio Radicale
Dragan Petrovic è il corrispondente dell'agenzia Ansa da Belgrado.
venerdì 26 aprile 2013
SREBRENICA: NIKOLIC CHIEDE SCUSA PER I CRIMINI DI GUERRA E PERDONO PER LA SERBIA
Il Presidente della Serbia Tomislav Nikolić ha chiesto scuse per i crimini che a nome della Serbia ha commesso qualsiasi rappresentante del popolo serbo e in una intervista alla televisione della Bosnia Erzegovina (BHT), ripresa dai media serbi, ha chiesto perdono per la Serbia a causa dei crimini commessi a Srebrenica annunciando che renderà' omaggio personalmente alle vittime. "Mi inginocchio e chiedo grazia per la Serbia a causa dei crimini che sono stati commessi a Srebrenica. Mi scuso per i crimini che a nome del nostro paese e nostro popolo ha commesso qualsiasi individuo del nostro popolo", ha detto tra l'altro Nikolić nell'intervista alla BHT, senza però qualificare i crimini commessi a Srebrenica come genocidio.
Il membro croato della presidenza tripartita della Bosnia Erzegovina, Željko Komšić, si è invece rifiutato di recarsi in Serbia a causa del discorso tenuto da Nikolic all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite relativo al lavoro del Tribunale dell'Aja. Secondo Komšić si è trattato di un discorso inappropriato che rappresenta un'intromissione negli affari interni della Bosnia Erzegovina. All'incontro con Radmanović e Izetbegović, il presidente serbo ha espresso speranza di poter stabilire una comunicazione con Komšić e che non venga annullato il previsto vertice tra Bosnia Erzegovina e Serbia.
La trasmissione integrale dell'intervista di Nikolic alla televisione della Bosnia Erzegovina è prevista per il prossimo 7 maggio.
[Con la collaborazione di Marina Szikora]
giovedì 25 aprile 2013
DA BRUXELLES FINALMENTE BUONE NOTIZIE PER LA SERBIA (SI SPERA)
Qui di seguito l'ampio reportage di Marina Szikora per la puntata di Passaggio a Sud Est andata in onda oggi a Radio Radicale sulle reazioni in Serbia dopo l'accordo per la normalizzazione delle relazioni tra Belgrado e Pristina siglato a Bruxelles il 19 aprile con la mediazione dell'Alto rappresentante per la politica estera dell'Ue, Catherine Ashton.
Il rapporto della Commissione europea
reso pubblico lunedi' 22 aprile indica che la Serbia ha intrapreso
passi molto importanti verso un miglioramento visibile e sostenibile
nelle relazioni con il Kosovo in base alle conclusioni del Consiglio
europeo dello scorso dicembre. Secondo l'Alto rappresentante per la
politica estera e di sicurezza dell'Ue, Catherine Ashton, le
raccomandazioni della Commissione europea per la Serbia e il Kosovo
rappresentano "una interruzione decisiva con il passato" e
"un passo comune verso il futuro europeo". Il capo della
diplomazia europea, che ha guidato i dieci round negoziali tra
Belgrado e Priština, scrive il quotidiano di belgradese Blic, si e'
congratulata con i partecipanti al dialogo per il loro "corraggio
e visione". Nello stesso comunicato, il commissario
all'allargamento Stefan Fuele ha aggiunto che "la Serbia e il
Kosovo hanno dimostrato di potersi concentrare sul futuro invece di
restare prigionieri del passato".
La Serbia pero', come ripetuto dal
premier Ivica Dačić, con questo accordo siglato la settimana scorsa
a Bruxelles, non ha riconosciuto l'indipendenza del Kosovo. "I
negoziati sul Kosovo continuano. Abbiamo alle nostre spalle diverse
cose: per la prima volta abbiamo ottenuto garanzie che un futuro
esercito kosovaro non potra' recarsi al nord del Kosovo, che la
polizia e la giustizia vengono formati dai serbi e che la parte serba
propone tre candidati per il ruolo di comandante della polizia
regionale. Per la prima volta la comunita' internazionale e' stata
dalla parte della serba e questo dovrebbe aprire una nuova epoca
della Serbia verso l'Occidente", ha detto Dačić aggiungendo
che finora questo e' il testo piu' conveniente per la Serbia. Il
testo dell'accordo afferma anche che la Serbia non puo' bloccare il
Kosovo nel processo di integrazione europea, ma non si menzionano
altre organizzazioni internazionali quali ad esempio le Nazioni
Unite.
Comunque vada, e' e continuera' ad
essere un argomento sempre difficile e molto delicato, lo confermano
anche le primissime dichiarazioni da parte dei due premier. Hashim
Thaci ha ribadito a casa sua che l'accordo garantisce "il
riconoscimento del Kosovo, che si tratta di un soggetto
internazionale, di sovranita' ed integrita' territoriale".
Secondo il premier kosovaro "i serbi nel passato hanno sempre
parlato delle loro vittorie, ma la prassi dimostrera' come in realta'
stanno veramente le cose”. Il premier serbo Ivica Dačić, da parte
sua, ha ripetuto invece che non si tratta e non si trattera' mai del
riconoscimento serbo dell'indipendenza del Kosovo e che invece tutte
le condizioni serbe sono state accettate. Secondo le informazioni
dell'emittente serba B92 non ci sara' nessuna cerimonia di firma
delle due parti a seguito dell'accordo siglato venerdi' scorso e dopo
che esso verra' definitivamente approvato sia da Belgrado che da
Priština.
Le reazioni in Serbia
L' accordo sulla normalizzazione delle
relazioni tra Belgrado e Priština ha provocato in Serbia una ondata
di diverse reazioni, dalle valutazioni di chi lo considera una
decisione storica e istituzionale che offre un appoggio al futuro,
alle accuse di tradimento degli interessi statali e nazionali e fino
alle invettive di chi ha affermato che e' stato compiuto "un
colpo di stato". "In questo momento, si tratta del massimo
che abbiamo potuto ottenere per il nostro popolo in Kosovo", ha
detto il vicepremier Aleksandar Vučić, rilevando che Belgrado "non
sara' intrappolata nelle menzogne di Hashim Thaci" sul
riconoscimento dell'indipendenza. Anche il premier Dačić ha
qualificato come "interpretazione falsa" la dichiarazione
del premier kosovaro il quale continua a ribadire che si e' trattato
in effetti del riconoscimento dell'indipendenza del Kosovo. Alla
radiotelevisione della Serbia, Dačić ha dichiarato che queste sono
"menzogne" di cui si servono gli albanesi del Kosovo che
vogliono mostrare alla loro opinione pubblica di aver vinto in questi
negoziati.
Dall'altra parte, come voce
dell'opposizione, l'ex premier serbo e leader del Partito Democratico
della Serbia, il conservatore nazionalista Vojislav Koštunica, ha
accusato il potere ad aver accettato di porre fine allo stato serbo
in Kosovo, di lasciare il popolo serbo in balia della volonta' dei
separatisti albanesi e di aver svenduto il territorio del Kosovo per
una data di nessun valore, quella dell'inizio dei negoziati di
adesione all'Unione europea. Per Koštunica l'attuale leadership al
potere ha tradito gli interessi dello Stato e della nazione in Kosovo
e in tal modo "ha dato un colpo fatale alla Serbia con
conseguenze storiche terribili". Con questo accordo, e' convinto
Koštunica, "non esiste piu' lo stato serbo in Kosovo ed i serbi
in Kosovo devono vivere sotto la legge ed il potere di uno stato
falso quale il Kosovo". Aspre accuse arrivano anche da parte dei
circoli nazionalisti serbi. Il movimento Dveri ha valutato che il
governo "ha compiuto un colpo di stato, abolito la costituzione
e tradito gli interessi statali e nazionali” e per questo i leader
politici dovranno dimettersi oppure risponderne davanti alla
giustizia. Secondo Dveri cio' significa che per la prima volta nella
storia uno stato cede volontariamente una parte del proprio
territorio. Secondo gli analisti politici invece, l'accordo renderà
più distesa la situazione in Serbia e nella regione. Venerdi' scorso
pero', nella serata dell'accordo, diverse persone, in maggioranza
giovani, hanno manifestato contro l'accordo a Belgrado urlando
"tradimento" e "dimissioni" davanti alla sede
della presidenza della repubblica.
L'opposizione della Chiesa ortodossa
Evidente il dissenso anche della Chiesa
ortodossa: in un comunicato, il patriarcato serbo ha espresso
l'opinione che si tratti di "un completo ritiro della presenza
istituzionale della Serbia sul territorio della sua regione
settentrionale e della formazione di un'autonomia limitata della
comunita' serba al nord del ponte sul fiume Ibar in Kosovska
Mitrovica". Secondo la Chiesa ortodossa serba si tratta di un
riconoscimento indiretto e silenzioso, ma comunque di fatto, del
sistema istituzionale del Kosovo, indipendente dall'attuale
ordinamento della Serbia. Le cose si fanno pesanti a causa della
pressione dei vertici serbi sul processo indisturbato della
"eurointegrazione" del Kosovo di Thaci ma senza alcuna
menzione della Serbia in questo contesto. Non c'e' nessun dubbio, si
legge nel comunicato della Chiesa ortodossa serba, che dopo aver
pagato un prezzo cosi' alto per la famosa data di inizio dei
negoziati di adesione all'Ue - e si tratta di negoziati con un numero
sconosciuto di nuove condizioni e dell'esito incerto - il prezzo per
l'eventuale ingresso della Serbia nell'Ue sara' anche il
riconoscimento formale dell'indipendenza del Kosovo e il suo obbligo
di non ostacolare l'attribuzione di un seggio per il Kosovo alle
Nazioni Unite.
Come sembra, aggiunge il comunicato, si
tratta di una resa totale e di una evidente svendita del territorio
serbo piu' importante da secoli, nel senso spirituale e storico,
imposto dai grandi attori internazionali, nostri amici ed alleati,
per i cento anni della liberazione della vecchia Serbia storica dopo
cinque secoli di asservimento agli ottomani. La Chiesa serba ritiene
che rispetto ad un tale accordo, sarebbe perfino meglio una divisione
del territorio, in quanto soluzione piu' giusta e piu' sostenibile.
La Chiesa domanda anche che cosa cercasse l'alta delegazione serba
alcuni giorni fa a Mosca, se era gia' pronta ad accettare il
cosiddetto "massimo del possibile" che in effetti e' il
"minimo del desiderabile" dal punto di vista dell'interesse
elementare statale e nazionale della Serbia. Su questi presupposti,
la Chiesa ortodossa serba lancia un appello ai parlamentari e al
presidente della Serbia di esaminare davanti a Dio, davanti alla
storia del popolo serbo e alla propria coscienza la loro
responsabilita' morale e storica nel momento in cui prenderanno la
decisione se dare o meno la loro approvazione al testo dell'accordo
siglato a Bruxelles. Al tempo stesso, si lancia anche un appello ai
serbi in Kosovo di non riconoscere il dettato della forza e
dell'ingiustizia, ma di ritenere il Kosovo sempre e per sempre come
loro patria non contestando in nessun modo il fatto che esso e' anche
terra di quegli albanesi che ci vivono da secoli insieme ai serbi.
