La Turchia potrebbe decidere di imporre una zona cuscinetto al confine con la Siria, in accordo con la comunità internazionale, se si dovesse trovare a fronteggiare un afflusso massiccio di rifugiati un fuga dalla repressione del regime di Damasco. Lo ha detto il ministro degli Esteri turco, Ahmet Davutoglu, in un'intervista ad un'emittente tv nella quale ha ribadito che Ankara resta contraria all'opzione militare contro Damasco. Dopo anni di ottime relazioni, costruite proprio dall'attuale governo islamico moderato, Ankara continua nella presa di distanza dal regime di Bashar Al Assad che non accenna a voler fermare la sanguinosa repressione dell'opposizione. “Il governo siriano non può sopravvivere se non fa la pace con il suo popolo”, ha detto il ministro Davutoglu nella stessa intervista.
Se le condizioni peggiorano la Turchia potrebbe anche decidere di escludere la Siria dai percorsi commerciali regionali. La Siria, già colpita dalle sanzioni internazionali, è un importante paese di transito per i trasporti su strada della merci turche verso i paesi del vicino e medio Oriente. Secondo quanto dichiarato dal ministro dei Trasporti, Binali Yildirim, la Turchia potrebbe prevedere “di orientare i trasporti su strada attraverso l'Iraq, aprendo nuovi posti di frontiera, se le condizioni peggioreranno”. Il ministro ha precisato che la Turchia sostiene nel suo complesso le sanzioni economiche decise domenica scorsa dalla Lega araba pur garantendo la massima attenzione per non “causare mai pregiudizio al popolo siriano”.
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martedì 29 novembre 2011
lunedì 28 novembre 2011
ROMA: AGGRESSIONE AL CENTRO CULTURALE ARARAT
Comunicato della Rete Kurdistan Roma
Il giorno 26 novembre, tra le 22.30 e le 23.00, una trentina di uomini armati di bastoni di ferro a volto scoperto ha tentato di fare irruzione nel centro Ararat di Testaccio a Roma entrando nel cortile antistante al centro, rompendo tavoli, sedie e vetri e costringendo i rifugiati politici kurdi lì ospitati a chiudersi dentro la sede. Gli aggressori hanno ripetutamente minacciato i kurdi intimandogli di non uscire più da Ararat e di non farsi vedere per il vicino quartiere di Testaccio, che ospita numerosi locali notturni. Solo il sangue freddo mostrato da alcuni dei rifugiati presenti ha impedito il precipitare degli avvenimenti. L’episodio sembrerebbe una “spedizione punitiva” organizzata dal giro dei buttafuori di alcuni tra questi locali, infastiditi dalla presenza di alcuni rifugiati nelle vicinanze. I carabinieri, accorsi sul posto dopo che queste persone si erano dileguate, hanno potuto accertare i danni e accompagnato i testimoni nei locali notturni della zona. Non è possibile tollerare o minimizzare questo atto gravissimo che ha avuto come obiettivo dei rifugiati, visti evidentemente come persone deboli che si può impunemente colpire. Chiediamo alle istituzioni e alla società civile di vigilare per evitare che episodi come quello di ieri sera abbiano a ripetersi con conseguenze non prevedibili.
Pubblico questo comunicato perché, comunque la si pensi sulla questione curda, è necessario non tacere su episodi del genere ed esigere dalle autorità ogni sforzo perché non si ripetano. Il fatto che la “spedizione punitiva” possa essere stata decisa per ragioni che nulla hanno a che fare con il conflitto del Kurdistan, rende il fatto – se possibile - ancora più odioso, proprio perché motivato solo dal razzismo e dall'intolleranza di chi vorrebbe “ripulire” le strade delle nostre città da presenze ritenute un intollerabile "disturbo" per i riti della movida.
Il giorno 26 novembre, tra le 22.30 e le 23.00, una trentina di uomini armati di bastoni di ferro a volto scoperto ha tentato di fare irruzione nel centro Ararat di Testaccio a Roma entrando nel cortile antistante al centro, rompendo tavoli, sedie e vetri e costringendo i rifugiati politici kurdi lì ospitati a chiudersi dentro la sede. Gli aggressori hanno ripetutamente minacciato i kurdi intimandogli di non uscire più da Ararat e di non farsi vedere per il vicino quartiere di Testaccio, che ospita numerosi locali notturni. Solo il sangue freddo mostrato da alcuni dei rifugiati presenti ha impedito il precipitare degli avvenimenti. L’episodio sembrerebbe una “spedizione punitiva” organizzata dal giro dei buttafuori di alcuni tra questi locali, infastiditi dalla presenza di alcuni rifugiati nelle vicinanze. I carabinieri, accorsi sul posto dopo che queste persone si erano dileguate, hanno potuto accertare i danni e accompagnato i testimoni nei locali notturni della zona. Non è possibile tollerare o minimizzare questo atto gravissimo che ha avuto come obiettivo dei rifugiati, visti evidentemente come persone deboli che si può impunemente colpire. Chiediamo alle istituzioni e alla società civile di vigilare per evitare che episodi come quello di ieri sera abbiano a ripetersi con conseguenze non prevedibili.
Pubblico questo comunicato perché, comunque la si pensi sulla questione curda, è necessario non tacere su episodi del genere ed esigere dalle autorità ogni sforzo perché non si ripetano. Il fatto che la “spedizione punitiva” possa essere stata decisa per ragioni che nulla hanno a che fare con il conflitto del Kurdistan, rende il fatto – se possibile - ancora più odioso, proprio perché motivato solo dal razzismo e dall'intolleranza di chi vorrebbe “ripulire” le strade delle nostre città da presenze ritenute un intollerabile "disturbo" per i riti della movida.
GASDOTTI: COSA INTENDE FARE IL GOVERNO DI FRONTE ALL'ESPANSIONISMO RUSSO?
Dichiarazione di Marco Perduca (senatore radicale, co-presidente del Partito radicale transnazionale) e di Giulio Manfredi (Direzione nazionale di Radicali Italiani)
Nella guerra dei gasdotti la Russia ha vinto recentemente due battaglie: è divenuto operativo il gasdotto North Stream, che unisce direttamente, tramite condutture sottomarine, la Russia alla Germania, bypassando Stati Baltici e Polonia; Gazprom ha acquisito la proprietà completa dei gasdotti bielorussi (diventa così praticamente ininfluente la posizione geostrategica dell'Ucraina).
Per chiudere il cerchio, Mosca deve coprire il fronte sud portando a compimento il gasdotto South Stream, dove Gazprom è impegnata con l'italiana ENI, la francese EDF e la tedesca BASF-Wintershall. Ma nello scacchiere meridionale le mire di Mosca hanno un temibile concorrente, il progetto di gasdotto Nabucco, patrocinato dall'Unione Europea (e dagli Stati Uniti).
Su tutto questo, qual'è la posizione e quali sono le intenzioni del nuovo super-ministro Corrado Passera? Continueremo per inerzia a delegare la rappresentanza italiana all'ENI, ormai saldamente legata al carro di Putin o ripudieremo l' “amico Putin”, tanto caro all'ex premier Berlusconi? Il governo Monti si batterà per una politica energetica europea degna di questo nome?
Anche in materia di gasdotti è arrivato il tempo delle scelte.
Nella guerra dei gasdotti la Russia ha vinto recentemente due battaglie: è divenuto operativo il gasdotto North Stream, che unisce direttamente, tramite condutture sottomarine, la Russia alla Germania, bypassando Stati Baltici e Polonia; Gazprom ha acquisito la proprietà completa dei gasdotti bielorussi (diventa così praticamente ininfluente la posizione geostrategica dell'Ucraina).
Per chiudere il cerchio, Mosca deve coprire il fronte sud portando a compimento il gasdotto South Stream, dove Gazprom è impegnata con l'italiana ENI, la francese EDF e la tedesca BASF-Wintershall. Ma nello scacchiere meridionale le mire di Mosca hanno un temibile concorrente, il progetto di gasdotto Nabucco, patrocinato dall'Unione Europea (e dagli Stati Uniti).
Su tutto questo, qual'è la posizione e quali sono le intenzioni del nuovo super-ministro Corrado Passera? Continueremo per inerzia a delegare la rappresentanza italiana all'ENI, ormai saldamente legata al carro di Putin o ripudieremo l' “amico Putin”, tanto caro all'ex premier Berlusconi? Il governo Monti si batterà per una politica energetica europea degna di questo nome?
Anche in materia di gasdotti è arrivato il tempo delle scelte.
domenica 27 novembre 2011
EMMA BONINO A BELGRADO
Sabato 26 novembre Emma Bonino, anche in vista della seconda sessione del 39° Congresso del Partito radicale nonviolento transnazionale transpartito, ha compiuto una visita a Belgrado durante la quale ha avuto incontri con il presidente serbo Boris Tadic e con il leader liberaldemocratico Cedomir Jovanovic. Nel corso della giornata la leader radicale e vicepresidente del Senato italiano, ha incontrato anche Natasa Kandic, fondatrice dell'Humanitarian Law Center, con il regista e attivista Lazar Stojanovic, già oppositore del regime di Milosevic, e con Sonja Licht e Zeljko Jovanovic dell'Open Society Institute.
Qui di seguito il file della corrispondenza di Marina Szikora per Radio Radicale
Qui di seguito il file della corrispondenza di Marina Szikora per Radio Radicale
venerdì 25 novembre 2011
SIRIA: ASSAD SEMPRE PIÙ COME MILOSEVIC, IMPARARE LA LEZIONE DEI BALCANI
L'Italia proponga di discutere la sospensione all'Assemblea generale dell'Onu
Dichiarazione del senatore radicale Marco Perduca
“Il ministro Terzi ha oggi giustamente affermato dalla Turchia che di fronte alla responsabilità di proteggere la popolazione inerme non si può dar credito al principio di non ingerenza in affari interni di uno stato membro delle Nazioni unite. Occorre però essere conseguenti a queste lodevole affermazione di principio.
In queste ore, come ampiamente documentato dalla Bbc, è in corso di formazione e addestramento un vero e proprio esercito per la "Siria libera" ed è ragionevole ipotizzare che quei kalashnikov inizieranno a essere usati se la comunità internazionale continuerà con la sua inefficace azione nei confronti delle brutali repressioni del regime di Assad.
Dopo la sospensione del Sud Africa nel 1974, nel settembre del 1992, quando ormai nella ex Jugoslavia si stavano infiammando sempre più fronti interni, mentre si definivano le norme dello statuto del Tribunale penale ad hoc per i crimini commessi colà, si sospendeva Belgrado dal suo seggio all'Assemblea generale.
Quelle misure non furono sufficienti a salvare la vita di migliaia di persone perché la necessaria coesione internazionale non esisteva; oggi, con l'esempio dato dalla risolutezza colla quale la Lega Araba sta agendo nei confronti di Damasco, prima con la sospensione e poi con l'ultimatum per l'invio degli osservatori internazionali, le condizioni potrebbero essere diverse, occorre però che se ne inizi a discutere al Palazzo di Vetro per doversi poi trovare di fronte a una guerra civile.
Perdukistan - Il blog di Marco Perduca
Le dichiarazioni del ministro degli Esteri da Istanbul (da un lancio dell'agenzia TMNews)
La posizione italiana sul conflitto siriano è stata illustrata oggi al Forum Italo-Turco di Istanbul dal ministro degli Esteri Giulio Terzi. L'Italia è preoccupata per la situazione in Siria e appoggia le iniziative della Lega Araba, evidenziando che “il principio della non ingerenza negli affari interni non può avere un valore assoluto quando è così chiaro che ciò che si sta sviluppando in un Paese crea la possibilità di moltiplicare in modo drammatico le spinte all'instabilità”.
“Vogliamo sottolineare - ha detto Terzi - quanto la situazione in Siria ci preoccupa, perché innanzitutto la tragedia continua a colpire la popolazione siriana e soprattutto anche perché quello che sta avvenendo rischia di essere un elemento di destabilizzazione degli equilibri regionali, oltre a essere una violenza proprio al concetto di rappresentatività democratica della popolazione e delle diverse opinioni che animano il mondo della politica siriana".
Dichiarazione del senatore radicale Marco Perduca
“Il ministro Terzi ha oggi giustamente affermato dalla Turchia che di fronte alla responsabilità di proteggere la popolazione inerme non si può dar credito al principio di non ingerenza in affari interni di uno stato membro delle Nazioni unite. Occorre però essere conseguenti a queste lodevole affermazione di principio.
In queste ore, come ampiamente documentato dalla Bbc, è in corso di formazione e addestramento un vero e proprio esercito per la "Siria libera" ed è ragionevole ipotizzare che quei kalashnikov inizieranno a essere usati se la comunità internazionale continuerà con la sua inefficace azione nei confronti delle brutali repressioni del regime di Assad.
Dopo la sospensione del Sud Africa nel 1974, nel settembre del 1992, quando ormai nella ex Jugoslavia si stavano infiammando sempre più fronti interni, mentre si definivano le norme dello statuto del Tribunale penale ad hoc per i crimini commessi colà, si sospendeva Belgrado dal suo seggio all'Assemblea generale.
Quelle misure non furono sufficienti a salvare la vita di migliaia di persone perché la necessaria coesione internazionale non esisteva; oggi, con l'esempio dato dalla risolutezza colla quale la Lega Araba sta agendo nei confronti di Damasco, prima con la sospensione e poi con l'ultimatum per l'invio degli osservatori internazionali, le condizioni potrebbero essere diverse, occorre però che se ne inizi a discutere al Palazzo di Vetro per doversi poi trovare di fronte a una guerra civile.
Perdukistan - Il blog di Marco Perduca
Le dichiarazioni del ministro degli Esteri da Istanbul (da un lancio dell'agenzia TMNews)
La posizione italiana sul conflitto siriano è stata illustrata oggi al Forum Italo-Turco di Istanbul dal ministro degli Esteri Giulio Terzi. L'Italia è preoccupata per la situazione in Siria e appoggia le iniziative della Lega Araba, evidenziando che “il principio della non ingerenza negli affari interni non può avere un valore assoluto quando è così chiaro che ciò che si sta sviluppando in un Paese crea la possibilità di moltiplicare in modo drammatico le spinte all'instabilità”.
“Vogliamo sottolineare - ha detto Terzi - quanto la situazione in Siria ci preoccupa, perché innanzitutto la tragedia continua a colpire la popolazione siriana e soprattutto anche perché quello che sta avvenendo rischia di essere un elemento di destabilizzazione degli equilibri regionali, oltre a essere una violenza proprio al concetto di rappresentatività democratica della popolazione e delle diverse opinioni che animano il mondo della politica siriana".
giovedì 24 novembre 2011
IL KOSOVO AGITA LA POLITICA IN SERBIA
Il liberaldemocratico Jovanović insiste su una nuova politica, ma il presidente Tadić ribadisce il no al riconoscimento, né implicito, né esplicito
Di Marina Szikora [*]
Il presidente del Partito liberaldemocratico Čedomir Jovanović ha dichiarato che il potere di Belgrado intende fare con i serbi al nord del Kosovo quello che all'epoca fece Slobodan Milošević con i serbi in Croazia e in Bosnia. Nel riaffermare la sua posizione di necessario cambiamento della politica serba relativa alla questione Kosovo, Jovanović ha detto che "i Serbi al nord del Kosovo hanno oggi maggior ragione rispetto allo scorso luglio quando il governo (serbo) lo condusse alle barricate e diede loro sostegno. Oggi invece, consapevole di perdere il diritto di sedersi sulle due sedie, il potere ha deciso, a causa dell'importanza della sedia 'europea' di fare con i serbi al nord del Kosovo quello che fece Milošević con i serbi in Croazia e in Bosnia" ha detto il leader liberaldemocratico ad un convegno del partito a Belgrado.
Jovanović ha rigettato le critiche che il manifesto "Svolta" sia un tradimento e ha indicato che le decisioni del presidente della Serbia Boris Tadić che i suoi ministri non vogliono firmare alle riunioni del Governo bensi' vengono firmate dai sottosegretari, sono molto peggio rispetto a quello che Tadić critica come tradimento nazionale quando giudica il manifesto promosso dai liberaldemocratici. Jovanović ha indicato che la cancelliera tedesca Angela Merkel non era venuta la scorsa estate a Belgrado in una spedizione di punizione bensi' per dire quello che i leader serbi avrebbero dovuto dire ai cittadini ben prima. "Se teniamo ai serbi in Kosovo allora dobbiamo condurre una tale politica che acconsentira' a questi serbi una vita normale, vale a dire una politica che possa garantire loro quel livello di diritto indispensabile per una vita normale in comunita' con gli albanesi che altrettanto hanno diritto ad una vita normale" ha detto Jovanović.
