Più la Turchia prosegue il difficile cammino delle riforme richieste dall'Unione Europea, più l’Europa alza ostacoli e mostra di non voler dar seguito alle promesse fatte a suo tempo rifiutandosi di affrontare razionalmente e pragmaticamente la situazione. Una situazione per cui la prospettiva dell'adesione turca all'UE sembra essere ormai un sogno svanito, per colpe e responsabilità sia turche, sia europee. Tanto che recentemente il premio Nobel Orhan Pamuk, convinto sostenitore dell'integrazione europea della Turchia, in un duro articolo pubblicato da La Repubblica, e che ripreso anch'io sul blog, ha affermato che ormai "né in Europa, né in Turchia c'è una speranza realistica che la Turchia si unisca all'Ue nel prossimo futuro", ma ammetterlo "avrebbe l'effetto devastante di un totale collasso delle relazioni turco-europee; e quindi nessuno trova il coraggio di parlarne in maniera esplicita". Effettivamente la strada che unisce Ankara e Bruxelles si fa sempre più stretta e tortuosa, come spiega Paolo Bergamaschi, consigliere per gli Affari Esteri del Parlamento europeo, in un reportage a proposito di una conferenza sul tema "La Turchia in Europa", svoltasi recentemente a Istanbul.
Strade aggrovigliate tra Ankara e Bruxelles
La prima volta che visitai Istanbul fu in una giornata di febbraio di parecchi anni fa durante una sosta di una decina di ore sulla via dell’Abkhazia. Una fitta nevicata aveva ammantato la città che sembrava paralizzata, stordita, magica. Giungendo dall’aeroporto con il metro di superficie scesi sulla spianata di Sultanahmet e mi ritrovai solo nel silenzio, schiacciato dall’imponenza di Santa Sofia e della Moschea Blu. Il grande cortile tra i minareti di quest’ultima era deserto e gelido. Non era il clima migliore per togliersi le scarpe e camminare scalzo tra le ampie volte ed i marmi levigati. Ho imparato successivamente a conoscere la città e quel primo ricordo è rimasto solo un'immagine da cartolina o un sortilegio per ingannare uno sprovveduto visitatore. Non ci sono ciclisti per le strade di Istanbul. Il traffico caotico e tentacolare sconsiglia anche i più arditi dal provarci.
L’ultima volta che arrivai in città fu in occasione del matrimonio di Joost Lagendijk al Pera Palas Hotel, quello di Agatha Christie e dell’Orient Express, conclusosi con un grande e raffinato interminabile banchetto sul Bosforo davanti alle propaggini oscure del continente asiatico. Dopo gli anni al Parlamento europeo Joost ha abbandonato la politica e oggi insegna Relazioni europee all’università della metropoli turca pubblicando corsivi di vario genere sulla stampa in inglese del paese. La moglie turca, Nevim, mi racconta che da buon olandese a Joost manca molto la bicicletta. Vorrebbero quindi trasferirsi in una delle isolette antistanti dove la circolazione delle automobili è vietata e ci si muove solo sulle due ruote. Anche senza pedalare, comunque, lo trovo in ottima forma mentre fa il punto sui rapporti fra Unione Europea e Turchia alla conferenza a cui partecipo.
La Turchia in Europa
“Erano tante, forse troppe le aspettative create nel 2005 quando cominciarono i negoziati di adesione all’Unione” esordisce Lagendijk. “Da allora sono 13 i capitoli negoziali aperti sui 35 previsti ma il passo è lento con continui ostacoli frapposti da chi vuole fare deragliare il processo portando Ankara all’esasperazione”. Non è un mistero che Francia e Germania siano ostili all’ingresso della Turchia in Europa così come altri paesi che per adesso non si esprimono ma attendono il momento opportuno per farlo. Parigi ha addirittura posto il veto all’apertura di cinque capitoli, quelli che riguardano direttamente la partecipazione istituzionale di Ankara ai processi decisionali dell’Unione. Altri otto sono bloccati da Cipro a causa dell’indisponibilità turca ad aprire porti ed aeroporti ad imbarcazioni ed aerei battenti bandiera cipriota. “Il motore europeo in Turchia sta perdendo giri” sottolinea Joost “ma la spinta per le riforme non si è esaurita”. Se prima, infatti, l’incentivo per il cambiamento era la prospettiva di adesione all’Unione, adesso è la necessità di modernizzare il paese indipendentemente dall'ingresso in Europa. Non è più Bruxelles a dettare le condizioni ad Ankara. Mentre il vecchio continente fatica ad uscire dalla crisi in cui è impantanato l’economia turca registra tassi di crescita vicini alle due cifre.