La difesa dei vertici serbi
L'unica linea di difesa dei vertici
serbi in questo momento e' quella di ribadire fermamente che
l'accordo non significa il riconoscimento dell'indipendenza di
Priština da parte di Belgrado. Il consigliere del presidente serbo,
Marko Đurić, ha dichiarato che per la Serbia e' estremamente
importante l'implementazione dell'accordo sulla normalizzazione delle
relazioni con Priština, ma ha annunciato una campagna il cui
obbiettivo sara' quello di spiegare ai Paesi che non hanno
riconosciuto il Kosovo che l'accordo non e' un passo verso il
riconoscimento dell'indipendenza bensi' verso la normalizzazione
delle relazioni tra la Serbia e una parte del suo territorio, vale a
dire il Kosovo. Secondo Đurić si tratta del passo verso la
normalizzazione delle relazioni che sara' coronato con l'approvazione
della legge costituzionale la quale stabilira' l'autonomia del Kosovo
e Metohija. L'accordo, ha sottolineato il consigliere del capo dello
stato serbo, in nessun modo riconosce la necessita' di trattare il
Kosovo come uno stato indipendente. Ha rilevato inoltre che il Kosovo
non puo' diventare membro delle Nazioni Unite come nemmeno dell'Ue
poiche' questo diritto, come ha spiegato, "gli e' negato
dall'accordo di Lisbona".
In una intervista alla radio
televisione serba, il premier Ivica Dačić ha sottolineato che
l'ingresso nell'Ue e' interesse nazionale e statale della Serbia
perché questo popolo deve vivere meglio, perche' la Russia e'
lontana, perche' non possono da soli, circondati dalla Nato e dall'Ue
e perche' non si puo' avere un futuro migliore fuori
dall'integrazione europea. "700 anni fa la Serbia era la vecchia
Serbia, Kosovo, Raška, ma oggi e' troppo piccola in quest'area.
Oggi, gli interessi strategici e statali della Serbia si trovano
altrove. Ad esempio in Bosnia Erzegovina, dove vive oltre un milione
di serbi. La prossima cosa saranno le pressioni sulla Republika
Srpska, e' dell'opinione Dačić. Ci saranno pressioni per la
revisione dell'Accordo di Dayton. “Per noi il Kosovo non e' l'unica
questione di cui ci dobbiamo occupare", ha detto il premier
serbo. Ha ricordato che le sanzioni imposte ai leader dei serbi negli
anni Novanta hanno contribuito alla formazioni della Republika
Srpska. Dačić ha precisato che se Slobodan Milošević non avesse
introdotto le sanzioni ai leader serbi in Bosnia, quando le forze
militari musulmano-croate si trovavano davanti a Banja Luka, oggi non
ci sarebbe nemmeno l'Accordo di pace di Dayton come nemmeno la
Republika Srpska. Dacic ha sottolineato che e' molto importante che
l'accordo proposto sia implementato ed ha aggiunto che con i serbi
del Kosovo bisogna "parlarci strategicamente, nel piu' grande
segreto e nella sicurezza protetta".
La questione dei serbi del nord del
Kosovo
Il problema principale restano comunque
proprio i serbi del nord del Kosovo che si rifiutano di accettare
quanto Belgrado ha concordato con Priština a Bruxelles. Il
quotidiano belgradese Večernje novosti riporta le osservazioni del
politico che si dice attualmente il piu' forte in Serbia, vale a dire
il vicepremier Aleksandar Vučić, il quale si aspetta che ci sia un
accordo comune, che si trovi la soluzione insieme con i serbi al nord
del Kosovo e che i serbi si presentino uniti. "Noi non possiamo
senza il nostro popolo, ne' il nostro popolo puo' senza la sua
Serbia", ha sottolineato Vučić e ha aggiunto che non ci deve
essere nessun dubbio che la Serbia poteva fare diversamente o
meglio. Mercoledi' il premier Ivica Dačić si e' detto fiducioso che
il Parlamento serbo con grande maggioranza appoggera' il rapporto del
governo sul dialogo Belgrado – Priština nonche' aspettative che
nei prossimi giorni, nei colloqui della leadership di Belgrado con i
serbi in Kosovo verranno eliminate le divergenze a tal proposito.
Oggi la Serbia non e' piu' una notizia negativa e sarebbe un peccato
mancare a questa occasione, ha rilevato Dačić.
BUON 25 APRILE
Oggi è la festa della Liberazione, anniversario della liberazione dal regime fascista e dall'occupazione nazista. E' importante ricordare il 25 aprile e festeggiare la Liberazione. Scrivo Liberazione, con la "L" maiuscola. E, come lo scorso anno, scrivo "festeggiare". Perché sarebbe bello vedere la gente ballare in piazza come si fa in Francia per il 14 luglio. Purtroppo, però, da noi il 25 aprile non viene vissuto come una festa nazionale, che riunisca tutti, donne e uomini, giovani e anziani, italiani vecchi e nuovi, attorno a valori comuni e condivisi che ci facciano sentire una comunità di cittadine e cittadini. Da noi, la festa della Liberazione viene purtroppo ancora vissuta come una festa di parte. L'importante è stare, comunque, dalla parte giusta. Ora e sempre. Buon 25 aprile.
PASSAGGIO IN ONDA
E' on-line la puntata di Passaggio a Sud Est trasmessa
da Radio Radicale oggi 25 aprile e interamente dedicata all'accordo raggiunto tra Serbia e Kosovo per la normalizzazione delle relazioni.
La trasmissione è ascoltabile, insieme a quelle precedenti, sul sito di Radio Radicale o direttamente qui
La trasmissione è ascoltabile, insieme a quelle precedenti, sul sito di Radio Radicale o direttamente qui
lunedì 22 aprile 2013
IL TESTO DELL'ACCORDO TRA SERBIA E KOSOVO
Qui di seguito il testo dell’accordo sulla normalizzazione delle relazioni
tra la Serbia e il Kosovo raggiunto a Bruxelles lo scorso 19 aprile con la mediazione dell'Unione Europea. Il testo è quello tradotto in italiano da EastJournal.net e basato su quello riportato in maniera identica da numerosi siti d’informazione, serbi, albanesi ed europei.
Accordo sui principi che disciplinano la normalizzazione delle relazioni
1. Ci sarà una Associazione / Comunità di municipalità a maggioranza serba in Kosovo. L’adesione sarà aperta a qualsiasi altro comune, a condizione che le Parti [Serbia e Kosovo] siano d’accordo.
2. La Comunità / Associazione sarà creata per legge.
Il suo scioglimento può avvenire solo con una decisione dei comuni
partecipanti. Garanzie giuridiche saranno fornite dalla legge
applicabile e dal diritto costituzionale (tra cui la regola della
maggioranza dei 2/3).
3. Le strutture della
Associazione / Comunità saranno stabilite sulla stessa base dello
statuto vigente dell’Associazione dei Comuni del Kosovo, ad esempio:
Presidente, Vice Presidente, Assemblea, Consiglio.
4. In conformità con le competenze fornite dalla Carta europea dell’autonomia locale e dal diritto del Kosovo, i comuni partecipanti hanno il diritto di cooperare nell’esercizio delle loro competenze attraverso la Comunità / Associazione collettivamente. L’Associazione / Comunità avrà completa supervisione delle aree di sviluppo economico, istruzione, sanità, pianificazione urbana e rurale.
5. L’Associazione / Comunità eserciterà altre competenze aggiuntive eventualmente delegate dalle autorità centrali.
6. La Comunità / Associazione avrà un ruolo di rappresentanza presso le autorità centrali e avrà un posto nel consiglio consultivo delle comunità a tale scopo. Nel perseguimento di questo ruolo è prevista una funzione di monitoraggio.
7. Ci sarà una sola forza di polizia in Kosovo, chiamata la polizia del Kosovo. Tutti i corpi di polizia nel nord del Kosovo devono essere integrati nel quadro della polizia del Kosovo. Gli stipendi saranno erogati solo dalla polizia del Kosovo.
8. Ai membri di altre strutture di sicurezza serbe sarà offerto un posto in strutture equivalenti del Kosovo.
9. Ci sarà un comandante di polizia regionale per le quattro municipalità settentrionali a maggioranza serba (nord di Mitrovica, Zvecan, Zubin Potok e Leposavici). Il comandante di questa regione è un serbo del Kosovo nominato dal Ministero degli Interni da un elenco fornito dai quattro sindaci, a nome della Comunità / Associazione. La composizione della polizia del Kosovo nel nord rifletterà la composizione etnica della popolazione dei quattro comuni.
(Ci sarà un altro Comandante Regionale per i comuni di Mitrovica sud,
Skenderaj e Vushtri). Il comandante regionale dei quattro comuni del
nord collaborerà con gli altri comandanti regionali.
10. Le autorità giudiziarie saranno integrate e operereranno all’interno del quadro giuridico del Kosovo.
La Corte d’appello di Pristina stabilirà una giuria composta da una
maggioranza di giudici serbo-kosovari, responsabile per tutte le
municipalità a maggioranza di serbi del Kosovo. Una divisione di questa Corte d’Appello, composto da personale amministrativo e magistrati, siederà in permanenza a Mitrovica nord (Mitrovica District Court).
Ogni giuria della divisione di cui sopra sarà composto da una
maggioranza di giudici serbi del Kosovo. Il giudice del caso dipenderà
dalla natura del caso in questione.
11. Elezioni comunali saranno organizzate nei comuni del nord nel 2013, con la facilitazione dell’OSCE in conformità alla legge del Kosovo e agli standard internazionali.
12. Un programma di attuazione, incluso un calendario, deve essere presentato entro il 26 aprile. L’attuazione del presente accordo seguirà il principio della trasparenza dei finanziamenti.
13. Le discussioni su energia e telecomunicazioni saranno intensificate tra le due parti e completate entro il 16 giugno.
14. Si è convenuto che nessuna
delle due parti bloccherà o incoraggiare altri a bloccare il progresso
del lato opposto, nei rispettivi percorsi europei.
15. Un comitato di attuazione sarà stabilito dalle due parti con la facilitazione della UE.
venerdì 19 aprile 2013
RACCONTA L'EUROPA ALL'EUROPA: L'U.E. E L'INTEGRAZIONE DELL'EUROPA SUD ORIENTALE
Ultima puntata del ciclo di Speciali di Passaggio a Sud Est che fanno parte del progetto europeo promosso da Osservatorio Balcani e Caucaso
L'ultima puntata del ciclo di Speciali realizzati nell'ambito del progetto europeo promosso da Osservatorio Balcani e Caucaso per raccontare la realtà politica dell'Europa sud orientale e il suo percorso di integrazione nell'UE, è dedicata al presente e al futuro del processo di integrazione dei Balcani occidentali e della Turchia alla luce dello stato attuale del processo di allargamento nel quadro più generale della crisi economica e politica dell'Unione Europea.