Il capo dello stato serbo, Boris Tadić resta però fermo e ribadisce che "nel proseguimento dei colloqui con Priština la Serbia non riconoscera' ne' in modo implicito ne' in quello esplicito l'indipendenza del Kosovo" e aggiunge che "la Serbia non vuole mettere la questione del Kosovo sotto tappeto ma al contrario, vuole con iniziative risolvere il problema che colpisce non soltanto il popolo serbo bensi' l'intero continente europeo". Tadić ha sottolineato che a Bruxelles si conducono negoziati tecnici che possono mettere in questione, eccome, la posizione della Serbia attraverso il rischio di un riconoscimento implicito dell'indipendenza di Priština e ha rilevato che se ne tiene conto nel corso dei colloqui.
Il presidente serbo ha detto che la Serbia continuera' con le iniziative per la soluzione del problema Kosovo perche' si tratta di una potenziale fonte di instabilita' per la Serbia, per la regione e per l'Europa. Ma la Serbia – ha rilevato il suo presidente – continuera' a lottare per i suoi interessi, sacralita', patrimonio e per il suo popolo in Kosovo. A tal fine pero', Tadić ha detto che non si vuole fare nessun male al popolo albanese bensi' portare stabilita' e pace nell'intera regione. "Sono convinto che cio' e' possibile" ha concluso Tadić.
[*] Corrispondente di Radio Radicale. Il testo è tratto dalla puntata di “Passaggio a Sud Est” andata in onda oggi.
Il parlamento serbo (Tanjug) |
Il presidente del Partito liberaldemocratico Čedomir Jovanović ha dichiarato che il potere di Belgrado intende fare con i serbi al nord del Kosovo quello che all'epoca fece Slobodan Milošević con i serbi in Croazia e in Bosnia. Nel riaffermare la sua posizione di necessario cambiamento della politica serba relativa alla questione Kosovo, Jovanović ha detto che "i Serbi al nord del Kosovo hanno oggi maggior ragione rispetto allo scorso luglio quando il governo (serbo) lo condusse alle barricate e diede loro sostegno. Oggi invece, consapevole di perdere il diritto di sedersi sulle due sedie, il potere ha deciso, a causa dell'importanza della sedia 'europea' di fare con i serbi al nord del Kosovo quello che fece Milošević con i serbi in Croazia e in Bosnia" ha detto il leader liberaldemocratico ad un convegno del partito a Belgrado.
Jovanović ha rigettato le critiche che il manifesto "Svolta" sia un tradimento e ha indicato che le decisioni del presidente della Serbia Boris Tadić che i suoi ministri non vogliono firmare alle riunioni del Governo bensi' vengono firmate dai sottosegretari, sono molto peggio rispetto a quello che Tadić critica come tradimento nazionale quando giudica il manifesto promosso dai liberaldemocratici. Jovanović ha indicato che la cancelliera tedesca Angela Merkel non era venuta la scorsa estate a Belgrado in una spedizione di punizione bensi' per dire quello che i leader serbi avrebbero dovuto dire ai cittadini ben prima. "Se teniamo ai serbi in Kosovo allora dobbiamo condurre una tale politica che acconsentira' a questi serbi una vita normale, vale a dire una politica che possa garantire loro quel livello di diritto indispensabile per una vita normale in comunita' con gli albanesi che altrettanto hanno diritto ad una vita normale" ha detto Jovanović.
Il capo dello stato serbo, Boris Tadić resta però fermo e ribadisce che "nel proseguimento dei colloqui con Priština la Serbia non riconoscera' ne' in modo implicito ne' in quello esplicito l'indipendenza del Kosovo" e aggiunge che "la Serbia non vuole mettere la questione del Kosovo sotto tappeto ma al contrario, vuole con iniziative risolvere il problema che colpisce non soltanto il popolo serbo bensi' l'intero continente europeo". Tadić ha sottolineato che a Bruxelles si conducono negoziati tecnici che possono mettere in questione, eccome, la posizione della Serbia attraverso il rischio di un riconoscimento implicito dell'indipendenza di Priština e ha rilevato che se ne tiene conto nel corso dei colloqui.
Il presidente serbo ha detto che la Serbia continuera' con le iniziative per la soluzione del problema Kosovo perche' si tratta di una potenziale fonte di instabilita' per la Serbia, per la regione e per l'Europa. Ma la Serbia – ha rilevato il suo presidente – continuera' a lottare per i suoi interessi, sacralita', patrimonio e per il suo popolo in Kosovo. A tal fine pero', Tadić ha detto che non si vuole fare nessun male al popolo albanese bensi' portare stabilita' e pace nell'intera regione. "Sono convinto che cio' e' possibile" ha concluso Tadić.
[*] Corrispondente di Radio Radicale. Il testo è tratto dalla puntata di “Passaggio a Sud Est” andata in onda oggi.
VUKOVAR: "CHI LAVORA PER FAR DIMENTICARE, FARA' SI' CHE SI RIPETA"
Vukovar, 18 novembre 2011 (AP) |
Venerdi' scorso si sono commemorati i venti anni dalla tragica caduta di Vukovar, la citta' martire della guerra di agressione contro la Croazia. Per ricordare il destino della citta' croata e l'esilio di oltre la meta' dei suoi abitanti, in modo simbolico si sono riunite, secondo le stime, circa 50.000 persone che hanno marciato nella tradizionale marcia di ricordo, per la cosidetta 'via crucis' dall'ospedale di Vukovar fino al cimitero memoriale delle vittime della Guerra per la patria. Sono le stesse vie che venti anni fa hanno dovuto percorrere in una marcia muta gli abitanti di Vukovar di nazionalita' non serba rimasti in vita, portando con se una o due buste in mano, costretti ad abbandonare la loro citta' occupata dalle forze serbe, caduta dopo tre mesi di resistenza. A Vukovar, venerdi' scorso, c'erano le massime autorita' dello stato, il presidente Ivo Josipović, il presidente del Sabor recentemente sciolto in vista delle elezioni Luka Bebić, la premier Jadranka Kosor i ministri del governo, i difensori croati, la Societa' dei prigionieri dei campi di concentramento serbi ma anche pellegrini da tutta la Croazia e dalla vicina BiH. In quel giorno Vukovar ha ospitato il doppio numero dei suoi cittadini, tutti quelli che in questo momento particolare hanno voluto esprimere la loro solidarieta' e memoria alle persone corraggiose che hanno dato la loro vita ma anche sopravvisuto la tragedia di Vukovar. Tutte le strade che percorrevano sono state illuminate da migliaia di candele. "Vukovar e' il nostro orgoglio. Siamo qui oggi come ogni anno per commemorare il sacrificio di Vukovar. Questa citta' e' il nostro simbolo e la nostra motivazione di lavorare di piu' e meglio. Da una parte, con tristezza ricordiamo tutti quelli giovani e non soltanto giovani che hanno sacrificato la loro vita per la difesa di Vukovar e della Croazia, dall'altra parte siamo orgogliosi di loro perche' ci hanno lasciato il messaggio piu' prezioso, quello dell'amore e del patriotismo. La marcia della memoria e' la dimostrazione di quanto la gente apprezza questa parte della storia croata" ha detto il presidente Josipović a Vukovar.
Anche se in piena campagna elettorale, nel giorno della memoria tutti si sono astenuti di utilizzare la tragedia di Vukovar per scopi elettorali. Ma i candidati hanno preso parte dell'evento mantenendo il comportamento dignitoso e senza dichiarazioni e messaggi politici. Il lider dell'opposizione e uno dei candidati piu' seri per la carica di futuro premier, il socialdemocratico Zoran Milanović ha detto ai giornalisti brevemente che "la Marcia della memoria non e' il luogo per fare dichiarazioni". La premier Jadranka Kosor ha detto che "la questione delle persone scomparse che ancora stiamo cercando deve essere la questione di partenza in tutti i colloqui con il paese vicino (la Serbia). Dobbiamo trovarli, e tutti quelli che sono responsabili per le sofferenze di Vukovar e dei suoi cittadini devono rispondere". Per la prima volta nella Marcia di memoria, che era lunga oltre cinque chilometri, hanno marciato ache Bojan Glavašević, figlio del noto corrispondente di guerra della Radio croata di Vukovar Siniša Glavašević, ucciso ad Ovčara e poi anche Lyliane Fournier, la madre del volontario francese Jean-Michel Nicolier altrettanto ucciso ad Ovčara il cui corpo non e' stato mai ritrovato. Nei tre anni piu' difficili dell'occupazione di Vukovar solo sull'ospedale della citta' sono cadute tra 500 e 700 granate al giorno. Nel momento della tragica occupazione nell'area dell'ospedale c'erano 450 feriti e malati e cinque mila civili. Tutti furono condotti nei campi di concentramento in Serbia, molti furono uccisi e 200 feriti sono stati esumati dalla fossa comune di Ovčara. Nell'agressione serba contro Vukovar furono uccise in tutto 1.624 persone, tra difensori e civili e si valuta che oltre 2.500 erano i feriti. Oltre 7.000 prigionieri sono stati condotti in campi di concentramento e dalla citta' furono espulsi oltre 22.000 croati e altri cittadini di nazionalita' non serba. Sulla lista di persone scomparse e imprigionate si trovano i nomi di 306 difensori e civili croati di Vukovar. Per i crimini di guerra commessi sul territorio di Vukovar i tribunali croati, il Tribunale dell'Aja che giudica i crimini commessi in ex Jugoslavia e i tribunali in Serbia hanno processato 230 persone. Ma quelli condannati sono tutti serbi dalla Croazia, gli esecutori, mentre invece i principali comandanti della distruzione di Vukovar rasa al suolo e dell'uccisione dei suoi abitanti non sono ancora stati condotti davanti alla giustizia.
L'anniversario della tragedia di Vukovar ha fatto parlare quest'anno anche Florance Hartmann, ex portavoce del Tribunale dell'Aja che giudica i crimini commessi in ex Jugoslavia. Va sottolineato che la Hartmann, da giornalista assisti' personalmente, con un gruppo di giornalisti, alla realta' sconvolgente di Vukovar a soli due giorni dopo la sua caduta. In un collegamento da Parigi nella trasmissione televisiva croata dedicata alla tragedia di Vukovar, si disse scioccata che nel 2001 non ci fu nessun cambiamento di posizione da parte del Tribunale sui crimini commessi contro e a Vukovar. Risultava che era difficile aprire la completa documentazione su Vukovar poiche' si trattava di eserciti in guerra e quindi sarebbe stato difficile, afferma la Hartmann, individuare le mete civili e chi concretamente avrebbe commesso i crimini perche' la Croazia all'epoca faceva ancora parte dell'ex Jugoslavia. L'ex portavoce non ha precisato la posizione della sua capo di allora, Carla del Ponte sul fatto che soltanto Veselin Šljivančanin dovette rispondere per questi crimini e per di piu' fu condannato a 10 anni di carcere solo per la liquidazione dei feriti dell'Ospedale di Vukovar sulla farma di Ovčara. Invece, i crimini commessi a Vukovar nonche' le torture durate per mesi nei confronti dei difensori e civili non serbi nei campi di concentramento sul territorio della Serbia, non sono mai stati puniti. Nemmeno nessuna condanna per violentazioni sistematiche delle donne di Vukovar le cui testimonianze terrificanti dopo vent'anni pian piano stanno uscendo in pubblico. L'occupazione della citta' martire croata non si e' trovata neanche negli atti di imputazione contro Slobodan Milošević. Il Tribunale dell'Aja non ha toccato nemmeno la responsabilita' di comando dell'esercito jugoslavo a capo del quale c'erano Veljko Kadijević e Blagoje Adžić. "L'ufficio del procuratore ha indagato sulla catena di comando soprattutto nell'ambito del processo contro Milošević perche' venisse esaminata l'impresa criminale congiunta...Non so perche' tutti insieme non si trovano nell'atto di accusa. Io ho indicato che l'atto di accisa contro Milošević e' stato sollevato tardi ed era orientato soltanto su di lui invece di essere approfondito" ha detto Florence Hartmann. C'e' da aggiungere anche che l'ex portavoce dell'Aja doveva venire personalmente in Croazia ma il Tribunale dell'Aja ha emesso un mandato di cattura nei suoi confronti perche' non ha pagato l'intera somma di sette mila euro. Hartmann e' stata condannata in questo modo per aver descritto nel suo libro gli accordi segreti del Tribunale dell'Aja sull'ex Jugoslavia ed il governo serbo con a capo il defunto premier Zoran Đinđić.
A differenza della Croazia, il ricordo doloroso di Vukovar, non ha trovato spazio in Serbia. Solo qualche eccezione, come quella dell'allora antimilitarista Nenad Čanak, lider politico della Vojvodina, la regione multietnica in Serbia. Čanak ricorda che da militante antimilitarista fu forzatamente condotto al fronte. Ma oggi, avverte questo politico, il fuggire dal passato e' molto pericoloso per il futuro: "quelli che lavorano affinche' sia dimenticato, fanno si' che lo si ripeta. Tutti quelli che nascondono la verita' su Vukovar e su tutto quel periodo sono responsabili perche' i perpetratori di grandi mali non arriveranno davanti alla giustizia e che questi mali allora potranno ripetersi" ha avvertito Čanak. Per quanto riguarda gli studenti del capoluogo della Vojvodina, Novi Sad, nati alla fine degli anni ottanta e all'inizio dei novanta, in effetti non sanno di questa tragica parte del recente passato. Affermano ad esempio che "non sono molto a conoscenza di quanto accaduto a Vukovar anche se vengo dalle zone dove altrettanto c'era guerra. So soltanto che era terribile per noi quando eravamo piccoli. Non ne chiedevamo molto, proprio perche' ne avevamo tanta paura". Alcuni dicono di capire il simbolismo di Vukovar: "Vukovar, secondo me, e' simbolo dell'energia piu' distruttiva che esisteva tra questi popoli, il simbolo di distruzione, saccheggio...niente di bello si puo' immaginare quando oggi si dice 'Vukovar' sia nel mondo che in Europa" racconta uno studente di Novi Sad.
[*] Corrispondente di Radio Radicale. Il testo è tratto dalla corrispondenza per la puntata di "Passaggio a Sud Est" andata in onda oggi.
martedì 22 novembre 2011
KOSOVO: FORSE C'E' UNA SOLUZIONE PER IL CONFINE, FORSE NO
Il Kosovo è pronto ad accettare “ogni soluzione europea” per risolvere la questione del confine con la Serbia che ha provocato la crisi scoppiata alla fine dello scorso luglio. Questo almeno è quanto ha dichiarato il ministro degli Esteri kosovaro, Enver Hoxhaj, durante la sua visita in Slovenia, mentre si cerca di far ripartire il dialogo tra Belgrado e Pristina, bloccato da settembre proprio a causa della crisi. “Il Kosovo lavora molto duramente per ottenere un avvenire europeo e, di conseguenza, accetteremo qualunque soluzione che sia una soluzione europea”, ha dichiarato Hoxhaj precisando la disponibilità ad accettare una “gestione integrata delle frontiere, modello attualmente funzionante tra diversi stati europei”.
In pratica, Pristina accetterebbe di esercitare il controllo congiunto dei due valichi di Brnjak e Larinje insieme a Belgrado con la supervisione internazionale, che potrebbe essere affidata alla missione civile della Ue (Eulex). Una tale soluzione non piace a Belgrado che teme possa apparire come un riconoscimento implicito dell'indipendenza di quella che continua a considerare una sua provincia, per quanto autonoma, dell'esistenza che per i serbi è niente di più che una linea di demarcazione amministrativa, mentre per il Kosovo “è una frontiera di uno stato indipendente di competenza del governo centrale”, come ha puntualizzato il ministro kosovaro a Lubiana.
Il messaggio mandato a Bruxelles dal presidente serbo, Boris Tadic, è chiaro: sì al dialogo con Pristina, ma senza assumere posizioni che possano, in qualche modo, riconoscerne l'indipendenza. “Vogliamo risolvere i problemi dei cittadini. La Serbia non vuole nascondere la questione Kosovo sotto il tappeto, ma l'opposto”, ha detto Tadic auspicando “iniziative che aiutino a risolvere i problemi in Kosovo, i quali affliggono non solo la popolazione serba, ma l'intero continente. Non desideriamo nulla che danneggi il popolo albanese, piuttosto vogliamo una soluzione che porti pace e stabilità all'intera regione. Ho fiducia che sia possibile”.