E’ la consapevolezza dei propri mezzi, la fiducia del proprio potenziale che ha affrancato la Turchia dalla tradizionale sudditanza nei confronti dell’Europa. Ankara, ormai, non si sente più come un’estensione nella regione degli interessi dell’Unione o della Nato. Dopo anni di umiliazioni e di porte in faccia la Turchia cerca di ritagliarsi un proprio ruolo sullo scacchiere medio-orientale e centro asiatico slegato dai vincoli di alleati ingrati e sgarbati, incapaci di mantenere la parola data. “Quello della Turchia”, sottolinea Lagendijk, “è un caso speciale perché tocca il cuore dell’Unione Europea rimettendone in questione l’identità”. “Sbaglia, ad ogni modo, chi pensa che la Turchia possa fare a meno dell'Europa”, aggiunge però, “buona parte della credibilità internazionale di Ankara, infatti, compresi i cospicui investimenti stranieri, deriva dal fatto che il paese è in trattativa ed in parte integrato con l'Unione”. Bisogna capire, comunque, se e fino a quando potrà durare questa pantomima. Per adesso conviene ad entrambi fingere che i negoziati di adesione procedano minimizzando i problemi, ignorando il malumore strisciante e soffocando la crescente diffidenza.
Egemen Bagis, Ministro per gli affari europei, nel rilanciare le ambizioni turche conferma lo stato d'animo di un paese diverso da quello che nel 2005 aveva timidamente, ma con grande entusiasmo, iniziato il periglioso cammino di avvicinamento all'Unione. “La Turchia di oggi” afferma” non è quella di allora: economicamente parlando siamo il paese più forte del continente con un tasso di crescita che per il primo semestre dell'anno si aggira attorno all'11%.”. “Purtroppo”, sottolinea con una certa amarezza, “il muro crollato a Berlino è stato ricostruito in prossimità del Bosforo con tutto quello che ne deriva”. “La Turchia”, continua, “è il paese più orientale dell'Occidente ed allo stesso tempo il paese più occidentale dell'Oriente: chi critica la nostra politica estera deve rendersi conto che se non si spegne l'incendio nelle case vicine anche la propria rischia di andare a fuoco”. Le parole di Bagis cadono su una platea disamorata dell'Europa e nel concludere cita il paradosso del rifiuto di Bruxelles di aprire il capitolo negoziale sull'energia nonostante il 70% delle forniture energetiche di cui i paesi dell'Unione hanno bisogno si trovi ai confini della Turchia.
Piazza Taksim
Nel volgere di poche ore Piazza Taksim è tornata nella normalità. Mentre mi recavo in aeroporto a Verona la radio annunciava un attentato proprio nella grande piazza della metropoli turca dove si affaccia il mio hotel. Se me ne fossi accorto prima di partire e non durante il volo avrei perlomeno dato un colpo di telefono alla reception per verificare la situazione. Un paio di veicoli blindati, qualche poliziotto che vigila e l'area a ridosso delle fontanelle, transennata ma nulla più: un costante flusso di passanti continua indifferente a riversarsi per le strade di Beyoglu ipnotizzato dal luccichio delle luminarie e dal fascino delle vetrine. Il ritrovato orgoglio nazionale non ammette il panico. Non c'è sfida o scommessa che la Turchia di oggi non sia in grado di affrontare e gestire: è questo il messaggio che le autorità vogliono inviare alla propria opinione pubblica e all'opinione pubblica internazionale.
Secolarismo e separazione ed equilibrio dei poteri sono i fondamenti della costituzione turca. Secondo Gianni Buquicchio, presidente della Commissione di Venezia del Consiglio d’Europa (l’organo consultivo dell’organizzazione deputato ad occuparsi di riforme costituzionali nei paesi membri), i cambiamenti approvati nello scorso settembre per via referendaria sono positivi anche se la Turchia, fa presente, avrebbe bisogno di una costituzione completamente nuova. “I diritti umani sono protetti ma limitati da norme che ne impediscono il cattivo uso”, osserva, “sembra quasi che le norme mirino a proteggere lo stato dai cittadini e non viceversa”. “Rimangono, inoltre, le preoccupazioni per quanto riguarda la libertà di espressione”, rimarca, “e resiste il sistema di tutela da parte dei militari”. Non è un caso che la Turchia continui a perdere le cause mosse dai suoi cittadini presso la Corte Europea per i Diritti Umani di Strasburgo. Esasperati dalla giustizia del proprio paese sono sempre di più i turchi che si rivolgono al massimo organo giudiziario del continente per vedere riconosciuti i propri diritti. “E’ giunto il tempo per la Turchia di diventare una democrazia liberale a pieno titolo”, conclude Buquicchio catturando l’applauso convinto dei convenuti, “ma una nuova costituzione deve essere fondata sul consenso e passare attraverso un processo inclusivo che unisca il paese”.