Con le analisi e le riflessioni di Predrag Matvejevic, scrittore e saggista, David Carretta, corrispondente di Radio Radicale da Bruxelles e Andrea Ragona, autore di "Yugoland. In viaggio per i Balcani".
Conclusioni di Luka Zanoni, direttore della testata giornalistica di Osservatorio Balcani e Caucaso
Ascolta lo Speciale
giovedì 18 aprile 2013
KOSOVO: C'E' ANCORA SPERANZA PER IL DIALOGO BELGRADO-PRIŠTINA?
Di Marina Szikora [*]
L'Alto rappresentante pe la politica
estera e di sicurezza, Catherine Ashton ha invitato martedi' i
premier della Serbia e del Kosovo ad un nuovo incontro mercoledi' a
Bruxelles e la Commissione europea per alcuni giorni ha rimandato la
presentazione del rapporto sull'avanzamento di questi due paesi.
Questa la notizia del giorno per quanto riguarda la tanto spinosa
questione Kosovo e il futuro del processo negoziale tra Belgrado e
Priština fermatosi all'ultimo round di negoziati, quello ottavo,
senza il raggiungimento di accordo sul tema piu' delicato, lo status
del nord del Kosovo, ovvero lo smantellamento delle istituzioni serbe
parallele. Ashton ha chiesto a Ivica Dačić e a Hashim Thaci di
venire a Bruxelles in uno spirito costruttivo e pronti ad esaminare
diverse opzioni nonche' ad un accordo relativo ad un reciproco
compromesso, si legge nel comunicato di Catherine Ashton di martedi'.
Al tempo stesso, secondo fonti
ufficiose, la Commissione europea avrebbe rimandato l'approvazione
del rapporto sull'avanzamento della Serbia e del Kosovo per concedere
ancora un po' di tempo all'accordo sul nord del Kosovo. L'alta
rappresentante dell'Ue per la politica estera e di sicurezza dovrebbe
riferire ai ministri degli esteri Ue sull'esito dei negoziati tra
Serbia e Kosovo, il quale dovrebbe essere decisivo per il progresso
di questi paesi nelle integrazioni europee. Per la Serbia e'
indispensabile l'accordo sulla normalizzazione delle relazioni con il
Kosovo, mentre Priština dovrebbe ricevere una raccomandazione per
l'apertura dei negoziati sull'Accordo di stabilizzazione e
associazione. La decisione finale spettera' ai leader dell'Ue al
vertice di fine giugno.
All'inizio della settimana, a Belgrado
si e' recato l'ex ministro degli esteri italiano, Franco Frattini. Il
suo arrivo a Belgrado, Frattini lo ha spiegato come un atto di
amicizia, informano i media serbi. Giuntovi per consultazioni con il
governo serbo. Frattini ha valutato che quando si tratta del Kosovo e
lo status dei serbi al nord, bisogna trarne lezione dagli esempi di
successo quali quello del Trentino-Sud Tirolo. Secondo le sue parole,
il modello dell'autonomia del Sud-Tirolo e quello che ha garantito e
consolidato la vita comune di tre gruppi linguistici, la minoranza
italiana, ladini e maggioranza tedesca e ha dimostrato che una vita
comune e' possibile se vengono rispettate le tradizioni di tutti i
popoli.
L'ex ministro italiano e' attualmente
coordinatore per la politica estera del PPE e ha spiegato ai
giornalisti che il Partito Serbo del Progresso potrebbe chiedere lo
status di osservatore presso questo partito europeo. Alla riunione
con il premier serbo Ivica Dačić e' stato ribadito l'appoggio
dell'Italia al cammino europeo della Serbia e l'impegno ad arrivare,
attraverso il dialogo, ad una soluzione giusta che garantira' una
stabilita' permanente nella regione. Nell'incontro con Dačić si e'
parlato altrettanto delle buone condizioni per l'ulteriore progresso
nelle relazioni economiche tra l'Italia e la Serbia. L'Italia e' uno
dei principali partner commerciali internazionali della Serbia e la
Serbia e' aperta agli investitori italiani, si legge nel comunicato
del governo serbo.
Anche il presidente onorario del
Partito Democratico (ora all'opposizione) Boris Tadić ha incontrato
Franco Frattini durante la sua visita a Belgrado e in questo incontro
si e' parlato del proseguimento delle eurointegrazioni della Serbia e
della collaborazione tra i due stati. L'ex presidente della Serbia,
scrivono i media serbi, ha parlato con Frattini "della
collaborazione della Serbia con la NATO e di sfide globali della
sicurazza", facendo riferimento ad un comunicato del Partito
Democratico. Il comunicato aggiunge che Franco Frattini e' il
candidato per l'incarico di segretario generale dell'Alleanza
Nordatlantica.
Siamo quindi in attesa del risultato di
un nuovo tentativo a Bruxelles. Nel momento della registrazione della
trasmissione ci restano soltanto i commenti e le aspettative. Gli
analisti di Belgrado e di Priština valutano che potrebbe essere
raggiunto un accordo che aprirebbe le prote alla via europea di
entrambe le parti. Secondo gli esperti politici, la decisione di
organizzare ancora un round di dialogo tra i due premier, anche se
questo non era previsto, fa pensare che ci sia un accordo a portata
di mano e valutano che e' ancora in gioco la possibilita' di
attribuire alla Serbia la data dell'inizio dei negoziati di adesione
all'Ue. Secondo Dušan Janjić, direttore del Forum per le relazioni
etniche di Belgrado, e' chiaro che e' stato fatto un grande lavoro da
tutte le parti ma soprattutto a Washington. Janjić afferma cha le
ultimissime dichiarazioni del ministro kosovaro per le forze di
sicurezza Agim Čeku in cui garantisce che non entrera' nelle enclavi
serbe, indicano chiaramente che il governo kosovaro accetta la linea
rossa di Belgrado.
L'ex ambasciatore serbo in Germania,
Ognjen Pribićević non rigetta la possibilita' che la Serbia ottenga
una data per i negoziati a giugno. Secondo l'ex diplomatico serbo,
bisogna difendere "il minimo del minimo" e se Priština non
e' pronta ad andarci incontro, difficilmente ci sara' la possibilita'
di un accordo.
[*] Corrispondente di Radio Radicale.
Il testo è tratto dalla trascrizione della corrispondenza per la
puntata di oggi di Passaggio a Sud Est. La corrispondenza è stata
preparata in attesa del prossimo e decisivo incontro tra Ivica Dacic
e Hashim Thaci.
CROAZIA: ALLE PRIME ELEZIONI PER IL PARLAMENTO EUROPEO VINCE L'ASTENSIONE
Di Marina Szikora [*]
Al suo voto storico di domenica 14
aprile, il primo per i deputati croati al Parlamento europeo, ha
quasi battuto il record europeo per quanto riguarda la bassa
affluenza alle urne: soltanto il 20,79 per cento, poco oltre il
numero del minimo europeo della Slovacchia nel 2009. Inoltre, queste
elezioni hanno segnato la vittoria della coalizione del maggiore
partito dell'opposizione l'Unione Democratica Croata (Hdz): 6
deputati contro i 5 eletti della lista di coalizione guidata dal
Partito Socialdemocratico con il Partito Popolare Croato, liberali
democratici ed il Partito dei Pensionati. Il vincitore in assoluto e'
il socialdemocratico, ex ministro degli esteri croato Tonino Picula
il quale ha ottenuto il 47,34 % di voti. Picula e' membro, tra
l'altro, del Consiglio generale del Partito Radicale transnazionale e
transpartito.
Seconda arrivata, a grande sorpresa, e'
Ruža Tomašić, membro del Partito del Diritto dr.Ante Starčević,
il partito dell'estrema destra presentatosi in coalizione con l'HDZ.
Senza questo suo trionfo in effetti, l'HDZ non avrebbe raggiunto il
risultato di un seggio in piu' rispetto ai socialdemocratici. Sulla
lista della coalizione guidata dall'HDZ, Ruža Tomašić si trovava
al quinto posto. Va sottolineato che questa deputata ed ex poliziotta
croata in Canada e' stata l'unica voce contro l'ingresso della
Croazia nell'Ue al Parlamento croato. Il suo impegno politico mette
in primo piano l'orientamento di estremo nazionalismo e spesso grida
omofobiche.
Secondo molte opinioni, il voto di
domenica scorsa in Croazia non e' stato un voto contro l'Europa anche
se di sicuro vi e' molta stanchezza ed esaurimento nel cammino
europeo del nostro paese durato praticamente dieci anni. Nessun
attuale stato membro dell'Ue non ha subito cosi' lunghe e richiedenti
prove di ammissione come la Croazia che dal prossimo 1 luglio
diventera' finalmente il 28 paese dell'Ue. La bassissima affluenza
alle urne e' pero' un messaggio chiaro ai partiti politici nazionali
ed ai loro leader. I cittadini croati non credono piu' nella politica
nazionale, sono fortemente delusi e il continuo aggravamento della
situazione economica in Paese, con un altissimo tasso di
disoccupazione hanno soltanto contribuito a questa specie di boicotto
del voto.
Poi va aggiunto che la presenza della
campagna elettorale europea e' stata poco visibile nei media, molti
lamentavano troppo poca informazione e una troppo breve campagna
elettorale.
Quale che siano le ragioni, la vittoria
dell'opposizione deve far riflettere molto ed agire per quanto
rigurda i governativi e in primis il premier socialdemocratico Zoran
Milanović. Gia' il prossimo 19 maggio i cittadini della Croazia
dovranno recarsi nuovamente alle urne per le elezioni locali e tra un
anno, ancora, per le elezioni europee del 2014. Va ricordato che nel
gennaio 2012 vi e' stato anche il referendum del SI' all'adesione
della Croazia all'Ue quando ha votato il 33 percento dei cittadini
aventi diritto di voto.
Alle prime elezioni per il PE in
Croazia sono stati eletti quindi 12 rappresentanti croati che si
uniranno ai loro colleghi al PE, 6 della coalizione HDZ, 5 di quella
dell'SDP di cui tutti e 5 sono socialdemocratici e tra i 12 eletti vi
e' un deputato del Partito laburista. Grazie alla nuova Legge sugli
elettori, per la prima volta hanno potuto votare anche le persone
private di capacita' di lavoro. La novita' e' stata anche la
possibilita' del "voto preferenziale", vale a dire il
diritto dei votanti ad eleggere, oltre che una delle 28 liste anche
il candidato preferito della lista a cui si dava la priorita'.