Dunque, una soluzione ci sarebbe, o forse no. L'offerta kosovara, apparentemente ragionevole e pragmatica, in realtà può trasformarsi per la Serbia in una polpetta avvelenata, proprio perché, come Belgrado ha immediatamente notato, accettare la presenza di agenti di polizia e doganieri di Pristina potrebbe essere interpetato come un primo passo verso il riconoscimento implicito dell'indipendenza. E questo è un cedimento che Tadic non può permettersi con le elezioni in vista. Almeno, non ora. Dunque, Tadic non chiude la porta e semmai rilancia, facendo riferimento al contesto più generale entro cui trovare una soluzione. Lo stesso a cui si è riferito Hoxhaj. Il contesto più generale si chiama Europa, o meglio Unione Europea. Ma l'unione europea esiste ancora? [RS]
In pratica, Pristina accetterebbe di esercitare il controllo congiunto dei due valichi di Brnjak e Larinje insieme a Belgrado con la supervisione internazionale, che potrebbe essere affidata alla missione civile della Ue (Eulex). Una tale soluzione non piace a Belgrado che teme possa apparire come un riconoscimento implicito dell'indipendenza di quella che continua a considerare una sua provincia, per quanto autonoma, dell'esistenza che per i serbi è niente di più che una linea di demarcazione amministrativa, mentre per il Kosovo “è una frontiera di uno stato indipendente di competenza del governo centrale”, come ha puntualizzato il ministro kosovaro a Lubiana.
Il messaggio mandato a Bruxelles dal presidente serbo, Boris Tadic, è chiaro: sì al dialogo con Pristina, ma senza assumere posizioni che possano, in qualche modo, riconoscerne l'indipendenza. “Vogliamo risolvere i problemi dei cittadini. La Serbia non vuole nascondere la questione Kosovo sotto il tappeto, ma l'opposto”, ha detto Tadic auspicando “iniziative che aiutino a risolvere i problemi in Kosovo, i quali affliggono non solo la popolazione serba, ma l'intero continente. Non desideriamo nulla che danneggi il popolo albanese, piuttosto vogliamo una soluzione che porti pace e stabilità all'intera regione. Ho fiducia che sia possibile”.
Dunque, una soluzione ci sarebbe, o forse no. L'offerta kosovara, apparentemente ragionevole e pragmatica, in realtà può trasformarsi per la Serbia in una polpetta avvelenata, proprio perché, come Belgrado ha immediatamente notato, accettare la presenza di agenti di polizia e doganieri di Pristina potrebbe essere interpetato come un primo passo verso il riconoscimento implicito dell'indipendenza. E questo è un cedimento che Tadic non può permettersi con le elezioni in vista. Almeno, non ora. Dunque, Tadic non chiude la porta e semmai rilancia, facendo riferimento al contesto più generale entro cui trovare una soluzione. Lo stesso a cui si è riferito Hoxhaj. Il contesto più generale si chiama Europa, o meglio Unione Europea. Ma l'unione europea esiste ancora? [RS]
lunedì 21 novembre 2011
IL CORAGGIO DI PERDONARE
Venerdì scorso, a Vukovar, cinquantamila persone hanno ricordato il ventennale della caduta della città, il primo atto, violento e sanguinoso, della guerra che portò alla fine violenta e sanguinosa della Jugoslavia. La commemorazione della caduta di Vukovar ha ricordato le sofferenze senza evocare il perdono, come scrive Silvia Maraone su Osservatorio Balcani e Caucaso. Perché ci vuole coraggio per combattere, ci vuole coraggio per morire e per uccidere, ma ci vuole coraggio, tanto coraggio, anche per perdonare. E per non dimenticare.
Vukovar, il coraggio di perdonare
di Silvia Maraone
da Osservatorio Balcani e Caucaso
"A grad, za nj ne brinite, on je sve vrijeme bio u vama. Samo skriven. Da ga krvnik ne nađe. Grad - to ste vi”. E per la città, non vi preoccupate per lei, è stata tutto questo tempo insieme a voi. Soltanto nascosta. Così che l’uccisore non la potesse trovare. La città – quella siete voi.
("Priča o gradu" di Siniša Glavašević. Giornalista e conduttore radiofonico durante l’assedio di Vukovar, prelevato insieme ad altri 260 civili dall’ospedale e ucciso a Ovčara)
Hrabri Ljudi. Uomini coraggiosi. E’ questo il nome dato quest’anno alla tradizionale giornata del ricordo della caduta di Vukovar. E quest’anno assume un significato ancor più importante, venti anni dopo l’inizio di tutto, della Caduta. La Jugoslavia nel 1991 si distrusse in mille pezzi, e andò avanti a bruciare per anni, sino al 1999, con gli ultimi scontri in Kosovo, a decretare la fine (temporanea?) dell’agonia.
Il coraggio di morire, il coraggio di uccidere
Uomini coraggiosi. Perché ci vuole coraggio a morire. Come topi, nell’assedio. Il più lungo dopo quello di Leningrado, nella seconda guerra mondiale. Così mi ricordo i titoli dei giornali, in quelle giornate autunnali del ’91, quando ancora nessuno aveva capito cosa stava succedendo, a Vukovar, e in Jugoslavia. Prove in miniatura di massacri su larga scala.
Bombardamenti scellerati, giorni e giorni senza luce, cibo, acqua, telefono. Un unico suono, quello delle bombe. E i cecchini, le mine, i carri armati. Poi entrarono cantando, le forze paramilitari: Slobodan, mandaci l’insalata, ci sarà carne, macelleremo i croati. Ci vuole coraggio a morire con questa canzone nelle orecchie, ma è la Storia questa, che dà i brividi, ma nessuno la può cambiare.
Ci vuole coraggio a morire insieme ad altri civili, insieme ai feriti, innocenti. Prelevati di peso dall’ospedale cittadino che sino all’ultimo aveva cercato di prendersi cura dei propri pazienti, senza che avesse importanza che fossero croati o serbi, entrambi intrappolati in una città che un tempo veniva chiamata la Perla della Slavonia, sul bel Danubio non tanto blu. Legati ai polsi col fil di ferro, trasportati a Ovčara e uccisi lì, per finire in una fossa comune. Quando li tirarono fuori, alcuni avevano ancora infilato il catetere.
Si va in scena, a Vukovar, o Vukowar, come la chiamavano con grandi titoloni i soliti giornali, per le prove generali dei massacri più grandi che si compieranno non tanto tempo dopo, e non tanto lontano da lì.
Ci vuole coraggio, a morire così, per la Patria e per Dio. Questo il motto ripetuto come una litania, per farsi coraggio, un piccolissimo Davide contro un Golia stavolta invincibile, un esercito di straccioni contro i carri armati.
E ci vuole coraggio a uccidere, forse. Se sei un ragazzo di leva, con vent’anni e una fidanzata che ti aspetta. E ti danno questo fucile in mano e ti dicono: ammazza tuo fratello. Allora come si fa a trovare questo coraggio? Anfetamine, qualunque cosa, pur di trovare il coraggio di sparare. La prima volta, la seconda, la terza. Poi diventa una routine. Per alcuni, un piacere. I soldati che avevano combattuto a Vukovar erano stati drogati come dei cavalli. Ma non è una giustificazione. Piccole prove per mettere in piedi un esercito spietato, capace di ogni sadismo, ci vuole coraggio e follia.
Il coraggio di perdonare
Vukovar, oggi, ricorda, e non perdona. Nonostante la manifestazione sia incentrata per lo più su funzioni religiose, canti, rosari, vie crucis, Sante messe, il cristianesimo qui si è dimenticato il perdono.
Ci vuole coraggio a perdonare. Lo pensavo oggi al memoriale per i caduti, gli Hrvatski branitelj, difensori croati. E pensavo che non suona mica tanto esatta, questa frase, perché lì, se si leggono nomi e cognomi, sono sepolti uno di fianco all’altro serbi, croati, ungheresi. Morti perché amavano la loro bella città, piena di stucchi, putti e architetture austro-ungariche.
Pensavo che ci voleva coraggio per la madre che piangeva sulla tomba di suo figlio a condividere tutto questo strazio in una manifestazione così grande e così pubblica, con l’unico desiderio forse di stare da sola. Così come ci vuole coraggio andare a posare un fiore su una delle tante croci bianche, senza nome, a simboleggiare i caduti civili, decidendo che quella sia la tomba di tuo padre. E ci vuole coraggio, con queste fosse vuote, 500 tombe senza corpi, sparsi chissà dove in questa pianura nebbiosa.
Prove generali a Vukovar per stragi di portata immensa che sarebbero seguite da lì a poco. 50.000 persone di ogni età, sesso e provenienza sono qui, nonostante il maltempo e la nebbia che ha coperto tutta la Croazia. Si sono mossi da Spalato, da Zagabria, da Fiume, da ogni città della Croazia per venire oggi a Vukovar. C’è chi è venuto a piedi, chi ha organizzato una specie di raduno motociclistico. Veterani invalidi decorati che marciano di fianco a energumeni vestiti di pelle, giovani francescani con il saio, il bomber e le Dr Marten’s di fianco ad adolescenti che nascondono le bottiglie di Jägermeister quando vedono i poliziotti.
Un cero prima delle elezioni
Un appuntamento che cade giusto un mese prima delle elezioni, con la Presidentessa in pelliccia che recita il suo ruolo. Nonostante gli organizzatori abbiano espressamente richiesto che non compaiano simboli politici, è inevitabile notare i cartelloni elettorali dell’HDZ che promettono che difenderanno i diritti (e le pensioni) dei Branitelji, dei difensori della Patria.
Una manifestazione per lo più silenziosa, il cui obiettivo è raggiungere il cimitero, dove verrà celebrata la messa dal Cardinale Puljić. La gente è così tanta che non ci sta nella piccola area adibita alla cerimonia, ci si assiepa tra le tombe e le croci, ascoltando l’altoparlante e segnandosi all’unisono.
E poi, come ogni anno, la manifestazione finisce. Si torna indietro, si fa lo slalom tra i lumini sparsi lungo tutte le strade, oggi alle 18.00 in tutta la Croazia si accenderà un cero alla finestra per ricordare Vukovar. C’è chi attende la navetta per tornare verso il centro e chi si rifà a piedi i 4 Km di strada sino alla torre dell’acqua, nascosta dalla nebbia.
Sono le quattro di pomeriggio, la maggior parte delle persone parte, torna a casa. Altri si fermano per le parti minori della manifestazione, tra cui un’improbabile “mostra di piccoli animali”. Nei prossimi giorni si celebreranno altre manifestazioni nella zona, tra cui le messe e le cerimonie a Ovčara ed altri campi di concentramento sparsi nella regione. Probabilmente i numeri non saranno quelli di oggi, ma ricordare è un dovere.
Anche per questo, per non dimenticare, ci vuole coraggio.
Murale a Vukovar (Foto di Silvia Maraone) |
di Silvia Maraone
da Osservatorio Balcani e Caucaso
"A grad, za nj ne brinite, on je sve vrijeme bio u vama. Samo skriven. Da ga krvnik ne nađe. Grad - to ste vi”. E per la città, non vi preoccupate per lei, è stata tutto questo tempo insieme a voi. Soltanto nascosta. Così che l’uccisore non la potesse trovare. La città – quella siete voi.
("Priča o gradu" di Siniša Glavašević. Giornalista e conduttore radiofonico durante l’assedio di Vukovar, prelevato insieme ad altri 260 civili dall’ospedale e ucciso a Ovčara)
Hrabri Ljudi. Uomini coraggiosi. E’ questo il nome dato quest’anno alla tradizionale giornata del ricordo della caduta di Vukovar. E quest’anno assume un significato ancor più importante, venti anni dopo l’inizio di tutto, della Caduta. La Jugoslavia nel 1991 si distrusse in mille pezzi, e andò avanti a bruciare per anni, sino al 1999, con gli ultimi scontri in Kosovo, a decretare la fine (temporanea?) dell’agonia.
Il coraggio di morire, il coraggio di uccidere
Uomini coraggiosi. Perché ci vuole coraggio a morire. Come topi, nell’assedio. Il più lungo dopo quello di Leningrado, nella seconda guerra mondiale. Così mi ricordo i titoli dei giornali, in quelle giornate autunnali del ’91, quando ancora nessuno aveva capito cosa stava succedendo, a Vukovar, e in Jugoslavia. Prove in miniatura di massacri su larga scala.
Bombardamenti scellerati, giorni e giorni senza luce, cibo, acqua, telefono. Un unico suono, quello delle bombe. E i cecchini, le mine, i carri armati. Poi entrarono cantando, le forze paramilitari: Slobodan, mandaci l’insalata, ci sarà carne, macelleremo i croati. Ci vuole coraggio a morire con questa canzone nelle orecchie, ma è la Storia questa, che dà i brividi, ma nessuno la può cambiare.
Ci vuole coraggio a morire insieme ad altri civili, insieme ai feriti, innocenti. Prelevati di peso dall’ospedale cittadino che sino all’ultimo aveva cercato di prendersi cura dei propri pazienti, senza che avesse importanza che fossero croati o serbi, entrambi intrappolati in una città che un tempo veniva chiamata la Perla della Slavonia, sul bel Danubio non tanto blu. Legati ai polsi col fil di ferro, trasportati a Ovčara e uccisi lì, per finire in una fossa comune. Quando li tirarono fuori, alcuni avevano ancora infilato il catetere.
Si va in scena, a Vukovar, o Vukowar, come la chiamavano con grandi titoloni i soliti giornali, per le prove generali dei massacri più grandi che si compieranno non tanto tempo dopo, e non tanto lontano da lì.
Ci vuole coraggio, a morire così, per la Patria e per Dio. Questo il motto ripetuto come una litania, per farsi coraggio, un piccolissimo Davide contro un Golia stavolta invincibile, un esercito di straccioni contro i carri armati.
E ci vuole coraggio a uccidere, forse. Se sei un ragazzo di leva, con vent’anni e una fidanzata che ti aspetta. E ti danno questo fucile in mano e ti dicono: ammazza tuo fratello. Allora come si fa a trovare questo coraggio? Anfetamine, qualunque cosa, pur di trovare il coraggio di sparare. La prima volta, la seconda, la terza. Poi diventa una routine. Per alcuni, un piacere. I soldati che avevano combattuto a Vukovar erano stati drogati come dei cavalli. Ma non è una giustificazione. Piccole prove per mettere in piedi un esercito spietato, capace di ogni sadismo, ci vuole coraggio e follia.
Il coraggio di perdonare
Vukovar, oggi, ricorda, e non perdona. Nonostante la manifestazione sia incentrata per lo più su funzioni religiose, canti, rosari, vie crucis, Sante messe, il cristianesimo qui si è dimenticato il perdono.
Ci vuole coraggio a perdonare. Lo pensavo oggi al memoriale per i caduti, gli Hrvatski branitelj, difensori croati. E pensavo che non suona mica tanto esatta, questa frase, perché lì, se si leggono nomi e cognomi, sono sepolti uno di fianco all’altro serbi, croati, ungheresi. Morti perché amavano la loro bella città, piena di stucchi, putti e architetture austro-ungariche.
Pensavo che ci voleva coraggio per la madre che piangeva sulla tomba di suo figlio a condividere tutto questo strazio in una manifestazione così grande e così pubblica, con l’unico desiderio forse di stare da sola. Così come ci vuole coraggio andare a posare un fiore su una delle tante croci bianche, senza nome, a simboleggiare i caduti civili, decidendo che quella sia la tomba di tuo padre. E ci vuole coraggio, con queste fosse vuote, 500 tombe senza corpi, sparsi chissà dove in questa pianura nebbiosa.
Prove generali a Vukovar per stragi di portata immensa che sarebbero seguite da lì a poco. 50.000 persone di ogni età, sesso e provenienza sono qui, nonostante il maltempo e la nebbia che ha coperto tutta la Croazia. Si sono mossi da Spalato, da Zagabria, da Fiume, da ogni città della Croazia per venire oggi a Vukovar. C’è chi è venuto a piedi, chi ha organizzato una specie di raduno motociclistico. Veterani invalidi decorati che marciano di fianco a energumeni vestiti di pelle, giovani francescani con il saio, il bomber e le Dr Marten’s di fianco ad adolescenti che nascondono le bottiglie di Jägermeister quando vedono i poliziotti.
Un cero prima delle elezioni
Un appuntamento che cade giusto un mese prima delle elezioni, con la Presidentessa in pelliccia che recita il suo ruolo. Nonostante gli organizzatori abbiano espressamente richiesto che non compaiano simboli politici, è inevitabile notare i cartelloni elettorali dell’HDZ che promettono che difenderanno i diritti (e le pensioni) dei Branitelji, dei difensori della Patria.
Una manifestazione per lo più silenziosa, il cui obiettivo è raggiungere il cimitero, dove verrà celebrata la messa dal Cardinale Puljić. La gente è così tanta che non ci sta nella piccola area adibita alla cerimonia, ci si assiepa tra le tombe e le croci, ascoltando l’altoparlante e segnandosi all’unisono.