La questione islamica
Sono ormai molti gli esponenti politici che nell’Unione Europea raccattano voti puntando sul pericolo islamico. Svezia, Olanda, Austria e Italia ne sono un esempio ma anche in Francia e nel Regno Unito la paura monta sulle ali di una crisi che attraversa tutti i settori della nostra società. “Si pensava che razzismo e xenofobia fossero fenomeni del passato”, commenta l’amico francese seduto al mio fianco, “ed invece ce li ritroviamo di fronte, rimaterializzati in affermazioni e comportamenti che una volta sarebbero stati univocamente condannati e che oggi non destano quasi scalpore”. Politici e media turchi sono perfettamente consapevoli dell’islamofobia crescente in occidente e di come l’eventuale adesione all’Unione venga strumentalizzata da chi è alla ricerca di facili consensi. Non mancano di rilevare che più la Turchia si avvicina all’Europa, sforzandosi di intraprendere il faticoso cammino delle riforme, più l’Europa si ritrae incapace di dar seguito alle promesse affrontando razionalmente la situazione. “La Turchia ha bisogno dell’Europa”, mi confida Daniel Cohn-Bendit, “ma forse adesso è più l’Europa ad avere bisogno della Turchia”. “Abbiamo bisogno di ponti, non di muri”, continua, “e la Turchia è il ponte più sicuro verso l’Oriente”.
L'identità turca e la questione cipriota
Contrariamente a quello che le autorità vogliono far credere Istambul non è la vetrina della Turchia e tantomeno il quartiere di Beyoglu, il cuore commerciale della città. Stessa frenesia di shopping, stessi articoli in esposizione, stessi fast-food delle metropoli europee. I ragazzi e le ragazze vestono “all’occidentale” e frequentano gli internet cafè. Appena ci si sposta verso la periferia, però, ricompare il “turban”, il foulard, sul capo delle donne, molte delle quali avvolte fino ai piedi nelle tradizionali ed anonime lunghe tuniche nere. Ma è tutto uno sventolio di bandiere, uno sfarfallio di stendardi con la mezzaluna bianca in campo rosso che avvolge le piazze e le grandi arterie della città. Il verbo nazionalista è merce a buon mercato, trova sempre terreno fertile e funziona senza troppi sforzi.
Anche la questione cipriota serve a rinfocolare il sentimento identitario quando si tratta di distogliere l'attenzione da altri problemi. Più che un ostacolo reale che allontana Ankara da Bruxelles lo stallo sull'isola si è trasformato in un elemento di orgoglio nazionale che impedisce qualsiasi cedimento, pena la perdita di credibilità interna ed esterna. D'altronde, secondo la diplomazia del Bosforo e forse non a torto, è l'Unione che deve rispettare le promesse fatte nel 2004 e porre fine all'isolamento della parte nord dell'isola, quella abitata dalla comunità turca. Ancora oggi gli unici collegamenti con Cipro nord partono da porti ed aeroporti della penisola anatolica garantendo tutti i rifornimenti. Il nuovo aeroporto di Gokcen è il punto di partenza per tutti i voli diretti verso l'isola anche se Ercian, l'aeroporto di arrivo, non fa parte della rete ufficiale dell'aviotrasporto internazionale. Ragioni ambientali e di tempo mi inducono a non essere politically correct nel proseguimento della missione. Trovo assurdo, infatti, dover passare da Atene, come invece è obbligata a fare l'eurodeputata tedesca Ska Keller che dovrei accompagnare, per volare a Nicosia bruciando una notte fra aerei, taxi e check-in. Per la prima volta da quando mi muovo nella regione decido, quindi, di approfittare dei collegamenti “illegali” fra Istanbul ed Ercian, molto più comodi e funzionali. La Repubblica di Cipro Nord è riconosciuta solo dalla Turchia e non ha alcun legame formale con i paesi dell'Unione.
“La Turchia in Europa” era il titolo della conferenza cui ho partecipato. Nel 2005 ero stato invitato ad un'altra conferenza in città dal titolo identico. E' molto probabile che nel 2015 sarò ancora ad Istanbul per una nuova conferenza con lo stesso tema. Strade aggrovigliate tra Ankara e Bruxelles. C'è chi si perde e chi fa apposta a perdersi.