Siccome questo mandato durera' soltanto un anno, cioe' fino alle
prossime elezioni europee in tutta l'Ue, la Croazia voleva che gli
attuali osservatori al PE diventassero automaticamente membri a pieno
titolo del PE, cosa che sarebbe stata gradita anche in termini di
costi, ma questa richiesta e' stata respinta da parte dell'Ue.
"Il popolo ha voluto mostrare al
premier cosa ne pensa poiche' il premier nelle ultime due settimane
ha tentato di inchiodarmi alla colonna di vergogna per quello che
dicevo, in effetti cosi' si parla in tutto il mondo e forse questo e'
un messaggio del popolo che cosa ne pensa di tutto questo" ha
detto Ruža Tomašić, rappresentante dell'estrema destra croata e
seconda in assoluto a queste elezioni con il voto preferenziale.
Tomašić ha aggiunto "se non amate la patria, se non credete
veramente in quello che fate, allora lavorate per qualcun'altro e non
sinceramente dal cuore".
Il vincitore in assoluto, come detto,
e' il capolista della coalizione SDP-HNS-HSU, Tonino Picula.
Soddisfatto del suo risultato personale e' pero' deluso per il
risultato della sua lista. "Dobbiamo siederci e analizzare i
risultati, esaminare bene quello che e' successo. Abbiamo ragione ad
essere delusi perche' non abbiamo realizzato l'obbiettivo – la
vittoria" ha detto Picula.
Nella notte elettorale, subito dopo
mezzanotte, il premier Zoran Milanović, presidente del Partito
Socialdemocratico si e' rivolto ai cittadini con un breve intervento
dicendo che i voti sono stati contati e che non gli resta nient'
altro e con peso nel cuore, che congratularsi con quelli che hanno
ottenuto piu' voti. Le elezioni sono incerte, ci aspettavamo un
risultato migliore, ha detto il premier aggiungendo che la poca
affluenza e' stata per tutti e che nei prossimi giorni se ne
discutera'.
Euforica e trionfante invece
l'opposizione. Nel centro elettorale dell'HDZ, dopo mezzanotte si e'
rivolto il suo presidente Tomislav Karamarko. In mezzo ai suoi
colleghi e simpatizzanti che scandivano "Vittoria!"
Karamarko ha detto che questa e' solo la prima vittoria. Ha
sottolineto che l'HDZ e' uscita dall'abisso della sconfitta
parlamentare, un anno hanno lavorato su se stessi e adesso e'
arrivata la vittoria. Il loro obiettivo, oggi, ha assicurato il lider
dell'HDZ, che il popolo accetta, e' "fuori con quelli che
rubano, furoi con la corruzione e criminalita' e restituzione
dell'onesta' e dell'amore sincero per la patria nell'HDZ".
Questo, secondo il presidente del partito del primo presidente
croato, il defunto Franjo Tuđman, ma anche dell'ex premier
incarcerato Ivo Sanader, adesso e' avvenuto, la catarsi vi e' stata e
ora si aspettano che cio' accada ugualmente anche agli altri.
Il capo dello stato croato, Ivo
Josipović, a seguito delle elezioni ed i risultati preliminari
(quelli definitivi saranno resi pubblici sabato 21 aprile) ha detto
che nonostante la bassa affluenza alle urne, si e' trattato comunque
di una giornata molto importante per la Croazia. Qesta modestissima
risposta dei cittadini, secondo Josipović, non e' comunque una
grande sorpresa. Gli analisti, spiega il presidente, prevedevano che
ci sarebbe stata una risposta minore sia per la natura delle
elezioni, sia per il fatto che la gente per diverse ragioni ha poca
fiducia in politica ed e' un tema su cui si dovrebbe riflettere. Ha
sottolineato pero' che il cosidetto, come alcuni lo chiamano 'partito
delle schede vuote' (un' allusione questa alle schede non valide) ha
ottenuto oltre il cinque percento di voti. "Penso si tratti di
un messaggio molto chiaro alla politica" ha sottolineato
Josipović.
Per quanto riguarda la stampa estera,
gli articoli ed i commenti si possono riassumere in quanto: bassa
affluenza alle urne, delusione degli elettori con l'elite politica
nonche' una sorprendente devozione al centro destra rispetto alla
coalizione governativa. L'agenzia di stampa slovena sottolinea che si
tratta della piu' bassa affluenza alle urne in Croazia dalla sua
indipendenza. I media croati citano anche l'ANSA la quale ha
informato che si tratta di una sconfitta sorprendente per il premier
socialdemocratico Zoran Milanović e che i candidati dell'opposizione
del centro destra hanno ottenuto piu' deputati al PE rispetto ai
governativi. Secondo l'ANSA queste elezioni sono state il primo esame
per Milanović ed il suo SDP dopo le elezioni parlamentari di un anno
e mezzo fa. Citando gli analisti, l'agenzia di stampa italiana scrive
che la bassa affluenza alle urne rispecchia l'apatia degli elettori a
causa della recessione che dura da cinque anni e costanti notizie
negative della zona euro nonche' a causa della disoccupazione del 22
percento in Croazia.
Secondo 'Le Monde' l'HDZ torna alla
retorica nazionalista dopo essere stata respinta dal potere ma adesso
ha usato le difficolta' della coalizione governativa che cerca una
soluzione della crisi in Croazia. La televisione Euronews ha
trasmesso le valutazioni degli analisti che i politici croati hanno
mancato ad organizzare una campagna sulle questioni legate all'Ue,
mentre il portale EurActiv valuta che i croati non ritengono queste
elezioni importanti e che l'entusiasmo dell'ingresso nell'Ue e'
diminuito perche' una uscita dalla crisi della zona euro sembra
incerta.
[*] Corrispondente di Radio Radicale. Il testo è tratto dalla trascrizione della corrispondenza per la puntata di oggi di Passaggio a Sud Est.
"QUI TIRANA": LA CORRISPONDENZA DI ARTUR NURA
Gli argomenti della corrispondenza di Artur Nura per la puntata di Passaggio a Sud Est andata in onda oggi e che è possibile riascoltare sul sito di Radio Radicale.
Albania: situazione politica sempre più accesa in vista delle elezioni parlamentari del 23 giugno; le ultime polemiche tra maggioranza e opposizione riguardano la rimozione di un componente della Commissione elettorale; le preoccupazioni dell'Ue, degli Usa e di altri partner internazionali.
Macedonia: le polemiche seguite all'annullamento del risultato delle recenti elezioni locali in alcuni comuni.
Unione europea: la visita nei Balcani dell'Alto rappresentante per la politica estera, Catherine Ashton, dopo il fallimento dell'ultimo round negoziale tra Serbia e Kiosovo e alla vigilia di un nuovo incontro a Bruxelles.
Albania: situazione politica sempre più accesa in vista delle elezioni parlamentari del 23 giugno; le ultime polemiche tra maggioranza e opposizione riguardano la rimozione di un componente della Commissione elettorale; le preoccupazioni dell'Ue, degli Usa e di altri partner internazionali.
Macedonia: le polemiche seguite all'annullamento del risultato delle recenti elezioni locali in alcuni comuni.
Unione europea: la visita nei Balcani dell'Alto rappresentante per la politica estera, Catherine Ashton, dopo il fallimento dell'ultimo round negoziale tra Serbia e Kiosovo e alla vigilia di un nuovo incontro a Bruxelles.
PASSAGGIO IN ONDA
E' on-line la puntata di Passaggio a Sud Est trasmessa
da Radio Radicale il 18 aprile. La trasmissione è ascoltabile nella
sezione "In Onda" del blog oppure, insieme a quelle precedenti, sul sito
di Radio Radicale.
martedì 16 aprile 2013
UNIONE EUROPEA: PRIMAVERA FATALE PER L'ALLARGAMENTO AI BALCANI?
Aprile sarà un mese importante nel programma di allargamento
dell'Unione Europea per quanto riguarda i paesi dei Balcani occidentali. Conformemente alle conclusioni del Consiglio europeo di dicembre, sono attese infatti in queste ore le tre relazioni della Commissione europea che contribuiranno a determinare le
prospettive europee del Kosovo, della Serbia e della Macedonia. Sulla base del contenuto di
tali documenti il Consiglio europeo di giugno prenderà quindi in
considerazione le prossime fasi del processo di
allargamento. La Croazia è destinato a restare per molto tempo l'ultimo paese dell'area ad entrare nell'Ue?
Qui di seguito riporto un'analisi di Erwan Fouéré, Fellow renior research associate presso il Centre for European Policy Studies di Bruxelles ed ex rappresentante speciale dell'Unione Europea per la Macedonia. Il testo è stato ripreso da Balkan Insight ed è stato originariamente pubblicato dal Centre for EuropeanPolicy Studies.
April will be an important month in the EU’s enlargement agenda, particularly as regards the Balkan countries.
In accordance with the December European Council conclusions, the European Commission is expected to present three reports to the member states for consideration, one relating to Kosovo and the other two relating to Serbia and Macedonia.
It is on the basis of the content of these reports that the European Council in June will consider the next steps in moving the enlargement process forward.
The reports relating to Serbia and Macedonia will be particularly important in this respect as they will enable the Council to determine whether enough progress has been made for it to decide on setting a date for opening accession negotiations with both countries.
The report on Kosovo will enable the Council to determine whether the time is right to open negotiations for a Stabilisation and Association Agreement, SAA, the first important step on the albeit long road to EU integration. This will be a joint report from both the Commission and the High Representative, Catherine Ashton.
The latter will focus on the dialogue between Pristina and Belgrade, a process which, as stated in the December Council conclusions, “should gradually result in the normalisation of relations between Kosovo and Serbia with the prospect of both being able to fully exercise their rights and fulfil their responsibilities”.
The Commission’s contribution meanwhile will focus on the reform process. In particular, it will assess the extent to which Kosovo has met the short-term priorities set out in the Commission’s progress report of last October concerning the rule of law, public administration, protection of minorities and trade.
Within those priorities, member states will pay special attention to the fight against organised crime and corruption and will need to be convinced that enough is being done in this respect.
A positive assessment overall would enable the Commission to propose negotiating directives for an SAA for adoption by the Council. This would represent a major boost for Kosovo’s efforts towards EU integration.
And, with the accelerating pace of the dialogue between Pristina and Belgrade, the likelihood of a favourable decision by the Council for Serbia would augur well for an equally positive decision for Kosovo.
As with Kosovo, the report to be presented to the Council in relation to Serbia, which was granted candidate status last March, will be a joint one from the Commission and the High Representative, Catherine Ashton.
The Commission’s contribution will focus on the reforms following on the recommendations contained in the Commission’s progress report of last October.
It will have convincing arguments, which will point to the determined efforts by the Serbian government to promote reforms, not least in the areas of judicial reform, anti-corruption, anti-discrimination and protection of minorities. Serbia is fortunate to have a strong public administration, which will be a valuable asset in the EU accession process.
However, the main focus of attention for the EU member states will be the assessment from the High Representative on the improvement of relations with Kosovo.