E poi, come ogni anno, la manifestazione finisce. Si torna indietro, si fa lo slalom tra i lumini sparsi lungo tutte le strade, oggi alle 18.00 in tutta la Croazia si accenderà un cero alla finestra per ricordare Vukovar. C’è chi attende la navetta per tornare verso il centro e chi si rifà a piedi i 4 Km di strada sino alla torre dell’acqua, nascosta dalla nebbia.
Sono le quattro di pomeriggio, la maggior parte delle persone parte, torna a casa. Altri si fermano per le parti minori della manifestazione, tra cui un’improbabile “mostra di piccoli animali”. Nei prossimi giorni si celebreranno altre manifestazioni nella zona, tra cui le messe e le cerimonie a Ovčara ed altri campi di concentramento sparsi nella regione. Probabilmente i numeri non saranno quelli di oggi, ma ricordare è un dovere.
Anche per questo, per non dimenticare, ci vuole coraggio.
venerdì 18 novembre 2011
VUKOVAR: 20 ANNI DOPO NON C'E' ANCORA VERA GIUSTIZIA
Oggi si commemorano i vent'anni dalla tragica caduta di Vukovar, la citta' martire della guerra contro la Croazia e oggi, si puo' veramente dire, che la Croazia sta a Vukovar e Vukovar e' nel suo cuore.
Nella giornata che ricorda le sofferenze di Vukovar e l'esilio di oltre la meta' dei suoi abitanti, immersi nella memoria di tutte le vittime di questa citta' piu' sofferente della Croazia sotto guerra di agressione, in modo simbolico si sono riuniti, secondo le stime, circa 50.000 persone che hanno marciato nella tradizionale marcia di ricordo, per la cosidetta 'via crucis' dall'ospedale di Vukovar fino al cimitero memoriale delle vittime della Guerra per la patria. Sono le stesse vie che venti anni fa hanno dovuto percorrere in una marcia muta gli abitanti di Vukovar rimasti in vita, portando con se una o due buste in mano, costretti ad abbandonare la loro citta' occupata dalle forze serbe, caduta dopo tre mesi di resistenza. Oggi, tutti ricordiamo quel tragico 18 novembre 1991.
Oggi a Vukovar c'erano le massime autorita' dello stato, il presidente Ivo Josipović, il presidente del Sabor recentemente sciolto in vista delle elezioni Luka Bebić, la premier Jadranka Kosor i ministri del governo, i difensori croati, la societa' dei prigionieri dei campi di concentramento serbi ma anche pellegrini da tutta la Croazia e dalla vicina BiH. Oggi Vukovar ha ospitato il doppio numero dei suoi cittadini, tutti quelli che in questo momento particolare hanno voluto esprimere la loro solidarieta' e memoria alle persone corraggiose che hanno dato la loro vita ma anche sopravvisuto la tragedia di Vukovar. Tutte le strade che percorrevano sono state illuminate da migliaia di candele.
"Vukovar e' il nostro orgoglio. Siamo qui oggi come ogni anno per commemorare il sacrificio di Vukovar. Questa citta' e' il nostro simbolo e la nostra motivazione di lavorare di piu' e meglio. Da una parte, con tristezza ricordiamo tutti quelli giovani e non soltanto giovani che hanno sacrificato la loro vita per la difesa di Vukovar e della Croazia, dall'altra parte siamo orgogliosi di loro perche' ci hanno lasciato il messaggio piu' prezioso, quello dell'amore e del patriotismo. La marcia della memoria e' la dimostrazione di quanto la gente apprezza questa parte della storia croata" ha detto il presidente Josipović a Vukovar.
Anche se in piena campagna elettorale, oggi tutti si sono astenuti di utilizzare la tragedia di Vukovar per scopi elettorali. Ma i candidati hanno preso parte dell'evento mantenendo il comportamento dignitoso e senza dichiarazioni e messaggi politici. Il lider dell'opposizione e uno dei candidati piu' seri per la carica di futuro premier, il socialdemocratico Zoran Milanović ha detto ai giornalisti brevemente che "la Marcia della memoria non e' il luogo per fare dichiarazioni". La premier Jadranka Kosor ha ribadito che "la questione delle persone scomparse che ancora stiamo cercando deve essere il punto di partenza in tutti i colloqui con il paese vicino (la Serbia). Dobbiamo trovarli, e tutti quelli che sono responsabili per le sofferenze di Vukovar e dei suoi cittadini devono rispondere".
Per la prima volta nella Marcia di memoria, che era lunga oltre cinque chilometri, hanno marciato ache Bojan Glavašević, figlio del noto corrispondente di guerra della Radio croata di Vukovar Siniša Glavašević, ucciso ad Ovčara e poi anche Lyliane Fournier, la madre del volontario francese Jean-Michel Nicolier altrettanto ucciso ad Ovčara, il cui corpo non e' stato mai ritrovato.
[*] Corrispondente di Radio Radicale
Nella giornata che ricorda le sofferenze di Vukovar e l'esilio di oltre la meta' dei suoi abitanti, immersi nella memoria di tutte le vittime di questa citta' piu' sofferente della Croazia sotto guerra di agressione, in modo simbolico si sono riuniti, secondo le stime, circa 50.000 persone che hanno marciato nella tradizionale marcia di ricordo, per la cosidetta 'via crucis' dall'ospedale di Vukovar fino al cimitero memoriale delle vittime della Guerra per la patria. Sono le stesse vie che venti anni fa hanno dovuto percorrere in una marcia muta gli abitanti di Vukovar rimasti in vita, portando con se una o due buste in mano, costretti ad abbandonare la loro citta' occupata dalle forze serbe, caduta dopo tre mesi di resistenza. Oggi, tutti ricordiamo quel tragico 18 novembre 1991.
Oggi a Vukovar c'erano le massime autorita' dello stato, il presidente Ivo Josipović, il presidente del Sabor recentemente sciolto in vista delle elezioni Luka Bebić, la premier Jadranka Kosor i ministri del governo, i difensori croati, la societa' dei prigionieri dei campi di concentramento serbi ma anche pellegrini da tutta la Croazia e dalla vicina BiH. Oggi Vukovar ha ospitato il doppio numero dei suoi cittadini, tutti quelli che in questo momento particolare hanno voluto esprimere la loro solidarieta' e memoria alle persone corraggiose che hanno dato la loro vita ma anche sopravvisuto la tragedia di Vukovar. Tutte le strade che percorrevano sono state illuminate da migliaia di candele.
"Vukovar e' il nostro orgoglio. Siamo qui oggi come ogni anno per commemorare il sacrificio di Vukovar. Questa citta' e' il nostro simbolo e la nostra motivazione di lavorare di piu' e meglio. Da una parte, con tristezza ricordiamo tutti quelli giovani e non soltanto giovani che hanno sacrificato la loro vita per la difesa di Vukovar e della Croazia, dall'altra parte siamo orgogliosi di loro perche' ci hanno lasciato il messaggio piu' prezioso, quello dell'amore e del patriotismo. La marcia della memoria e' la dimostrazione di quanto la gente apprezza questa parte della storia croata" ha detto il presidente Josipović a Vukovar.
Anche se in piena campagna elettorale, oggi tutti si sono astenuti di utilizzare la tragedia di Vukovar per scopi elettorali. Ma i candidati hanno preso parte dell'evento mantenendo il comportamento dignitoso e senza dichiarazioni e messaggi politici. Il lider dell'opposizione e uno dei candidati piu' seri per la carica di futuro premier, il socialdemocratico Zoran Milanović ha detto ai giornalisti brevemente che "la Marcia della memoria non e' il luogo per fare dichiarazioni". La premier Jadranka Kosor ha ribadito che "la questione delle persone scomparse che ancora stiamo cercando deve essere il punto di partenza in tutti i colloqui con il paese vicino (la Serbia). Dobbiamo trovarli, e tutti quelli che sono responsabili per le sofferenze di Vukovar e dei suoi cittadini devono rispondere".
Per la prima volta nella Marcia di memoria, che era lunga oltre cinque chilometri, hanno marciato ache Bojan Glavašević, figlio del noto corrispondente di guerra della Radio croata di Vukovar Siniša Glavašević, ucciso ad Ovčara e poi anche Lyliane Fournier, la madre del volontario francese Jean-Michel Nicolier altrettanto ucciso ad Ovčara, il cui corpo non e' stato mai ritrovato.
[*] Corrispondente di Radio Radicale
VUKOVAR 20 ANNI FA, 20 ANNI DOPO
20 anni fa, il 18 novembre del 1991, la città croata di Vukovar cadeva nella mani dell'esercito federale e delle milizie serbe dopo mesi di assedio. Qualche giorno dopo, a Ovčara, avveniva la strage di quanti avevano trovato rifugio nell'ospedale cittadino.
Nell'hangar dove furono rinchiuse, 261 stelle ricordano le vittime del 21 novembre; sulle pareti le loro immagini; sul pavimento di cemento decine di bossoli; in una teca gli oggetti personali trovati nella fossa comune scoperta ad alcune centinaia di metri dall'hangar. Da quella fossa sono stati esumati i resti di 200 persone: di altre 61, invece, non è ancora stato trovato nulla.
Un anno fa, il presidente serbo Boris Tadić si è recato su quei luoghi insieme al presidente croato Ivo Josipović. I due presidenti hanno visitato anche il memoriale che, nella stessa zona, ricorda i civili serbi uccisi nella cittadina di Paulin Dvor. “Sono qui, disse Tadic, per creare una possibilità per i serbi e i croati, per la Serbia e la Croazia, di aprire una nuova pagina della storia”.
Per i fatti di Ovcara fino ad ora, in Serbia e all'Aja, sono state condannate 15 persone per un totale di 207 anni di carcere. Il 20 luglio scorso è stato arrestato Goran Hadzic, l'ultimo ricercato dal Tribunale internazionale per l'ex Jugoslavia. L'ex presidente della repubblica serba di Krajina deve rispondere anche della strage di Ovčara.
Vukovar 20 anni dopo
Il video di Osservatorio Balcani e Caucaso
Il testo di Andrea Oskari Rossini (da Osservatorio Balcani e Caucaso)
giovedì 17 novembre 2011
SERBIA: SUL KOSOVO SI FA SEMPRE PIU' VICINO IL MOMENTO DELLE DECISIONI
Lunedì prossimo riprenderanno i colloqui dialogo tra Belgrado e Pristina: lo ha annunciato ieri il capo negoziatore serbo Borko Stefanovic al tg serale della televisione serba. “Non vi è ancora alcuna convergenza tra le posizioni di Belgrado e Pristina sulla questione dei confini amministrativi”, ha dichiarato Stefanovic. “Pristina insiste che dovrebbe essere proclamato come frontiera statale, che dovrebbe esservi posta una bandiera (kosovara) e che dovrebbe essere vietato il passaggio dei serbo-kosovari con vetture targate Repubblica di Serbia, tutto ciò per Belgrado è inaccettabile” ha detto Stefanovic, aggiungendo che la Serbia chiede il libero passaggio di tutti, come avviene per un normale confine amministrativo e non per una frontiera tra stati.
Oggi Stefanovic incontra i sindaci dei quattro comuni serbo-kosovari la cui popolazione rifiuta di riconoscere l'autorità di Pristina e accusa Belgrado di volerla tradire in nome degli interessi europei della Serbia. In effetti, le dichiarazioni venute negli ultimi giorni dal presidente Boris Tadic e dal vicepremier Borislav Djelic, fanno intravvedere un possibile mutamento di rotta degli attuali vertici serbi che sembrerebbero considerare la possibilità di cedimenti sulla questione kosovara per non compromettere il processo di integrazione europea del Paese. La Serbia, infatti, è obbligata a riprendere il dialogo con Pristina e trovare soluzioni di compromesso entro il 9 dicembre prossimo se vuole che il Consiglio europeo le conferisca lo status ufficiale di Paese candidato e la fissazione della data di inizio dei negoziati di adesione.
Forse preoccupata da questa possibile evoluzione della questione e dall'allentamento dei legami con il suo storico alleato balcanico, Mosca ha deciso di entrare nella questione in maniera pesante, anche se per vie traverse. La Russia sta infatti esaminando migliaia di richieste da parte di serbi del Kosovo, che chiedono la cittadinanza russa. Il ministro degli Esteri Sergey Lavrov, ha lasciato intendere che la concessione della cittadinanza ad abitanti di un altro Paese non è impossibile, anche se non si tratta di persone di origini russe. L'ambasciata russa a Belgrado afferma di aver ricevuto 21.700 richieste di cittadinanza, quasi tutte di serbi che abitano nelle enclave serbe del sud kosovaro.
Il Cremlino ha dichiarato di “comprendere pienamente” le richieste e che intende prenderle in esame seriamentedopo l'annuncio dell'attivista serbo Zlatibor Djordjevic che dal Kosovo ha fatto sapere di aver lanciato una vera e propria campagna per cercare di far ottenere la cittadinanza russa ai serbi kosovari che la vogliono. Mosca ha annunciato, inoltre, l'intenzione di inviare aiuti alimentari ai serbi del nord del Kosovo, per sopperire alla carenza di approvvigionamenti dovuti al blocco dei valichi con la Serbia a seguito della crisi ai confini che si protrae dalla fine dello scorso luglio.
Le iniziative russe pongono un ulteriore problema all'attuale leadership serba che sulla questione kosovara deve misurarsi con l'opposizione nazionalista che promette di diventare ancora più dura in previsione delle elezioni che presumibilmente si terr4anno la prossima primavera. Comunque vada è evidente che la politica seguita fino ad oggi dal presidente Tadic e dai suoi, se del tutto comprensibile data la situazione interna in Serbia, appare sempre più insostenibile. Ma ogni decisione di Belgrado sul Kosovo è destinata ad avere ripercussioni su tutta l'area ex-jugoslava e balcanica. Una situazione non facile per i filoeuropeisti serbi che si trovano sempre più vicini a dover affrontare decisioni cruciali. [RS]
Oggi Stefanovic incontra i sindaci dei quattro comuni serbo-kosovari la cui popolazione rifiuta di riconoscere l'autorità di Pristina e accusa Belgrado di volerla tradire in nome degli interessi europei della Serbia. In effetti, le dichiarazioni venute negli ultimi giorni dal presidente Boris Tadic e dal vicepremier Borislav Djelic, fanno intravvedere un possibile mutamento di rotta degli attuali vertici serbi che sembrerebbero considerare la possibilità di cedimenti sulla questione kosovara per non compromettere il processo di integrazione europea del Paese. La Serbia, infatti, è obbligata a riprendere il dialogo con Pristina e trovare soluzioni di compromesso entro il 9 dicembre prossimo se vuole che il Consiglio europeo le conferisca lo status ufficiale di Paese candidato e la fissazione della data di inizio dei negoziati di adesione.
Forse preoccupata da questa possibile evoluzione della questione e dall'allentamento dei legami con il suo storico alleato balcanico, Mosca ha deciso di entrare nella questione in maniera pesante, anche se per vie traverse. La Russia sta infatti esaminando migliaia di richieste da parte di serbi del Kosovo, che chiedono la cittadinanza russa. Il ministro degli Esteri Sergey Lavrov, ha lasciato intendere che la concessione della cittadinanza ad abitanti di un altro Paese non è impossibile, anche se non si tratta di persone di origini russe. L'ambasciata russa a Belgrado afferma di aver ricevuto 21.700 richieste di cittadinanza, quasi tutte di serbi che abitano nelle enclave serbe del sud kosovaro.
Il Cremlino ha dichiarato di “comprendere pienamente” le richieste e che intende prenderle in esame seriamentedopo l'annuncio dell'attivista serbo Zlatibor Djordjevic che dal Kosovo ha fatto sapere di aver lanciato una vera e propria campagna per cercare di far ottenere la cittadinanza russa ai serbi kosovari che la vogliono. Mosca ha annunciato, inoltre, l'intenzione di inviare aiuti alimentari ai serbi del nord del Kosovo, per sopperire alla carenza di approvvigionamenti dovuti al blocco dei valichi con la Serbia a seguito della crisi ai confini che si protrae dalla fine dello scorso luglio.
Le iniziative russe pongono un ulteriore problema all'attuale leadership serba che sulla questione kosovara deve misurarsi con l'opposizione nazionalista che promette di diventare ancora più dura in previsione delle elezioni che presumibilmente si terr4anno la prossima primavera. Comunque vada è evidente che la politica seguita fino ad oggi dal presidente Tadic e dai suoi, se del tutto comprensibile data la situazione interna in Serbia, appare sempre più insostenibile. Ma ogni decisione di Belgrado sul Kosovo è destinata ad avere ripercussioni su tutta l'area ex-jugoslava e balcanica. Una situazione non facile per i filoeuropeisti serbi che si trovano sempre più vicini a dover affrontare decisioni cruciali. [RS]
MARCO PANNELLA TORNA A ZAGABRIA
Il presidente croato Ivo Josipovic e il leader radicale Marco Pannella |
Lunedi', Marco Pannella accompagnato da chi scrive e dal deputato socialdemocratico Tonino Picula, vicepresidente della Commissione esteri del Parlamento croato, gia' ministro degli esteri e iscritto al PRNtt, ha avuto una serie di incontri al Parlamento croato. Il primo a riceverlo e' stato il vicepresidente del Parlamento e presidente della Commissione per le integrazioni europee, il socialdemocratico Neven Mimica, gia' ministro delle integrazioni europee il quale ha ringraziato Pannella per il suo impegno nel corso degli ultimi due decenni per la Croazia, dalla sua indipendenza fino al suo status attuale, vale a dire la vicinanza dell'ingresso nell'Ue. Mimica si e' detto fiducioso di una ulteriore collaborazione soprattutto dal momento in cui la Croazia sara' il 28-esimo paese membro dell'Ue anche nell'ambito delle preziose iniziative del PRNtt.
Molto affettuoso e' stato l'incontro con il Presidente del Parlamento croato Luka Bebić il quale ha salutato Pannella ricordando la sua lunghissima esperienza politica conosciuta ben oltre i confini dell'Italia, apprezzando in particolare il metodo nonviolento per realizzare gli obbiettivi in difesa dei diritti dell'uomo, della liberta' e democrazia in tutto il mondo. Il presidente del Parlamento croato, esponente del partito governativo, HDZ, ha sottolineato di essere stato iscritto al PRT negli anni piu' difficili per la Croazia, vale a dire all'inizio degli anni novanta. "Ringraziando Pannella per il suo impegno per il riconoscimento internazionale della Croazia nel 1992, per il quale l'ex presidente della Repubblica di Croazia Stjepan Mesić nel 2002 gli aveva attribuito le onorificenze dell'Ordine del principe Branimir, Bebić ha sottolineato che gli obbiettivi per i quali il PRNtt sta lottando nel mondo odierno sono estremamente attuali. "Siamo testimoni di manifestazioni quotidiane in tutto il mondo in cui si esprime il desiderio per una vita migliore e democrazia ed i metodi della lotta nonviolenta sono piu' attuali che mai prima" ha detto Bebić.
Plaudendo il cammino che la Croazia ha superato negli ultimi due decenni, Pannella ha ricordato le sue attivita' in Croazia durante la Guerra per la patria, tra cui anche l'iniziativa nonviolenta che porto' nel 1991 e all'inizio del 1992 i militanti del PRNtt a chiedere l'immediato cessamento dell'agressione contro Osijek e Nova Gradiška. Durante un colloquio affettuoso con il presidente del Sabor, al quale ha partecipato anche il vicepresidente della Commissione per la politica estera Tonino Picula, Pannella ha invitato Bebić di attivarsi dopo la conclusione della sua attuale carriera parlamentare nel lavoro del PRNtt e di appoggiare i suoi obbiettivi con la propria esperienza", si legge in un cominicato rilasciato dall'Ufficio del presidente del Sabor croato a seguito dell'incontro con il leader radicale.
Pannella ha incontrato anche l'esperto in economia Ljubo Jurčić, gia' ministro dell'economia che alle prossime elezioni si presenta con la sua lista Iniziativa economica croata dopo che ha lasciato il Partito socialdemocratico. Infine, sempre in Parlamento, Marco Pannella ha incontrato Vesna Pusić, capogruppo del Partito poplare croato, presidente della Commissione nazionale per seguire i negoziati di adesione all'Ue. Vesna Pusić da liberale, gia' presidente dei liberali europee, conosce bene le iniziative del PRNtt e l'incontro con Pannella e' stato anche l'occasione di scambi di idee comuni e di apprezzamento per l'impegno dei radicali sia in Croazia che in diverse parti del mondo.
Sempre lunedi' a seguito degli incontri con i deputati croati, Pannella e' stato ricevuto dal Presidente Ivo Josipović nel suo ufficio di Pantovčak. Un incontro molto caloroso in cui il leader radicale ha sottolineato l'importanza dell'ingresso della Croazia nell'Ue come contributo al rafforzamento e all'allargamento della famiglia europea e come esempio per gli altri paesi della regione di seguire la stessa via in quanto obbiettivo per realizzare democrazia, pace e stabilita'. Ha indicato anche l'importanza dell'iniziativa del presidente Josipović indirizzata verso la riconciliazione nella regione in quanto garanzia per la costruzione della pace e progresso di quest'area.
Il Presidente Josipović ha ringraziato Marco Pannella per il suo impegno, a partire dai tempi piu' difficili della Guerra per la patria fino ad oggi e ha sottolineato l'importanza delle attivita' del Partito radicale nonviolento sia in Europa sudorientale che in tutto il mondo a fin di promuovere e affermare i valori democratici e fondamentalmente umani, si legge nel comunicato della presidenza croata.
[*] Corrispondente di Radio Radicale. Il testo è tratto dalla corrispondenza per la puntata di Passaggio a Sud Est andata in onda oggi
Il comunicato sull'incontro tra il presidente Josipovic e Marco Pannella dal sito della presidenza croata
LA SERBIA VERSO L'UE, MA IL PROBLEMA E' IL KOSOVO
Nessuna nuova condizione dal Tribunale internazionale: per Belgrado ora è necessario dialogare con Pristina
Di Marina Szikora [*]
Secondo le informazioni del quotidiano di Belgrado 'Blic', il procuratore capo del Tribunale dell'Aja che giudica i crimini commessi in ex Jugoslavia, Serge Brammertz ha mandato questa settimana al Consiglio di Sicurezza dell'Onu il suo rapporto sulla collaborazione della Serbia con il Tribunale dell'Aja. Ne ha dato notizia il consigliere speciale di Brammertz, Frederic Svinen. Ha precisato pero' che il contenuto del rapporto rimarra' confidenziale fino al prossimo 7 dicembre quando Brammertz presentera' ufficialmente il suo rapporto semestrale al Consiglio di Sicurezza. Va detto che il procuratore capo ha visitato Belgrado settimana scorsa nell'ambito delle sue attivita' regolari in vista del rapporto sulla collaborazione della Serbia con l'Aja. Nel corso di questa sua recente visita, Brammertz ha detto che non ci sono nuove condizioni per la Serbia e che la questione dello svolgimento delle inchieste relative alla rete di sostenitori degli ex imputati latitanti, che e' stata uno dei temi dei colloqui con le autorita' serbe, fa parte degli aspetti tecnici della collaborazione della Serbia con il Tribunale e non rappresenta condizioni nuove come si e' speculato nei media serbi. Brammertz ha concordato con il presidente del Consiglio nazionale per la collaborazione serba con l'Aja, Rasim Ljajić che la collaborazione tra la Serbia e il Tribunale per quanto riguarda la consegna della documentazione, gli accessi agli archivi degli organi statali e ai testimoni nonche' altri aspetti tecnici sono ad un livello professionale elevato e che non ci sono questioni aperte.
Intanto l'Ue spera che molto presto averra' il prossimo round di negoziati tra Belgrado e Priština. A tal proposito l'alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell'Ue, Catherine Ashton afferma di credere nelle capacita' di leadership del presidente della Serbia, Boris Tadić nonche' di credere che Tadić vuole sinceramente vedere la Serbia nell'Ue. "Spero che nei prossimi giorni e settimane vedremo la devozione affinche' cio' avvenga. Non e' facile essere a capo di uno stato, e la leadership in queste condizioni significa aver presente l'interesse a lungo termine del proprio popolo, che ritengo sia l'ingresso nell'Ue, in quanto priorita'. Se ci riuscira', l'Ue lo aiutera' a realizzarlo". Anche se il tema dell'approvazione dello status di candidato per l'adesione nell'Ue dovrebbe essere all'ordine del giorno del Consiglio il prossimo dicembre, sia dei ministri degli esteri che dei leader dei paesi membri dell'Ue, a Bruxelles, queste le informazioni mediatiche, si puo' sentire ufficiosamente che oltre "la priorita' chiave – vale a dire il dialogo tra Belgrado e Priština, l'Ue vuole anche passi concreti relativi al toglimento delle barricate per assicurare la libera circolazione al nord del Kosovo.
Il capo della diplomazia francese, Alain Juppe', ritiene che il segnale verde per la candidatura Belgrado lo puo' ricevere realizzando il progresso nel dialogo con Priština. Anche il capo della diplomazia tedesca, Guido Westerwelle, sottolinea che le relazioni di buon vicinato sono uno dei criteri europei che la Serbia deve rispettare. Westerwelle ribadisce che la Germania appoggia l'allargamento dell'Ue nei paesi dei Balcani Occidentali, ma che non permettera' alcun "cedimento" su questa via. Lo spirito europeo comporta la cooperazione e non la confrontazione. Da questo dipende anche il nostro sostegno e il loro progresso, ha detto il ministro tedesco. Westerwelle sottolinea che l'integrita' territoriale del Kosovo, per la Germania "e' fuori ogni discussione" e questo sara' preso in considerazione per prendere la decisione a dicembre. "L'integrita' territoriale non viene messa in questione nemmeno da parte di quelli che non hanno riconosciuto il Kosovo. Anche quelli che non lo hanno riconosciuto, concordano con noi che il conflitto si risolve con la cooperazione e con i nezgoziati e non con la confrontazione". Ha concluso che la violenza non puo' essere tollerata ne appoggiata quando si tratta di paesi che vogliono entrare nell'Ue.
[*] Corrispondente di Radio Radicale. Il testo è tratto dalla corrispondenza per la puntata di Passaggio a Sud Est andata in onda oggi.
Di Marina Szikora [*]
Secondo le informazioni del quotidiano di Belgrado 'Blic', il procuratore capo del Tribunale dell'Aja che giudica i crimini commessi in ex Jugoslavia, Serge Brammertz ha mandato questa settimana al Consiglio di Sicurezza dell'Onu il suo rapporto sulla collaborazione della Serbia con il Tribunale dell'Aja. Ne ha dato notizia il consigliere speciale di Brammertz, Frederic Svinen. Ha precisato pero' che il contenuto del rapporto rimarra' confidenziale fino al prossimo 7 dicembre quando Brammertz presentera' ufficialmente il suo rapporto semestrale al Consiglio di Sicurezza. Va detto che il procuratore capo ha visitato Belgrado settimana scorsa nell'ambito delle sue attivita' regolari in vista del rapporto sulla collaborazione della Serbia con l'Aja. Nel corso di questa sua recente visita, Brammertz ha detto che non ci sono nuove condizioni per la Serbia e che la questione dello svolgimento delle inchieste relative alla rete di sostenitori degli ex imputati latitanti, che e' stata uno dei temi dei colloqui con le autorita' serbe, fa parte degli aspetti tecnici della collaborazione della Serbia con il Tribunale e non rappresenta condizioni nuove come si e' speculato nei media serbi. Brammertz ha concordato con il presidente del Consiglio nazionale per la collaborazione serba con l'Aja, Rasim Ljajić che la collaborazione tra la Serbia e il Tribunale per quanto riguarda la consegna della documentazione, gli accessi agli archivi degli organi statali e ai testimoni nonche' altri aspetti tecnici sono ad un livello professionale elevato e che non ci sono questioni aperte.
Intanto l'Ue spera che molto presto averra' il prossimo round di negoziati tra Belgrado e Priština. A tal proposito l'alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell'Ue, Catherine Ashton afferma di credere nelle capacita' di leadership del presidente della Serbia, Boris Tadić nonche' di credere che Tadić vuole sinceramente vedere la Serbia nell'Ue. "Spero che nei prossimi giorni e settimane vedremo la devozione affinche' cio' avvenga. Non e' facile essere a capo di uno stato, e la leadership in queste condizioni significa aver presente l'interesse a lungo termine del proprio popolo, che ritengo sia l'ingresso nell'Ue, in quanto priorita'. Se ci riuscira', l'Ue lo aiutera' a realizzarlo". Anche se il tema dell'approvazione dello status di candidato per l'adesione nell'Ue dovrebbe essere all'ordine del giorno del Consiglio il prossimo dicembre, sia dei ministri degli esteri che dei leader dei paesi membri dell'Ue, a Bruxelles, queste le informazioni mediatiche, si puo' sentire ufficiosamente che oltre "la priorita' chiave – vale a dire il dialogo tra Belgrado e Priština, l'Ue vuole anche passi concreti relativi al toglimento delle barricate per assicurare la libera circolazione al nord del Kosovo.
Il capo della diplomazia francese, Alain Juppe', ritiene che il segnale verde per la candidatura Belgrado lo puo' ricevere realizzando il progresso nel dialogo con Priština. Anche il capo della diplomazia tedesca, Guido Westerwelle, sottolinea che le relazioni di buon vicinato sono uno dei criteri europei che la Serbia deve rispettare. Westerwelle ribadisce che la Germania appoggia l'allargamento dell'Ue nei paesi dei Balcani Occidentali, ma che non permettera' alcun "cedimento" su questa via. Lo spirito europeo comporta la cooperazione e non la confrontazione. Da questo dipende anche il nostro sostegno e il loro progresso, ha detto il ministro tedesco. Westerwelle sottolinea che l'integrita' territoriale del Kosovo, per la Germania "e' fuori ogni discussione" e questo sara' preso in considerazione per prendere la decisione a dicembre. "L'integrita' territoriale non viene messa in questione nemmeno da parte di quelli che non hanno riconosciuto il Kosovo. Anche quelli che non lo hanno riconosciuto, concordano con noi che il conflitto si risolve con la cooperazione e con i nezgoziati e non con la confrontazione". Ha concluso che la violenza non puo' essere tollerata ne appoggiata quando si tratta di paesi che vogliono entrare nell'Ue.
[*] Corrispondente di Radio Radicale. Il testo è tratto dalla corrispondenza per la puntata di Passaggio a Sud Est andata in onda oggi.
martedì 15 novembre 2011
MARCO PANNELLA IN CROAZIA
Lunedì 14 e martedì 15 novembre il leader radicale Marco Pannella ha compiuto una visita in Croazia durante la quale ha incontrato diversi esponenti politici e alti rappresentanti delle istituzioni a partire dal presidente Josipovic. Qui di seguito alcuni comunicati pubblicati sul sito del Partito radicale nonviolento transnazionale e transpartito.
Il presidente Josipović ha ricevuto il leader del Partito radicale transnazionale, nonviolento e transpartito
Zagabria, 14 novembre - Il Presidente della Repubblica di Croazia Ivo Josipović ha ricevuto il leader del Partito radicale transnazionale, nonviolento e transpartito (NRPtt) Marco Pannella, deputato italiano ed europeo per molti anni. Marco Pannella nel 1991 si reco', senza armi come sostenitore della nonviolenza, alla prima linea del fronte per dare sostegno ai difensori croati e per sollevare l'attenzione con il suo gesto simbolico sulla necessita' di riconoscere urgentemente la Croazia indipendente e per chiedere la fine dell'aggressione militare serba.
Marco Pannella ha sottolineato l'importanza dell'ingresso della Croazia nell'Ue in quanto contribuisce al rafforzamento e all'allargamento della famiglia europea e come esempio per gli altri paesi della regione da seguire la stessa via in quanto obbiettivo per realizzare democrazia, pace e stabilita'. Ha indicato anche l'importanza dell'iniziativa del presidente Josipović indirizzata verso la riconciliazione nella regione in quanto garanzia per la costruzione della pace e progresso di quest'area.
Il Presidente Josipović ha ringraziato Marco Pannella per il suo impegno, a partire dai tempi piu' difficili della Guerra per la patria fino ad oggi e ha sottolineato l'importanza delle attivita' del Partito radicale nonviolento sia in Europa sudorientale che in tutto il mondo a fin di promuovere e affermare i valori democratici, civili e umani.
Il presidente del Parlamento croato Luka Bebić ha incontrato il leader del Partito radicale nonviolento transnazionale e transpartito Marco Pannella
Zagabria, 15 novembre – Il presidente del Sabor croato Luka Bebić ha ricevuto oggi al Sabor croato il leader del Partito radicale nonviolento, transnazionale e transpartito (PRNtt) Marco Pannella.