This will be the key priority for the Council to determine whether accession negotiations with Serbia should commence. The personal engagement of High Representative Ashton in the dialogue between Belgrade and Pristina is a welcome development.
While it would be wrong to minimise the difficulties, the fact that the dialogue has brought together the presidents and the prime ministers from both sides respectively on several occasions is a positive signal of willingness to move forward.
All indications show that at the next, eighth, round of talks between both prime ministers on April 2, the desire on both sides to find pragmatic solutions on outstanding issues, such as the devolution of powers to Serbian communities, particularly in northern Kosovo, will be confirmed, even if neither side for the moment wishes to concede on issues of status.
The association of local authorities in Macedonia, which played a major role following the 2001 Ohrid Framework Agreement, could offer a useful precedent in overcoming ethnic tensions by bringing together in one body municipal authorities from different ethnic compositions working for common objectives.
Another positive factor that will help the Council determine its position relates to Serbia’s efforts to renew its active contribution towards regional cooperation as well as improving relations with its neighbours such as Croatia, whose prime minister visited Serbia recently.
These developments are seen as further evidence of Serbia’s ambition to move to the next stage of the EU accession process without delay.
Sadly the same cannot be said for Macedonia, which is facing a dramatic political situation. The forcible ejection of not only all the journalists but also of opposition MPs from the parliamentary assembly chamber on December 24 was a tragic reminder of the continued failure of Nikola Gruevski’s government to engage in meaningful political dialogue.
It was the opposition’s efforts to remove what it perceived as unproductive expenditure (related in large part to the controversial Skopje 2014 project) from the budget that prompted the dramatic events. While the opposition parties are not blameless, the government made no attempt to repair the damage or even to stretch out a hand of reconciliation.
Instead, in early February, it pushed through a change in the parliamentary rules of procedure to limit debate, despite the absence of the opposition parties, which continued to boycott parliament following their forced eviction.
These latest developments, and the unwillingness of the government to promote a spirit of compromise, have led to further erosion of basic democratic values and standards, as well as deepening mistrust in an already deeply divided society.
The recent violent ethnic clashes in the capital between the ethnic Albanian community (comprising over 25 per cent of the population) and the majority Macedonian community have added to the malaise, while the government’s refusal to entertain any criticism of its handling of the situation has exacerbated the climate of fear and self-censorship.
This is particularly the case with regard to the government’s attitude towards the media, which has drawn frequent rebukes from the OSCE representative for the freedom of the media as well as from every international media watchdog.
The latest world media freedom index, published in January by Reporters without Borders, ranked Macedonia in 116th place out of 179 countries, a drop of 22 places from 2012, and over 70 places from 2009, when it was ranked in 34th place. The comparable rankings for Serbia are 65th in 2009 and 63rd in 2013.
Messages from the EU are invariably distorted by the government-controlled media, while the few independent journalists who persevere are subject to intimidation and harassment. This in itself is a shocking indictment of the government in Macedonia.
With the danger of seeing the country’s aspiration to join the EU being derailed completely, Commissioner Stefan Fule, accompanied by the European Parliament rapporteur for Macedonia, Richard Howitt, and the former European Parliament President Jerzy Buzek, undertook eleventh-hour mediation effort on March 1.
The presence of Buzek, a senior member of the European Peoples Party to which Gruevski’s party is affiliated, in addition to Howitt, a member of the group of the Progressive Alliance of Socialists and Democrats, was no doubt aimed at putting additional pressure on both the governing party and the opposition.
The agreement reached after hours of painful discussions has offered a temporary reprieve. It provides for the opposition to end its boycott and participate in the local elections in return for a commitment from the government to launch talks with the opposition after the local elections on determining a date for early parliamentary elections. The latter was one of the main opposition demands (the last elections took place in 2011).
The agreement also provides for a debate about the state of democracy in the country, as well as the setting up of a commission of enquiry into the December 24 events. Past experience, however, suggests that after the local elections have passed, it will take very little for this shaky compromise to unravel.
As for the local elections, the first round took place on March 24 in a relatively calm atmosphere after a campaign that was marred by intimidation and irregularities, mainly committed by the governing VMRO-DPMNE party abusing its control over the media and the public administration.
The OSCE/ODIHR electoral observation report, issued on March 25, refers to “credible allegations of intimidation and misuse of state resources throughout the campaign”. The second round is scheduled for April 7, although the lack of a level playing field raises serious questions as to the legitimacy of the overall outcome.
Ironically, the name dispute with Greece has drawn most attention in Macedonia’s EU accession debate, and has provided a convenient scapegoat for the government in diverting attention from the serious internal political situation and lack of willingness to engage in political dialogue.
It is unfortunate that the Commission’s 2012 progress report made only passing reference to the need for enhanced political dialogue. Yet, in previous years, for example in the 2009 progress report, which included a recommendation that a date be set for opening negotiations, or in the report of 2010, the issue of political dialogue was given greater prominence and was referred to as a key priority.
As the events of last Christmas Eve illustrate, the lack of dialogue within the political and institutional system remains a major issue in the country. In this respect, Commissioner Fule’s statement on February 15, calling on the political leaders to “take responsibility and find a solution, demonstrating the maturity of the democratic institutions and putting the best interests of the country and its citizens first” is welcome, although it would have had greater impact had it been made several months ago.
The high-level accession dialogue, established a year ago, which helped to focus the minds of the government on the critical reforms, represents, as the recent report from the European Affairs Committee of the UK House of Lords highlighted, only a short-term incentive. Clearly it is not enough in the current political environment.
Probably the only way to keep the EU aspirations of the country on track and prevent it from sinking into further political instability would be for the accession negotiations to start without delay.
The intrusive nature of the accession process would ensure better control over the government's errant behaviour, a more consistent performance in meeting the accession criteria and a more effective way of signalling to the government that its nationalist agenda is incompatible with its EU aspirations, let alone fulfilling the aspirations of its citizens for a more stable future.
Greece should be persuaded that political stability in its neighbourhood would better serve its own interests. Allowing negotiations to start would also be an appropriate way of marking the 10th anniversary of the 2003 Thessaloniki summit, which set out a blueprint for EU accession for the Balkan region.
This is a critical time for the EU’s enlargement agenda with competing interests at play – between those who suggest that further enlargement is a burden that the EU can ill-afford in the current economic climate, and others who continue to believe that extending the frontiers of peace and security to include the Balkan countries will make the EU a safer place.
To counter the nay-sayers, it will be important for the EU to show that its current strategy continues to deliver dividends, as it certainly does in the case of Kosovo and Serbia; it should also be ready to adapt its strategy where necessary, as in the case of Macedonia, by using whatever leverage it has in a more direct and consistent way and ensuring that its policy objectives and strategy in this area are based on the progress assessment narrative and not the other way around.
It should rather use the glaring weaknesses in the reform processes as an argument to convince the member states that opening negotiations is the most effective way to ensure stability as well as greater control over the country's political leadership.
As Commissioner Fule himself stated before the above-mentioned UK House of Lords Committee, a rigorous application of conditionality in the enlargement negotiations would help to restore public confidence in the enlargement process both in the member states as well as in candidate countries.
Qui di seguito riporto un'analisi di Erwan Fouéré, Fellow renior research associate presso il Centre for European Policy Studies di Bruxelles ed ex rappresentante speciale dell'Unione Europea per la Macedonia. Il testo è stato ripreso da Balkan Insight ed è stato originariamente pubblicato dal Centre for EuropeanPolicy Studies.
Spring Could Prove Fateful for EU Balkan Enlargement
Three upcoming reports will help determine the EU prospects of Kosovo, Serbia and Macedonia; of the three, the latter is causing by far the most concern.April will be an important month in the EU’s enlargement agenda, particularly as regards the Balkan countries.
In accordance with the December European Council conclusions, the European Commission is expected to present three reports to the member states for consideration, one relating to Kosovo and the other two relating to Serbia and Macedonia.
It is on the basis of the content of these reports that the European Council in June will consider the next steps in moving the enlargement process forward.
The reports relating to Serbia and Macedonia will be particularly important in this respect as they will enable the Council to determine whether enough progress has been made for it to decide on setting a date for opening accession negotiations with both countries.
The report on Kosovo will enable the Council to determine whether the time is right to open negotiations for a Stabilisation and Association Agreement, SAA, the first important step on the albeit long road to EU integration. This will be a joint report from both the Commission and the High Representative, Catherine Ashton.
The latter will focus on the dialogue between Pristina and Belgrade, a process which, as stated in the December Council conclusions, “should gradually result in the normalisation of relations between Kosovo and Serbia with the prospect of both being able to fully exercise their rights and fulfil their responsibilities”.
The Commission’s contribution meanwhile will focus on the reform process. In particular, it will assess the extent to which Kosovo has met the short-term priorities set out in the Commission’s progress report of last October concerning the rule of law, public administration, protection of minorities and trade.
Within those priorities, member states will pay special attention to the fight against organised crime and corruption and will need to be convinced that enough is being done in this respect.
A positive assessment overall would enable the Commission to propose negotiating directives for an SAA for adoption by the Council. This would represent a major boost for Kosovo’s efforts towards EU integration.
And, with the accelerating pace of the dialogue between Pristina and Belgrade, the likelihood of a favourable decision by the Council for Serbia would augur well for an equally positive decision for Kosovo.
As with Kosovo, the report to be presented to the Council in relation to Serbia, which was granted candidate status last March, will be a joint one from the Commission and the High Representative, Catherine Ashton.
The Commission’s contribution will focus on the reforms following on the recommendations contained in the Commission’s progress report of last October.
It will have convincing arguments, which will point to the determined efforts by the Serbian government to promote reforms, not least in the areas of judicial reform, anti-corruption, anti-discrimination and protection of minorities. Serbia is fortunate to have a strong public administration, which will be a valuable asset in the EU accession process.
However, the main focus of attention for the EU member states will be the assessment from the High Representative on the improvement of relations with Kosovo.
This will be the key priority for the Council to determine whether accession negotiations with Serbia should commence. The personal engagement of High Representative Ashton in the dialogue between Belgrade and Pristina is a welcome development.
While it would be wrong to minimise the difficulties, the fact that the dialogue has brought together the presidents and the prime ministers from both sides respectively on several occasions is a positive signal of willingness to move forward.
All indications show that at the next, eighth, round of talks between both prime ministers on April 2, the desire on both sides to find pragmatic solutions on outstanding issues, such as the devolution of powers to Serbian communities, particularly in northern Kosovo, will be confirmed, even if neither side for the moment wishes to concede on issues of status.
The association of local authorities in Macedonia, which played a major role following the 2001 Ohrid Framework Agreement, could offer a useful precedent in overcoming ethnic tensions by bringing together in one body municipal authorities from different ethnic compositions working for common objectives.
Another positive factor that will help the Council determine its position relates to Serbia’s efforts to renew its active contribution towards regional cooperation as well as improving relations with its neighbours such as Croatia, whose prime minister visited Serbia recently.