Ringraziando Pannella per il suo impegno per il riconoscimento internazionale della Croazia nel 1992, per il quale l'ex presidente della Repubblica di Croazia Stjepan Mesić nel 2002 gli aveva attribuito le onorificenze dell'Ordine del principe Branimir, Bebić ha sottolineato che gli obbiettivi per i quali il PRNtt sta lottando nel mondo odierno sono estremamente attuali. "Siamo testimoni di manifestazioni quotidiane in tutto il mondo in cui si esprime il desiderio per una vita migliore e democrazia ed i metodi della lotta nonviolenta sono piu' attuali che mai prima" ha detto Bebić.
Plaudendo il cammino che la Croazia ha superato negli ultimi due decenni, Pannella ha ricordato le sue attivita' in Croazia durante la Guerra per la patria, tra cui anche l'iniziativa nonviolenta che porto' nel 1991 e all'inizio del 1992 i militanti del PRNtt a chiedere l'immediato cessamento dell'agressione contro Osijek e Nova Gradiška. Durante un colloquio affettuoso con il presidente del Sabor, al quale ha partecipato anche il vicepresidente della Commissione per la politica estera Tonino Picula, Pannella ha invitato Bebić di attivarsi dopo la conclusione della sua attuale carriera parlamentare nel lavoro del PRNtt e di appoggiare i suoi obbiettivi con la propria esperienza.
Il Partito radicale nonviolento transnazionale e transpartito (PRNtt) e' una organizzazione di cittadini, parlamentari e membri di governo di diverse appartenenze nazionali, politiche e di partito che con il metodo della nonviolenza gandhiana, disobbedienza civile e democrazia si impegnano a realizzare obbiettivi concreti per realizzare una giustizia internazionale efficace, il rispetto dei diritti della persona e per l'affermazione della democrazia e liberta' nel mondo. Tra le campagne globali che il PRNtt promuove da decenni in collaborazione con i governi, parlamenti e altre organizzazioni ci sono la moratoria universale sulla pena di morte, l'ablizione della pratica delle mutilazioni genitali femminili, la creazione della Corte internazionale permanente (ICC) ecc.
Il presidente Josipović ha ricevuto il leader del Partito radicale transnazionale, nonviolento e transpartito
Zagabria, 14 novembre - Il Presidente della Repubblica di Croazia Ivo Josipović ha ricevuto il leader del Partito radicale transnazionale, nonviolento e transpartito (NRPtt) Marco Pannella, deputato italiano ed europeo per molti anni. Marco Pannella nel 1991 si reco', senza armi come sostenitore della nonviolenza, alla prima linea del fronte per dare sostegno ai difensori croati e per sollevare l'attenzione con il suo gesto simbolico sulla necessita' di riconoscere urgentemente la Croazia indipendente e per chiedere la fine dell'aggressione militare serba.
Marco Pannella ha sottolineato l'importanza dell'ingresso della Croazia nell'Ue in quanto contribuisce al rafforzamento e all'allargamento della famiglia europea e come esempio per gli altri paesi della regione da seguire la stessa via in quanto obbiettivo per realizzare democrazia, pace e stabilita'. Ha indicato anche l'importanza dell'iniziativa del presidente Josipović indirizzata verso la riconciliazione nella regione in quanto garanzia per la costruzione della pace e progresso di quest'area.
Il Presidente Josipović ha ringraziato Marco Pannella per il suo impegno, a partire dai tempi piu' difficili della Guerra per la patria fino ad oggi e ha sottolineato l'importanza delle attivita' del Partito radicale nonviolento sia in Europa sudorientale che in tutto il mondo a fin di promuovere e affermare i valori democratici, civili e umani.
Il presidente del Parlamento croato Luka Bebić ha incontrato il leader del Partito radicale nonviolento transnazionale e transpartito Marco Pannella
Zagabria, 15 novembre – Il presidente del Sabor croato Luka Bebić ha ricevuto oggi al Sabor croato il leader del Partito radicale nonviolento, transnazionale e transpartito (PRNtt) Marco Pannella.
Ringraziando Pannella per il suo impegno per il riconoscimento internazionale della Croazia nel 1992, per il quale l'ex presidente della Repubblica di Croazia Stjepan Mesić nel 2002 gli aveva attribuito le onorificenze dell'Ordine del principe Branimir, Bebić ha sottolineato che gli obbiettivi per i quali il PRNtt sta lottando nel mondo odierno sono estremamente attuali. "Siamo testimoni di manifestazioni quotidiane in tutto il mondo in cui si esprime il desiderio per una vita migliore e democrazia ed i metodi della lotta nonviolenta sono piu' attuali che mai prima" ha detto Bebić.
Plaudendo il cammino che la Croazia ha superato negli ultimi due decenni, Pannella ha ricordato le sue attivita' in Croazia durante la Guerra per la patria, tra cui anche l'iniziativa nonviolenta che porto' nel 1991 e all'inizio del 1992 i militanti del PRNtt a chiedere l'immediato cessamento dell'agressione contro Osijek e Nova Gradiška. Durante un colloquio affettuoso con il presidente del Sabor, al quale ha partecipato anche il vicepresidente della Commissione per la politica estera Tonino Picula, Pannella ha invitato Bebić di attivarsi dopo la conclusione della sua attuale carriera parlamentare nel lavoro del PRNtt e di appoggiare i suoi obbiettivi con la propria esperienza.
Il Partito radicale nonviolento transnazionale e transpartito (PRNtt) e' una organizzazione di cittadini, parlamentari e membri di governo di diverse appartenenze nazionali, politiche e di partito che con il metodo della nonviolenza gandhiana, disobbedienza civile e democrazia si impegnano a realizzare obbiettivi concreti per realizzare una giustizia internazionale efficace, il rispetto dei diritti della persona e per l'affermazione della democrazia e liberta' nel mondo. Tra le campagne globali che il PRNtt promuove da decenni in collaborazione con i governi, parlamenti e altre organizzazioni ci sono la moratoria universale sulla pena di morte, l'ablizione della pratica delle mutilazioni genitali femminili, la creazione della Corte internazionale permanente (ICC) ecc.
giovedì 10 novembre 2011
TELEKOM SERBIA: CHIARIRE LE RESPONSABILITA'
Dichiarazione di Giulio Manfredi (membro del Comitato nazionale di Radicali Italiani, autore del libro “Telekom Serbia, Presidente Ciampi nulla da dichiarare?”, edito da Stampa Alternativa/Nuovi Equilibri) sulla sentenza di condanna in primo grado di Igor Marini a dieci anni di reclusione per la vicenda Telekom Serbia.
Noi radicali non abbiamo mai dato credito alle dichiarazioni di Igor Marini, mettendo subito in guardia la commissione parlamentare d’inchiesta dal perdersi nella vana ricerca di fantomatici conti correnti di “Mortadella”, “Cicogna” e “Ranocchio”.
Ciò detto, mi pare che dieci anni di galera e un milione di euro di risarcimento rappresentino una condanna eccessiva.
Ciò detto, noi radicali siamo sempre in attesa da parte degli esponenti del governo dell’epoca (giugno 1997) della piena assunzione di responsabilità politica per aver omesso di impedire che 456 milioni di euro dell’allora azienda pubblica “Telecom Italia” finissero nei conti correnti del criminale di guerra serbo Slobodan Milosevic, come appurato dalla Procura della Repubblica di Torino.
Ciampi, Fassino, Dini, Prodi, nulla da dichiarare?”.
Noi radicali non abbiamo mai dato credito alle dichiarazioni di Igor Marini, mettendo subito in guardia la commissione parlamentare d’inchiesta dal perdersi nella vana ricerca di fantomatici conti correnti di “Mortadella”, “Cicogna” e “Ranocchio”.
Ciò detto, mi pare che dieci anni di galera e un milione di euro di risarcimento rappresentino una condanna eccessiva.
Ciò detto, noi radicali siamo sempre in attesa da parte degli esponenti del governo dell’epoca (giugno 1997) della piena assunzione di responsabilità politica per aver omesso di impedire che 456 milioni di euro dell’allora azienda pubblica “Telecom Italia” finissero nei conti correnti del criminale di guerra serbo Slobodan Milosevic, come appurato dalla Procura della Repubblica di Torino.
Ciampi, Fassino, Dini, Prodi, nulla da dichiarare?”.
TELEKOM SERBIA: CONDANNATO MARINI, MA LA VERITA' DELL'AFFAIRE RESTA UN'ALTRA
Igor Marini è stato condannato a 10 anni di reclusione e 15mila euro di multa per aver accusato falsamente Romano Prodi, Piero Fassino e Lamberto Dini di aver preso o veicolato tangenti per oltre un milione di euro nell'ambito dell’affare Telekom Serbia. Prodi, Fassino e Lamberto Dini erano indicati come i destinatari delle mazzette sotto gli pseudonimi di “Mortad.”, “Cicogna” e “Ranoc.”. Le accuse contestate dai giudici della V sezione penale del tribunale di Roma sono quelle di associazione per delinquere finalizzata alla ricettazione di documenti falsi e contraffatti e diversi episodi di calunnia. Marini dovrà versare anche centinaia di migliaia di euro di provvisionale immediatamente esecutiva per i soggetti da lui ingiustamente accusati.
I pubblici ministeri, Giuseppe De Falco e Maria Francesca Loy, avevano chiesto per Marini la pena di 12 anni. Nella requisitoria, lo scorso febbraio, avevano spiegato che i politici indicati da Marini e dagli altri, “furono travolti da dichiarazioni devastanti, di una gravità inaudita e prive di qualsiasi concreto fondamento”. Inoltre, “di quello scandalo fu fatto un grande uso politico perché quello che Marini andava sostenendo al pari di alcuni soggetti che trafficavano in titoli falsi da monetizzare è stato cavalcato per motivi mai chiariti dalla commissione parlamentare d'inchiesta”.
“Le indagini da quanto emerso in dibattimento hanno sancito l'insussistenza di tangenti e, al contrario, l'esistenza di calunnie verbali e documentali", hanno detto i giudici, secondo i quali, “non esiste alcun riscontro positivo alle tantissime dichiarazioni fatte da Igor Marini ai magistrati al punto che il caso Telekom Serbia può considerarsi la madre di tutti i tentativi di denigrazione dell'avversario politico”.
Che le accuse di Marini fossero prive di fondamento e frutto di una macchinazione era chiaro ormai da anni e la sentenza di oggi non può stupire nessuno. Ciò che però né la sentenza né l’inchiesta hanno chiarito sono le responsabilità politiche (quelle sì riconducibili a Fassino, Dini e all’allora ministro Ciampi) di una spregiudicata operazione finanziaria, fatta coi soldi dei contribuenti italiani, che nel pieno dell’embargo contro la Serbia permise al regime di Milosevic di incassare denaro fresco per puntellare il suo regime che aveva trascinato tutti i popoli ex jugoslavi in una serie di guerre tragiche, inutili e devastanti. Ed è su questo che andrebbe fatta luce, mentre invece su tutto l’affaire è calato un velo di silenzio che solo i Radicali italiani hanno cercato in questi anni di sollevare. [RS]Per saperne di più sull’affaire Telekom Serbia va al sito dell’Associazione radicale “Adelaide Aglietta” di Torino
SERBIA: IL KOSOVO NON E' IL PRINCIPALE DEI PROBLEMI
La delicatissima situazione del Kosovo sembra essersi infilata in un vicolo cieco. In Serbia, con la prospettiva delle elezioni politiche la prossima primavera, la retorica sulla questione kosovara finirà molto probabilmente per essere al centro della polemica politica mentre il Pese avrebbe problemi altrettanto, se non più urgenti di cui occuparsi.
Lavoratori della Zastava Oruzje di Kragujevac (Foto Beta) |
Un recente articolo pubblicato sul quotidiano serbo 'Novosti' parla dell'attuale stato della Serbia in cui viene sottolienato che l'unica caratteristica di cui il paese si puo' 'vantare' e' quello di uno dei posti peggiori sulla lista mondiale. Oltre un milione di analfabeti, i popolo serbo e' in piu' uno tra i dieci popoli piu' anziani del mondo, la Serbia e' molto dietro per quanto riguarda l'attrazione degli investimenti, ma tra i recorder in inflazione, corruzione e terzi sulla lista relativa all'emigrazione degli esperti. Per quanto riguarda l'economia e le infrastrutture, la Serbia e' in compagnia con i paesi del terzo mondo, ma ci sono settori in cui anche questi paesi l'hanno preceduta. Negli ultimi sondaggi del Forum economico mondiale, che ha analizzato 142 paesi, la Serbia e' al 102. posto per quanto rigurada le infrastruttue ferroviareie, al 128-esimo per quanto riguada l'indipendenza delle corti e al 131-esimo per la qualita' delle strade. Rasim Ljajić, ministro del lavoro e politica sociale afferma che "ci sono molte statistiche sconfiggenti per la Serbia, tra cui anche le analisi della Banca europea per il rinnovamento e per lo sviluppo dove, ad esempio, la Serbia e' il 102 di 139 paesi per quanto riguarda l'efficacia del mercato di lavoro". Questo, secondo Ljajić, e' conseguenza del fatto che molte riforme non sono ancora state effettuate. Secondo dati ufficiosi, negli ultimi decenni la Serbia e' rimasta senza oltre 40.000 esperti con la laurea e quanto al numero di persone con alta educazione si trova al 74-esimo posto. Il Ministero dell'educazione afferma che il Governo aveva approvato l'anno scorso una serie di misure per trattenere i giovani ricercatori e per far tornare quelli che sono andati via. Il ministro Žarko Obradović spiega per 'Novosti' che la Serbia investe nell'educazione un po' oltre il 4 percento del bilancio, mentre la maggior parte dei paesi europei ne investe il sei percento. L'anno scorso la Serbia era al 78-esimo posto tra 178 paesi per quanto rigurada la corruzione, un nuovo rapporto e' atteso per il mese di dicembre ma non si prospettano risutati migliori. La Serbia appartiene al gruppo delle cosidette democrazie mancanti, il problema resta la partitocrazia, liberta' mediatiche, istituzioni deboli... e la crisi senza dubbio non e' una cornice adeguata per migliorare le cose. La Serbia e' purtroppo anche in testa alle classifiche per quanto riguarda il basso tasso di natalita', ovvero un alto tasso di mortalita'. Il demografo Ivan Marinković spiega che le cause sono innanzitutto una brutta situazione economica e bassa qualita' di vita.
Intanto, per quanto riguarda l'integrazione europea di Belgrado, da Bruxelles si afferma che la Serbia nel suo cammino verso l'Europa non deve temere contenziosi con la Croazia ma che il suo problema e' il Kosovo. Ne scrive in questi giorni uno dei piu' diffusi quotidiani croati 'Jutarnji list' riferendosi a fonti diplomatiche europee. Il giornale di Zagabria scrive che anche se la Serbia avra' ufficialmente lo status di candidato al prossimo vertice dell'Ue di dicembre, i veri negoziati di adesione inizieranno solo dopo che la Croazia diventera' membro a pieno titolo dell'Ue. Cio' significa che la Serbia negoziera' anche con la Croazia e formalmente Zagabria potra' bloccarla su ogni passo. Secondo i diplomatici dell'Ue, i rappresentanti serbi hanno una certa paura per quanto riguarda possibili blocchi croati. Anche se afffermano pubblicamente che il successo della Croazia e' una buona notizia per l'intera regione balcanica, i rappresentanti della Serbia insistono che sarebbe bene che i contenziosi sul confine tra Croazia e Serbia vengano risolti prima dell'ingresso della Croazia nell'Ue, spiegano fonti diplomatiche anonime citate da 'Jutarnji list'. La Slovenia a causa di questioni bilaterali aveva bloccato la Croazia, il Cipro blocca la Turchia mentre la Grecia da anni non permette l'apertura dei negoziati con la Macedonia a causa del nome. Tutti questi blocchi sono accaduti o continuano ad accadere nonostante le valutazioni della Commissione europea che i candidati hanno soddisfatto le condizioni.
Nonostante tutti i timori, l'Ue manda un messaggio alla Serbia che la Croazia non le sara' da ostacolo. In effetti, con una dichiarazione sulla promozione dei valori europei in Europa sudorientale, approvata alcuni giorni prima dello scioglimento del Parlamento croato, la Croazia si e' elevata al di sopra degli attuali stati membri. Ha assunto l'obbligo di non utilizzare la sua membership nell'Ue per far diventare i contenziosi bilaterali un ostacolo ai futuri candidati nel loro processo di adesione all'Ue. La Croazia e' il primo paese che entrera' nell'Ue dopo aver approvato una tale dichiarazione. I rappresentanti europei avvertono la Serbia di esaminare attentamente l'andamento dei negoziati croati con l'Ue perche' anche Belgrado dovra' rispettare severamente i criteri. Cio' significa che la Serbia, anche se iniziera' i negoziati nel 2012, non potra' aderire nell'Ue prima del 2020, ha affermato un diplomatico dell'Ue. 'Jutarnji list' afferma che una attenta lettura dell'avis della Commissione europea sulla Serbia, pubblicato un mese fa, e se comparato con quello sulla Croazia del 2004, si potrebbe dire che la Croazia allora era in una posizione migliore rispetto alla Serbia di oggi. L'Ue avverte quindi la Serbia che non sara' la Croazia un ostacolo sul cammino europeo ma il piu' grande ostacolo politico per Belgrado e' il Kosovo. Dopo l'esperienza con il Cipro, l'Ue non importera' piu' simili problemi e per tal ragione, secondo le analisi odierne, il riconosimento del Kosovo alla fine sara' la condizione dell'ingresso della Serbia nell'Ue.
[*] Il testo è tratto dalla corrispondenza andata in onda nella puntata odierna di Passaggio a Sud Est
SERBIA: I LIBERALDEMOCRATICI CHIEDONO UN "CAPOVOLGIMENTO" SUL KOSOVO
Il presidente del Partito liberaldemocratico Čedomir Jovanović ha invitato il presidente della Serbia Boris Tadić a firmare un manifesto sotto il titolo "Capovolgimento" che comporta un cambiamento della politica serba sul Kosovo e il proseguimento delle integrazioni europee. Ad un convegno lo scorso fine settimana, nella Casa della gioventu' di Belgrado, dove Jovanović ha presentato il manifesto valutando che, entro il 9 dicembre quando si decidera' sulla richiesta della candidatura serba per l'ingressi nell'Ue, esso andrebbe firmato anche dal patriarca, dal presidente dell'Accademia serba delle scienze e dell'arte nonche' da altri soggetti prestigiosi. Al convegno, a favore del manifesto ha parlato anche il presidente del Movimeno serbo del rinnovamento Vuk Drašković, il presidente dell'Unione socialdemocratica Žarko Korać e c'erano molti altri rappresentanti di organizzazioni nongovernative, artisti e itellettuali che hanno dato il loro sostegno a questo documento promosso dai liberldemocratici e che hanno contribuito alla sua nascita. Nel testo viene espressa particolare insoddisfazione a causa dell'inutile e pericolosa approvazione "dell'isterismo e della strategia antieuropei da parte del governo proeuropeo che permette alle barricate al nord del Kosovo di bloccare l'attribuzione dello status di candidato e la data dell'inizio dei negoziati di adesione della Serbia all'Ue. In un paese senza tempo, la perdita dello status di candidato o la candidatura senza la data dei negoziati significheranno soltanto un'altra uccisione del futuro normale, un altro sfascio di tutto cio' che in Serbia e' persistito, un altro isolamento alla periferia dell'Europa di tutti quelli che non sono fuggiti dalla Serbia", si legge nel testo del manifesto.
Dopo la presentazione del manifesto a Belgrado, e' intenzione dei suoi promotori e sostenitori di viaggiare per il paese e di far conoscere ai cittadini l'idea europea. L'attivita' dovrebbe durare fino al 9 dicembre quando la Serbia dovrebbe ottenere da parte del Consiglio europeo lo status di candidato. Ma la risposta del presidente Tadić all'appello del leader dei liberaldemocratici non e' stata positiva. Il capo dello stato serbo giudicato da lungo come filoeuropeo ha detto che e' una illusione e un errore che la Serbia con un cambiamento della politica verso il Kosovo possa accelerare il processo di avvicinamento all'Ue. Al tempo stesso, ha osservato Tadić, fatto e' che le grandi potenze non permettono che quello che e' stato attuato in Kosovo venisse posto in questione. "La politica in Kosovo non puo' essere una pietra al nostro collo, ma il problema non lo possiamo risolvere amputando una parte del corpo" ha detto il presidente serbo. Tadić ha valutato che e' strano che il Partito liberaldemocratico e il Movimento serbo del rinnovamento lo chiamino di firmare questo documento. Ha spiegato che non puo' appoggiare le richieste programmatiche dei partiti che insistono sulla svolta nella politica sul Kosovo accettando il piano di Marty Ahtisaari la cui attuazione, ha detto Tadić, causerebbe il completo cancellamento del popolo serbo in Kosovo tra tre decenni. Il presidente della Serbia ha aggiunto che il paese che facilmente rinuncia ai suoi interessi legittimi verra' giudicato dalle grandi potenze come un paese al quale nuove condizioni vengono presentate molto semplicemente e un tale paese perde la sua credibilita' in politica. Tadić ha precisato che tutti in Europa sanno che gli interessi della Serbia in Kosovo sono legittimi e ha aggiunto che per questo nessuno richiede da Belgrado di riconoscere esplicitamente il Kosovo, anche se alcuni stati vorrebbero che la Serbia lo faccia in modo implicito. Il presidente serbo ha indicato che continuera' a costruire la politica che alla Serbia garantisce un futuro europeo e la prosperita' economica, nonche' la politica di protezione degli interessi legittimi in Kosovo ai quali lo stato serbo non puo' e non deve rinunciare. "E' importante che la Serbia mantenga l'identita' in Kosovo e che ottenga quello che le appartiente, vale a dire il diritto di salvaguardare la propria integrita'. Cio' non e' possibile confrontandosi con il mondo intero" ha detto Tadić.
[*] Corrispondente di Radio Radicale. Il testo è tratto dalla puntata di Passaggio a Sud Est andata in onda oggi.
Dopo la presentazione del manifesto a Belgrado, e' intenzione dei suoi promotori e sostenitori di viaggiare per il paese e di far conoscere ai cittadini l'idea europea. L'attivita' dovrebbe durare fino al 9 dicembre quando la Serbia dovrebbe ottenere da parte del Consiglio europeo lo status di candidato. Ma la risposta del presidente Tadić all'appello del leader dei liberaldemocratici non e' stata positiva. Il capo dello stato serbo giudicato da lungo come filoeuropeo ha detto che e' una illusione e un errore che la Serbia con un cambiamento della politica verso il Kosovo possa accelerare il processo di avvicinamento all'Ue. Al tempo stesso, ha osservato Tadić, fatto e' che le grandi potenze non permettono che quello che e' stato attuato in Kosovo venisse posto in questione. "La politica in Kosovo non puo' essere una pietra al nostro collo, ma il problema non lo possiamo risolvere amputando una parte del corpo" ha detto il presidente serbo. Tadić ha valutato che e' strano che il Partito liberaldemocratico e il Movimento serbo del rinnovamento lo chiamino di firmare questo documento. Ha spiegato che non puo' appoggiare le richieste programmatiche dei partiti che insistono sulla svolta nella politica sul Kosovo accettando il piano di Marty Ahtisaari la cui attuazione, ha detto Tadić, causerebbe il completo cancellamento del popolo serbo in Kosovo tra tre decenni. Il presidente della Serbia ha aggiunto che il paese che facilmente rinuncia ai suoi interessi legittimi verra' giudicato dalle grandi potenze come un paese al quale nuove condizioni vengono presentate molto semplicemente e un tale paese perde la sua credibilita' in politica. Tadić ha precisato che tutti in Europa sanno che gli interessi della Serbia in Kosovo sono legittimi e ha aggiunto che per questo nessuno richiede da Belgrado di riconoscere esplicitamente il Kosovo, anche se alcuni stati vorrebbero che la Serbia lo faccia in modo implicito. Il presidente serbo ha indicato che continuera' a costruire la politica che alla Serbia garantisce un futuro europeo e la prosperita' economica, nonche' la politica di protezione degli interessi legittimi in Kosovo ai quali lo stato serbo non puo' e non deve rinunciare. "E' importante che la Serbia mantenga l'identita' in Kosovo e che ottenga quello che le appartiente, vale a dire il diritto di salvaguardare la propria integrita'. Cio' non e' possibile confrontandosi con il mondo intero" ha detto Tadić.
[*] Corrispondente di Radio Radicale. Il testo è tratto dalla puntata di Passaggio a Sud Est andata in onda oggi.
lunedì 7 novembre 2011
LA TURCHIA APPOGGIA L'OPPOSIZIONE ANCHE ARMATA AL REGIME DI DAMASCO
“Siamo il futuro esercito della nuova Siria, non siamo in combutta con nessun partito politico, religione o gruppo. Crediamo nella difesa di tutta la società siriana nel suo insieme”. Lo ha detto il colonnello Riyad al-Asad, comandante dell'Esercito della Siria libera (Fsa), in un'intervista pubblicata nei giorni scorsi dal Daily Telegraph. L'organizzazione armata, “ala militare dell'opposizione popolare siriana al regime”, composta da disertori delle forze armate del regime di Damasco, conterebbe già 15 mila uomini e starebbe già conducendo “operazioni di alto livello contro soldati del governo e agenti di sicurezza”, come ha detto il suo comandante nei giorni scorsi al New York Times, assicurando la volontà di combattere il regime fino a quando non cadrà per poi creare “un nuovo periodo di stabilità e sicurezza per la Siria”. La scorsa settimana, l'Fsa ha rivendicato l'uccisione di nove soldati siriani in scontri avvenuti nel centro del Paese, mentre venerdì scorso, ricorda il Telegraph, altri 17 soldati sono stati uccisi in combattimenti a Homs. La cosa interessante – o inquietante a seconda di come la si veda – è che la formazione dell'esercito ribelle è stata sostenuta e coordinata dalla Turchia. Ankara, dunque, non solo vuole giocare un ruolo di primo piano nell'attuale crisi siriana, anche a costo di compromettere i tentativi di mediazione internazionale (in primis quello, per altro per ora fallimentare, della Lega araba) e di rompere in modo definitivo e irrimediabile con l'ex amico Bashar el Assad.
Nei mesi scorsi il governo di Erdogan aveva tentato di proporsi come mediatore facendo affidamento sugli ottimi rapporti con Assad costruiti negli ultimi anni dopo che in passato i due Paesi avevano rischiato più volte il conflitto armato. Era stato proprio Bashar al Assad a incoraggiare il dialogo con Ankara, in un processo che lo scorso anno aveva portato all'abolizione dei visti di ingresso fra i due Paesi. Lo stesso Erdogan aveva più volte definito Assad “un caro amico”. Quei tempi ora sembrano però molto lontani. Ankara ha mantenuto evidentemente la certezza di poter cambiare le situazione influendo positivamente su Damasco, ma di fronte all'inutilità di visite ufficiali e contatti ad alto livelli, conditi di inviti, appelli e ammonimenti, l'atteggiamento è andato progressivamente cambiando fino a diventare aperta opposizione e pur continuando ad auspicare una soluzione pacifica, la pazienza sembra essere arrivata al limite. A complicare ulteriormente la situazione ci sono anche le accuse della stampa turca alla Siria di fiancheggiare i guerriglieri curdi del Pkk. Nonostante le critiche dell'opposizione (il Chp, il Partito repubblicano del popolo, di orientamento laico e repubblicano, ha parlato di “spaventosa inversione a U nell'atteggiamento del governo verso Assad”), i rapporti con il leader siriano sembrano ormai definitivamente compromessi e a nulla sembra essere servito il riavvicinamento tentato da Assad con l'invio di aiuti nel sud-est turco colpito dal terremoto.
E' dal giugno scorso che la Turchia ha accolto migliaia di profughi in fuga dalle persecuzioni del regime siriano. In questi mesi il governo di Ankara ha cercato a più riprese di convincere Assad a introdurre le riforme più volte promesse, ma poi sempre regolarmente smentite da nuove sanguinose repressioni. Proprio alla luce della crescente violenta repressione, il governo turco ha deciso di favorire la formazione di un vero e proprio esercito di liberazione. Del resto, Ankara ha più volte manifestato il suo sostegno alle “primavere arabe”, anche con il recente, trionfale viaggio del premier Erdogan in Egitto e in altri Paesi dell'area, evidentemente parte del disegno di fare della Turchia la nuova, vera potenza regionale. La Siria è un Paese chiave dell'area: la decisione di Ankara di addestrare una forza armata che possa condurre operazioni contro l'esercito governativo e le forze di sicurezza siriane e che possa diventare anche il braccio armato del Consiglio nazionale siriano, ovvero il coordinamento della resistenza che si è riunito per la prima volta proprio a Istanbul, mostra che Ankara vuole giocare un ruolo di primo piano nella crisi, prendendo la guida della regione e ponendosi come interlocutore ineludibile per qualunque eventuale intrvento internazionale, politico e/o militare, per cercare di risolvere la questione siriana. Resta da vedere se Ankara ha fatto bene i suoi conti, visto che aveva scommesso sulla caduta di Assad in poche settimane, ma ciò non è avvenuto.
Nei mesi scorsi il governo di Erdogan aveva tentato di proporsi come mediatore facendo affidamento sugli ottimi rapporti con Assad costruiti negli ultimi anni dopo che in passato i due Paesi avevano rischiato più volte il conflitto armato. Era stato proprio Bashar al Assad a incoraggiare il dialogo con Ankara, in un processo che lo scorso anno aveva portato all'abolizione dei visti di ingresso fra i due Paesi. Lo stesso Erdogan aveva più volte definito Assad “un caro amico”. Quei tempi ora sembrano però molto lontani. Ankara ha mantenuto evidentemente la certezza di poter cambiare le situazione influendo positivamente su Damasco, ma di fronte all'inutilità di visite ufficiali e contatti ad alto livelli, conditi di inviti, appelli e ammonimenti, l'atteggiamento è andato progressivamente cambiando fino a diventare aperta opposizione e pur continuando ad auspicare una soluzione pacifica, la pazienza sembra essere arrivata al limite. A complicare ulteriormente la situazione ci sono anche le accuse della stampa turca alla Siria di fiancheggiare i guerriglieri curdi del Pkk. Nonostante le critiche dell'opposizione (il Chp, il Partito repubblicano del popolo, di orientamento laico e repubblicano, ha parlato di “spaventosa inversione a U nell'atteggiamento del governo verso Assad”), i rapporti con il leader siriano sembrano ormai definitivamente compromessi e a nulla sembra essere servito il riavvicinamento tentato da Assad con l'invio di aiuti nel sud-est turco colpito dal terremoto.
E' dal giugno scorso che la Turchia ha accolto migliaia di profughi in fuga dalle persecuzioni del regime siriano. In questi mesi il governo di Ankara ha cercato a più riprese di convincere Assad a introdurre le riforme più volte promesse, ma poi sempre regolarmente smentite da nuove sanguinose repressioni. Proprio alla luce della crescente violenta repressione, il governo turco ha deciso di favorire la formazione di un vero e proprio esercito di liberazione. Del resto, Ankara ha più volte manifestato il suo sostegno alle “primavere arabe”, anche con il recente, trionfale viaggio del premier Erdogan in Egitto e in altri Paesi dell'area, evidentemente parte del disegno di fare della Turchia la nuova, vera potenza regionale. La Siria è un Paese chiave dell'area: la decisione di Ankara di addestrare una forza armata che possa condurre operazioni contro l'esercito governativo e le forze di sicurezza siriane e che possa diventare anche il braccio armato del Consiglio nazionale siriano, ovvero il coordinamento della resistenza che si è riunito per la prima volta proprio a Istanbul, mostra che Ankara vuole giocare un ruolo di primo piano nella crisi, prendendo la guida della regione e ponendosi come interlocutore ineludibile per qualunque eventuale intrvento internazionale, politico e/o militare, per cercare di risolvere la questione siriana. Resta da vedere se Ankara ha fatto bene i suoi conti, visto che aveva scommesso sulla caduta di Assad in poche settimane, ma ciò non è avvenuto.
sabato 5 novembre 2011
PAPANDREOU OTTIENE LA FIDUCIA: ORA UN GOVERNO DI COALIZIONE.
Con 153 voti a favore su 300 il governo di Giorgio Papandreou ha ottenutoi la fiducia necessaria per andare avanti e approvare così il piano di salvataggio sul quale non si terrà il referendum popolare l'annuncio del quale martedì scorso ha fatto crollare le borse europee. Ora il presidente Karolos Papoulias inizierà i colloqui per formare un esecutivo di coalizione che deve varare le misure necessarie a rispettare gli impegni presi lo scorso 27 ottobre con l'Unione Europea e il Fondo Monetario Internazionale, senza i quali Atene non può ottenere nuovi fondi, fra i quali ci sono gli 8 miliardi di euro "congelati" dal G20 di Cannes. Il nuovo esecutivo dovrebbe restare in carica almeno fino al febbraio dell'anno prossimo, tempo necessario a completare tutte le tranches di aiuti. Papandreou, nel suo discorso al Parlamento, ha detto dunque di essere pronto a farsi da parte: oggi la Grecia deve voltare pagina, "il Paese deve essere governato domani senza turbolenze". Papandreou ha detto di volere il voto di fiducia "per salvaguardare un saldo corso per questo Paese, senza vuoto di potere, senza essere trascinato alle elezioni». La nuova coalizione, secondo il ministro delle Finanze Evangelos Venizelos, "dovrà restituire credibilità internazionale al paese e assicurare i soldi necessari per la ricapitalizzazione delle banche".
giovedì 3 novembre 2011
CROAZIA: SI VOTA IL 4 DICEMBRE
La campagna elettorale è però già iniziata da tempo. L'opposizione di centro sinistra avanti nei sondaggi. Alla prova la nuova legge sul finanziamento della politica.