These developments are seen as further evidence of Serbia’s ambition to move to the next stage of the EU accession process without delay.
Sadly the same cannot be said for Macedonia, which is facing a dramatic political situation. The forcible ejection of not only all the journalists but also of opposition MPs from the parliamentary assembly chamber on December 24 was a tragic reminder of the continued failure of Nikola Gruevski’s government to engage in meaningful political dialogue.
It was the opposition’s efforts to remove what it perceived as unproductive expenditure (related in large part to the controversial Skopje 2014 project) from the budget that prompted the dramatic events. While the opposition parties are not blameless, the government made no attempt to repair the damage or even to stretch out a hand of reconciliation.
Instead, in early February, it pushed through a change in the parliamentary rules of procedure to limit debate, despite the absence of the opposition parties, which continued to boycott parliament following their forced eviction.
These latest developments, and the unwillingness of the government to promote a spirit of compromise, have led to further erosion of basic democratic values and standards, as well as deepening mistrust in an already deeply divided society.
The recent violent ethnic clashes in the capital between the ethnic Albanian community (comprising over 25 per cent of the population) and the majority Macedonian community have added to the malaise, while the government’s refusal to entertain any criticism of its handling of the situation has exacerbated the climate of fear and self-censorship.
This is particularly the case with regard to the government’s attitude towards the media, which has drawn frequent rebukes from the OSCE representative for the freedom of the media as well as from every international media watchdog.
The latest world media freedom index, published in January by Reporters without Borders, ranked Macedonia in 116th place out of 179 countries, a drop of 22 places from 2012, and over 70 places from 2009, when it was ranked in 34th place. The comparable rankings for Serbia are 65th in 2009 and 63rd in 2013.
Messages from the EU are invariably distorted by the government-controlled media, while the few independent journalists who persevere are subject to intimidation and harassment. This in itself is a shocking indictment of the government in Macedonia.
With the danger of seeing the country’s aspiration to join the EU being derailed completely, Commissioner Stefan Fule, accompanied by the European Parliament rapporteur for Macedonia, Richard Howitt, and the former European Parliament President Jerzy Buzek, undertook eleventh-hour mediation effort on March 1.
The presence of Buzek, a senior member of the European Peoples Party to which Gruevski’s party is affiliated, in addition to Howitt, a member of the group of the Progressive Alliance of Socialists and Democrats, was no doubt aimed at putting additional pressure on both the governing party and the opposition.
The agreement reached after hours of painful discussions has offered a temporary reprieve. It provides for the opposition to end its boycott and participate in the local elections in return for a commitment from the government to launch talks with the opposition after the local elections on determining a date for early parliamentary elections. The latter was one of the main opposition demands (the last elections took place in 2011).
The agreement also provides for a debate about the state of democracy in the country, as well as the setting up of a commission of enquiry into the December 24 events. Past experience, however, suggests that after the local elections have passed, it will take very little for this shaky compromise to unravel.
As for the local elections, the first round took place on March 24 in a relatively calm atmosphere after a campaign that was marred by intimidation and irregularities, mainly committed by the governing VMRO-DPMNE party abusing its control over the media and the public administration.
The OSCE/ODIHR electoral observation report, issued on March 25, refers to “credible allegations of intimidation and misuse of state resources throughout the campaign”. The second round is scheduled for April 7, although the lack of a level playing field raises serious questions as to the legitimacy of the overall outcome.
Ironically, the name dispute with Greece has drawn most attention in Macedonia’s EU accession debate, and has provided a convenient scapegoat for the government in diverting attention from the serious internal political situation and lack of willingness to engage in political dialogue.
It is unfortunate that the Commission’s 2012 progress report made only passing reference to the need for enhanced political dialogue. Yet, in previous years, for example in the 2009 progress report, which included a recommendation that a date be set for opening negotiations, or in the report of 2010, the issue of political dialogue was given greater prominence and was referred to as a key priority.
As the events of last Christmas Eve illustrate, the lack of dialogue within the political and institutional system remains a major issue in the country. In this respect, Commissioner Fule’s statement on February 15, calling on the political leaders to “take responsibility and find a solution, demonstrating the maturity of the democratic institutions and putting the best interests of the country and its citizens first” is welcome, although it would have had greater impact had it been made several months ago.
The high-level accession dialogue, established a year ago, which helped to focus the minds of the government on the critical reforms, represents, as the recent report from the European Affairs Committee of the UK House of Lords highlighted, only a short-term incentive. Clearly it is not enough in the current political environment.
Probably the only way to keep the EU aspirations of the country on track and prevent it from sinking into further political instability would be for the accession negotiations to start without delay.
The intrusive nature of the accession process would ensure better control over the government's errant behaviour, a more consistent performance in meeting the accession criteria and a more effective way of signalling to the government that its nationalist agenda is incompatible with its EU aspirations, let alone fulfilling the aspirations of its citizens for a more stable future.
Greece should be persuaded that political stability in its neighbourhood would better serve its own interests. Allowing negotiations to start would also be an appropriate way of marking the 10th anniversary of the 2003 Thessaloniki summit, which set out a blueprint for EU accession for the Balkan region.
This is a critical time for the EU’s enlargement agenda with competing interests at play – between those who suggest that further enlargement is a burden that the EU can ill-afford in the current economic climate, and others who continue to believe that extending the frontiers of peace and security to include the Balkan countries will make the EU a safer place.
To counter the nay-sayers, it will be important for the EU to show that its current strategy continues to deliver dividends, as it certainly does in the case of Kosovo and Serbia; it should also be ready to adapt its strategy where necessary, as in the case of Macedonia, by using whatever leverage it has in a more direct and consistent way and ensuring that its policy objectives and strategy in this area are based on the progress assessment narrative and not the other way around.
It should rather use the glaring weaknesses in the reform processes as an argument to convince the member states that opening negotiations is the most effective way to ensure stability as well as greater control over the country's political leadership.
As Commissioner Fule himself stated before the above-mentioned UK House of Lords Committee, a rigorous application of conditionality in the enlargement negotiations would help to restore public confidence in the enlargement process both in the member states as well as in candidate countries.
lunedì 15 aprile 2013
IL VOTO AMARO ALLE PRIME ELEZIONI EUROPEE IN CROAZIA
Qui di seguito una “anteprima” della corrispondenza di
Marina Szikora per la prossima puntata di Passaggio a Sud Est in onda
giovedì 18 aprile a Radio Radicale sulle elezioni dei deputati croati al Parlamento
Europeo.
Purtroppo e con moltissima delusione di
chi vi scrive, la Croazia, al suo voto storico di domenica 14 aprile,
il primo per i deputati croati al PE, ha quasi battuto il record
europeo per quanto riguarda la bassa affluenza alle urne, soltanto il
20,79 percento. Poco oltre il numero del minimo europeo a suo tempo
della Slovacchia. Inoltre, queste elezioni hanno segnato la vittoria
della coalizione del maggiore partito dell'opposizione l'Unione
Democratica Croata (HDZ) - 6 deputati contro i 5 eletti della lista
di coalizione guidata dal Partito Socialdemocratico con il Partito
Popolare Croato – liberali democratici ed il Partito dei
Pensionati. Il vincitore in assoluto e' il socialdemocratico, ex
ministro degli esteri croato Tonino Picula il quale ha ottenuto il
47,34 % di voti. Tengo ad aggiungere che Tonino Picula e' membro del
Consiglio Generale del Partito Radicale transnazionale e
transpartito. Seconda arrivata, a grande sorpresa, e' Ruža Tomašić,
membro del Partito del Diritto di Ante Starčević, il partito
dell'estrema destra presentatosi in coalizione con l'Hdz. Va
sottolineato che Ruža Tomašić e' stata l'unica voce contro
l'ingresso della Croazia nell'Ue al Parlamento croato. Il suo impegno
politico mette in primo piano l'orientamento di estremo nazionalismo
e spesso grida omofobiche.
Secondo molte opinioni, il voto di
domenica scorsa in Croazia non e' stato un voto contro l'Europa anche
se di sicuro vi e' molta stanchezza ed esaurimento nel cammino
europeo del nostro paese durato praticamente dieci anni. Nessun
attuale stato membro dell'Ue non ha subito cosi' lunghe e richiedenti
prove di ammissione come la Croazia che dal prossimo 1 luglio
diventera' finalmente il 28 paese dell'Ue. La bassissima affluenza
alle urne e' un messaggio chiaro ai partiti politici nazionali ed ai
loro leader. I cittadini croati non credono piu' nella politica
nazionale, sono fortemente delusi e il continuo aggravamento della
situazione economica in Paese, con un altissimo tasso di
disoccupazione hanno soltanto contribuito a questa specie di boicotto
del voto. Poi va aggiunto che la presenza della campagna elettorale
europea e' stata poco visibile nei media, molti lamentavano troppo
poca informazione e una troppo breve campagna elettorale. Quale che
siano le ragioni, la vittoria dell'opposizione deve far riflettere
molto ed agire pe quanto rigurda i governativi e in primis il premier
socialdemocratico Zoran Milanović. Gia' il prossimo 19 maggio i
cittadini della Croazia dovranno recarsi nuovamente alle urne per le
elezioni locali e tra un anno, ancora, per le elezioni europee del
2014.
Va ricordato che nel gennaio 2012 vi e'
stato anche il referendum del Sì all'adesione della Croazia all'Ue
quando ha votato il 33 percento dei cittadini aventi diritto di voto.
Alle prime elezioni per il PE in Croazia sono stati eletti quindi 12
rappresentanti croati che si uniranno ai loro colleghi al PE, 6 della
coalizione HDZ, 5 di quella dell'SDP e un deputato del Partito
laburista. Grazie alla nuova Legge sugli elettori, per la prima volta
hanno potuto votare anche le persone private di capacita' di lavoro.
La novita' e' stata anche la possibilita' del "voto
preferenziale", vale a dire il diritto dei votanti ad eleggere,
oltre che una delle 28 liste anche il candidato preferito della lista
a cui si dava la priorita'. Siccome questo mandato durera' soltanto
un anno, vale a dire fino alle prossime elezioni europee in tutta
l'Ue, la Croazia voleva che gli attuali osservatori al PE
diventassero automaticamente membri a pieno titolo del PE, cosa che
sarebbe stata gradita anche in termini di costi, ma questa richiesta
e' stata respinta da parte dell'Ue.
"Il popolo ha voluto mostrare al
premier cosa ne pensa poiche' il premier nelle ultime due settimane
ha tentato di inchiodarmi alla colonna di vergogna per quello che
dicevo, in effetti cosi' si parla in tutto il mondo e forse questo e'
un messaggio del popolo che cosa ne pensa di tutto questo" ha
detto Ruža Tomašić, rappresentante dell'estrema destra croata e
seconda in assoluto a queste elezioni con il voto preferenziale.
Tomašić ha aggiunto "se non amate la patria, se non credete
veramente in quello che fate, allora lavorate per qualcun'altro e non
sinceramente dal cuore". Il vincitore in assoluto, il capolista
della coalizione SDP-HNS-HSU, Tonino Picula e' soddisfatto del suo
risultato personale ma deluso pero' per il risultato della sua lista.
"Dobbiamo siederci e analizzare i risultati, esaminare bene
quello che e' successo. Abbiamo ragione ad essere delusi perche' non
abbiamo realizzato l'obbiettivo – la vittoria" ha detto
Picula. Nella notte elettorale, subito dopo mezzanotte, il premier
Zoran Milanović, presidente del Partito Socialdemocratico si e'
rivolto ai cittadini con un breve intervento dicendo che i voti sono
stati contati e che non gli resta nient' altro e con peso nel cuore,
che congratularsi con quelli che hanno ottenuto piu' voti. Le
elezioni sono incerte, ci aspettavamo un risultato migliore, ha detto
il premier aggiungendo che la poca affluenza e' stata per tutti e che
nei prossimi giorni se ne discutera'. Se non ci fosse stato
introdotto ordine nelle liste degli aventi voto, l'affluenza sarebbe
stata ancora minore, e' dell'opinione Milanović.
Euforica e trionfante invece
l'opposizione. Nel centro elettorale dell'HDZ, dopo mezzanotte si e'
rivolto il suo presidente Tomislav Karamarko. In mezzo ai suoi
colleghi e simpatizzanti che scandivano "Vittoria!"
Karamarko ha detto che questa e' solo la prima vittoria. Ha
sottolineato che l'HDZ e' uscita dall'abisso della sconfitta
parlamentare, un anno hanno lavorato su se stessi e adesso e'
arrivata la vittoria. Il loro obiettivo, oggi, ha assicurato il lider
dell'HDZ, che il popolo accetta, e' "fuori con quelli che
rubano, corruzione e criminalita' e restituzione dell'onesta' e
dell'amore sincero per la patria nell'HDZ". Questo, secondo il
presidente del partito del primo presidente croato, il defunto Franjo
Tuđman, ma anche dell'ex premier incarcerato Ivo Sanader, questa
volta e' avvenuto, la catarsi vi e' stata e adesso si aspettano che
cio' accada ugualmente anche agli altri.
LA TURCHIA E' IL PRIMO PAESE AD APRIRE UN'AMBASCIATA IN PALESTINA
Il console generale turco a
Gerusalemme, Sakir Torunlar, sarà il primo ambasciatore ufficiale in
Palestina. La sua qualifica è stata elevata di rango dopo che alla
Palestina è stato riconosciuto come Stato non-membro alle Nazioni
Unite. Torunlar ha presentato le sue credenziali al presidente
palestinese, Mahmoud Abbas a Ramallah, ed è dato per scontato che
saranno accettate, anche perché Ankara ha riconosciuto la Palestina
nel 1988, anno della dichiarazione d'indipendenza proclamata
dall'Olp.
La decisione viene dopo che la Turchia
ha ripreso con Israele i rapporti gravemente incrinati nel giugno
2010 a seguito dell'assalto alla nave Mavi Marmara, componente della
“Freedom Flotilla” che tentava di rompere l'isolamento della
striscia di Gaza imposto da Tel Aviv, in cui morirono 9 attivisti
turchi. Tre settimane fa, il viaggio in Medio Oriente del presidente
americano Barack era stato l'occasione per un gesto distensivo del
premier israeliano, Benjamin Netanyahu, che aveva telefonato al
premier turco Recep Tayyip Erdogan, per porgere le scuse ufficiali.
Il processo di riappacificazione è
attualmente in attesa di un accordo sugli indennizzi economici per le
famiglie delle vittime della Navi Marmara e della revoca del blocco
sulla Striscia di Gaza richiesta da Ankara, ma che il peggio sia alle
spalle lo dimostra anche l'inedita proposta lanciata qualche giorno
fa dal ministro turco dell'energia, che nel corso di un convegno ha parlato di una possibile “triangolazione” con Israele e Cipro per concordare lo sfruttamento delle
ingenti risorse di gas e petrolio che sarebbe custodite nei fondali
del Mediterraneo orientale.
E' evidente che da una parte la crisi siriana,
sempre più grave e profonda, e dall'altra la minaccia del nucleare iraniano,
spingono Ankara e Tel Aviv a mettere da parte incomprensioni e
ripicche delgi ultimi anni e a riprendere i rapporti con la benedizione di Washington. Il processo di pace che si sta avviando tra il governo turco e la guerriglia curda e gli interessi economici ed energetici che Ankara sta sviluppando con il Kurdistan iracheno aggiungono ulteriori elementi per comprendere ancor meglio la politica estera della Turchia in Medio Oriente e in Palestina.
domenica 14 aprile 2013
LA CRIMINALITA' ORGANIZZATA NELL'EUROPA SUD ORIENTALE
Il processo di globalizzazione ha favorito gli scambi e le relazioni politiche, economiche e culturali, ma l'apertura delle frontiere e l'abolizione dei vincoli doganali ha purtroppo anche favorito i traffici illeciti e l'internazionalizzazione delle organizzazioni criminali. Il dottor Paolo Sartori, direttore del coordinamento operativo per l'Europa orientale e sud orientale della Criminalpol, nell'intervista per Radio Radicale spiega le caratteristiche delle organizzazioni criminali che operano in questa parte del continente, quali traffici gestiscono, che rapporti hanno con le mafie italiane. I traffici di droga e di esseri umani continuano ad rappresentare voci fondamentali nei bilanci delle imprese criminali che realizzano anche profitti nell'ambito della prostituzione, del gioco d'azzardo e della criminalità informatica. Se i Paesi arrivati recentemente alla democrazia, per una serie di carenze legislative e operative, sono in molti casi ancora vulnerabili alla diffusione delle attività criminali, i tanti cambiamenti positivi registrati in questa parte dell'Europa nell'ultimo decennio hanno fatto crescere il coordinamento transnazionale dell'attività di contrasto grazie anche al processo di integrazione europea.
sabato 13 aprile 2013
RACCONTA L'EUROPA ALL'EUROPA: TURCHIA
Undicesima puntata del ciclo di Speciali di Passaggio a Sud Est che fanno parte del progetto europeo promosso da Osservatorio Balcani e Caucaso
La penultima puntata del ciclo di Speciali realizzati nell'ambito del progetto europeo promosso da Osservatorio Balcani e Caucaso per raccontare la realtà politica dell'Europa sud orientale e il suo percorso di integrazione nell'UE, è dedicata alla Turchia: la realtà del Paese dopo un decennio di governo dell'Akp, il partito islamico moderato di Recep Tayyip Erdogan; il presunto rischio islamista e i pericoli di un'involuzione autoritaria del potere; il processo di pace con i curdi e la crisi siriana; la politica estera turca nei Balcani; le relazioni con l'Unione Europea e i negoziati di adesione.
Con Fazila Mat, Alberto Tetta e Rodolfo Toè, collaboratori e corrispondenti di Osservatorio Balcani e Caucaso, e un intervento di Emma Bonino tratto dalla presentazione del secondo rapporto della Independent Commission on Turkey.
Ascolta lo Speciale
La penultima puntata del ciclo di Speciali realizzati nell'ambito del progetto europeo promosso da Osservatorio Balcani e Caucaso per raccontare la realtà politica dell'Europa sud orientale e il suo percorso di integrazione nell'UE, è dedicata alla Turchia: la realtà del Paese dopo un decennio di governo dell'Akp, il partito islamico moderato di Recep Tayyip Erdogan; il presunto rischio islamista e i pericoli di un'involuzione autoritaria del potere; il processo di pace con i curdi e la crisi siriana; la politica estera turca nei Balcani; le relazioni con l'Unione Europea e i negoziati di adesione.
Con Fazila Mat, Alberto Tetta e Rodolfo Toè, collaboratori e corrispondenti di Osservatorio Balcani e Caucaso, e un intervento di Emma Bonino tratto dalla presentazione del secondo rapporto della Independent Commission on Turkey.
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giovedì 11 aprile 2013
LA SERBIA DICE 'NO' ALLA SOLUZIONE DI BRUXELLES PER IL KOSOVO
Di Marina Szikora [*]
Il governo serbo, dopo l'attesa durata praticamente dal momento in cui e' stato terminato l'ultimo, ottavo giro di negoziati tra Belgrado e Priština a Bruxelles, ha respinto all'unanimita' la soluzione proposta per il Kosovo e ha subito riproposto un proseguimento urgente del dialogo con Priptina, sempre con la mediazione dell'Ue.
"Il governo della Serbia non puo' accettare i principi proposti che sono stati presentati a Bruxelles in forma orale al team negoziale di Belgrado poiche' non garantiscono la piena sicurezza, sopravvivenza e protezione dei diritti umani dei serbi in Kosovo. L'accordo basato su questi principi non e' attuabile e la sua accettazione non porterebbe ad una soluzione definitiva e sostenibile come nemmeno al superamento dell'attuale situazione in Kosovo ha detto il premier serbo Ivica Dačić alla riunione del suo governo che e' stata aperta ai media. Nella conclusione si indica che il Governo conferma l'impegno di arrivare attraverso il dialogo, in via pacifica, ad una soluzione sostenibile che rappresentera' una base solida per costruire la pace duratura e sicurezza per tutta la gente che vive in Kosovo. Alla riunione del governo serbo hanno partecipato tutti i vicepresidenti del governo e ministri. Altrettanto presenti i direttori degli uffici del Governo per il Kosovo e le integrazioni europee, Aleksandar Vulin e Milan Pajević nonche' il governatore della banca centrale, Jorgovanka Tabaković. Va detto che la proposta al governo di non firmare l'accordo sul Kosovo offerto a Bruxelles e' stata sollevata da parte del maggiore partito della coalizione governativa, il Partito Serbo del Progresso di cui il vicepremier Aleksandar Vučić e' il leader.
I rappresentanti politici dei serbi del nord del Kosovo hanno dato altrettanto pieno appoggio all'unanimita' ai vertici della Serbia esprimendo le loro aspettative che i prossimi negoziati sul Kosovo, che loro ritengono regione, diano risultati non contrari agli interessi dei serbi in Kosovo e che non minaccino gli interessi statali.
Ad una conferenza stampa congiunta a Kosovska Mitrovica, i rappresentanti dei partiti politici del nord del Kosovo hanno salutato la decisione del Governo della Serbia a chiedere il proseguimento del dialogo e di cercare un soluzione sostenibile per il Kosovo. Hanno sottolineato che non c'e' bisogno di creare nessun tipo di panico tra i cittadini al nord del Kosovo rilevando che e' compito dei politici ad abbassare le tensioni e che tutti devono continuare il loro consueto lavoro. Nel caso di eventuali violenze bisogna attingersi ad una pacifica soluzione di tutti i problemi. Si spera che la Kfor non permettera' escalation di violenze. Secondo i rappresentanti dei serbi al nord del Kosovo la decisione del governo serbo e' stata un atto responsabile e un "no" dei vertici serbi "ai ricatti, condizionamenti e minacce da parte di Bruxelles" ha detto il rappresentante del Partito Democratico il quale ha aggiunto che la posizione dei vertici di Belgrado e' al tempo stesso un incorraggiamento ai serbi in Kosovo che resteranno cittadini della Serbia.