Il presidente croato Ivo Josipović lunedi' ha firmato la decisone con la quale vengono indette le elezioni per la settima legislatura del Parlamento croato. Precedentemente il Presidente ha parlato telefonicamente con i presidenti dei partiti e ha concordato che, come gia' si annunciava, le prossime elezioni si svolgeranno il 4 dicembre. Dopo la pubblicazione di questa decisione nella Gazzetta nazionale inizia un termine di 14 giorni entro il quale i partiti devono consegnare alla Commissione elettorale statele le loro liste. Con la data della pubblicazione inizia ufficialmente la campagna elettorale. Questa, sara' cosi' la piu' breve campagna elettorale nella storia croata dalla sua indipendenza che durera' solo due settimane anche se teoricamente siamo gia' a lungo assistendo alle sfide elettorali.
Con l'inizio ufficiale della campagna elettorale, entra pero' in vigore ed e' alla prova la nuova Legge sul finaziamento delle attivita' politiche e della promozione elettorale approvata lo scorso febbraio e della quale si attende molto soprattutto in questi tempi in cui la Croazia e' presa da abbondanti scandali di corruzione. Gli esperti avevano plaudito questa nuova legge esprimendo speranza che non si ripetera' l'anno elettorale 2007 quando, tra l'altro, c'erano molti dubbi sulle modalita' del finanziamento e sulle cifre di denaro spese nella campagna di promozione. Una delle novita' piu' importanti della Legge sul finanzimento delle attivita' politiche e' la limitazione delle spese in campagna elettorale delle liste, vale a dire delle candidature che non possono oltrepassare 200.000 euro per una singola circoscrizione. Inoltre i candidati hanno il dovere, sette giorni prima delle elezioni, di consegnare alla Commissione elettorale il rapporto sulle donazioni ricevute e sulle spese per ogni singola circoscrizione. Entro 30 giorni dalla pubblicazioni dei risultati elettorali devono presentare anche il rapporto finanziario sul finanziamento della campagna elettorale. I partiti politici e le liste indipendenti con il giorno della presentazione della candidatura devono aprire un conto corrente separato, indipendentemente dal fatto in quante circoscrizioni si candidano. Si avverte che sono vietate donazioni da parte di paesi stranieri, partiti politici e enti giuridici, da parte di organi statali e aziende pubbliche e altri sogetti giuridici. Va detto anche che tutti i rapporti sul finanziameto devono essere pubblicati sui siti internet dei partitio o sulla stampa.
Secondo la Costituzione, il Parlamento croato puo' avere al minimo 100 e al massimo 160 deputati che vengono eletti ad un mandato di quattro anni. In 10 circoscrizioni del Paese vengono eletti 14 deputati mentre 3 deputati verranno eletti nella circoscrizione della diaspora, 8 invece dalle fila delle minoranze nazionali. Il precedente Parlamento che e' stato sciolto lo scorso venerdi', contava 153 deputati di cui, nel momento in cui e' stato eletto il Parlamento (25 novembre 2007) l'HDZ aveva 66 deputati. Seconda forza in parlamento e' stato l'SDP con 56 deputati, il Partito popolare croato 7, il Partito dei contadini 6 deputati. Otto mandati avevano i parlamentari delle minoranze nazionali, 3 appartenevano al Sabor democratico istriano e HDSSB, il Partito social-liberale ne aveva 2 e al Partito del diritto e quello dei pensionati apparteneva un seggio ciascuno.
Uno degli esperti politici e professore di filosofia, Žarko Puhovski, afferma che questa campagna elettorale sicuramente sara' una campagna senza senso poiche' i risultati sono gia' conosciuti. Per questo, e' buono che sara' cosi' breve. E sara' importante soltanto per quei candidati, in particolare i Laburisti e le singole liste indipendenti per i quali sara' importante se passeranno la soglia elettorale, vale a dire se avranno la frazione in Parlamento, e' dell'opinione Puhovski. Il risultato principale relativo al chi arrivera' al potere, e' gia' noto. Il nuovo potere, osserva l'esperto croato, sara' enormemente appesantito. Vincera' con un programma morale e non politico che e' molto piu' difficile da reggere. Anche il politologo Anđelko Milardović ritiene che la campagna elettorale sara' tiepida, unilaterale e noiosa. "Siccome il concorrente principale e' in ginocchio, la coalizione dell'opposizione non deve fare assolutamente nulla" afferma Milardović e aggiunge che la campagna sara' poco interessante se non subentrera' uno terzo, qualcuno dei giocatori piu' piccoli. L'esperto politico avverte che la Croazia ha bisogno assolutametne di una terza forza poiche' i 20 anni di bipolarismo hanno buttato la societa' croata in ginocchio.
Il centro per le ricerche del mercato ha effettuato in questi giorni per la televisione commerciale croata RTL un primo grande sondaggio dell'opinione pubblica in vista dell'indizione delle elezioni parlamentari con la proiezione del probabile nuovo parlamento croato. Dalla ricerca risulta che la Coalizione dell'opposizione, ci fosse adesso il voto, avrebbe sconfitto drammaticamente l'HDZ e avrebbe raggiunto un vantaggio irragiungibile relativo al numero di mandati parlamentari. Questi risultati, scrivono i media croati, oltrepassano anche le piu' ottimistiche proiezioni della coalizione. La RTL ha pubblicato i risultati del sondaggio nelle trasmissioni informative domenica scorsa e di seguito la notizia e' stata difusa da altri media. Va detto che la ricerca e' stata effettuta tra il 14 e il 28 ottobre, alla saputa delle indagini sui fondi neri contro il partito governativo, l'HDZ. I risultati del sondaggio dimostrano che la Croazia si appresta ad un cambiamento del potere. La coalizione dell'opposizione vincerebbe con una maggioranza netta di perfino 90 seggi in Parlamento mentre l'attuale partito governativo, l'HDZ andrebbe in opposizione con modestissimi 35 deputati che sarebbe la piu' grande sconfitta nella storia di questo partito. Significa che rispetto all'appena finita legislatura, il numero di deputati dell'HDZ praticamente si dimezzerebbe. Tra gli elettori intervistati, adesso il 57 percento sa per chi votera', il 32 percento sarebbe ancora indeciso mentre l'11 percento non vuole rivelare a chi dara' il voto.
Intanto, dopo la notizia delle inchieste su presunti consistenti fondi neri di cui si sarebbe servito l'HDZ, l'altra notizia che in questi giorni ha colpito duramente i governativi e' il blocco del patrimonio di questo partito. Con questo gesto, l'Ufficio per la sopressione di corruzione e criminalita' (USKOK) vuole assicurare i mezzi per restituire il danno subito dallo stato qualora il tribunale stabilira' che si tratti veramente di atti illegali. I primi indagati sono l'ex premier e uomo forte dell'HDZ Ivo Sanader, il tesoriere dell'HDZ Mladen Barišić e la responsabile finanziaria Branka Pavošević. Ultimamente le indagini sarebbero state allargate ad altri due nomi sospetti: l'ex segretario generale e attuale deputato Ivan Jarnjak e l'ex portavoce dell'HDZ Ratko Maček. In questo scandalo sarebbero incluse 19 persone sospette e perfino l'intero Partito. La premier croata e presidente del HDZ, Jadranka Kosor ha ammesso che sara' estremamente difficile finanziare la campagna elettorale e ha precisato che avevano previsto di finanziare questa campagna con dei mutui ma che adesso la cosa diventa molto difficile e complicata. ¨In questo momento dobbiamo proteggere l'HDZ e non permetteremo a nessuno di colpire il partito bensi', se ci sono state responsabilita' individuali, bisogna individualizzarle ed i responsabili devono rispondere" ha detto Kosor aggiungendo che questi sono tempi difficili ma che loro hanno la forza e la fermezza e potranno superare anche queste difficolta'. L'HDZ continuera' la lotta contro la corruzione fino all'ultimo respiro verso tutti quelli che hanno violato la legge e sono stati i primi ad aprire la lotta contro la corruzione, ha sottolineato la premier.
[*] Corrispondente di Radio Radicale. Il testo è tratto dalla puntata di Passaggio a Sud Est andata in onda oggi.
Il presidente croato Ivo Josipović lunedi' ha firmato la decisone con la quale vengono indette le elezioni per la settima legislatura del Parlamento croato. Precedentemente il Presidente ha parlato telefonicamente con i presidenti dei partiti e ha concordato che, come gia' si annunciava, le prossime elezioni si svolgeranno il 4 dicembre. Dopo la pubblicazione di questa decisione nella Gazzetta nazionale inizia un termine di 14 giorni entro il quale i partiti devono consegnare alla Commissione elettorale statele le loro liste. Con la data della pubblicazione inizia ufficialmente la campagna elettorale. Questa, sara' cosi' la piu' breve campagna elettorale nella storia croata dalla sua indipendenza che durera' solo due settimane anche se teoricamente siamo gia' a lungo assistendo alle sfide elettorali.
Con l'inizio ufficiale della campagna elettorale, entra pero' in vigore ed e' alla prova la nuova Legge sul finaziamento delle attivita' politiche e della promozione elettorale approvata lo scorso febbraio e della quale si attende molto soprattutto in questi tempi in cui la Croazia e' presa da abbondanti scandali di corruzione. Gli esperti avevano plaudito questa nuova legge esprimendo speranza che non si ripetera' l'anno elettorale 2007 quando, tra l'altro, c'erano molti dubbi sulle modalita' del finanziamento e sulle cifre di denaro spese nella campagna di promozione. Una delle novita' piu' importanti della Legge sul finanzimento delle attivita' politiche e' la limitazione delle spese in campagna elettorale delle liste, vale a dire delle candidature che non possono oltrepassare 200.000 euro per una singola circoscrizione. Inoltre i candidati hanno il dovere, sette giorni prima delle elezioni, di consegnare alla Commissione elettorale il rapporto sulle donazioni ricevute e sulle spese per ogni singola circoscrizione. Entro 30 giorni dalla pubblicazioni dei risultati elettorali devono presentare anche il rapporto finanziario sul finanziamento della campagna elettorale. I partiti politici e le liste indipendenti con il giorno della presentazione della candidatura devono aprire un conto corrente separato, indipendentemente dal fatto in quante circoscrizioni si candidano. Si avverte che sono vietate donazioni da parte di paesi stranieri, partiti politici e enti giuridici, da parte di organi statali e aziende pubbliche e altri sogetti giuridici. Va detto anche che tutti i rapporti sul finanziameto devono essere pubblicati sui siti internet dei partitio o sulla stampa.
Secondo la Costituzione, il Parlamento croato puo' avere al minimo 100 e al massimo 160 deputati che vengono eletti ad un mandato di quattro anni. In 10 circoscrizioni del Paese vengono eletti 14 deputati mentre 3 deputati verranno eletti nella circoscrizione della diaspora, 8 invece dalle fila delle minoranze nazionali. Il precedente Parlamento che e' stato sciolto lo scorso venerdi', contava 153 deputati di cui, nel momento in cui e' stato eletto il Parlamento (25 novembre 2007) l'HDZ aveva 66 deputati. Seconda forza in parlamento e' stato l'SDP con 56 deputati, il Partito popolare croato 7, il Partito dei contadini 6 deputati. Otto mandati avevano i parlamentari delle minoranze nazionali, 3 appartenevano al Sabor democratico istriano e HDSSB, il Partito social-liberale ne aveva 2 e al Partito del diritto e quello dei pensionati apparteneva un seggio ciascuno.
Uno degli esperti politici e professore di filosofia, Žarko Puhovski, afferma che questa campagna elettorale sicuramente sara' una campagna senza senso poiche' i risultati sono gia' conosciuti. Per questo, e' buono che sara' cosi' breve. E sara' importante soltanto per quei candidati, in particolare i Laburisti e le singole liste indipendenti per i quali sara' importante se passeranno la soglia elettorale, vale a dire se avranno la frazione in Parlamento, e' dell'opinione Puhovski. Il risultato principale relativo al chi arrivera' al potere, e' gia' noto. Il nuovo potere, osserva l'esperto croato, sara' enormemente appesantito. Vincera' con un programma morale e non politico che e' molto piu' difficile da reggere. Anche il politologo Anđelko Milardović ritiene che la campagna elettorale sara' tiepida, unilaterale e noiosa. "Siccome il concorrente principale e' in ginocchio, la coalizione dell'opposizione non deve fare assolutamente nulla" afferma Milardović e aggiunge che la campagna sara' poco interessante se non subentrera' uno terzo, qualcuno dei giocatori piu' piccoli. L'esperto politico avverte che la Croazia ha bisogno assolutametne di una terza forza poiche' i 20 anni di bipolarismo hanno buttato la societa' croata in ginocchio.
Il centro per le ricerche del mercato ha effettuato in questi giorni per la televisione commerciale croata RTL un primo grande sondaggio dell'opinione pubblica in vista dell'indizione delle elezioni parlamentari con la proiezione del probabile nuovo parlamento croato. Dalla ricerca risulta che la Coalizione dell'opposizione, ci fosse adesso il voto, avrebbe sconfitto drammaticamente l'HDZ e avrebbe raggiunto un vantaggio irragiungibile relativo al numero di mandati parlamentari. Questi risultati, scrivono i media croati, oltrepassano anche le piu' ottimistiche proiezioni della coalizione. La RTL ha pubblicato i risultati del sondaggio nelle trasmissioni informative domenica scorsa e di seguito la notizia e' stata difusa da altri media. Va detto che la ricerca e' stata effettuta tra il 14 e il 28 ottobre, alla saputa delle indagini sui fondi neri contro il partito governativo, l'HDZ. I risultati del sondaggio dimostrano che la Croazia si appresta ad un cambiamento del potere. La coalizione dell'opposizione vincerebbe con una maggioranza netta di perfino 90 seggi in Parlamento mentre l'attuale partito governativo, l'HDZ andrebbe in opposizione con modestissimi 35 deputati che sarebbe la piu' grande sconfitta nella storia di questo partito. Significa che rispetto all'appena finita legislatura, il numero di deputati dell'HDZ praticamente si dimezzerebbe. Tra gli elettori intervistati, adesso il 57 percento sa per chi votera', il 32 percento sarebbe ancora indeciso mentre l'11 percento non vuole rivelare a chi dara' il voto.
Intanto, dopo la notizia delle inchieste su presunti consistenti fondi neri di cui si sarebbe servito l'HDZ, l'altra notizia che in questi giorni ha colpito duramente i governativi e' il blocco del patrimonio di questo partito. Con questo gesto, l'Ufficio per la sopressione di corruzione e criminalita' (USKOK) vuole assicurare i mezzi per restituire il danno subito dallo stato qualora il tribunale stabilira' che si tratti veramente di atti illegali. I primi indagati sono l'ex premier e uomo forte dell'HDZ Ivo Sanader, il tesoriere dell'HDZ Mladen Barišić e la responsabile finanziaria Branka Pavošević. Ultimamente le indagini sarebbero state allargate ad altri due nomi sospetti: l'ex segretario generale e attuale deputato Ivan Jarnjak e l'ex portavoce dell'HDZ Ratko Maček. In questo scandalo sarebbero incluse 19 persone sospette e perfino l'intero Partito. La premier croata e presidente del HDZ, Jadranka Kosor ha ammesso che sara' estremamente difficile finanziare la campagna elettorale e ha precisato che avevano previsto di finanziare questa campagna con dei mutui ma che adesso la cosa diventa molto difficile e complicata. ¨In questo momento dobbiamo proteggere l'HDZ e non permetteremo a nessuno di colpire il partito bensi', se ci sono state responsabilita' individuali, bisogna individualizzarle ed i responsabili devono rispondere" ha detto Kosor aggiungendo che questi sono tempi difficili ma che loro hanno la forza e la fermezza e potranno superare anche queste difficolta'. L'HDZ continuera' la lotta contro la corruzione fino all'ultimo respiro verso tutti quelli che hanno violato la legge e sono stati i primi ad aprire la lotta contro la corruzione, ha sottolineato la premier.
[*] Corrispondente di Radio Radicale. Il testo è tratto dalla puntata di Passaggio a Sud Est andata in onda oggi.