La deputata serba al parlamento kosovaro, Rada Trajković ha valutato che il rifiuto da parte di Belgrado a firmare l'accordo con Priština sembra una vittoria di Piro dei serbi al nord del Kosovo. Pero', Trajković ha sottolineato in una trasmissione della TV B92, per mancanza di accordo tutti i serbi in Kosovo diventeranno grandi perdenti. Dall'altra parte, i serbi in Kosovo, soprattutto quelli al sud del fiume Ibar, secondo la Trajković non sanno di che cosa si e' negoziato a Bruxelles, che cosa e' stato offerto come nemmeno quale e' stata l'agenda di questi negoziati poiche' non erano trasparenti. Secondo le parole di questa deputata, la vita dei serbi al sud del fiume Ibar, che si trovano nelle enclave, e' molto diversa rispetto a quella dei serbi al nord del Kosovo. "Noi siamo circondati dagli albanesi che hanno i loro interessi, principi, questioni che realizzano attraverso le istituzioni del Kosovo e noi serbi siamo all'interno di questa realta'. Possiamo non riconoscerla nella nostra mente e nei nostri cuori, ma appena usciamo fuori noi ci dobbiamo adeguare" afferma Trajković. I serbi al nord, prosegue lei, hanno l'appoggio non soltanto di Belgrado bensi' anche da parte di Priština e della comunita' internazionale, molto probabilmente affinche' il Kosovo si possa dimostrare come multietnico e i serbi nelle enclavi quasi non ci sono. Proprio adesso, rileva la deputata Trajković, e' arrivato il tempo di risolvere veramente questa questione, vale a dire quali istituzioni avra' questa multietnicita' ed e' proprio questo il piu' grande problema. In piu', i 60.000 serbi in Kosovo lavorano per le istituzioni serbe mentre appena 3.000 lavorano per i datori di lavoro di Priština.
Quindi, afferma Trajković, nemmeno lo stesso Kosovo non e' attualmente pronto ad integrare un cosi' grande numero di persone nel suo sistema il che un giorno puo' risultare con l'esodo dei serbi dal Kosovo. Secondo la rappresentante dei serbi in Kosovo, i politici della Serbia non sanno qual'e' la situazione reale in Kosovo, vale a dire quali sono i problemi vitali poiche' sono chiusi per la comunicazione. La deputata serba al Parlamento kosovaro indica un suo problema personale in quanto esempio di comportamenti discriminatori da parte di Priština nei confronti dei serbi. Spesso, per motivi di salute, questa deputata deve essere accompagnata in macchina fino all'entrata del Parlamento. Questo pero' non le e' permesso a causa delle targhe belgradesi della macchina mentre al tempo stesso cio' e' acconsentito a macchine con targhe bosniache, montenegrine o diverse altre. Le autorita' di Priština, afferma, non hanno fatto nulla a proposito di discriminazioni di serbi anche se questa e' stata una delle condizioni del Piano Ahtisaari.
Secondo un articolo del giornale serbo 'Novosti', il rapporto della Commissione europea e dell'alto rappresentante Ue per la politica estera e di sicurezza, Cathrine Ashton che verra' presentanto il prossimo 16 aprile, consistera' in una descrizione dettagliata di quello che il Governo serbo ha fatto finora e Ashton sollecitera' Belgrado e Priština a continuare la normalizzazione mentre la "bacchetta Kosovo" verra' consegnata al commissario all'allargamento Stefan Feule. Anche se ci sarebbe un accordo tra Belgrado e Priština sul nord del Kosovo, e allo stato attule le possibilita' sono quasi inesistenti, afferma il giornale serbo, la Commissione europea presentera' un rapporto praticamente "generico" in cui sara' illustrato tassativamente tutto quello che e' stato fatto sul piano delle riforme, nel dialogo con Priština e quali sono le aspettative per quanto riguarda la Serbia nel prossimo periodo. Il riferimento ad un prossimo passo per quanto riguarda le eurointegrazioni, ovvero una raccomandazione sulla data di inizio dei negoziati al prossimo Consiglio europeo di giugno, secondo 'Novosti' non ci sara'. Da Belgrado si richiedera' di investire sforzi aggiuntivi per correggere gli errori nella formazione dell'attuale rete di corti e nomina di giudici e pubblici ministeri. Verra' constatato che deve proseguire la lotta alla corruzione e che essa non si deve fermare sugli scandali bensi' a sentenze definitive. Catherine Ashton nel suo rapporto che presentera' ai capi di diplomazie il prossimo 22 aprile trattera' il Kosovo, proseguono 'Novosti'.
Nella conclusione del documento, Ashton invitera' ed incorraggera' le due parti a continuare la normalizzazione delle relazioni per la prospettiva europea di Belgrado e di Priština. La decisione spettera' quindi i capi di stato e di governo dell'Ue. Ma e' anche possibile, affermano 'Novosti', che essi il prossimo 28 giugno, alla riunione dedicata all'allargamento arrivino solo a constatare che sono giunti i rapporti della Commissione e dell'alto rappresentante e che quindi non ci sara' nemmeno un dibattito sulla data per l'inizio dei negoziati della Serbia. Si conclude che il dialogo molto probabilmente continuera', ma sotto un formato diverso e senza il ruolo mediatorio di Cathrine Ashton. Non si esclude la possibilita' di un dialogo diretto tra Belgrado e Priština con la mediazione di quei paesi che anche finora sono stati i piu' influenti, in primo luogo la Germania e gli Stati Uniti, afferma per 'Novosti' Laszlo Varga, il vicepresidente della Commissione parlamentare per le integrazioni europee del Parlamento serbo.
L'ASSURDITA' DELLE ELEZIONI PRESIDENZIALI IN MONTENEGRO
Miodrag Lekic e Filip Vujanovic |
Di Marina Szikora [*]
Le elezioni presidenziali di domenica scorsa in Montenegro si sono concluse con l'assurdita' dell'esito elettorale. Entrambi i candidati presidenziali in effetti hanno proclamato la loro vittoria. Il presidente uscente Filip Vujanović reclamava il 51,3 percento di voti mentre il suo sfidante, il candidato indipendente Miodrag Lekić ha dichiarato che la proclamazione della vittoria di Vujanović assume "elementi di colpo di stato" avvertendo al tempo stesso il presidente uscente alla serieta' della situazione e responsabilita' nelle dichiarazioni. Vujanović da parte sua, appoggiato dal premier Milo Đukanović, lider del Partito Democratico dei Socialisti (DPS) ha affermato che si "resta insieme" e che continuano a guidare la politica dello stato per il bene del Montenegro e di tutti i suoi cittadini. L'incognita, almeno per adesso, e' durata fino alla proclamazione dei risultati ufficiali da parte della Commissione elettorale che danno la vitoria al vecchio/nuovo presidente Filip Vujanović.
Il candidato dell'opposizione montenegrina, Miodrag Lekić e' senza dubbio il vincitore morale delle elezioni presidenziali montenegrine, valuta martedi' il quotidiano sloveno 'Delo'. Si tratta del candidato indipendente che alle elezioni parlamentari si e' giocato il ruolo del protagonista chiave sulla scena politica montenegrina, indica 'Delo' e la sua sara' una vittoria morale quale che sara' il vincitore formale di queste elezioni. Se gli elettori "con una maggioranza sottile hanno deciso a favore dell'attuale capo dello stato Filip Vujanović o se il partito governativo DPS imporra' con forza il suo candidato alla carica presidenziale, questo non cambiera' il fatto che Lekić ha sorpassato Vujanović sull'intera linea" osserva 'Delo' e valuta che l'ex capo della diplomazia montenegrina Lekić e' entrato nella corsa elettorale in una posizione del tutto discriminata cioe' "nella campagna elettorale e' stato obiettivo di linciaggio mediatico da parte del suo avversario ed esperto di manipolazioni mediatiche". Secondo 'Delo' e' strano per i Balcani che Lekić in questa lotta ingiusta non e' stato appoggiato da parte della comunita' internazionale: "Si pone la domanda se Bruxelles - chiedendosi timidamente se il Montenegro e' maturo per l'ingresso nell'Ue - almeno dopo le elezioni concluse cerchera' di ostacolare le manipolazioni elettorali ed i brogli ai quali il regime di Milo Đukanović non aveva mai rinunciato" scrive il giornale sloveno.
Lekić non riconosce la vittoria del suo avversario Đukanović e afferma di aver ottenuto il 50,5 percento di preferenze rispetto al 49,5 percento del presidente uscente. Adesso il suo comitato elettorale richiede di avere l'accesso all'intero materiale elettorale per verificare i presunti brogli. Va detto che la Commissione elettorale statale, secondo i risultati preliminari, ha stabilito che il capo dello stato uscente, Filip Vujanović e' il vincitore di queste elezioni ottenendo il 51, 21 percento rispetto al 48, 79 percento di Lekić. Martedi', Miodrag Lekić ha detto al suo sfidante Vujanović che la sua richiesta di riconoscere la sconfitta elettorale e' assurda e ha affermato che Vujanović si presenta falsamente come vincitore di queste elezioni. "Il vicepresidente del DPS Filip Vujanović continua a mandare offerte indecenti all'intera opinione pubblica e a me personalmente" ha detto Lekić aggiungendo che a differenza di Vujanović lui rispetta le procedure finche' hanno senso e finche' le istituzioni fanno il loro lavoro in base alle leggi e alla Costituzione del Montenegro. Lekić afferma che Vujanović ha perso l'appoggio della maggioranza nel Parlamento montenegrino e che gli e' rimasta soltanto la consolazione del proprio partito.
Dopo i risultati preliminari della Commissione elettorale, Miodrag Lekić non accetta questi risultati e chiede il nuovo conto delle schede elettorali. Il collegio del presidente del Parlamento del Montenegro Ranko Krivokapić ha deciso di rimandare la sessione delle commissioni parlamentari finche' non vengono comunicati i risultati definitivi delle elezioni presidenziali. Il lider del Movimento per i Cambiamenti ed uno dei lider del Fronte Democratico, Nebojša Medojević ha fatto sapere che questa alleanza di opposizione fino a tempo indeterminato boicottera' il lavoro del parlamento montenegrino annunciando protesta a causa dei risultati elettorali presidenziali.
[*] Corrispondente di Radio Radicale. Il testo è tratto dalla trascrizione della corrispondenza per la puntata di Passaggio a Sud Est andata in onda oggi.